Prospettive
assistenziali, n. 127, luglio-settembre 1999
Perché in materia di adozione abbiamo difeso e difendiamo
l’interesse preminente dei minori senza famiglia
In data 20 luglio 1999 il Partito Popolare italiano ha consultato diverse
organizzazioni di volontariato in merito al testo unificato per la riforma
dell’adozione e dell’affido attualmente all’esame della Commissione Infanzia
del Senato (1).
Per l’occasione il CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti
di base (2) ha predisposto il documento, che
riportiamo, alla cui stesura ha collaborato Francesco Santanera sia in
rappresentanza del CSA, sia a titolo personale quale promotore della legge 431
del 1967 sull’adozione speciale ed estensore delle relative norme fondamentali:
dichiarazione dello stato di adottabilità, differenza minima e massima di età
fra adottanti e adottandi, effetti legittimanti dell’adozione, ecc.
1. Adottati 88.577 minori di cui 26.882 stranieri
In primo luogo è necessario
ricordare che, in applicazione delle leggi 431/1967 e 184/1983, alla data del
31 dicembre 1988 erano stati adottati 88.577 minori, di cui 26.882 stranieri e
che, a seguito delle iniziative culturali promosse dall’Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie fin dalla sua costituzione (1962), sono state
promosse alternative valide al ricovero in istituto, fino ad allora utilizzato
quale soluzione preferenziale. Di conseguenza, il numero dei minori
istituzionalizzati, anche in parte per il calo delle nascite, è diminuito dai
310 mila minori del 1960 agli attuali 20 mila.
2. Ruolo umano e sociale dell’adozione
Con l’adozione migliaia di
minori, negli anni ’60 spesso definiti “bastardi”
e “figli di mignotta”, sono stati
inseriti in famiglie con pienezza di diritti e di doveri non solo nei confronti
dei congiunti diretti (madri, padri, sorelle, fratelli) ma anche nei riguardi
degli altri parenti (nonni, zii, cugini, ecc.).
Altro rilevante aspetto concerne
il pieno inserimento familiare e sociale di minori handicappati (ciechi,
motulesi, sordi, insufficienti mentali, ecc.), di fanciulli malati (AIDS, esiti
della tossicodipendenza dei loro procreatori, ecc.), nonché di ragazzi già
grandicelli che avevano subito le nefaste conseguenze del ricovero in istituto
e, spesso, anche le violenze inferte dai loro congiunti d’origine.
Inoltre, non si può dimenticare
il ruolo svolto dall’adozione nell’affermazione dell’estrema importanza dei
legami affettivi fra i genitori ed i figli delle famiglie biologiche. Infatti,
anche i minori legittimi possono essere dichiarati in stato di adottabilità se
privi di assistenza morale e materiale da parte dei loro genitori e dei
parenti.
Va, altresì, sottolineato il
valore dell’adozione di bambini di razza diversa rispetto a quella degli
adottanti, con la costituzione di legami che vanno molto al di là delle
positive esperienze di solidarietà.
Infine, occorre rilevare la
funzione estremamente valida svolta sul piano culturale dalla legge 431/1967
per la definizione di molte norme della riforma del diritto di famiglia (legge
151/1975) che hanno migliorato – spesso in misura considerevole – lo status dei minori, in particolare quelli
nati fuori dal matrimonio.
3. Accuse infondate e offensive
Infine non dovrebbe essere
ignorato dalle autorità che, con l’adozione delle decine di migliaia di minori,
lo Stato ha realizzato rilevanti risparmi economici. A questo riguardo è
offensivo quanto è stato affermato in Parlamento e cioè che il CSA e le
associazioni aderenti costituirebbero una lobby, quando nessuno di noi in tanti
anni di attività ha mai guadagnato una lira e sempre ha rispettato l’interesse
preminente dei minori senza famiglia.
Al riguardo, non si può nemmeno
tacere che il CSA e le organizzazioni aderenti non siano state invitate a
partecipare al recentissimo incontro che il Capo dello Stato ha avuto a Torino
con il volontariato.
