Prospettive assistenziali, n. 118, aprile-giugno 1997

 

 

PERCHÉ E COME COMPLETARE IL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO SULL'INFANZIA E L'ADOLESCENZA

 

 

 

In data 19 febbraio 1997 il Governo ha pre­sentato alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3238 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adole­scenza", di cui riportiamo l'articolato.

Anche se, in effetti, nel testo suddetto non è previsto alcun nuovo diritto per i minori, l'iniziati­va del Ministro per la solidarietà sociale, On. Li­via Turco, è sostanzialmente positiva.

Occorre però, a nostro avviso, che siano in­trodotte alcune norme al fine di evitare che, da­ta l'estrema arretratezza della legislazione vi­gente, nella fase di attuazione si possano verifi­care situazioni controproducenti.

Infatti, nel nostro ordinamento vi sono due enti pubblici - i Comuni e le Province - che in molti casi sono competenti addirittura nei confronti degli stessi minori.

Com'era stato puntualmente precisato nella proposta di legge n. 2983 "Norme per la definiti­va assegnazione ai Comuni delle funzioni assi­stenziali già svolte dalle Province" (che la stessa On. Livia Turco aveva presentato in data 27 lu­glio 1995 alla Camera dei deputati), per quanto concerne i minori legittimi e quelli riconosciuti -anche o solo dal padre «continua e sussistere I'irrisolto e irrisolvibile conflitto, che permane dal 1925, anno di entrata in vigore della legge istitu­tiva dell'Onmi» (1).

Pertanto da oltre 70 anni vi sono Comuni che non assistono i suddetti minori asserendo che gli interventi spettano alle Province; nello stesso tempo vi sono Amministrazioni provinciali che sostengono che le prestazioni assistenziali de­vono essere fornite dai Comuni. II risultato è che in molte zone del nostro Paese nessuno dei due sopraindicati enti programma e organizza i ser­vizi. In sostanza non sono presi in carico bambi­ni, ragazzi e adolescenti, che necessitano di aiuti psico-sociali spesso immediati.

Tenuto conto che il disegno di legge governa­tivo stanzia 127 miliardi per il 1997 e 322 per ciascuno degli anni 1998 e 1999, vi è il gravissi­mo pericolo di una accentuazione dei conflitti fra Comuni e Province, ancora una volta a dan­no dei minori.

L'On. Livia Turco nella citata proposta di legge del 1995, aveva, inoltre, scritto quanto segue: «Un altro scontro di competenze è sorto con l'en­trata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 il quale stabilisce all'articolo 23 che fra le funzioni assegnate ai Co­muni sono comprese quelle relative agli interven­ti a favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile. Al riguardo vi sono interpretazioni diverse circa la competen­za nei confronti dei minori assistiti dalle Province nei casi in cui intervenga l'autorità giudiziaria mi­norile. La competenza resta alle Province o pas­sa ai Comuni in base alla norma sempre citata?»

Infine, ricordiamo che gli attuali compiti assi­stenziali delle Province concernono:

a) i bambini esposti e cioè quelli di cui non si conoscono i genitori. Le prestazioni devono es­sere fornite dalle Province solo fino al momento in cui vengono rintracciati i congiunti. Poi, la re­sponsabilità degli interventi può restare alle Pro­vince stesse oppure deve essere assunta dai Comuni;

b) i minori figli di ignoti;

c) i minori riconosciuti dalla sola madre, a condizione che la prima richiesta di assistenza sia stata presentata antecedentemente al com­pimento del sesto anno di vita del bambino. Nel caso di riconoscimento da parte del padre, la competenza passa al Comune. Invece, nel caso di disconoscimento paterno, le funzioni sono trasferite dai Comuni alle Province.

In base a quanto abbiamo esposto in prece­denza, risulta evidente che si tratta di un caos istituzionale privo d'alcuna valida ragione. Le conseguenze sui minori e sulle famiglie in diffi­coltà sono deleterie: le persone sono conside­rate degli oggetti trasferibili da un ente all'altro per motivi assolutamente burocratici. Ancora più sovente avviene che non intervengono né i Co­muni né le Province.

Stante questa situazione, riteniamo che il Mi­nistro per la solidarietà sociale dovrebbe inte­grare il disegno di legge governativo con la già richiamata sua proposta di legge del 1995 il cui testo (da adeguare per quanto riguarda le sca­denze temporali) era il seguente:

Art 1 - 1. Le funzioni assistenziali trasferite dalle Province ai Comuni ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e ritrasferite dai Comuni al­le Province ai sensi dell'articolo 5, del decreto­legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con mo­dificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, so­no definitivamente assegnate ai Comuni entro il 31 dicembre 1996.

2. Ai Comuni sono trasferiti entro la data di cui al comma 1:

a) il personale addetto ai servizi assistenziali delle Province alla data del 30 giugno 1990; b) le strutture ed attrezzature utilizzate per i suddetti servizi;

c) i finanziamenti relativi all'anno 1996.

Art. 2 - 1. Entro il 31 dicembre 1996 le funzioni di assistenza sociale alle gestanti, alle madri e ai loro nati sono trasferite ai Comuni capoluogo di provincia, i quali le esercitano con riferimenti al territorio provinciale.

