NOVITA E RAZIONALITA’ NELLA CURA
DELL'ANZIANO
MARCO TRABUCCHI e RENZO ROZZINI (1)
«Novità» e «razionalità» sembrano due termini atipici quando si discute di vecchiaia: per troppo tempo
stereotipi pseudoscientifici hanno caratterizzato un
atteggiamento negativo individuale e collettivo verso l'uomo che invecchia. Il
richiamo a criteri di razionalità e di novità si fonda su dati obiettivi della
moderna ricerca scientifica, che permettono di rivoluzionare i punti di vista
tradizionali sulle modalità intrinseche che segnano i processi di invecchiamento e quindi sulle caratteristiche di
interventi sanitari mirati e specifici.
L'interpretazione delle condizioni di salute ha
subito profonde modificazioni negli ultimi anni. infatti
si è raggiunto il convincimento che il benessere psichico e fisico dell'uomo
non può essere determinato come insieme di osservazioni singole di parametri
indipendenti, ma come equilibrio complessivo, che si assesta a livelli diversi
alle varie età, controllato dalla struttura genetica, dalla storia
individuale, dalle condizioni di vita dei gruppi sociali. In questa prospettiva
anche i processi di invecchiamento non vengono più
interpretati come eventi catastrofici, necessariamente associati ad una
condizione di malattia: sono l'evoluzione naturale della struttura fisica e
psichica dell'individuo e come tali subiscono fortemente l'influenza delle
condizioni nelle quali la vita stessa si sviluppa.
L'anziano perde molta della sua libertà per motivi
sociali, economici, psicologici, fisici: questa deve essere riconquistata,
almeno per quella porzione più direttamente dipendente dalla volontà del
singolo e dalla sua capacità di controllare e di migliorare lo stile di vita.
Il corpo dell'uomo non deve avere nulla di misterioso e di segreto: la scienza
e la medicina hanno chiarito molti dei meccanismi che regolano la vita normale
e la comparsa di malattia; certamente nel prossimo futuro sapremo
conoscere anche aspetti oggi meno chiari.
L'anziano e la salute
L'anziano ha diritta alla salute: se conosce meglio
se stesso è anche capace di chiedere al sistema sanitario di non essere
trascurato e considerato un «malato necessario», soltanto a ragione dei propri
anni. Così potrà pretendere di essere curato con il necessario impegno, senza pessimismi
o interventismi eccessivi. Questo atteggiamento non
provocherà la comparsa di «malattie immaginarie», né faciliterà tentativi di
automedicazione o il desiderio di «fare da sé» anche quando non è opportuno;
darà anzi il senso del limite e indicherà l'esigenza di ricorrere al sistema
sanitario quanto realmente è necessario, per ricevere indicazioni e
trattamenti utili e non banali. D'altra parte, la medicina deve affrontare e
risolvere i problemi specifici posti da un numero sempre più ampio di persone
con problemi di salute, che hanno diritto alla guarigione o a ritrovare un
equilibrio della propria condizione.
A tutte le età, la maggior parte delle persone
mantiene il proprio livello di capacità intellettuale e anzi, talvolta,
invecchiando, lo migliora. Tra l'età di 60 e 70 anni, meno del 30% dei soggetti
presenta una caduta delle capacità mentali e psicologiche; tra gli 80 e i 90
anni circa il 40% mostra un certo declino, mentre una piccola
parte, significativamente, continua a migliorare. Perfino fra 74 e 81
anni, almeno il 10% delle persone esaminate aumenta
le proprie prestazioni rispetto ai periodi precedenti.
Questi studi hanno fatto percorrere una lunga strada
alle false ipotesi secondo le quali l'intelligenza raggiunge il massimo a 16
anni e poi diminuisce, per cui invecchiare sarebbe
oggettivamente una malattia. D'altra parte, è certo che la qualità della vita
delle persone esaminate incide profondamente sulle capacità intellettive: si conferma quanto già noto, cioè che i processi cerebrali
che producono l'intelligenza non sono «autonomi» e «indipendenti», ma
strettamente legati al complesso della vita dell'uomo.
