Prospettive assistenziali, n. 120, ottobre-dicembre 1997

 

 

ISTITUTI MAI PIÙ

COORDINAMENTO NAZIONALE COMUNITÀ DI ACCOGLIENZA

 

 

Con questo titolo si è tenuto a Roma il 25 giugno 1997 un convegno organizzato dal CNCA, Coor­dinamento nazionale comunità di accoglienza (1).

È auspicabile che il principio "Mai più istituti" venga attuato non solo in Italia, ma anche nei Paesi del terzo Mondo, dove molti enti pubblici e privati si ostinano a costruire istituti, nonostante che da oltre 40 anni siano stati scientificamente accertati - e mai smentiti - i danni profondi causati dal ricovero di fan­ciulli in strutture a carattere di internato.

In occasione del convegno è stato presentato il documento base "La tutela dei minori a rischio di allontanamento dalla famiglia d'origine - Indicazioni per possibili interventi legislativi" di cui riportiamo l'introduzione.

Anche se le proposte avanzate dal CNCA (aiuti psico-sociali alle famiglie d'origine, adozione, affido educativo, comunità alloggio di 8-10 posti, ecc.) coincidono con quelle da noi avanzate fin dal 1968, è estremamente positivo che esse vengano rilancia­te e rivolte, in particolare, alle Congregazioni religio­se.

Infine, auspichiamo che analoga posizione, ovvia­mente comprese le relative alternative, venga assunta dal maggior numero possibile di organizza­zioni per quanto riguarda i servizi e le strutture per gli handicappati minori e adulti.

 

INTRODUZIONE

 

L'affermazione categorica "Istituti mai più" con la quale il CNCA presenta questo documento sull'al­lontanamento dei minori dalla famiglia d'origine e sulla necessità di contrastarne la ripresa non rap­presenta uno slogan o un richiamo ideologico. Vuole indicare invece una richiesta politicamente forte al mondo istituzionale perché questa scelta sia percor­sa operativamente e in tempi certi.

Lo facciamo in forza dei dati emersi dal Rapporto 1996 sulla condizione dei minori in Italia edito dal Centro Nazionale per la Tutela dell'Infanzia, nel quale si afferma essere ancora di 37.000 il numero dei minori in istituto.

Si tratta di una cifra dove sono inclusi anche i minori accolti in case alloggio, di tipo familiare o in altre strutture di accoglienza molto diverse dall'1sti­tuto". È noto infatti come in questo ambito esista una oggettiva difficoltà di monitoraggio omogeneo sul­l'intero territorio nazionale. Tuttavia, a dimostrare la rilevanza del fenomeno istituzionalizzazione, basta articolare il dato con quelli disaggregati di alcune regioni italiane considerate a legislazione di tutela più avanzata.

Ebbene, in queste regioni "avanzate" (Veneto, Piemonte, Lombardia, Lazio) i minori in istituto sono ancora 3.775.

II rapporto afferma poi che "in diverse zone del Mezzogiorno la pratica dell'istituto è purtroppo diffu­sa sia presso le famiglie che nella prassi assisten­ziale".

 

Una "risposta non adeguata"

 

Quali effetti produce una tale situazione? Citando sempre il rapporto possiamo affermare che l'istituto «non è in grado di dare risposte adeguate ai fonda­mentali bisogni del minore. Esso può certo appaga­re il bisogno del minore di protezione dal caldo o dal freddo, di ottenere il nutrimento che gli è indispen­sabile per la sua crescita fisica, di avere quell'am­biente igienicamente adeguato che lo protegge dalle malattie, di essere istruito a livello scolastico.

«Ma l'istituto non è in grado di dare risposte esau­stive a quello che è il bisogno primario di un sogget­to in età evolutiva: di realizzare cioè in modo com­piuto un regolare processo di identificazione perso­nale e di socializzazione. Nell'anonimo ambiente dell'istituto, infatti, non potranno facilmente realiz­zarsi rapporti affettivi strutturanti e sicurizzanti, nella necessaria standardizzazione della vita, che deve essere fortemente organizzata, non vi è sufficiente spazio per una educazione alla libertà creativa ed alla capacità critica (per cui il ragazzo, a seconda delle sue caratteristiche di personalità, sarà portato o ad una passività preoccupante perché lo rende succube di chiunque voglia manipolarlo o ad una aggressività tanto più pericolosa quanto più drastica­mente repressa); nella conoscenza solo di persone adulte aventi ruoli professionali ben definiti man­cherà al ragazzo la reale e strutturante esperienza di un dialogo interpersonale; nella inevitabile monoto­nia di una vita collegiale tutta scandita sulla base di regole predeterminate mancheranno stimoli a colti­vare interessi essenziali per una adeguata crescita.

