Prospettive assistenziali, n. 155, luglio - settembre 2006

 

 

ANZIANI: DARE Più VITA AGLI ANNI

LUIGI MARIA PERNIGOTTI (*)

 

 

Dare più vita agli anni

Fu una trentina d’anni or sono che la medicina italiana, e la geriatria in particolare, si diede un obiettivo che fu sintetizzato felicemente con lo slogam “Diamo più vita agli anni”. Era il naturale corollario di una evidenza demografica che stava sconvolgendo il panorama della popolazione italiana ma anche dei paesi più sviluppati, cioè l’aumento dell’attesa di vita oltre le previsioni (76 anni per gli uomini, 82 anni per le donne) che portava l’Italia in testa ai paesi più vecchi del mondo. 

Il Piemonte, la Città di Torino, il contesto territoriale della Asl 2 non sono sfuggite a queste problematiche demografiche, di incremento del tasso della popolazione anziana. La popolazione assistita nella Asl 2 risulta tra le più vecchie della Regione, anche distaccandosi da quella di zone limitrofe: gli ultrasessantacinquenni dei quartieri torinesi di competenza raggiungono il 22%, contro, ad esempio, il 17-18% di alcuni zone fuori città di competenza di Asl limitrofe.

Il mondo della medicina e della ricerca scientifica, ma anche quello della politica, prendeva per la prima volta coscienza che la società doveva attrezzarsi per affrontare una situazione che avrebbe potuto trasformarsi, in prospettiva non troppo lontana, in emergenza.

L’aumento dell’attesa di vita alla nascita, infatti, se da una parte è il segno felice di una conquista medica e sociale, dall’altra parte consegna una realtà grave, cioè un aumento di disabilità. Purtroppo spesso non arriviamo alla fine della vita in relativa buona salute, anzi è proprio il contrario: si stima che gli ultimi 7 anni di vita degli uomini e gli ultimi 9 delle donne trascorrano in condizioni di minore o maggiore disabilità.

Questa realtà ha portato il nostro paese a diventare un laboratorio di ricerca al quale si sono rivolti gli occhi di tutti i paesi sviluppati per studiare insieme una organizzazione sociale e sanitaria per la protezione della salute e della qualità di vita di quei cittadini che non sono più inseriti nel mondo del lavoro.

Il rischio immediato è di trasformare questa parte della società, alla quale va il merito e la riconoscenza di aver realizzato con il suo lavoro ed il suo sacrificio lo stato di benessere sociale che è stato raggiunto, in un esercito di emarginati. Di qui la necessità di organizzare un efficace sistema di tutela e cura per la salute degli anziani, in particolare delle persone cronicamente ammalate e non autosufficienti, e stimolare l’intera società ad una alleanza che sappia risolvere i problemi e gli squilibri per dare appunto “più vita agli anni” a questa popolazione di vecchi non autosufficienti.

Per anziano la ricerca medica configura la persona che abbia superato i 65 anni. Sulla base dei livelli di autonomia acquisiti in questi ultimi anni e della riduzione della mortalità, sarebbe opportuno che la soglia dei 65 anni venisse spostata ai 75-80 anni.

Un’età avanzata è una conquista facilmente raggiungibile ed in generale chi compone questa classe sociale non presenta problemi molto differenti dal normale adulto. Per lo più l’organizzazione sanitaria provvede ad esercitare verso queste persone un’azione prevalentemente di prevenzione ed educazione: la raccomandazione di seguire correttamente stili di vita salubri, un’alimentazione equilibrata, la ricerca di stimoli culturali diversi per riempire il vuoto lasciato dall’abbandono del lavoro.

Esiste poi l’anziano malato che rappresenta il paziente più frequente di ospedali e di strutture specialistiche. Esso dovrebbe sempre più essere affidato alle cure dei medici di famiglia, limitando nel tempo la cura degli specialisti ospedalieri, perché le  guarigioni ed i compensi della medicina  ospedaliera sono divenuti più efficaci e rapidi e perché molti degli interventi di cura che un tempo erano possibili in ospedale oggi sono possibili al domicilio. Per questo malato non esistono di solito difficoltà a recuperare uno stato di salute che gli restituisca la propria autonomia funzionale, e spesso il prolungamento di approcci tecnici effettuati nei ricoveri ospedalieri può sortire in esiti cronicizzanti piuttosto che riabilitanti.

