Prospettive assistenziali, n. 118, aprile-giugno 1997

 

 

L'ADOTTATO NON PUÒ ESSERE AUTORIZZATO DAL TRIBUNALE PER I MINORENNI A CONOSCERE I GENITORI D'ORIGINE

 

 

Riportiamo integralmente l'ottima ordinanza emessa in data 5 febbraio 1997 dal Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, Dr. Camillo Losana.

 

1. F.G., premesso di essere stata adottata con adozione legittimante nella primavera-estate del 1979; di avere un preciso ricordo della sua fa­miglia di origine essendo stata adottata all'età di sette anni; di avere in particolare mantenuto il ri­cordo del fratello A.; di non essere mai riuscita ad instaurare legami davvero profondi con i ge­nitori adottivi; ha chiesto a questo tribunale di essere autorizzata a conoscere la propria iden­tità familiare di origine, finalizzata ad una ripresa dei rapporti con quel nucleo.

2. È stato acquisito un parere preliminare del pubblico ministero circa la ammissibilità del ri­corso. II pubblico ministero si è espresso in sen­so favorevole all'ammissibilità teorica dell'azio­ne, sicché è stata instaurata una vera e propria procedura finalizzata alla risposta alla domanda della F.G.

3. Ad una prima udienza la ricorrente non si è presentata ed è stato disposto un rinvio. Alla se­conda udienza la F.G. ha dichiarato al giudice di ritenersi titolare di un diritto alla conoscenza delle proprie origini; di volere incontrare i geni­tori «biologici"; di voler conoscere le ragioni di fatto della sua adozione. Prospettata alla parte ricorrente l'eventualità di una convocazione dei genitori biologici nonché dei genitori adottivi al fine di conoscere la loro opinione circa lo svela­mento delle "origini" alla F.G. (in questo senso si era espresso il pubblico ministero nelle sue richieste istruttorie), l'istante ha fatto pervenire un «fax" ove si dice che i genitori adottivi non sono al corrente di tale iniziativa e non pare il caso di "turbare due persone anziane".

4. Trasmessi di nuovo gli atti al pubblico mini­stero il parere è stato nel senso di avvertire la ri­corrente circa la necessità di sentire i genitori adottivi; nel caso in cui la F.G. insistesse nella domanda e non vi rinunciasse, dovrebbero, ad avviso di quell'ufficio, essere sentiti i genitori biologici e, nel caso coloro manifestassero la volontà di incontrare la figlia, dovrebbero essere sentiti anche i genitori adottivi.

5. A questo punto il tribunale osserva che, proprio dall'ascolto della parte richiedente e dalle considerazioni del pubblico ministero emergono le ragioni per cui il legislatore ha pre­visto di tutelare con un segreto pressoché asso­luto l'istituto dell'adozione legittimante. La quale è stata costruita come una vera e propria "se­conda nascita", sicché l'adottato diventa figlio "soltanto" della famiglia adottiva e "non più" del­la famiglia di origine.

Dire che l'adottato avrebbe un "diritto a cono­scere i primi genitori", significa implicitamente dire che un legame tra il primo ed i secondi sus­siste ancora; significa in altre parole far riferi­mento ad una "doppia genitorialità" che invece l'adozione legittimante italiana ha chiaramente voluto escludere. E tale costruzione giuridica corrisponde a precise considerazioni di fatto. La stessa ricorrente, invero, ammette che i genitori adottivi sarebbero "inutilmente turbati" se cono­scessero la sua iniziativa; e tutti sostengono che occorrerebbe comunque valutare l'atteggia­mento dei genitori biologici. I quali con ogni pro­babilità, a fronte di una esplicita istanza del fi­glio, vorrebbero incontrarlo per dirgli che essi non lo hanno affatto abbandonato, che si è trat­tato di un errore, o che, comunque, a difficoltà transitorie si è sostituita una situazione buona e positiva.