4. Un riconoscimento autorevole
Per noi, molto incoraggiante è
stato ed è il messaggio inviato da Sua Eminenza il Cardinale Carlo Maria
Martini agli organizzatori (Istituto Italiano di Medicina Sociale, Scuola dei
Diritti “Daniela Sessano” dell’ULCES, ANFAA e rivista Prospettive assistenziali) ed ai 450 partecipanti (esperti,
operatori, figli e genitori adottivi, volontari, ecc.) del convegno svoltosi a
Milano presso l’Aula Magna dell’Università statale il 15 e 16 maggio 1997,
messaggio che è di seguito riportato integralmente.
Seguo sempre con interesse le attività e le iniziative dell’ANFAA per
promuovere la difesa dei diritti dei bambini, soli e in difficoltà,
specialmente per trovare loro una famiglia in cui crescere.
E rivolgo quindi un cordiale saluto a quanti parteciperanno al Convegno
europeo che si celebrerà a Milano il 15 e 16 maggio prossimo.
Ritengo infatti importante far conoscere il prezioso servizio che la
famiglia può offrire alla società mediante l’adozione e l’affido, pur se non è
così facile aprire le porte di casa. Tuttavia il donarsi agli altri resta un
principio da sostenere con forza e convinzione, e non è mai una partita persa.
Oggi, più che nel passato, bisogna assicurare ad ogni bambino la certezza
che non sarà lasciato solo e, nel contempo, è necessario garantirgli una
esperienza di regole, di ritmi affettivi, di quei legami continui che soltanto
una famiglia è in grado di dare. Normalmente il luogo privilegiato in cui tutto
ciò si può realizzare è la famiglia d’origine. D’altra parte sappiamo che, in
diversi casi e per vari motivi, per tempi brevi o per tempi meno brevi, talora
essa non è capace di attuare pienamente il cammino di formazione e di crescita
del bambino.
Ecco allora che l’impegno della sua educazione si fa dovere grave della
società, soprattutto quando vengono a mancare le figure del padre e della
madre, e non è nemmeno possibile contare su una rete di parenti, amici e
conoscenti che intervengano con un sostegno adeguato.
È in questi casi che l’adozione e l’affido familiare costituiscono un aiuto
concreto proposto da qualcuno che ne ha disponibilità a chi in quel momento ne
ha bisogno. L’esperienza ci attesta che tali forme di accoglienza, di
solidarietà, di sincera e profonda condivisione possono ricostruire affetto,
amicizia, rapporti di autentico amore. Mi preme anzi sottolineare l’esigenza,
molto avvertita da coloro che vivono personalmente queste forme di accoglienza,
di vedere riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione della
genitorialità adottiva quale filiazione e genitorialità vere. La maternità e la
paternità non si identificano semplicemente con la procreazione biologica,
perché “nato da” non è sinonimo “figlio di”.
La vostra lodevole Associazione, anche mediante il prossimo Convegno
europeo, ha il compito di evidenziare quelle nobili esperienze che, mentre
aiutano bambini in difficoltà, irradiano una cultura di amore e di comunione.
Vi auguro quindi di continuare proficuamente l’opera di diffusione della
cultura di amore in favore di bambini soli o bisognosi di speciale sostegno; in
tale linea si colloca l’impegno delle comunità cristiane.
Vorrei terminare citando alcune parole dal Direttorio pastorale familiare
della Chiesa italiana: «Modalità particolari attraverso le quali la famiglia,
nell’ottica specifica dell’amore e della vita, può realizzare il servizio
all’uomo sono l’affidamento e l’adozione di quei figli che sono privati dei genitori
o da essi abbandonati. Le famiglie sperimentino l’adozione e l’affidamento come
segno di carità operosa e di annuncio della paternità di Dio, li riconoscano e
li vivano come una forma di fecondità spirituale, che nasce dalla disponibilità
ad accogliere e ad aiutare anche i figli degli altri, nella consapevolezza che
tutti sono figli di Dio, unico e universale Padre, e che mira ad offrire il
calore affettivo di una famiglia a chi ne è rimasto privo definitivamente o
temporaneamente. A tale riguardo, sappino prepararsi ed educarsi a vivere
secondo le specifiche diverse attitudini richieste dall’adozione o dall’affidamento».