L’area più delicata e più difficile da affrontare con adeguate competenze mediche, e più in genere sanitarie, riguarda un terzo tipo di anziano, cioè l’anziano malato fragile o non autosufficiente, che all’insorgere della malattia o all’aggravarsi di quella cronica di cui è affetto, subisce cambiamenti esistenziali che intaccano stabilmente la sua potenzialità di autonomia. 

 

Le risorse nascoste dell’anziano

È opinione corrente che la parte predominante della spesa sanitaria sia dedicata alle cure dell’anziano e che i costi della sanità aumentino in modo proporzionale all’invecchiamento della popolazione. Nell’immaginario collettivo il vecchio ha la colpa di essere una parte in causa della congiuntura economica. Certamente non può essere trascurato il dilemma legato alla scarsità delle risorse ed all’ampliarsi del bisogno; l’epidemiologia indica che in tutti i paesi avanzati l’invecchiamento della popolazione continuerà a ritmo veloce anche nei prossimi anni, con particolare accentuazione per le fasce dei più anziani e che il fenomeno è accompagnato da un incremento dei problemi clinici e della conseguente disabilità. Quindi, sul fronte del bisogno, non vi è dubbio che assisteremo ad un aumento della domanda, ma nessun dato proveniente da ricerche serie dimostra la plausibilità di questa accusa.

L’attuale più gran parte della popolazione anziana è in condizioni di salute migliore di quella di un tempo, si è dimostrato che con il crescere della attesa di vità alla nascita conquistata in questi ultimi trent’anni può ridursi, anche se di poco, il lasso di tempo trascorso in condizioni di disabilità, al termine della vita. L’anziano comune di oggi è una persona che vive ancora nella propria casa, si cura di molte malattie ma è ancora in grado di gestirsi autonomamente e spesso è impegnata in un ruolo importante di supporto ai propri familiari ed agli altri.

L’evidenza delle prove contrasta la visione dello stereotipo di “vecchio solo, disperato ed impaurito”. 79 anni è l’età media di un campione di 355 persone tra 72 e 99 anni che hanno risposto, intervistate nelle loro case, ad una approfondita analisi sulle loro condizioni. Vissuti emotivi recenti di contentezza, soddisfazione, fiducia, orgoglio, conforto sono emersi in misura variabile tra il 60-90% dei casi; vissuti emotivi di frustrazione, tristezza, rabbia, noia, dispiacere, colpa, paura, vergogna sono emersi solo tra il 15-40% dei casi. La gradazione della frequenza  delle emozioni positive vissute nei giorni prima dell’intervista (non ho avuto emozioni di questo tipo, le ho avute per poco, spesso) è significativamente più alta rispetto alla frequenza delle emozioni negative. Il 50% degli intervistati vivevano a casa da soli, il 7% avevano problemi economici per i quali godevano di un supporto sociale, in media in ogni persona erano presenti quattro malattie croniche, nel 55% le malattie croniche erano considerate gravi.

Il campione è uno spaccato rappresentativo della popolazione anziana, in parte malata, ma ancora in grado di programmare il proprio presente e il proprio futuro, forte per avere mantenuta la dignità di una propria casa e di una capacità di linguaggio e conoscenza. Questo e molti altri studi sul benessere soggettivo, sulla soddisfazione di vita, sulle possibilità di una esistenza ricca di sensazioni negative o positive hanno contribuito alla scoperta di un mondo interiore del vecchio che sostanzia la possibilità di mantenere anche nella vecchiaia più avanzata il senso di una vita di maggiore o minore qualità. Gli studi e le prove empiriche quindi non supportano la visione aneddotica che la vecchiaia sia il tempo della disperazione psicologica e della vulnerabilità della vita emotiva

La situazione di equilibrio e di benessere dell’anziano diviene precaria quando esiste deprivazione sociale, problemi economici e di emarginazione dalla rete sociale. Le azioni di salute per la persona che entra nell’età anziana, possono essere motivate non solo per la contingenza di aspetti biopsicologici, di specifico interesse medico, ma per il coinvolgimento del sanitario nella lotta alla deprivazione sociale, spesso esistente o insorgente nell’età anziana, e che si sa comporta, in ultimo, l’alterazione di un indistinto unicum biopsico-sociologico. In questo settore l’integrazione dei servizi sanitari con quelli di assistenza sociale assume il significato di una azione preventiva sulle malattie, o, meglio, su quelle condizioni ambientali e socioeconomiche che rendono le condizioni ed i postumi di malattia compensabili.

