Prospettive assistenziali, n. 112, ottobre-dicembre 1995

 

 

HANDICAPPATI E SOCIETÀ: PRINCIPI E PROPOSTE DA CUI RIPARTIRE CON LE ISTITUZIONI. OLTRE LA LEGGE QUADRO, PER LA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO (*)

 

 

Obiettivi del documento

II nostro contributo riguarda alcuni dei proble­mi più emergenti dell'handicap.

Le riflessioni e le proposte che sono indicate sottolineano da un lato le aree sulle quali rite­niamo sia prioritario intervenire, e, dall'altro, evi­denziano come sia concretamente possibile agire nell'immediato.

Questi gli argomenti affrontati:

- la riforma della legge 482/1968 sul colloca­mento obbligatorio;

- la scuola dell'obbligo, formazione profes­sionale e scuola superiore: quale riforma?; - l'attuazione di alcuni importanti articoli della legge 104/1992 (in particolare gli artt. 9 e 10, ri­guardanti le persone in situazione di gravità); - gli obblighi dei Comuni nei confronti delle persone inabili e sprovviste dei mezzi di sussi­stenza. I contributi dell'assistito (e non dei suoi parenti): quando sono dovuti, le norme di riferi­mento, i principi etici a cui attenersi nella defini­zione dei criteri;

- l'indennità di accompagnamento: come su­perare le attuali sperequazioni e individuare nuovi elementi di valutazione.

 

RIFORMA DELLA LEGGE 482/1968 SUL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO

 

Puntare sull'autonomia, non sull'handicap

Persona handicappata è chi presenta una mi­norazione organica permanente, che determina una compromissione di natura fisica, intellettiva, sensoriale. Le menomazioni e le relative com­promissioni possono presentarsi singolarmente o associate.

Le persone handicappate hanno esigenze di­verse a seconda dell'autonomia che rimane loro e della gravità della menomazione.

Le norme della legge 482/1968 sul colloca­mento al lavoro non sono adeguate, perché si ri­feriscono alla percentuale di invalidità, che nulla dice circa l'autonomia della persona e la sua capacità lavorativa.

Finora gli handicappati sono stati divisi in ca­tegorie (fisici, sensoriali, intellettivi...) e per tipo­logia di handicap (spastici, ciechi, sordi...) ma questa suddivisione non permette di capire che cosa la persona handicappata è in grado dì fare (o non fare).

La nuova legge deve quindi chiarire che ci so­no gradualità diverse di autonomia, per cui, a seconda della compromissione delle capacità dovute alla minorazione, potremo avere:

1) persone che, benché handicappate, lavora­no al pari degli altri;

2) persone che hanno una capacità lavorativa ridotta, e, quindi, meno occasioni di colloca­mento, ma che sono ugualmente capaci di una resa produttiva proficua;

3) persone che, a causa della limitata o nulla autonomia, non sono in grado di esprimere una capacità lavorativa proficua.

 

Rivedere i criteri per l'accertamento d'invalidità

Occorre modificare gli attuali criteri di accer­tamento dell'invalidità introducendo valutazioni che individuino il grado di autonomia che la per­sona può esprimere e la sua capacità lavorativa.

L'obiettivo è rendere produttivo ogni handi­cappato che ha le potenzialità per diventare un lavoratore, e assicurare quindi allo Stato un cit­tadino attivo e contribuente, eliminando a monte il suo bisogno di ricorrere alla pensione di inva­lidità.

Tutte le persone con capacità lavorativa, pie­na o ridotta, compresi gli handicappati intellettivi e le persone con disturbi mentali, devono esse­re avviate in normali posti di lavoro, evitando luoghi di lavoro separati per soli handicappati. Ciò ridurrebbe anche l'attuale ricorso indiscri­minato a strutture assistenziali di ricovero.

 

Ricercare il posto giusto per ciascuno è l'obiettivo della riforma del collocamento obbligatorio

La persona handicappata non deve più esse­re avviata al lavoro solo in base al punteggio maturato nella lista di iscrizione al collocamento e alla sua percentuale di invalidità.

La richiesta è di introdurre, finalmente, il col­locamento al lavoro mirato, di competenza della commissione circoscrizionale per l'impiego e con il supporto dei servizi dell'ente locale pre­posto in materia di lavoro e formazione profes­sionale di tutti i cittadini.

Resta quindi fondamentale prevedere nella nuova legge interventi, anche economici, per l'eli­minazione degli ostacoli che possono impedire una piena capacità lavorativa. Per esempio, per gli handicappati fisici, a volte basta l'ausilio di strumenti particolari (la tecnologia offre non po­chi vantaggi in questo ambito) o qualche adatta­mento del posto di lavoro (a volte anche solo uno scivolo per eliminare le barriere architettoniche).