 

Altre proposte

1. L'art. 2 del disegno di legge governativo prevede quanto segue: «Le Regioni nell'ambito della programmazione regionale definiscono ogni tre anni gli ambiti di intervento» relativi alle azioni ammesse al finanziamento statale, azioni che sono elencate negli articoli 2 e 3.

Ma - ci chiediamo - che cosa significa «am­biti di intervento»? Coincidono con i territori de­gli organismi (Comuni, Consorzi di Comuni, Co­munità montane, ecc.) preposti alla gestione dei servizi socio-assistenziali? Oppure si tratta di altri livelli istituzionali, individuati esclusivamente per l'attuazione degli interventi finanziari dal di­segno di legge governativo? Si sovrapporranno agli attuali enti titolari della gestione dei servizi?

Ad esempio, fra le attività sovvenzionate (c r. l'art. 4, lettera d) vi sono «gli affidamenti familiari sia diurni che residenziali». Nei casi in cui le Re­gioni non abbiano ancora delegato le funzioni socio-assistenziali, chi potrà, o meglio dovrà, istituire il relativo servizio? Con quale persona­le? E se i compiti sono stati assegnati a Comuni singoli o associati, saranno questi enti a gestire gli affidamenti? L'ambito di intervento sarà quel­lo di questi stessi enti?

A nostro avviso il disegno di legge governativo dovrebbe stabilire in modo esplicito che uno degli scopi concretamente perseguiti è la promozione di organi stabili preposti alla programmazione e gestione diretta o convenzionata dei servizi so­cio-assistenziali (2) e il loro consolidamento per quanto riguarda l'organizzazione degli interventi, soprattutto quelli alternativi al ricovero in istituto, e la qualificazione del personale addetto.

2. II disegno di legge governativo prevede non solo interventi socio-assistenziali (i già ricordati affidamenti familiari, l'erogazione del minimo vi­tale, gli aiuti alle famiglie e ai minori, ecc.), ma anche di natura educativa (innovazione e speri­mentazione di servizi socio-educativi per la pri­ma infanzia, azioni di sostegno alla relazione ge­nitori-figli, attività di informazione e appoggio al­le scelte di maternità e paternità, ecc.).

Anche per queste prestazioni, che evidentemente non appartengono alla sfera dell'assi­stenza sociale, si pone il problema della indivi­duazione degli organismi preposti alla program­mazione e gestione dei servizi e alla definizione dei relativi ambiti di intervento.

3. Nel disegno di legge governativo non vi so­no norme concernenti l'assunzione del perso­nale da parte degli organismi preposti alla pro­grammazione dei servizi finanziati dallo Stato, alla gestione diretta degli interventi non affidabili a terzi (com'è il caso, ad esempio, dell'assisten­za economica e dell'individuazione dei soggetti aventi diritto) e al controllo delle attività e strut­ture delle organizzazioni private. È una "sempli­ce" dimenticanza?

4. A nostro avviso sarebbero necessarie altre modifiche del disegno di legge n. 3238:

a) occorrerebbe precisare che la capienza massima delle comunità di accoglienza (art. 4, lettera e) è di 8-10 posti e che è vietata la crea­zione di anche solo due di queste strutture nello stesso edificio o nelle immediate vicinanze;

b) i finanziamenti dovrebbero essere estesi al­le attività volte al reperimento dei minori in situa­zione di abbandono materiale e morale, alla loro segnalazione all'autorità giudiziaria e alle altre incombenze previste dalla legge 184/1983 sull'adozione e l'affidamento familiare.

 

Conclusioni

È evidente la necessità e l'urgenza di riforme strutturali per garantire condizioni di vita accet­tabili ai minori, alle loro famiglie e alle altre per­sone in gravi difficoltà.

È, altresì, indubitabile che per una effettiva prevenzione del disagio sociale devono agire in primo luogo gli organismi preposti alla sanità, alla casa, alla scuola ed agli altri settori sociali:

Affinché il disegno di legge del Governo non resti un tentativo pur encomiabile, ma con effetti solo transitori, occorre che sia strutturato in mo­do da creare una base concreta e stabile per successivi interventi nazionali, regionali e locali.

A nostro avviso, l'individuazione degli organi preposti alla programmazione, gestione e con­trollo e la chiara definizione delle competenze dei servizi (sanitari, scolastici, abitativi, culturali, assistenziali, ecc.) sono due capisaldi ineludibili.

 

(1) Le funzioni spettanti all'ONMI in materia di assisten­za dei minori legittimi e dei fanciulli riconosciuti anche o solo dal padre sono state trasferite alle Province con la legge 23 dicembre 1975 n. 698.

(2) Ricordiamo che l'art. 25 del DPR 616/1977 stabiliva quanto segue: «Tutte le funzioni amministrative relative all'organizzazione e all'erogazione dei servizi di assistenza e beneficenza sono attribuite ai Comuni ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. La Regione determi­na con legge, sentiti i Comuni interessati, gli ambiti territo­riali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, pro­muovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoria­li e, se necessario, promuovendo ai sensi dell'ultimo com­ma dell'art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione degli stessi». Sono trascorsi più di 20 anni e in gran parte del territorio italiano le suddette disposizio­ni non sono ancora state attuate!

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it