In verità una causa del peso costoso della salute dell’anziano, deriva, da una parte, dalla scarsa attenzione verso una appropriatezza dei ricoveri ospedalieri e, dall’altra, dalla mancanza o poca estensione di modelli innovativi di cure domiciliari. Dati recenti di evidence medicine based, ad esempio, dimostrano come nelle persone di oltre 80 anni colpite da ictus cerebrale ischemico, la cura a casa propria rispetto a quella in ospedale risulta egualmente efficace ma con l’aggiunta di una sensibile riduzione della depressione post-ictale e di una migliore qualità di vita. Simili risultati stanno per essere pubblicati relativamente alle cure per malattie broncopolmonari con fase di riacutizzazione. Ma per potersi curare a casa, oltre all’assistenza del medico di famiglia e specialistica, occorre l’esistenza di una rete di protezione sociale. Perché possa realmente svilupparsi una estensione della domiciliarità non occorrono solo interventi medici ed infermieristici ma la disponibilità di condizioni abitative idonee, la presenza di una forte rete familiare o, in alternativa, la possibilità di disporre di un supporto con assistenti familiari che rafforzino i compiti della famiglia.

L’innovazione più importante raggiunta in questo ambito dalle Asl della Citta di Torino è la sottoscrizione di un impegno allo sviluppo di interventi integrati tra servizi sanitari e servizi sociali perché l’anziano di questa Città possa aver accesso a cure domiciliari, denominate, appunto, cure domiciliari estensive, che comportano il rafforzamento della famiglia con interventi economici o da parte di assistenti familiari. La diffusione di questo servizio congiunto ed integrato ha comportato una modifica importante della domanda di istituzionalizzazione dell’anziano ed ha dimostrato come esistano molte famiglie che collaborano nel dar vita agli anni dei loro prossimi più anziani riconoscendogli il diritto di vivere anche le parti più faticose dell’esistenza a casa.

 

Unicità delle cure tra servizi e famiglia

Nei riguardi degli anziani non autosufficienti si riscontra una complessità di bisogni che trovano origine sia da aspetti strettamente medici sia da processi di invecchiamento (in particolare malattie della mente, cardiovascolari, osteoarticolari) sia da più patologie con necessità di più farmaci. Il declino comportamentale e la demenza sono condizioni che intaccano prevalentemente la fascia dei grandi anziani con un lungo periodo di latenza prima di esplodere lasciando l’anziano in uno stato di completo isolamento, sia fisico che psichico. Nei suoi confronti la medicina e l’organizzazione sanitaria devono mettere in pratica una strategia che abbia come obiettivo principale non solo la cura e la riabilitazione ma anche la capacità di cancellare il rischio di isolamento ed emarginazione ai quali va incontro il malato.

Se per l’anziano e per l’anziano malato è sufficiente e vincente l’intervento del medico di famiglia, per l’anziano malato non autosufficiente è necessario che il paziente ed il suo medico possano orientarsi in un’offerta di servizi geriatrici e di lung’assistenza perché, oltre alla cura ed al prendersi cura del malato, si realizzi un percorso di cure organizzato nei luoghi di volta in volta più appropriati, per livelli di assistenza e competenze specialistiche.