Per quanto già fate e per l’impegno che scaturirà dalle riflessioni del
Convegno, vi ringrazio di cuore auspicando buon lavoro a tutti i partecipanti.
5. La difesa dell’interesse preminente dei minori senza famiglia
Abbiamo difeso e difendiamo
l’interesse preminente dei minori, sia perché siamo rispettosi delle norme in
vigore (nella legge 184/1983, come era anche stabilito nella legge 431/1967, è
più volte richiamato l’interesse preminente del minore), sia perché
l’esperienza ultra trentacinquennale dell’ANFAA e quasi trentennale del CSA,
dimostra che i fallimenti più numerosi e più gravi delle adozioni riguardano in
larghissima misura le coppie più anziane.
D’altra parte, se si vuole
veramente il bene dei bambini senza famiglia che – lo ripeto – spesso
hanno duramente sofferto per la privazione delle cure morali e materiali da
parte dei loro genitori e dei loro parenti, non si comprende per quali validi
motivi non si ricerchino i genitori adottivi più affidabili.
Non solo la selezione/preparazione
dei richiedenti deve essere accuratissima, al fine di escludere le coppie del
tutto o in parte inidonee, ma a parità delle capacità educative ed affettive, è
incontrovertibile che le coppie più giovani danno maggiore garanzia di
comprensione, di adattabilità alle situazioni familiari e sociali in continua
rapida evoluzione.
Inoltre, tenuto conto che
l’autonomia economica si raggiunge spesso ai 25-30 anni, gli adottati da coppie
giovani hanno maggiori probabilità statistiche di avere dei genitori non solo
vivi ma anche attivi.
Certo è che questa posizione è in
netto contrasto con le pratiche clientelari, con le sollecitazioni egoistiche
di coloro che, dopo aver aspettato anni ed anni senza orientarsi verso
l’adozione, sentono il bisogno di coprire un vuoto. Ma il bambino è una
persona, non uno strumento di sollievo delle carenze degli adulti.
6. Il Parlamento non dovrebbe creare nuove e più estese situazioni di
malcontento sociale
Com’è arcinoto, da quasi 30 anni
il numero delle domande di adozione è di gran lunga superiore al numero di
bambini adottabili.
Le domande di adozione nazionale
relative al quinquennio 1993-1997 sono state 89.444, nello stesso periodo le
domande non accolte per la mancanza di
bambini sono state 85.000. Dunque 85.000 donne e 85.000 uomini scontenti.
Altrettanto insoddisfatti parenti e amici.
Aumentare la differenza massima
di età da 40 a 45 anni significa incrementare un numero dei cittadini che, per
la non conoscenza dei fatti, per poter giustificare nei confronti degli altri
il non realizzato affidamento di un minore e per altri motivi, imprecheranno
contro la legge cinica e bara, contro i servizi comunali e consortili, contro i
tribunali dei minorenni e gli altri organi della giustizia, contro il
Parlamento che non saprebbe fare le leggi, ecc.
A questo proposito si ricorda
ancora una volta che la stragrande maggioranza dei 20 mila minori ricoverati in
istituto non è priva di assistenza morale e materiale da parte dei loro
genitori. Essi potrebbero e dovrebbero rientrare nelle loro famiglie, se
venissero garantiti i necessari aiuti psico-sociali, fra l’altro molto meno
onerosi per lo Stato rispetto al pagamento delle rette di ricovero. Altri
minori potrebbero essere affidati a famiglie affidatarie.
L’unica decisione saggia che, a
nostro avviso, il Parlamento dovrebbe assumere è la risoluzione della
differenza di età dai 40 ai 35 anni, al fine di restringere la massa di
cittadini scontenti e di non far svolgere dai giudici e dai servizi sociali
comunali e consortili attività assolutamente inutili relative agli accertamenti
di idoneità per coppie a cui non potranno essere dati in adozione minori
adottabili perché inesistenti. Per il quinquennio 1993-1997 le indagini inutili
sono state almeno 60 mila, calcolando che ne siano necessarie 20 mila (cifra
certamente più che sufficiente) per individuare 5 mila coppie valide.
