Prospettive
assistenziali
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Editoriale
FUORVIANTI LE VALUTAZIONI E LE
PROPOSTE CONTENUTE NEL VOLUME
Nel recente volume La
riforma dell’assistenza ai non autosufficienti curato da Cristiano Gori ed edito
da Il Mulino, Collana della Fondazione Smith Kline, la situazione attuale dei
suddetti soggetti è presentata in modo del tutto diverso rispetto alla realtà.
Omessa la segnalazione dei diritti
esigibili riconosciuti alle persone malate e non autosufficienti
nella pubblicazione in oggetto non viene
evidenziato – fatto di estrema gravità anche sotto l’aspetto etico e il profilo
tecnico – che le leggi vigenti (la prima, la n. 692 risale addirittura al
1955!) sanciscono il diritto esigibile delle persone affette da patologie
invalidanti e da non autosufficienza alle cure sanitarie senza limiti di durata
e non impongono ai loro congiunti di assumere responsabilità e oneri economici
attribuiti alla competenza del Servizio sanitario nazionale[1]. Il
diritto esigibile alle cure sanitarie è previsto anche dalle leggi 132/1968 e
833/1978 ed è confermato dall’articolo 54 della legge 289/2002 concernente i
Lea (Livelli essenziali di assistenza)[2].
Ignorati i diritti esigibili in materia socio-assistenziale
Nello stesso volume viene
omesso che, nei riguardi dei soggetti colpiti da handicap invalidanti, i Comuni
sono tenuti a fornire assistenza (purtroppo è previsto solo il ricovero come
misura obbligatoria) ai sensi degli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio
decreto 773/1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, articoli che riprendono, anche nella loro formulazione, i compiti
assegnati ai Comuni dal regio decreto 6535/1889[3].
Dimenticate le norme vigenti in materia
di contribuzioni economiche
Non vengono nemmeno citate le
norme (articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e
130/2000) in base alle quali nessun contributo economico può essere richiesto
ai parenti, compresi quelli conviventi con l’assistito, qualora questi sia un ultrasessantacinquenne
non autosufficiente o un soggetto con handicap in situazione di gravità[4].
Alcune prime considerazioni
A causa delle gravissime omissioni che abbiamo elencato in precedenza, dalla lettura del volume
curato da Cristiano Gori, il lettore trae la netta, ma assolutamente sbagliata
opinione che finora il legislatore non si sia mai occupato delle persone non
autosufficienti.
La situazione di questi soggetti (circa un milione) è
spesso drammatica, ma la causa principale non è attribuibile alla
inesistenza o alla inidoneità delle leggi dirette alla loro tutela
psico-fisica e sociale.
Le carenze di intervento sono
invece dovute soprattutto al mancato rispetto delle vigenti disposizioni che,
lo ripetiamo, risalgono al 1931 per quanto riguarda il diritto al ricovero
assistenziale e al
Dai contenuti del libro in oggetto si ricava un altro
convincimento del tutto errato e cioè che le persone
non autosufficienti siano un insieme di soggetti aventi peculiarità identiche o
comunque assimilabili, al punto da rendere praticabile la creazione di un unico
fondo per il finanziamento delle occorrenti prestazioni.
Differenti caratteristiche delle persone
non autosufficienti
Com’è di palmare evidenza, al fine di poter
predisporre le opportune idonee misure, in particolare quelle preventive[5],
occorre tenere nella dovuta considerazione che la non autosufficienza è
provocata da cause anche molto diverse; inoltre sono assai differenti le
esigenze e gli interventi occorrenti nell’ambito dei servizi
socio-assistenziali, socio-sanitari e sociali in genere.