Da queste considerazioni è sorto il senso per il quale, in questa Asl, si è mossa una organizzazione specifica, un modello di Dipartimento di geriatria e gerontologia, un organismo aziendale che in questa sede vorrebbe essere volto a centralizzare lo sviluppo delle strategie di salute per la tutela dell’anziano in modo coinvolgente e stimolante, anche in ottiche di integrazione con gli Enti gestori dell’assistenza, quindi un organismo con una funzione di tutela, ma anche dotato di capacità produttive proprie e specifiche per combattere e compensare la cronicità invalidante presente nella popolazione anziana, operando per:

1. mettere a disposizione della medicina delle cure primarie e interventi specialistici territoriali per realizzare una reale continuità assistenziale per l’anziano malato fragile, a  domicilio od in casa di riposo;

2. produrre diagnosi e cura in una parte dell’ospedale organizzata non in base all’età del malato ma, per la capacità ad accogliere necessità di cure complesse, di organizzare continuità assistenziale, anche con approcci in urgenza e acuzie che si associano ed accentuano la  fragilità di pazienti cronicamente non autosufficienti: oltre alle attività ospedaliere propriamente dette, se ne individuano altre definibili quali attività di livello intermedio (o di continuità assistenziale) tra quelle ospedaliere e quelle territoriali realizzabili in ambito extraospedaliero;

3. costruire con gli altri attori della salute (i distretti e gli Enti gestori dell’assistenza) le basi tecniche per gli atti di pianificazione aziendale della domiciliarità e della residenzialità della quale si assume il compito di gestione e supervisione.

Questo modello, incentrato sulla produzione di percorsi di cura tra vari livelli assistenziali,  è nominato nella Asl 2, Dipartimento di lung’assistenza e anziani (od in breve Dipartimento di geriatria) e raccoglie parti organizzative ospedaliere ed extraospedaliere, in particolare i letti di degenza ospedaliera e residenziale volti alle cure di fasi acute e subacute di malattia, parti organizzative distrettuali per il governo e la gestione di posti di ospitalità in residenze sanitarie, parti territoriali, propriamente dette, per l’organizzazione e la gestione delle cure a domicilio, per la consulenza specialistica nelle cure primarie condotte dal medico di famiglia. Lo spirito del coinvolgimento in un unicum di settori così apparentemente differenti, è quello di obbligare le diverse parti a perseguire strategie comuni ed in ultima analisi di costruire percorsi basati sulla centralità dei bisogni della persona e sul riconoscimento che per essa l’obbiettivo ultimo, irrinunciabile, è di vivere libera, ancorché aiutata. Ciò corrisponde in pratica a favorire, in ogni modo, cure orientate perché la vita dei malati cronici ed anziani sia possibile a casa, usufruendo di servizi pur differenti ma tutti inseriti in una reale rete per la cronicità.

Quindi collegamenti tra cure di medici ospedalieri e medici di medicina di famiglia coinvolti in progetti di cura individualizzata, collegamenti e cooperazione con le forze dei servizi sociali, spinte per la strutturazione di una città abitativa e di servizi a misura di persona anziana, e non autonoma, sono gli obbiettivi intermedi che si stanno perseguendo nei tavoli di lavoro tra aziende sanitarie e Comune di Torino.

Non il vecchio, quindi, ma il malato che, molto complesso in quanto non autosufficiente, deve avere garanzie di interventi costosi, frequentemente anche solo per poter avere restituita la dignità di esistere, è il soggetto verso il quale l’organizzazione sanitaria aziendale deve attrezzarsi per distribuirgli cure che comportano una attenzione particolare nella logica di una corretta equità distributiva delle risorse.

Un problema non celabile è certamente quello di riuscire a conoscere quanto le tecnologie mediche, ed in genere sanitarie, possano realmente essere utili. La valutazione dell’utilità, del beneficio dell’applicazione di una tecnologia oggi liberamente offerta dagli sviluppi della medicina e della sanità, dalla commercializazione e globalizzazione sanitaria dei paesi sviluppati, comporta l’introduzione della dimostrazione di prove, le prove nelle cosiddette Evidence Based Medicine, Evidence Based Haelth Care, Evidence Based Nursing Care.

Organizzare cure sanitarie in modo collimato a prove di efficacia è un compito difficile quando l’oggetto delle cure è il vecchio malato non autosufficiente, ancora poco sostenuto dalla scarsa produzione scientifica nella Evidence Based Geriatric Medicine. Per questi motivi emerge l’importanza valutativa estratta dalle esperienze congiunte del medico clinico esperto, del geriatra, con quelle dei medici di famiglia  e la necessità che l’organizzazione sanitaria che deve assumersi il compito della tutela della salute del vecchio non autosufficiente debba essere informata da una cultura scientifica specifica.