L'ambiguità che apparentemente caratterizza la vita
del vecchio (senectus
est - aut non est - ipsa
morbus?) si riflette anche nella pratica geriatrica,
dibattuta tra una clinica caratterizzata salo per l'età del paziente ed una
medicina con visione più larga, che assume responsabilità e compiti per tutta
la durata della vita dell'uomo. Recentemente in vari paesi - e particolarmente
negli Stati Uniti - la geriatria si è affermata come specialità a sé stante,
con riconoscimenti accademici e pratici; questo fatto ha stimolato il dibattito
- non sempre disinteressato - sui contenuti della specialità stessa. Il mondo accademico cerca di fondare su precise basi
scientifiche e di ricerca la pratica geriatrica,
perché si ritiene non vi possa essere una scienza - seppure connotata
fortemente In senso operativo - senza una forte base culturale.
Ma verso quale ricerca si muove la geriatria? Molti si
sono posti una domanda centrale a questo proposito: quanto sono
importanti nuove conoscenze per difendere la salute degli anziani? Le risposte
fornite tendono spesso a contrapporre l’importanza della ricerca biologica rispetto
alla identificazione di nuovi sistemi dì organizzazione
sociale che regolano più o meno direttamente la vita del vecchio (interazioni
tra persone, abitazioni, trasporti, condizioni economiche, sistemi di
assistenza, etc.). Sono più Importanti ad esempio, le conoscenze sui recettori
centrali per la dopamina o la capacità e l'esperienza
(frutto di un preciso training)
per seguire il vecchio nei diversi ambiti dove vive la propria vita?
Le posizioni estreme - che spesso sono espressione
della cultura di «provenienza» di chi le difende - arrecano un grave danno allo
sviluppo di un sistema integrato di teoria e di prassi, che solo
permetterebbe di affrontare gli immani problemi di salute posti
dall'invecchiamento della popolazione, nel tentativo di migliorare ambiguità
«oggettive», come cercano dì fare le scuole più progredite.
Ma non è compito facile.
L'invecchiamento dell'uomo ed il
cervello
Un momento unitario nell'interpretazione della vita
dell'anziano può essere ritrovato nella lettura dei dati sul funzionamento
dell'encefalo, come è indicato dalle più recenti
scoperte delle neuroscienze, che delineano i1
cervello come elemento centrale nell'esperienza dell'individuo e come garanzia
di continuità tra il passato ed il futuro.
La continua lineare modificabilità del sistema
encefalico ad opera degli eventi vitali trova un
fondamento sulla struttura anatomica degli aggregati neuronali
a vari livelli, che esprime una forte potenzialità di plasticità. In
particolare, la comprensione dei meccanismi dì modulazione ha permesso di
conoscere l'infinita gamma di outputs
che può essere prodotta da un sistema sinaptico.
Superando il modello classico della trasmissione neuronale, modernamente sì ritiene che ogni neurone possa
avere circa 15.000 connessioni sinaptiche a livello
del corpo cellulare, dell'assone, dei dendriti. Inoltre è stata descritta la possibilità che il
messaggio trasmesso a livello di ciascuno di questi
punti di contatto non sia rigido, ma modulato dal concorrere di più trasmettitori
a determinarne la qualità. Infatti un trasmettitore
può interferire sia a livello presinaptico sia a
livello recettoriale con il passaggio del messaggio
ad opera di un altro trasmettitore, producendo effetti modulati, secondo
un'infinita gamma di possibilità. È stato dimostrato - a questo proposito -
che più di un trasmettitore può coesistere all'interno di uno stesso neurone.
Un esempio tra i più studiati è quello della sinapsi dopaminergica,
il cui funzionamento è regolato anche da neurotrasmettitori
peptidergici, che agiscono a livello della sintesi,
della liberazione, della ricaptazione e del legame
con il complesso recettoriale da parte della dopamina stessa.
Recenti ricerche - limitate a precisi modelli
sperimentali - hanno indicato anche la possibilità che in condizioni
particolari - cioè in risposta a stimoli specifici -
possa avvenire una neoformazione di nuovi contatti sinaptici:
si tratta di un'ipotesi rivoluzionaria rispetto agli schemi tradizionali, che,
però, qualora fosse confermata aprirebbe grandi possibilità interpretative sul
fenomeno della plasticità.
Un'altra caratteristica fondamentale dell'encefalo -
importante per regolare la potenzialità del sistema - è la ridondanza; anche
eventuali riduzioni del complesso delle popolazioni neuronali
(che d'altra par-te sono quantitativamente molto limitate) non
modificano sostanzialmente le capacità operative di una struttura (il cervello)
in grado d'attivare plasticamente eventuali sistemi
silenti e quindi di garantire la «normalità» del funzionamento, intesa in
termini dinamici.