 

LE NOSTRE RICHIESTE PER UNA NUOVA LEGGE SUL COLLOCAMENTO

 

1 - La legge sul collocamento deve riguardare solo gli handicappati.

Devono essere individuati altri percorsi protetti, nell'ambito del collocamento normale, per tutte le situazioni sociali (profughi, vedove, ...) che, oggi, impropriamente sono inserite nell'ambito del col­locamento al lavoro degli handicappati.

È evidente che, a parità di condizioni, per l'im­presa è logico e opportuno assumere i primi, a scapito evidente degli altri.

 

2 - Mantenere l'obbligatorietà del collocamento al lavoro delle sole persone handicappate (fisi­ci, sensoriali, intellettivi; psichiatrici) che deve attuarsi sia nell'ambito pubblico, che privato.

Va categoricamente escluso il finanziamento in una legge per il lavoro di forme assistenziali, quali sono le attività protette in laboratori o centri per soli handicappati.

Tali situazioni impediscono la piena realizza­zione e crescita personale, professionale e so­ciale della persona handicappata, che ha diritto, come ogni altro cittadino, ad essere collocata in ambienti normali di lavoro.

 

3 - La quota di riserva del collocamento obbli­gatorio è prevista nella misura del 7%

Poiché si riduce fortemente il numero dei sog­getti tutelati (orfani, vedove, profughi, ... devono rientrare in un'altra legge) e si introduce il collo­camento mirato, si ritiene che la percentuale ob­bligatoria del 7% sia più che adeguata per sod­disfare le esigenze di collocamento. Naturalmente tale percentuale dovrà essere comprensiva di una quota di handicappati con "piena capacità lavorativa" e di una quota di handicappati "con ridotta capacità lavorativa".

Non vanno esclusi dall'obbligo di assunzione partiti, sindacati, enti di ricerca, culturali e di assi­stenza.

 

4 - Incentivi sì, ma a seconda del grado di ca­pacità lavorativa espressa.

Eventuali incentivi, sgravi fiscali, premi da pre­vedere per le imprese che assumono persone handicappate vanno previsti (a carico dell'ente locale delegato in materia di lavoro) in misura proporzionale alla capacità lavorativa espressa dalla persona handicappata. Naturalmente non dovrebbero essere erogati nel caso di handi­cappati che - collocati in modo mirato - rag­giungono una capacità produttiva piena, svol­gendo il proprio lavoro con la stessa professio­nalità degli altri colleghi.

Sono anche da prevedere eventuali sostegni economici per:

. l'adeguamento del posto di lavoro (elimina­zione delle barriere architettoniche, messa a di­sposizione di ausili, attrezzature particolari);

. l'incentivazione di inserimenti di persone con ridotta capacità lavorativa in aziende non sog­gette al collocamento obbligatorio al lavoro (commercianti, artigiani, cooperative ...).

Ovviamente i contributi, eventualmente previ­sti per l'avviamento al lavoro, devono essere erogati a tutte le aziende - pubbliche e private - che assumono handicappati con ridotta capaci­tà lavorativa (non solo quindi alle cooperative come accade per io più oggi) al fine di aumenta­re le occasioni e opportunità di lavoro.

 

5 - Eventuali esoneri devono avere carattere di eccezionalità ed essere normati.

Le sanzioni non devono essere solo pecunia­rie, ma anche dirette alla cessazione di privilegi; ad esempio le commesse pubbliche devono es­sere concesse solo alle aziende in regola con le assunzioni obbligatorie.

 

6 - Per quanti non raggiungono una capacità la­vorativa proficua, si deve precisare che è com­pito del settore assistenziale degli enti locali, prevedere le risorse necessarie per l'attivazione degli interventi indicati dalla legge quadro sull'handicap n. 104/1992 per le persone in si­tuazione di gravità.

Naturalmente ciò non esclude che, in caso di mutamento dell'autonomia e della capacità lavo­rativa della persona interessata, questa possa scegliere conseguentemente altri percorsi di av­viamento al lavoro.

 

FALSI INVALIDI, LAVORO NERO E DOPPIO LAVORO, PENSIONI BABY

 

Per dare lavoro a tutti, compresi gli handicap­pati che possono avere una capacità lavorativa, è indispensabile assumere delle iniziative co­raggiose per debellare quelle che sono ormai piaghe ripetutamente denunciate.

Non dobbiamo dimenticare che la situazione attuale è anche il risultato di un certo malcostu­me.

Se è vero che esistono i falsi invalidi, ci0 è possibile perché precise condizioni politiche, le­gislative, sociali hanno voluto tale fenomeno e ne hanno permesso lo sviluppo e l'estensione.

