ISTITUTI MAI PIÙ
COORDINAMENTO NAZIONALE COMUNITÀ DI ACCOGLIENZA
Con questo titolo si è tenuto a Roma il
25 giugno 1997 un convegno organizzato dal CNCA, Coordinamento nazionale
comunità di accoglienza (1).
È
auspicabile che il principio "Mai più istituti" venga attuato non
solo in Italia, ma anche nei Paesi del terzo Mondo, dove molti enti pubblici e
privati si ostinano a costruire istituti, nonostante che da oltre 40 anni siano
stati scientificamente accertati - e mai smentiti - i danni profondi causati
dal ricovero di fanciulli in strutture a carattere di internato.
In occasione
del convegno è stato presentato il documento base "La tutela dei minori a
rischio di allontanamento dalla famiglia d'origine - Indicazioni per possibili
interventi legislativi" di cui riportiamo l'introduzione.
Anche se le
proposte avanzate dal CNCA (aiuti psico-sociali alle famiglie d'origine,
adozione, affido educativo, comunità alloggio di 8-10 posti, ecc.) coincidono
con quelle da noi avanzate fin dal 1968, è estremamente positivo che esse
vengano rilanciate e rivolte, in particolare, alle Congregazioni religiose.
Infine,
auspichiamo che analoga posizione, ovviamente comprese le relative
alternative, venga assunta dal maggior numero possibile di organizzazioni per
quanto riguarda i servizi e le strutture per gli handicappati minori e adulti.
INTRODUZIONE
L'affermazione categorica
"Istituti mai più" con la quale il CNCA presenta questo documento
sull'allontanamento dei minori dalla famiglia d'origine e sulla necessità di
contrastarne la ripresa non rappresenta uno slogan o un richiamo ideologico.
Vuole indicare invece una richiesta politicamente forte al mondo istituzionale
perché questa scelta sia percorsa operativamente e in tempi certi.
Lo facciamo in forza dei dati
emersi dal Rapporto 1996 sulla condizione dei minori in Italia edito dal Centro Nazionale per la
Tutela dell'Infanzia, nel quale si afferma essere ancora di 37.000 il numero
dei minori in istituto.
Si tratta di una cifra dove sono
inclusi anche i minori accolti in case alloggio, di tipo familiare o in altre
strutture di accoglienza molto diverse dall'1stituto". È noto infatti
come in questo ambito esista una oggettiva difficoltà di monitoraggio omogeneo
sull'intero territorio nazionale. Tuttavia, a dimostrare la rilevanza del
fenomeno istituzionalizzazione, basta articolare il dato con quelli
disaggregati di alcune regioni italiane considerate a legislazione di tutela
più avanzata.
Ebbene, in queste regioni
"avanzate" (Veneto, Piemonte, Lombardia, Lazio) i minori in istituto
sono ancora 3.775.
II rapporto afferma poi che "in
diverse zone del Mezzogiorno la pratica dell'istituto è purtroppo diffusa sia
presso le famiglie che nella prassi assistenziale".
Una "risposta non
adeguata"
Quali effetti produce una tale
situazione? Citando sempre il rapporto possiamo affermare che l'istituto «non è in
grado di dare risposte adeguate ai fondamentali bisogni del minore. Esso può
certo appagare il bisogno del minore di protezione dal caldo o dal freddo, di
ottenere il nutrimento che gli è indispensabile per la sua crescita fisica, di
avere quell'ambiente igienicamente adeguato che lo protegge dalle malattie, di
essere istruito a livello scolastico.
«Ma
l'istituto non è in grado di dare risposte esaustive a quello che è il bisogno
primario di un soggetto in età evolutiva: di realizzare cioè in modo compiuto
un regolare processo di identificazione personale e di socializzazione.
Nell'anonimo ambiente dell'istituto, infatti, non potranno facilmente realizzarsi
rapporti affettivi strutturanti e sicurizzanti, nella necessaria
standardizzazione della vita, che deve essere fortemente organizzata, non vi è
sufficiente spazio per una educazione alla libertà creativa ed alla capacità
critica (per cui il ragazzo, a seconda delle sue caratteristiche di
personalità, sarà portato o ad una passività preoccupante perché lo rende succube
di chiunque voglia manipolarlo o ad una aggressività tanto più pericolosa
quanto più drasticamente repressa); nella conoscenza solo di persone adulte
aventi ruoli professionali ben definiti mancherà al ragazzo la reale e
strutturante esperienza di un dialogo interpersonale; nella inevitabile monotonia
di una vita collegiale tutta scandita sulla base di regole predeterminate
mancheranno stimoli a coltivare interessi essenziali per una adeguata
crescita.