Per la riuscita dell’adozione
occorrono non solo coppie giovani, ma anche coppie accuratamente selezionate e
preparate. Occorre, altresì, che i minori restino in comunità alloggio o in
istituto per il più breve tempo possibile: ciò esige la concentrazione del
lavoro dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali comunali e
consortili sulle attività necessarie per accertamenti accurati e tempestivi
concernenti le dichiarazioni di adottabilità, per l’oculata valutazione
dell’idoneità degli aspiranti adottanti e per la realizzazione di idonei
abbinamenti dei bambini con le coppie più valide.
Analoga è la situazione delle
adozioni internazionali.
Le idoneità rilasciate nel
quinquennio 1993-1997 sono state 21.352, mentre i minori giunti in Italia nello
stesso periodo sono stati meno della metà e precisamente 10.240, a causa delle
restrizioni con sempre maggiore frequenza imposte dai paesi di origine per
contrastare il mercato dei bambini.
Una riduzione consistente delle
adozioni internazionali avrà luogo appena l’Italia predisporrà gli interventi
previsti dalla legge di ratifica della Convenzione internazionale de L’Aja. Da
notare il colpevole ritardo con cui il Governo, non rispettando i tempi di
attuazione della legge suddetta, consente la prosecuzione del mercato dei
bambini stranieri.
In ossequio alle sentenze della
Corte costituzionale, la riduzione della differenza massima di età dai 40 ai 35
anni, dovrebbe essere integrata dalla possibilità che il giudice possa disporre
l’adozione, valutando esclusivamente l’interesse del minore, quando l’età dei
coniugi adottanti superi di oltre 35 anni l’età dell’adottando, pur rimanendo
la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e
figli, se dalla mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti
evitabile per il minore.
Inoltre dovrebbero essere
conservate le norme relative alle adozioni in casi particolari, in base alle
quali, come già avviene attualmente, anche le persone singole e quelle che
hanno superato la differenza di età prevista per l’adozione legittimamente,
possono adottare i minori per i quali vi è la constatata impossibilità di
affidamento preadottivo.
7. La famiglia adottiva è una famiglia vera
Con la legge 184/1983 il
Parlamento ha riconosciuto alla famiglia adottiva (figli, genitori, sorelle,
fratelli, nonni, altri parenti) pienezza di doveri e di diritti, stabilendo,
altresì, che «con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia
d’origine, salvi i divieti matrimoniali».
Sembra corretto chiedere che il
Parlamento rispetti gli impegni che si è assunto nei confronti dei figli e dei
genitori adottivi e degli altri parenti.
D’altra parte è evidente che la
cessazione dei rapporti sancita dalla legge 184/1983 comporta anche il divieto
assoluto da parte di tutti gli organi dello Stato di segnalare a qualsiasi
persona o ente informazioni relative alle famiglie d’origine e a quelle
adottive.
Inoltre, è ovvio che il riconoscimento
della preminenza dei legami affettivi e reciprocamente formativi fra genitori e
figli rispetto alla trasmissione di elementi biologici, costituisce anche una
giusta valorizzazione non solo delle famiglie adottive (una esigua minoranza),
ma soprattutto delle famiglie biologiche che, nella quasi totale generalità dei
casi, provvedono adeguatamente all’allevamento ed educazione dei loro nati.
È ben strano il concetto di
filiazione ancora presente nel nostro codice per cui, qualora risulti una
compatibilità dei rispettivi DNA, il procreato, che magari non ha mai
conosciuto il proprio procreatore o che è stato da questi respinto, diventa
figlio a tutti gli effetti di una persona a volte deceduta da anni.
Ne risulta un concetto di
filiazione che fa totale astrazione dei reciproci rapporti affettivi fra figli
e genitori (biologici o adottivi), dalla vicendevole formazione e dal mutuo
aiuto.