La valutazione della capacità lavorativa (e non solo della percentuale di invalidità) permettereb­be finalmente di assicurare a chi realmente ha il diritto dì essere aiutato, il collocamento obbliga­torio, con l'ovvia esclusione dei falsi invalidi, che hanno impedimenti così lievi da mantenere una piena autonomia.

Ancora i fruitori di "baby pensioni", le persone che svolgono due lavori (di cui uno in nero) per­ché occupano posti con facilitazioni di orari e mancanza di controlli, hanno distolto e distolgo­no consistenti quote di posti che potevano es­sere occupati da chi, anche handicappato, cer­ca lavoro per vivere.

 

SCUOLA DELL'OBBLIGO

 

II diritto all'educazione e all'istruzione va assi­curato nelle sezioni e classi comuni anche per coloro che risultano gravemente limitati nella lo­ro autonomia.

Deve essere rispettato il diritto all'educazione e all'istruzione per tutti, nelle scuole statali e non statali, pubbliche e private, a partire dall'asilo ni­do.

La nostra richiesta è che siano assicurati gli insegnanti di sostegno in numero adeguato a consentire nei fatti il diritto allo studio degli alun­ni handicappati nelle scuole pubbliche e siano avviate le iniziative necessarie per l'integrazione nelle scuole private.

 

Scuola superiore e formazione professionale

La sentenza della Corte costituzionale n. 215 del 3 giugno 1987 ha assicurato il diritto alla fre­quenza della scuola secondaria superiore per tutti gli handicappati.

Per quanto riguarda, invece, l'art. 17 della successiva legge 104/1992, si chiede che alle Regioni siano assicurati i seguenti interventi:

- forme di sostegno per le persone con handi­cap che possono frequentare le classi comuni nei normali centri di formazione professionale,­

- corsi di formazione prelavorativa, comprensi­va di stages di formazione in aziende pubbliche e private, per gli handicappati intellettivi che non sono in grado di seguire i corsi normali di for­mazione professionale neppure avvalendosi dei sostegno;

- corsi di riqualificazione con momenti di for­mazione in situazione reale per quei soggetti che, a seguito di malattie, incidenti... debbano necessariamente modificare la loro condizione lavorativa e professionale.

 

CONCRETA ATTUAZIONE DEGLI ARTICOLI 9 (SERVIZIO DI AIUTO PERSONALE) E 10 (INTERVENTI A FAVORE DI PERSONE CON HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITÀ)

 

In materia di assistenza, la legge 104/1992 non ha stabilito nulla di prescrittívo a carico del­le Regioni e degli enti locali.

Chiediamo quindi che il Parlamento provveda a modificare gli artt. 9 e 10 imponendo alle Re­gioni di rendere obbligatorio per gli enti titolari o delegati all'esercizio delle attività socio-assi­stenziali (USL e Comuni) l'istituzione di:

1) Interventi di sostegno della singola persona o del nucleo familiare, in particolare sotto forma di:

1.1) assistenza economica, finalizzata ad assi­curare il minimo vitale alle persone singole ed ai nuclei familiari presso cui vivano persone handi­cappate che, non potendo accedere ad una atti­vità lavorativa, non dispongano di un reddito sufficiente per vivere autonomamente.

1.2) assistenza domiciliare ed assistenza per­sonale, attuata sia attraverso lo sviluppo di ser­vizi specifici da parte degli enti titolari o delegati all'esercizio dell'attività, sia attraverso la con­cessione al soggetto handicappato del contri­buto economico necessario al pagamento di una persona addetta all'espletamento di funzio­ni di assistenza personale e domiciliare, corri­spondente ai 2/3 della quota alberghiera della retta media di ricovero presso una istituzione socio-assistenziale;

2) interventi di sostituzione, anche solo tempo­ranea, del nucleo familiare ove le iniziative previ­ste al punto precedente risultino assolutamente impraticabili;

2.1) segnalazione all'autorità giudiziaria delle situazioni di abbandono ed interventi previsti dalla legge 184/1983;

2.2) affidamenti ed inserimenti presso famiglie, nuclei parafamiliari;

2.3) inserimenti in appartamenti protetti, con massimo di 4 posti per appartamento, per sog­getti disabili in grado di autogestirsi con l'ap­poggio saltuario di idoneo personale;

2.4) inserimento in comunità alloggio aventi una capienza massima di 8 posti, non accorpate tra di loro ed inserite nel vivo del contesto socia­le ed abitativo (il fabbisogno calcolato è di alme­no 1 comunità ogni 30.000 abitanti);

3) predisposizione di centri diurni socio-assi­stenziali a valenza educativa, che perseguano lo scopo di rendere possibile la vita di relazione a persone con grave handicap intellettivo, ultra­quindicenni, le cui condizioni o potenzialità non consentano prevedibilmente alcun inserimento lavorativo proficuo.