Gli studi dei processi neurochimici
che sottostanno all'invecchiamento cerebrale dell'uomo
hanno dovuto scontrarsi negli ultimi anni con ipotesi vecchie e non fondate,
che tendevano ad identificare un evento specifico con fenomeni generalizzati
di decadenza. Un complesso di affermazioni errate e
di interessi commerciali ha sostenuto l'ipotesi di lesioni vascolari
arteriosclerotiche come elemento fondamentale nel determinare l'evoluzione
biologica del cervello con gli anni; d'altra parte, anche ipotesi più raffinate
su una diffusa alterazione del metabolismo lipidico e proteico - con
conseguente disgregazione delle funzioni di membrana - non sono state confermate
alla luce della specificità di area e di funzione degli eventi età-dipendenti.
Il criterio della ricerca di meccanismi caratterizzanti
in maniera selettiva il trascorrere del tempo sulla struttura biologica ha
informato la ricerca in questo campo, volta a identificare un possibile
pace-maker dell'invecchiamento cerebrale.
Allo stato attuale delle conoscenze non è ancora
possibile indicare in un solo neurotrasmettitore o
in una singola popolazione neuronale un fattore
regolatore dell'invecchiamento cerebrale: è però stato compiuto un grosso progresso
negli ultimi anni, quando si è passati da un atteggiamento descrittivo ad uno interpretativo, teso a cogliere nella mole dei dati
offerti dalla ricerca una linea che potesse essere rilevante, da una parte per
comprendere i meccanismi fisiopatologici
dell'invecchiamento, dall'altra per meglio identificare possibili approcci
«umani», utili per collocare l'encefalo al centro del rapporto tra l'anziano e
la sua esperienza vitale.
Il cervello è quindi garanzia di continuità e
strumento fondamentale per la difesa della salute nel vecchio.
Invecchiare non è una malattia
Questi studi di carattere neurobiologico
hanno modificato in maniera molto incisiva la cultura sull'invecchiamento e
quindi - presto - anche il modo con il quale l'uomo può dirigere la propria
vita.
Molti hanno la possibilità di scegliere una terza
età nella serenità purché si voglia «dirigere» la propria vita e non essere
diretti dagli eventi. Viviamo in una società che lentamente, ma sicuramente,
accetta la libertà di tutti... è una strada lunga, ma che ogni giorno è più
larga di quella di ieri. L'incontro tra una sensibilità umana sempre più attenta
e una scienza in grande progresso permette oggi di
affermare che «Invecchiare non è una malattia».
Questa precisazione sull'invecchiamento che può
essere vissuto in salute è un'importante premessa
anche a considerazioni sulla malattia del vecchio: infatti troppo spesso un
atteggiamento genericamente pessimista compromette fin dall'inizio qualsiasi scelta
precisa a favore dell'anziano che si ammala e per il mantenimento della sua
salute.
Lo studio delle dinamiche
che caratterizzano l’equilibrio-salute dell'anziano porta ad identificare una
sostanziale e fondamentale unità della struttura psichica e somatica: la
vecchiaia raoppresenta il momento della vita nel
quale questa identificazione raggiunge il massimo livello. Non è quindi
possibile programmare interventi senza un'attenzione continua all'«essere nel
mondo» dell'anziano e alle influenze che lo stato della mente esercita sulle possibilità
di mantenere o riconquistare una condizione di benessere.
Questo criterio ha indotto lo sviluppo in campo geriatrico di una serie di
metodologie di rilevazione accurata dei bisogni; ha cioè portato ad una
considerazione sistematica - come premessa di qualsiasi intervento - delle
capacità somatiche, mentali, sociali, funzionali. Solo un'attenta
osservazione permette di progettare approcci all'anziano che non siano
tentativi isolati e spesso fallimentari di modificare questa o
quella situazione, ma progetti di «cura globale» dell'uomo (che è soma,
psiche, dinamiche relazionali).
Il passare degli anni induce profonde
modificazioni della struttura della persona, che a loro volta
caratterizzano una forte variabilità individuale; è quindi poco corretto
progettare interventi di ordine generale, senza la premessa di un'indagine
approfondita dei bisogni soggettivi ed oggettivi. La vecchiaia, d'altra parte,
proprio perché riduce le capacità adattative, aumenta
le influenze reciproche delle varie condizioni, imponendo un'analisi unitaria delle diverse dinamiche esistenziali.