«Oltre alle gravi conseguenze sul piano individua­le, occorre mettere in evidenza anche i danni socia­li che possono derivare dal ricorso all'istituto per la soluzione dei problemi assistenziali che si manife­stano all'interno della comunità. Possiamo elencarli in tre punti:

- deresponsabilizzazione degli Enti pubblici;

- depauperamento delle risorse;

- deresponsabilizzazione dei parenti e delle comu­nità».

 

La deresponsabilizzazione degli Enti pubblici

 

Più si mandano gli assistiti negli istituti, più se ne manderebbero. La lontananza, l'emarginazione comportano inevitabilmente che, a poco a poco, questi cittadini diventino dei dimenticati. Infatti, per­ché ricercare una diversa organizzazione sociale che dia ad ognuno la dignità di vivere? perché crea­re alternative al ricovero? perché preoccuparsi di riqualificare il personale, riconvertire la spesa, intra­prendere nuove iniziative?

 

II depauperamento delle risorse

 

La logica del ricovero comporta un continuo aumento delle spese del settore assistenziale. Perciò continuare a privilegiare il ricovero in istituto significa in pratica bloccare una grossa parte delle risorse destinate all'assistenza ed ai servizi.

Occorre anche tener conto che il ricovero è un intervento tampone; non innesca, cioè, alcun pro­cesso che in prospettiva possa diminuire le richieste di assistenza. Proseguire su questa strada vuol dire buttare ingenti risorse in un pozzo senza fondo.

II bisogno assistenziale sorge all'interno della col­lettività e dalla collettività va preso in carico. L'allontanamento degli assistiti in istituto contribui­sce a distruggere ogni atteggiamento solidaristico. Nemmeno il volontariato individualizzato ed organiz­zato, cui ricorrono in alcuni casi gli istituti, sembra così in grado di uscire da una logica di beneficenza individuale. Può, forse, tentare di migliorare alcuni aspetti della condizione di vita di qualche assistito; non è comunque in grado di incidere su processi di emarginazione che inesorabilmente si compiono in istituto.

 

Come agire per il superamento

 

"Come uscire dall'istituzionalizzazione?" si chiede il Rapporto; e indica percorsi operativi, i benefici in termine di costi che la scelta potrebbe determinare, gli impegni che gli amministratori dovrebbero assu­mersi sul versante della predisposizione normativa e della vigilanza.

L'auspicio è che si attivino in modo consistente gli strumenti che consentono di superare la logica del­l'istituto. Per avviare seriamente questo percorso è quindi necessario un progetto di sviluppo dell'atten­zione ai minori e alle loro famiglie.

Chiudere gli istituti e lasciare i bambini in balia di se stessi in mezzo alle strade delle nostre periferie, non si configura certamente come percorso evoluti­vo.

È necessario certamente avviare su questo tema una riflessione che possa partire da dati più certi e più completi di quelli che sono a disposizione oggi. È quindi necessario attivare iniziative conoscitive che possano verificare la reale entità del fenomeno nelle sue diverse caratterizzazioni (quanti sono i minori ospitati in istituto esclusivamente per le diffi­coltà economiche delle famiglie? Quanti per le carenze della struttura scolastica? Quanti hanno realmente bisogno di essere allontanati dalla fami­glia?).

È infatti necessario progettare dei percorsi che prevedano il rispetto dei diritti del minore e che non rispondano solo alle logiche di un'economia delle risorse: il sostegno alla famiglia di origine, la predi­sposizione di reti di aiuto (dal sostegno economico alle varie strutture di day care) che limitino gli allon­tanamenti dal proprio contesto.

Nel contempo vanno rinforzate le soluzioni che si prospettano quando è comunque necessario un allontanamento temporaneo del minore dal proprio nucleo: l'affidamento ad una famiglia o ad una comunità di tipo familiare.

È un progetto che ha costi non indifferenti se si prevede di mantenere le medie europee del 50150 (50 minori in affidamento familiare su 50 minori in comunità residenziale). È un progetto impegnativo in quanto deve prevedere un consistente rinforzo delle équipe degli operatori sociali territoriali sia in termini di consistenza che di formazione, in modo che possano promuovere l'affidamento alle famiglie, seguirlo e verificarne gli esiti.