Infatti, incapaci di provvedere alle proprie personali
necessità vitali sono:
-
i
bambini, i giovani, gli adulti e gli anziani in coma che necessitano di cure
sanitarie intensive e altamente specializzate;
-
le
persone, soprattutto anziane, inferme a seguito di patologie invalidanti
(colpite dal morbo di Alzheimer o affette da altre forme di demenza senile,
soggetti non più autosufficienti a seguito degli effetti devastanti provocati
da ictus, infarti e altre patologie). Detti malati devono essere curati al fine
di ridurre in tutta la misura del fattibile il dolore
e per contrastare gli aggravamenti e l’insorgenza di altre patologie[6];
-
gli
individui con handicap intellettivo grave e gravissimo e conseguente limitata o
nulla autonomia, per i quali, salvo che all’handicap intellettivo siano
associate patologie acute o croniche, le prestazioni sanitarie occorrenti non
sono in genere sostanzialmente diverse da quelle richieste dai cittadini non
colpiti da questa minorazione[7]. Per
quanto riguarda gli interventi necessari occorre che queste persone, insieme ai loro congiunti, siano sostenute in modo concreto (ad
esempio con l’istituzione di centri diurni per gli ultradiciottenni, non
inseribili in attività lavorative, aperti almeno 5 giorni alla settimana per
non meno di 40 ore) al fine di evitare la loro emarginazione sociale e di
ritardare per quanto possibile il oro ricovero presso strutture residenziali[8].
Per quanto concerne invece i
soggetti colpiti da handicap fisici o sensoriali essi non devono mai, salvo
casi del tutto eccezionali, essere considerati non autosufficienti. È, difatti, necessario promuovere tutti gli
interventi volti ad assicurare la massima autonomia
personale raggiungibile e la loro attiva partecipazione alla vita sociale. Dette misure non concernono solo la sanità, ma anche la
frequenza delle normali istituzioni scolastiche, gli inserimenti lavorativi,
l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle abitazioni private, negli
edifici pubblici, nei trasporti, nei luoghi di lavoro, ecc.
Trasformazione dell’indennità di accompagnamento in prestazione assistenziale di base
è allarmante che nel citato
capitolo “Riformare l’assistenza ai non autosufficienti in Italia”, redatto dal
Gruppo per la riforma dell’assistenza continuativa (v. la nota 4), venga
proposta la trasformazione dell’indennità di accompagnamento in una «prestazione assistenziale di base» e
sia precisato che rimane «invariata la
dimensione dell’utenza». Ne deriva che il suddetto Gruppo considera – fatto
gravissimo – come non autosufficienti tutti i soggetti colpiti da handicap
fisico o sensoriale che ricevono attualmente
l’indennità di accompagnamento. Si pensi, ad esempio, ai soggetti pienamente in
grado di provvedere alle loro esigenze e di partecipare attivamente alla vita
sociale, che ricevono l’indennità di accompagnamento
perché non in grado di deambulare autonomamente.
Per quanto riguarda la sopraccitata proposta di
modificare le disposizioni concernenti l’indennità di accompagnamento,
tenuto conto degli attuali livelli miserrimi delle pensioni (euro 238,07 al
mese agli invalidi civili totali impossibilitati a svolgere qualsiasi attività
lavorativa proficua e privi di ogni altra risorsa economica) riteniamo
necessario il rinvio di ogni misura ad un riesame complessivo di tutte le
provvidenze erogate ai soggetti con handicap.
Infine occorre tener presente che attualmente
l’indennità di accompagnamento, essendo rivolta a compensare le maggiori spese
delle persone con handicap[9],
viene erogata indipendentemente dalla situazione economica dell’avente diritto.
Se verrà, invece, corrisposta
come «prestazione assistenziale di base»,
c’è l’evidente rischio che venga concessa in base ai criteri del settore
assistenziale e cioè tenendo conto delle risorse economiche del soggetto o
addirittura di quelle del nucleo familiare di appartenenza.
Come si evince dal capitolo “Le prospettive
costituzionali per una riforma nazionale” di Elena ferioli si dovrebbe ritenere che «la configurazione di un fondo statale
vincolato al finanziamento dei livelli essenziali sociali per la non
autosufficienza (e dunque anche di prestazioni che rientrano nelle competenze
di Regioni ed Enti locali), sarebbe poco aderente alla nuova disciplina
costituzionale, la quale non basa l’autonomia finanziaria di Regioni ed Enti
locali sui trasferimenti vincolati dello Stato, ma piuttosto su un insieme di
risorse finanziarie provenienti da tributi ed entrate proprie, da quote dei
tributi erariali e da trasferimenti perequativi privi di vincoli di
destinazione».