«Oltre alle
gravi conseguenze sul piano individuale, occorre mettere in evidenza anche i
danni sociali che possono derivare dal ricorso all'istituto per la soluzione
dei problemi assistenziali che si manifestano all'interno della comunità.
Possiamo elencarli in tre punti:
- deresponsabilizzazione degli Enti pubblici;
- depauperamento delle risorse;
- deresponsabilizzazione dei parenti e delle comunità».
La deresponsabilizzazione degli Enti pubblici
Più si
mandano gli assistiti negli istituti, più se ne manderebbero. La lontananza,
l'emarginazione comportano inevitabilmente che, a poco a poco, questi cittadini
diventino dei dimenticati. Infatti, perché ricercare una diversa
organizzazione sociale che dia ad ognuno la dignità di vivere? perché creare
alternative al ricovero? perché preoccuparsi di riqualificare il personale,
riconvertire la spesa, intraprendere nuove iniziative?
II depauperamento delle risorse
La logica del ricovero comporta un continuo aumento
delle spese del settore assistenziale. Perciò continuare a privilegiare il
ricovero in istituto significa in pratica bloccare una grossa parte delle
risorse destinate all'assistenza ed ai servizi.
Occorre anche tener conto che il ricovero è un
intervento tampone; non innesca, cioè, alcun processo che in prospettiva possa
diminuire le richieste di assistenza. Proseguire su questa strada vuol dire
buttare ingenti risorse in un pozzo senza fondo.
II bisogno assistenziale sorge all'interno della collettività
e dalla collettività va preso in carico. L'allontanamento degli assistiti in
istituto contribuisce a distruggere ogni atteggiamento solidaristico. Nemmeno
il volontariato individualizzato ed organizzato, cui ricorrono in alcuni casi
gli istituti, sembra così in grado di uscire da una logica di beneficenza
individuale. Può, forse, tentare di migliorare alcuni aspetti della condizione
di vita di qualche assistito; non è comunque in grado di incidere su processi
di emarginazione che inesorabilmente si compiono in istituto.
Come agire per il superamento
"Come
uscire dall'istituzionalizzazione?" si chiede il Rapporto; e indica percorsi operativi, i benefici in termine
di costi che la scelta potrebbe determinare, gli impegni che gli amministratori
dovrebbero assumersi sul versante della predisposizione normativa e della
vigilanza.
L'auspicio è che si attivino in modo consistente gli
strumenti che consentono di superare la logica dell'istituto. Per avviare
seriamente questo percorso è quindi necessario un progetto di sviluppo
dell'attenzione ai minori e alle loro famiglie.
Chiudere gli istituti e lasciare i bambini in balia
di se stessi in mezzo alle strade delle nostre periferie, non si configura
certamente come percorso evolutivo.
È necessario certamente avviare su questo tema una
riflessione che possa partire da dati più certi e più completi di quelli che
sono a disposizione oggi. È quindi necessario attivare iniziative conoscitive
che possano verificare la reale entità del fenomeno nelle sue diverse
caratterizzazioni (quanti sono i minori ospitati in istituto esclusivamente per
le difficoltà economiche delle famiglie? Quanti per le carenze della struttura
scolastica? Quanti hanno realmente bisogno di essere allontanati dalla famiglia?).
È infatti necessario progettare dei percorsi che
prevedano il rispetto dei diritti del minore e che non rispondano solo alle
logiche di un'economia delle risorse: il sostegno alla famiglia di origine, la
predisposizione di reti di aiuto (dal sostegno economico alle varie strutture
di day care) che limitino gli allontanamenti
dal proprio contesto.
Nel contempo vanno rinforzate le soluzioni che si
prospettano quando è comunque necessario un allontanamento temporaneo del
minore dal proprio nucleo: l'affidamento ad una famiglia o ad una comunità di
tipo familiare.
È un progetto che ha costi non indifferenti se si
prevede di mantenere le medie europee del 50150 (50 minori in affidamento
familiare su 50 minori in comunità residenziale). È un progetto impegnativo in
quanto deve prevedere un consistente rinforzo delle équipe degli operatori
sociali territoriali sia in termini di consistenza che di formazione, in modo
che possano promuovere l'affidamento alle famiglie, seguirlo e verificarne gli
esiti.