Una situazione del genere creerebbe nel­l'adottato, ancorché maggiorenne, assai mag­giori problemi, anche psicologici, di quanti se ne vogliano risolvere con la conoscenza.

6. A ciò si aggiunga che la sola ipotesi di una conoscenza futura dell'adottato con i genitori di origine darebbe ai genitori adottivi e all'adottato stesso l'idea che l'adozione è bensì l'accettazio­ne e l'accoglienza dell'adottato "proprio come un figlio"; ma che, tuttavia, resta sempre sullo sfondo una famiglia "di riserva" (quella di origi­ne, appunto) cui si penserebbe di fare ricorso in caso di difficoltà (ma se poi ciò accadesse real­mente le conseguenze concrete sarebbero di­sastrose; ché una famiglia cui è stato dichiarato adottabile un figlio di solito non-migliora nel tem­po ma purtroppo corre verso un progressivo maggiore sfacelo).

Di fatto, in tutti i casi in cui un adottato ha nel concreto ripreso conoscenza e rapporti con la famiglia originaria, l'esperienza è stata per lui traumatizzante e quindi assolutamente negativa.

Senza contare, a conoscenza avvenuta, la possibilità di interferenze, di ricatti, di disturbi di luna famiglia rispetto all'altra. Facilmente la fami­glia adottiva diverrebbe "usurpatrice" agli occhi dell'adottato; o, comunque, esposta a pesanti condizionamenti.

7. Tutte queste considerazioni sono certa­mente state presenti al legislatore allorché ha protetto l'adozione legittimante con drastici pre­sidii di segreto. Con il che non si vuol dire che la legislazione non possa cambiare. Anzi, la pre­senza di indicazioni significative nelle conven­zioni internazionali potrà indurre il nostro legi­slatore a rendere il segreto meno pregnante e in casi estremi superabile. Si vuol dire però che il sistema attualmente in vigore è quello che si è detto, ed ha una sua specifica motivazione e coerenza, anche con riferimento all'interesse dell'adottato.

8. AI giudice è bensì lasciato dalla legge at­tuale un piccolo spazio per superare il segreto; ma ciò è da intendersi come facoltà del giudice di indicare i dati di origine dell'adottato ad istitu­zioni o enti a loro volta tenuti al segreto profes­sionale: allorché tali indicazioni si risolvano in un preciso e sicuro interesse dell'adottato stes­so (riscossioni di somme dovutegli, indennizzi, prestazioni e così via).

9. Che, invece, rispetto all'adottato stesso il superamento del segreto non sia possibile è di­mostrato anche dalla totale mancanza di proce­dure. Poiché l'adottato intanto vuole conoscere

in quanto vuole mettersi in contatto con la fami­glia di origine, si è detto, giustamente, che oc­correrebbe comunque ascoltare quest'ultima, nonché la famiglia adottiva. Ma la legge non dice né chi dovrebbe essere ascoltato (i soli genitori, o anche i parenti...?), né "come" dovrebbe es­serlo (con quale procedura?), né che valore avrebbe il loro assenso o il loro dissenso (diritto di veto, o semplice parere?). La legge non dice "che cosa" dovrebbe o potrebbe essere svelato; né il parametro su cui si dovrebbe svolgere l'eventuale discrezionalità del giudice (l'interes­se del minore o meglio dell'ex minore? ma come valutare un interesse senza una istruttoria su tutte le probabilità future dell'incontro? e allora, si dovrebbe riesaminare tutta la situazione di origine già a suo tempo data per persa? si do­vrebbero fare delle consulenze?). Ognuno vede che, in mancanza di ogni regola, si finirebbe in un ginepraio istruttorio; oppure in una discrezio­nalità meramente astratta e quindi arbitraria, fonte di enormi disparità fra i vari tribunali.

Ancora una volta, non si nega la possibilità "futura" di un procedimento disciplinato al fine dello svelamento delle origini. Ma occorre che il legislatore si esprima. Allo stato attuale, nel tota­le silenzio procedurale, l'unica regola seria è quella del segreto, insuperabile.

 

 

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