Ferioli precisa altresì che dalle motivazioni delle
sentenze della Corte costituzionale, con particolare riguardo alle n. 320/2004
e 77/2005, si può «escludere che nel
nuovo sistema costituzionale lo Stato possa istituire un apposito
fondo per la non autosufficienza destinato a erogare prestazioni economiche di
natura socio-assistenziale direttamente a favore delle persone non
autosufficienti in quanto ciò comporterebbe un’illegittima compressione delle
competenze regionali in materia sociale, nonché la violazione della
corrispondente potestà finanziaria regionale»[10].
Come abbiamo già rilevato[11],
occorre in primo luogo tenere conto che le effettive esigenze dei soggetti con
handicap e limitata o nulla autonomia ed i bisogni dei malati
non autosufficienti sono estremamente diverse sia per quanto concerne le
cause (e quindi le misure preventive da assumere), sia in merito agli
interventi da fornire e alle strutture da predisporre.
Ne consegue che l’istituzione di un unico fondo rivolto esclusivamente alle persone non autosufficienti (e
purtroppo anche ai soggetti con handicap fisici e con una anche rilevante
capacità di agire autonomamente), ma aventi esigenze spesso molto diverse, è
una iniziativa sbagliata e pericolosa in quanto è la premessa della creazione
di servizi emarginanti, che isolano i soggetti più deboli degli altri
cittadini.
Nella preparazione del volume in esame, Marco
Trabucchi afferma la necessità della «costruzione di un pensiero forte (…) in
grado di affermare che i problemi posti dall’anziano non presentano una
condizione senza speranza e quindi fonte di angoscia rinunciataria».
A nostro avviso è indispensabile, come base
fondamentale, che nei riguardi di tutte le persone malate o colpite da handicap
invalidanti e da non autosufficienza, siano attuati
correttamente i diritti sanciti dalle leggi vigenti in materia di prevenzione,
cura e riabilitazione, e siano adeguate ai bisogni attuali le sopra citate
norme concernenti l’assistenza degli inabili al lavoro.
Inoltre occorre che finalmente i Comuni rispettino le
disposizioni entrate in vigore il 1° gennaio
Da rilevare – fatto importantissimo
– che i numerosi Comuni (ad esempio quelli di Torino e della cintura del
capoluogo piemontese) che hanno applicato le norme sopra citate non hanno subito
insostenibili ripercussioni negative sulle loro finanze[12].
Non
occorre un pensiero “forte”. Occorre, invece, che le istituzioni e i relativi
operatori passino dal disinteresse, purtroppo ancora diffuso, al rispetto delle
esigenze e del diritto alle cure sanitarie di coloro
(domani può capitare ad ognuno di noi!) che sono malati e non in
grado di autotutelarsi.
È altresì necessario che vengano
incrementati i fondi statali e quelli regionali riguardanti in primo luogo la
sanità, nonché l’assistenza, senza dimenticare le necessità finanziarie per le
altre attività (ad esempio l’inserimento lavorativo delle persone con
handicap).
[1] A conferma dell’esigibilità del diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata, si ricorda che le dimissioni delle persone malate croniche non autosufficienti da ospedali e da case di cura private convenzionate sono sempre state evitate con il semplice invio di due raccomandate Ar indirizzate al Direttore generale dell’Asl e al Direttore sanitario della struttura di degenza. Cfr. l’esperienza del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino, Via Artisti 36 e il volume di Roberto Carapelle, Giuseppe D’Angelo e Francesco Santanera, A scuola di diritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia socio-sanitaria, Utet Libreria, 2005.
[2] Nel
capitolo “A chi dedicare le risorse addizionali?” del volume in oggetto, gli autori
Angelo Bianchetti, Giuseppe Bellelli e Renzo Rozzini segnalano solamente che i «nuovi bisogni di salute dei soggetti
anziani [sono] caratterizzati dalla
presenza di patologie croniche» senza però precisare che le leggi vigenti
sanciscono il loro diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie senza limiti
di durata.