“Caro signore, è un problema della vecchiaia”: qualche volta con questa frase insulsa vengono negate cure necessarie per l’incapacità medica di distinguere la malattia vera dal fatale incedere della vecchiaia, ma tante volte vengono applicate a persone anziane, malate, non autosufficienti, tecnologie diagnostiche e terapeutiche che non sono state dimostrate di alcuna utilità e sono di gran costo, talora anche di danno. Ciò spesso avviene per una sorta di medicina difensiva, per paura che, non mettendo a disposizione l’alta tecnologia, si possa essere rimproverati e condannati, anche quando questa non serva per la salute reale del paziente. Contro questa medicina difensiva, inutile e costosa è necessaria l’alleanza dell’intera società, una educazione alla cronicità, ai suoi possibili adattamenti così come agli ineluttabili avanzamenti.

 

Una sperimentazione

Nella Asl ha preso sviluppo iniziale una sperimentazione nel versante di due situazioni emblematiche di cronicità: la malattia di Parkinson e la sclerosi multipla. Sotto l’organizzazione dipartimentale sono realizzati dei corsi di educazione alla vita malata e diversa, con la disponibilità di un soggiorno del malato e del partner familiare presso la Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) di via Gradisca. Si ha l’intenzione di mettere a disposizione dei pazienti e dei loro familiari le conoscenze per un appropriato accesso alle tecnologie riabilitative, ma soprattutto per stimolare ogni sorta di adattamento alla situazione di cronicità. Questo è il Progetto insieme che l’Asl sta conducendo con la collaborazione di associazioni e fondazioni impegnate in una collaborazione che si estende a proposte di pianificazioni .

Sempre sotto l’organizzazione dipartimentale, da due anni è attiva presso la Rsa di via Spalato una Scuola del caregiver per i parenti ed assistenti familiari dei pazienti affetti da malattie che comportano disturbi cognitivi e comportamentali gravi e demenza.

Richiamata la delibera della Giunta della Regione Piemonte (1) n. 72-14420 del 20 dicembre 2004 “Percorso di continuità assistenziale per persone anziane non autosufficienti o persone i cui bisogni sanitari e assistenziali siano assimilabili ad anziano non autosufficiente”, con la quale si stabilisce di dar corso ad un sistema di rete dei servizi per la cronicità, nel quale le cure ai cittadini assistiti, ancorché incentrate sul ruolo e sulle attività dei medici di famiglia di medicina generale ed integrate da prestazioni di ricovero, o di altra prestazione ospedaliera, possano svilupparsi tramite servizi e strutture territoriali, il dipartimento di lung’assistenza e anziani, in accordo con i distretti, ha sviluppato nella Unità di valutazione geriatrica la Centrale operativa per la continuità assistenziale nella rete della cronicità. In essa si costruiscono i percorsi di cura dei pazienti anziani malati fragili, disponendone l’accesso eventuale ad ogni necessario livello di intervento e di organizzazione: dalle cure domiciliari estensive a quelle intensive con l’Adi (Assistenza domiciliare integrata) od a quelle intensive per le cure palliative; ai ricoveri residenziali, ad impronta specialistica per le malattie psicogeriatriche o per la cura delle fasi avanzate di malattia; ai ricoveri in hospice;  ai ricoveri in case di riposo temporanei od a tempo indeterminato (oggi le case di riposo sono denominate residenze a diversa valenza sanitaria e assistenziale a seconda dei bisogni di relazioni di aiuto e di cura per la non autosufficienza); ai ricoveri facilitati in corsie ospedaliere per condurre momenti diagnostici e terapeutici non esportabili al domicilio e talora necessari in fasi di acuzie intercorrenti nella cronicità. La nuova organizzazione è a disposizione dei cittadini assistiti, anche qualora essi abbiano avviato un momento di cura ospedaliera presso sedi non gestite dalla Asl, in ospedali cittadini o di altre parti.

 

 

 

(*) Direttore del Dipartimento di geriatria dell’Asl 2, Torino.

(1) Il provvedimento è stato riportato sul n. 149, 2005 di Prospettive assistenziali. Cfr. l’articolo “Anziani cronici non autosufficienti: una valida delibera della Giunta della Regione Piemonte sulla continuità terapeutica ospedale-territorio”.

 

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