L'osservazione della realtà
dell'uomo che invecchia consente di capire che la salute non è una «variabile
indipendente», che segue leggi autonome ma che, invece, è profondamente
influenzata dalle condizioni generali di vita. Ad esempio, è stato dimostrato che le condizioni
di povertà e di disagio sociale lasciano un segno profondo
a livello somatico. È possibile dimostrare un'influenza diretta della povertà
sulla salute fisica e sullo stato funzionale: i soggetti ignoranti,
indigenti, isolati e depressi passano più giornate a letto per malattia e
presentano un deterioramento dello stato funzionale più grave dei coetanei non
«poveri» a causa di una serie di ragioni oggettive, che vanno
dall'esistenza di precarie condizioni abitative ad un'alimentazione scarsa e
non razionale, a una ridotta capacità complessiva di autogestione (non
osservanza delle regole igieniche, non abitudine a un rapporto positivo con le
strutture sanitarie, abuso di fumo, alcool, scarsa attività motoria, ecc.). Il
concetto di condizioni di povertà può essere esteso ad una serie di situazioni
organizzative che caratterizzano la vita del vecchio: basta pensare alle case
di riposo, all'assistenza fornita in molti ospedali, all'oggettiva ignoranza di
molti operatori sulle caratteristiche specifiche che identificano
l'invecchiamento. La fragilità dell'anziano viene
interpretata in termini generali, come non bisognosa di conoscenze tecniche
mirate.
Recentemente l'editoriale di una rivista gerontologica intitolava: «Democracy and not demoqraphy», per esprimere l'importanza di un'attenzione
specifica ed accurata ai bisogni dei singoli anziani, abbandonando la pratica
- irrilevante sul piano umano - delle indagini demografiche, in grado di
descrivere i grandi numeri - la cui evoluzione ormai è nota -
ma assolutamente insufficienti per una reale programmazione delle
risposte. Valga un esempio: recentemente è giunta alla nostra attenzione una
signora ottantenne, sposata con un coetaneo, la quale dopo il ricovero in casa
di riposo ha iniziato ad abusare d'alcoolici. Un
colloquio approfondito ha portato ad identificare la causa dell'abuso nella
sospensione di ogni rapporto sessuale con il marito,
imposta per imprecisate ragioni da parte del medico della casa di riposo. Il
cambiamento d'abitudini aveva fatto comparire ansia, insonnia ed una forte angoscia di morte che la signora combatteva con l'alcool.
Certamente, in base alle statistiche, la sessualità negli ottantenni può
essere interpretata come un fenomeno marginale, mentre
solo una attenzione alla realtà vitale permette interventi che - almeno - non
siano fonte di danno. Si tratta di un semplice caso clinico, che però indica come da un'osservazione attenta ed accurata
dell'«essere nel mondo» si possono ottenere indicazioni pratiche molto più
precise che non dal dato demografico.
Un altro particolare contributo della cultura geriatrica al miglioramento delle condizioni di vita
dell'anziano è stata la valorizzazione della vita stessa come entità precedente
qualsiasi considerazione di ordine economico o
produttivo. È stato calcolato che un'analisi del rapporto costi-benefici nell'anziano porta necessariamente ad una conclusione
negativa, se l'unico parametro utilizzato sotto la voce benefici è la «capacità
produttiva». La vita dell'uomo deve essere difesa non per un ipotetico valore
economico, ma perché la conquista della dignità e della libertà di tutti è il
principale obiettivo di qualsiasi organizzazione sociale; e questo
obiettivo è ancora più delicato quando è in gioco la dignità di chi ha
già dato molto alla collettività ed è oggettivamente più fragile.
Che fare?
Al di là di interessi o di sensibilità particolari, le strutture
civili hanno compreso che sul piano economico ed organizzativo sarà molto
difficile garantire un domani sereno a milioni di anziani se non si ricercano
oggi ipotesi nuove di crescita collettiva.