[3] Come è stato più volte rilevato su questa rivista, diritti esigibili non sono stati riconosciuti né dalla legge 104/1992 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, salvo quelli relativi all’astensione facoltativa dal lavoro e ai permessi previsti per i congiunti, né dalla legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, né dalle leggi regionali di riordino dell’assistenza ad esclusione di quella della Regione Piemonte n. 1/2004.
[4] Nel
capitolo “Riformare l’assistenza ai non autosufficienti in Italia” del volume
in oggetto, predisposto dal “Gruppo per la riforma dell’assistenza
continuativa” (composto da Massimo Baldini, Luca
Beltrametti, Paolo Bosi, Elena Ferioli, Cristiano Gori [Coordinatore], Maria
Cecilia Guerra, Daniela Mesini, Franco Pesaresi, Emanuele Ranci Ortigosa,
Vincenzo Rebba, Paolo Silvestri e Marco Trabucci) viene segnalato che «alcuni Autori – come Hanau, Perino, Ragaini
e Santanera – sono contrari a considerare i familiari nella definizione
economica dell’utente», senza però precisare che detta posizione è quella
stabilita dalle leggi vigenti.
[5] Nel volume La riforma dell’assistenza per i non autosufficienti la fondamentale questione della prevenzione non è presa in considerazione.
[6] Si
tenga presente che, a causa delle loro fragili condizioni di salute, le persone
non autosufficienti sono spesso colpite da patologie in forma acuta. Ne deriva
la necessità che le cure domiciliari e residenziali siano organizzate in modo
da tener conto di questa evenienza. Al riguardo è significativo che nel regolamento della Rsa (Residenza
sanitaria assistenziale) Latour di Moncalieri (Torino) gestita direttamente
dall’Asl 8 (cfr. Prospettive assistenziali n. 146, 2004) sia precisato che «la residenza Latour è una struttura a
valenza prevalentemente sanitaria di cura e accoglienza extra ospedaliera
polivalente».
[7]
Ricordiamo che l’Organizzazione mondiale della sanità ha radicalmente
modificato i propri precedenti orientamenti, riconoscendo che «malattia e disabilità sono costrutti
distinti che possono essere considerati indipendentemente». Cfr. Maria
Grazia Breda e Francesco Santanera “Handicap e malattia: i nuovi orientamenti
dell’Oms”, Prospettive assistenziali
n. 138, 2002.
[8] Dovrebbero essere previste, nel caso non sia possibile la permanenza presso la loro famiglia o presso altri affidatari, comunità alloggio con non più di 8-10 posti.
[9] Ai
sensi della legge 18/1980 l’indennità di accompagnamento
agli invalidi civili è concessa nei casi in cui il richiedente è «nell’impossibilità di deambulare senza
l’aiuto permanente di un accompagnatore» e/o «abbisogna di un’assistenza continua non essendo in grado di compiere
gli atti quotidiani della vita».
[10] A nostro avviso le considerazioni, pienamente condivisibili, di Elena Ferioli valgono non solo per le prestazioni sociali (o più precisamente socio-assistenziali), ma anche e soprattutto in merito al finanziamento del settore sanitario.
[11] Si
vedano altresì gli articoli apparsi su Prospettive
assistenziali “Una irragionevole e
controproducente proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e
Uil sulla non autosufficienza”, n. 152, 2005; “Gli ingannevoli presupposti
della proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil sulla non
autosufficienza”, n. 153, 2006; “L’insensato e anticostituzionale progetto di
legge presentato al Consiglio della Regione Veneto per l’istituzione di un
fondo sulla non autosufficienza”, n. 155, 2006.
[12] La delibera del Comune di Torino che ha esonerato i parenti degli anziani cronici non autosufficienti da ogni contribuzione risale al 4 dicembre 2000. Inoltre va segnalato che lo stesso Comune mai ha chiesto oneri ai parenti dei soggetti con handicap frequentanti i centri diurni o ricoverati presso strutture residenziali.