È assai preoccupante che, di
fronte al costruttivo concetto di maternità e paternità responsabili, vi siano
forze politiche che incentrano la genitorialità sul DNA, anche nei casi in cui
i procreati siano stati trascurati, ignorati e, a volte, anche violentati.
Noi, ispirandoci anche al citato
messaggio di S.E. il Cardinale Martini, continuiamo a ritenere che «la maternità
e la paternità non si identificano semplicemente con la procreazione biologica,
perché nato da non è sinonimo di figlio di».
Infatti, mentre la procreazione è
un fatto unilaterale che coinvolge solo gli adulti, nella filiazione il vero
protagonista è il bambino procreato o adottato.
L’ambiente in cui vive e il
calore affettivo hanno un ruolo determinante sul suo sviluppo. Al riguardo è
illuminante il confronto fra i minori ricoverati in istituto (in cui,
indipendentemente dalle caratteristiche biologiche, la personalità risulta
sempre compromessa, anche se in misura diversa a seconda dell’età, della durata
dell’istituzionalizzazione, della professionalità del personale, ecc.) e quelli
che vivono in famiglia (d’origine o adottiva).
Nonostante che le leggi 431/1967
e 184/1983 abbiano dato un salutare scossone all’ormai obsoleta cultura
incentrata sulla filiazione quale atto preminentemente biologico, moltissimo
resta ancora da fare per ottenere il riconoscimento che l’adozione di un bambino è
equiparabile all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo. I frutti,
belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di
quel che avviene quando le radici sono di pesco. Non si tratta di una
concezione nuova. Già Fedro e San Giovanni Crisostomo, ad esempio, mettevano in
evidenza secoli fa l’apporto determinante della relazione affettiva formativa
fra i genitori (biologici o adottivi) ed i propri figli.
L’adozione dei minori in
situazione di abbandono materiale e morale dovrebbe, pertanto, essere
considerata una seconda nascita che non annulla la prima, ma non ne conserva
alcun legame giuridico. Come abbiamo visto, i frutti non sono più susine o
mandorle, ma sempre e solo pesche. Non si tratta, inoltre, di cancellare
ricordi e rapporti instaurati con i genitori di origine. Occorre, invece,
aiutare questi minori, soprattutto se adottati grandicelli, a rimarginare le
ferite subite, quasi sempre assai gravi.
A questo proposito è
significativo che di fronte a 85 mila soggetti adottati dal 1967 ad oggi
nonostante che, nei cinque mesi del 1999 siano stati meno di 50 coloro che
hanno chiesto ai tribunali per i minorenni informazioni circa la loro origine,
si continui da parte di molti a sostenere l’inesistente diritto di conoscere
l’identità dei propri procreatori, come se ciò fosse un elemento fondante della
personalità di ognuno di noi.
Favorendo il riallacciamento dei
rapporti fra i figli adottivi e coloro che li hanno lasciati in una situazione
di totale privazione di assistenza morale e materiale, il Parlamento si
assumerebbe due gravissime responsabilità:
a) considererebbe
per tutti i minori la procreazione come l’atto costitutivo della filiazione
indipendentemente dalle cure fornite o non fornite dai procrea-tori;
b) ridurrebbe
gli adottati a percentuali di figli
nei riguardi di coloro che li hanno accolti, amati e formati.
Com’è stato giustamente scritto
nell’ordinanza del 5 febbraio 1997 del Presidente del Tribunale per i minorenni
di Torino, Camillo Losana, «dire che l’adottato avrebbe un diritto a conoscere i primi genitori significa implicitamente
dire che un legame tra il primo ed i secondi sussiste ancora; significa, in
altre parole, far riferimento ad una doppia
genitorialità che invece l’adozione legittimante italiana ha chiaramente
voluto escludere».
Se, malauguratamente, si volesse
consentire ai figli adottivi di poter conoscere i loro procreatori, credo che
il legislatore dovrebbe porsi alcuni interrogativi:
• è sicuro che i figli adottivi
ne ricavino dei vantaggi?
• è positivo che essi vengano a
conoscenza di fatti anche estremamente gravi, ad esempio di aver subito
maltrattamenti?