I centri diurni socio-assistenziali debbono es­sere aperti per un numero di giorni non inferiori a 5 alla settimana, per un monte ore complessi­vamente non inferiore a 40 ore settimanali.

La capienza dei centri diurni socio-assisten­ziali non dovrà in ogni caso superare il numero di 25 posti.

 

OBBLIGHI DEI COMUNI NEI CONFRONTI DELLE PERSONE INABILI E SPROVVISTE DEI MEZZI DI SUSSISTENZA (1)

 

I Comuni - e non i parenti - sono obbligati a provvedere al mantenimento della persona ina­bile maggiorenne e sprovvista dei mezzi di sus­sistenza (art. 38 della Costituzione).

Attualmente si verifica, invece, che gli enti lo­cali chiedano ai parenti degli assistiti maggio­renni di contribuire al pagamento della retta per il ricovero in comunità (o istituti) e per la fre­quenza di centri diurni assistenziali.

In base all'art. 433 e segg. del codice civile spetta esclusivamente all'assistito chiedere contributi economici ai propri parenti; in caso di controversia fra i congiunti, solo il giudice può stabilire se i contributi devono essere versati dai parenti ed il loro eventuale importo.

Anche alla luce dei pareri espressi dalla Pre­sidenza del Consiglio dei Ministri (nota del 15 aprile 1994, prot. DAS/4390/1/H/795 e dal Mini­stero dell'interno (lettera del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70), della presa d'atto della Provin­cia di Torino (lettera del 16.9.1994 prot. 120383), della circolare del 23 dicembre 1994, prot. 11752/530 dell'Assessore all'assistenza della Regione Piemonte, della mozione approva­ta dal Consiglio regionale della Lombardia in da­ta 23 febbraio 1995), si chiede l'effettivo ricono­scimento, peraltro sancito dalle leggi vigenti, di quanto segue:

- esonero dei parenti dal pagamento di ogni contributo per l'assistenza di propri congiunti handicappati maggiorenni;

- gratuità delle prestazioni per i soggetti han­dicappati maggiorenni, frequentanti i centri diur­ni e aventi un reddito non superiore al minimo vitale (si rammenta che l'indennità di accompa­gnamento non è considerata reddito ai fini del computo);

- pagamento da parte dei soggetti ricoverati a tempo pieno delle rette di ricovero, in base al proprio reddito personale. In questo caso l'in­dennità di accompagnamento spetta all'ente che ricovera, che deve ovviamente provvedere alle necessità del soggetto.

Se le Regioni, le Province, i Comuni e le USL in­tendono assumere comportamenti conformi alle più elementari norme della giustizia sociale, è ne­cessario che aiutino veramente i genitori (o gli al­tri parenti o gli affidatari) che assumono volonta­riamente il frustrante impegno di tenere a casa loro il figlio maggiorenne (a volte anche di 40-50 anni!) anche se gravemente handicappato.

La messa a disposizione gratuita (mensa e trasporto compresi) di un centro diurno aperto almeno 40 ore settimanali, è la misura minima assolutamente indispensabile per il soggetto handicappato e per i suoi congiunti.

 

INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO: COME SUPERARE LE ATTUALI SPEREQUAZIONI E INDIVIDUARE NUOVI ELEMENTI DI VALUTAZIONE

 

Numerose sono le situazioni di disparità di trattamento nei confronti di cittadini che hanno uguali bisogni; è comunque certo che gli atteg­giamenti sociali negativi e gli stereotipi sui falsi invalidi derivano anche da questa realtà.

La libertà dal bisogno e i diritti di cittadinanza sociale devono derivare dall'applicazione dei principi costituzionali ed in particolare dal crite­rio che ad uguali bisogni devono corrispondere uguali prestazioni.

Ad esempio: un invalido totale per cause di guerra o di servizio percepisce circa 5 milioni mensili, ha diritto a 3 accompagnatori e può es­sere in grado di svolgere un'attività lavorativa proficua; un invalido per cause civili ottiene complessivamente un milione al mese e nient'al­tro, anche quando abbia bisogno di assistenza continua e non possa svolgere nessun lavoro.

Auspichiamo una soluzione che stabilisca il principio dell'uguaglianza delle opportunità, in modo che a parità di perdita di autonomia vi sia parità di trattamento.

 

 

(*) Documento redatto nel novembre 1995 dal Gruppo nazionale "Handicappati e società", segreteria c/o Maria Grazia Breda, CSA - Torino, Via Artisti 36, 10124 Torino, te­lefono 011-812.44.69 - fax 011-812.25.95.

(1)     Si fa presente che la legge 6535/1889 e l'art. 154 dei R.D. 18.6.1931 n. 77 obbligano i Comuni ad assistere gli handicappati minorenni e maggiorenni privi di sostegno fa­miliare.

 

 

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