Per l'affidamento alle comunità di tipo familiare, oltre ad una politica che ne favorisca la crescita quantitativa, è necessario porre le condizioni perché siano delle realtà qualitativamente significative, che non si caratterizzino come assistenzialistiche e a loro volta residuali, ma come elementi integrati con i servizi sociali territoriali.

 

Per togliere mille bambini dall'istituto...

 

«Quanto costa togliere mille bambini dall'istituto, dando loro delle risposte adeguate? Ipotizziamo - continua il rapporto - che di questi mille:

- 200 possano rientrare in famiglia con un soste­gno (economico o di aiuto) di 450.000 mensili ovve­ro 1.080.000. 000 annui;

- 300 possano rientrare in famiglia con un robusto programma di day care al minore (affido educativo, educatore domiciliare, centro diurno, ecc.) e alla famiglia (terapia familiare, ecc.) per un importo di 80.000 giornaliere per 22 giorni mensili ovvero 5.808.000.000 annui,­

- 250 possano andare in affidamento ad una fami­glia con un aiuto a questa famiglia di lire 600.000 mensili ed un intervento dei servizi territoriali sulla famiglia di origine e di sostegno alla famiglia affida­taria (28 ore mensili, pari ad 1 operatore pubblico ogni 5 minori affidati, quindi a lire 670.000 mensili) ovvero 3.810.000.000 annui,­

- 250 possano essere inseriti in una comunità (14 ore mensili per 1 operatore pubblico pari a 335.000) oltre alla retta 120.000 giornaliere ca. Ovvero 12.000.000.000 annui.

«All'interno di questo numero è prevedibile che si individuino 1-2 minori segnalati al tribunale in pre­sunta situazione di abbandono per i quali va previ­sto un inserimento familiare.

«In totale, togliere 1.000 minori da un istituto com­porta una spesa che si aggira intorno ai 23 miliardi annui, di cui 3 miliardi di costo relativi ad operatori pubblici. Il risparmio conseguente alla deistituziona­lizzazione di questi 1.000 bambini è stimabile in circa 14 miliardi. I costi effettivi di questo processo sono quindi valutabili in circa 9 miliardi compresi quelli relativi al personale pubblico. Tutto ciò, senza tener conto delle positive ricadute sociali ed econo­miche che comporta una corretta socializzazione e un adeguato sviluppo della personalità del minore, in termini di azioni ed interventi di recupero sociale e di riduzione dei danno».

 

Mai più

 

Quindi, in sintonía con la scelta operata dal Governo, noi riaffermiamo il dovere di procedere alla chiusura degli istituti.

La scelta è resa possibile dalle opportunità che oggi vengono offerte dalla applicazione del Piano per l'infanzia e l'adolescenza. Ciò a condizione che:

- il decreto attuativo privilegi le azioni finalizzate all'intervento sulla condizione di normalità;

- venga rilanciato l'istituto dell'affido familiare e della rete della solidarietà familiare a dimensione della comunità locale;

- le normative che regolamentano la vita e la gestione delle comunità di tipo familiare risultino tali da non consentire un riciclaggio della strategia della istituzionalizzazione e dell'abbandono;

- vengano riconosciute anche le forme di acco­glienza e di presa in carico che in questi anni si sono sviluppate grazie all'azione attenta del Terzo Set­tore.

Molto probabilmente anche sulla tematica dell'ab­bandono dei minori sarebbe opportuna la formula­zione di un accordo Stato-Regioni coerente con una filosofia di riaffermazione del diritto di ogni bambino ad una propria famiglia.

II documento del CNCA, che presentiamo, riper­corre queste tematiche e propone interventi ammini­strativi e forse anche legislativi di sostegno alla scel­ta della chiusura degli istituti.

Lo facciamo anche consapevoli che la stragrande maggioranza dei cosiddetti istituti educativo assi­stenziali sono retti e gestiti da Congregazioni reli­giose che, siamo certi, per loro stessa scelta costi­tutiva non possono non condividere la nostra propo­sta e finalmente decidere di por fine ad una con­traddizione tra valori dichiarati e prassi operativa che è resa assolutamente evidente e non più giusti­ficabile.

Soprattutto in un momento in cui la normativa esi­stente, la storia delle comunità di accoglienza e delle solidarietà familiari, la richiesta di un utilizzo diverso degli spazi e degli edifici in direzione di risposte orientate all'aggregazione familiare e al sostegno alle famiglie in difficoltà, impone anche a loro una scelta non più dilazionabile.

 

 

 

(1) Via Vallescura 47, 63010 Capodarco di Fermo (AP), tel. 0734-67.25.04-67.21.20, fax 0734-67.55.39.

 

 

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