• quali misure sono previste per
scongiurare i possibili ricatti o vendette perpetrati dai genitori d’origine,
dagli adottanti, dagli adottati o da altre persone venute a conoscenza della
situazione?
• che cosa è stabilito nel caso
in cui l’adottato non ritenga veritiera la documentazione da cui risulta che è
stato procreato dalle persone indicate nella documentazione stessa?
• se l’individuazione dei procreatori
è demandata alla magistratura, è previsto un giudizio di appello se il primo
verdetto non è accettato dalle parti in causa?
• chi terrà conto delle possibili
ripercussioni negative sulle famiglie costituite dai genitori d’origine dopo
l’abbandono del loro nato che chiede di conoscerli?
• sarà concesso a tutti i figli
legittimi e naturali il “diritto” di verificare se il proprio DNA è
compatibile con quello dei loro genitori e dei loro fratelli e sorelle?
Com’è stato giustamente rilevato
nel volume “Storie di figli adottivi -
L’adozione vista dai protagonisti” di E. De Rienzo, C. Saccoccio, F.
Tonizzo e G. Viarengo, UTET Libreria, Torino, 1999: «La famiglia adottiva è una famiglia a tutti gli effetti con i suoi
rapporti e con i suoi problemi: il figlio è figlio, i genitori sono genitori.
«Non ha senso, quindi, che una legge dello Stato possa rimettere in
discussione questi principi andando a regolamentare le modalità di incontro dei
figli adottivi con chi li ha generati. È il diretto interessato, il figlio, che
potrà decidere in piena autonomia tenendo conto che la sua libertà di scelta
non dovrebbe andare contro i diritti riconosciuti degli altri.
«Di certo, a nostro avviso, non compete allo Stato e a nessun altro
organismo stabilire se le radici del figlio debbano essere ricercate nella
famiglia che lo ha amato, protetto ed educato oppure nel DNA di coloro che lo
hanno generato e lasciato totalmente privo di cure morali e materiali.
«Per queste ragioni il Parlamento non dovrebbe modificare le norme vigenti.
In particolare dovrebbero essere garantite le disposizioni che tutelano il
segreto del parto e prevengono gli infanticidi».
Infine, ricordo ancora una volta
che il Parlamento dovrebbe tener fede al principio già affermato dalla legge
attuale in cui è stabilito che «con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato
con la famiglia d’origine» norma assolutamente indispensabile per consentire
l’adozione come rapporto di filiazione e di genitorialità.
(1) Il
testo è stato integralmente pubblicato sul n. 126 di Prospettive assistenziali.
(2)
Fanno parte del C.S.A. le seguenti organizzazioni: Associazione Genitori
Fanciulli Handicappati ex USSL 34 di Orbassano (To); Associazione Italiana
Assistenza Spastici di Torino; Associazione G.E.AP.H., Genitori e Amici dei
Portatori di Handicap di Sangano (To); Associazione Nazionale Famiglie Adottive
e Affidatarie; Associazione “La Scintilla” di Collegno-Grugliasco (To);
Associazione “Odissea 31” di Chivasso; Associazione “Oltre il ponte” di Lanzo
Torinese; Associazione “Prader Willi”, sezione di Torino; Associazione
Promozione Sociale; A.S.V.A.D., Associazione Solidarietà Volontariato a
Domicilio; Associazione Spina Bifida; Associazione Tutori Volontari; COGEHA,
Collettivo Genitori dei portatori di handicap, Settimo Torinese; Comitato
Integrazione Scolastica Handicappati; Coordinamento dei Comitati Spontanei di
Quartiere; Coordinamento Para-tetraplegici; CUMTA, Comitato Utenti Mezzi
Trasporto Accessibili; GRH, Genitori Ragazzi Handicappati di Venaria-Druento
(To); Gruppo Inserimento Sociale Handicappati ex USSL 27; Unione per la Lotta
contro l’Emarginazione Sociale; Unione per la Tutela degli Insufficienti
Mentali; “Vivere Insieme” di Rivoli.
www.fondazionepromozionesociale.it