Per l'affidamento alle comunità di tipo familiare,
oltre ad una politica che ne favorisca la crescita quantitativa, è necessario
porre le condizioni perché siano delle realtà qualitativamente significative,
che non si caratterizzino come assistenzialistiche e a loro volta residuali, ma
come elementi integrati con i servizi sociali territoriali.
Per togliere mille bambini dall'istituto...
«Quanto
costa togliere mille bambini dall'istituto, dando loro delle risposte adeguate?
Ipotizziamo - continua il rapporto -
che di questi mille:
- 200
possano rientrare in famiglia con un sostegno (economico o di aiuto) di
450.000 mensili ovvero 1.080.000. 000 annui;
- 300
possano rientrare in famiglia con un robusto programma di day care al
minore (affido educativo, educatore domiciliare, centro diurno, ecc.) e alla
famiglia (terapia familiare, ecc.) per un importo di 80.000 giornaliere per 22
giorni mensili ovvero 5.808.000.000 annui,
- 250
possano andare in affidamento ad una famiglia con un aiuto a questa famiglia
di lire 600.000 mensili ed un intervento dei servizi territoriali sulla
famiglia di origine e di sostegno alla famiglia affidataria (28 ore mensili,
pari ad 1 operatore pubblico ogni 5 minori affidati, quindi a lire 670.000
mensili) ovvero 3.810.000.000 annui,
- 250
possano essere inseriti in una comunità (14 ore mensili per 1 operatore
pubblico pari a 335.000) oltre alla retta 120.000 giornaliere ca. Ovvero 12.000.000.000
annui.
«All'interno
di questo numero è prevedibile che si individuino 1-2 minori segnalati al
tribunale in presunta situazione di abbandono per i quali va previsto un
inserimento familiare.
«In totale,
togliere 1.000 minori da un istituto comporta una spesa che si aggira intorno
ai 23 miliardi annui, di cui 3 miliardi di costo relativi ad operatori
pubblici. Il risparmio conseguente alla deistituzionalizzazione di questi
1.000 bambini è stimabile in circa 14 miliardi. I costi effettivi di questo
processo sono quindi valutabili in circa 9 miliardi compresi quelli relativi al
personale pubblico. Tutto ciò, senza tener conto delle positive ricadute
sociali ed economiche che comporta una corretta socializzazione e un adeguato
sviluppo della personalità del minore, in termini di azioni ed interventi di
recupero sociale e di riduzione dei danno».
Mai più
Quindi, in sintonía con la scelta operata dal
Governo, noi riaffermiamo il dovere di procedere alla chiusura degli istituti.
La scelta è resa possibile dalle opportunità che oggi
vengono offerte dalla applicazione del Piano per l'infanzia e l'adolescenza.
Ciò a condizione che:
-
il decreto attuativo privilegi le azioni finalizzate all'intervento sulla
condizione di normalità;
- venga rilanciato l'istituto dell'affido familiare e
della rete della solidarietà familiare a dimensione della comunità locale;
- le normative che regolamentano la vita e la
gestione delle comunità di tipo familiare risultino tali da non consentire un
riciclaggio della strategia della istituzionalizzazione e dell'abbandono;
-
vengano riconosciute anche le forme di accoglienza e di presa in carico che in
questi anni si sono sviluppate grazie all'azione attenta del Terzo Settore.
Molto
probabilmente anche sulla tematica dell'abbandono dei minori sarebbe opportuna
la formulazione di un accordo Stato-Regioni coerente con una filosofia di
riaffermazione del diritto di ogni bambino ad una propria famiglia.
II
documento del CNCA, che presentiamo, ripercorre queste tematiche e propone
interventi amministrativi e forse anche legislativi di sostegno alla scelta
della chiusura degli istituti.
Lo
facciamo anche consapevoli che la stragrande maggioranza dei cosiddetti
istituti educativo assistenziali sono retti e gestiti da Congregazioni religiose
che, siamo certi, per loro stessa scelta costitutiva non possono non
condividere la nostra proposta e finalmente decidere di por fine ad una contraddizione tra valori dichiarati e prassi operativa che è resa assolutamente
evidente e non più giustificabile.
Soprattutto
in un momento in cui la normativa esistente, la storia delle comunità di
accoglienza e delle solidarietà familiari, la richiesta di un utilizzo diverso
degli spazi e degli edifici in direzione di risposte orientate all'aggregazione
familiare e al sostegno alle famiglie in difficoltà, impone anche a loro una
scelta non più dilazionabile.
(1) Via
Vallescura 47, 63010 Capodarco di Fermo (AP), tel. 0734-67.25.04-67.21.20, fax
0734-67.55.39.
www.fondazionepromozionesociale.it