Non si deve proporre un modello di interventi
basato soltanto sulla generosità e disponibilità personali, ma si devono
indicare le linee di uno sviluppo sociale nel quale trovi posto l'attenzione
verso la prevenzione, l'intervento mirato e il recupero rispetto ai momenti di
crisi. La fiducia sulle possibilità reali di costruire questo modello è data
non solo dalla certezza della plasticità della persona in termini somatici e
psichici a tutte le età, ma anche dalla coscienza che la struttura sociale non
è definitivamente bloccata in ruoli e funzioni, dominati dall'ingiustizia e dalla sopraffazione. È però necessario un forte contributo
di volontà, di cultura e di «caritas», per riuscire a delineare
progetti realistici. Devono essere abbandonate anche le visioni pessimistiche,
che interpretano solo in senso negativo per l'anziano le modificazioni del
costume degli ultimi anni; pur nell'ingiustizia spesso diffusa, la condizione
del vecchio oggi è meno tragica rispetto ai decenni scorsi. È migliorata la
nostra capacità di leggere la realtà, per cui appare
più evidente ogni situazione di crisi, un tempo mascherata e silenziosa.
Il mondo degli anziani, con la sua fortissima
variabilità individuale, richiede un grande equilibrio tra proposte collettive
e proposte per il singolo, la lunghezza della storia vissuta da ciascun
vecchio e le condizioni oggettive attuali impongono soluzioni diversificate, molto difficili da individuare affidandosi
solo agli schemi consueti di analisi.
Molte malattie dell'anziano possono essere più
facilmente controllate se il paziente non raggiunge la fase nella quale
l'equilibrio-salute è gravemente compromesso dalla
malattia. La diagnosi precoce può evitare o abbreviare l'ospedalizzazione,
con indubbi vantaggi sul piano umano per il paziente e, sul piano economico,
per il sistema sanitario. Tra gli interventi utili in senso preventivo si sottolinea l'importanza della preparazione di un libretto
sanitario accurato per ogni anziano, che raccolga la storia clinica passata e
descriva in maniera analitica le condizioni psicofisiche attuali. Questo deve
divenire il punto di partenza per ogni ulteriore
rapporto con il sistema sanitario, evitando sprechi, interventi scorretti e
ripetitivi, dimenticanze pericolose, ecc. Il libretto dovrebbe inoltre essere
un mezzo efficace per una progressiva educazione sanitaria dell'anziano.
Sempre sul piano preventivo, la medicina moderna ha
confermato l'utilità di indagini epidemiologiche su
gruppi omogenei, dirette a caratterizzare lo stato di salute del singolo e
della popolazione anziana nel suo complesso.
In questo modo è possibile attuare diagnosi precoci e
impostare seri piani di prevenzione a livello individuale e collettivo,
individuando i fattori di rischio delle varie patologie.
Nell'ambito di interventi
che hanno un significato di prevenzione della perdita di autonomia vanno
collocati anche i servizi alla persona (centri sociali, assistenza
domiciliare, ecc.). Questi (attraverso un miglioramento della qualità complessiva
della vita dell'anziano) rappresentano un indispensabile complemento della
difesa della salute.
Nonostante ogni sforzo di tipo preventivo, i problemi
medici dell'anziano coprono però sempre uno spazio
molto ampio; i risultati che la medicina ha conseguito nell'aumento della
speranza di vita hanno portato alla sopravvivenza di una parte della
popolazione affetta da esiti invalidanti di patologia acuta e da patologia
cronica (per definizione non guaribile). Questo fatto da un lato ha espanso la
gamma dei problemi medici posti alle strutture sanitarie, dall'altro ha determinato
la necessità di soluzioni diversificate. Nell'ambito
della medicina geriatrica si rende indispensabile la
creazione di tutte le strutture razionalmente previste
per le esigenze sanitarie dell'anziano, affinché ognuna dì esse risponda al
particolare problema per cui è progettata e non debba supplire invece alla
mancata realizzazione di altre.
L'intervento medico nei riguardi dell'anziano è
individuabile nella concretizzazione di un numero adeguato di strutture
ospedaliere idonee alla cura (unità di degenza ospedaliera ad impronta riabilitativa;
divisioni di diagnosi e di terapia prolungata o di lungodegenza riabilitativa), di ospedali diurni, di poliambulatori, di strutture residenziali sanitarie non
ospedaliere e di prestazioni sanitarie domiciliari ben organizzate.
Sono problemi enormi, per i quali spesso mancano
progetti razionali, perché non sempre vi é consenso anche da parte dei tecnici
sulle soluzioni più appropriate. Manca una seria preparazione del personale,
che trasformi la generosità individuale in organiche prestazioni collettive,
manca un serio coordinamento territoriale tra le diverse strutture, non vi sono
conoscenze specifiche sulle condizioni che determinano la perdita
dell'autosufficienza da parte dell'anziano.
Nonostante mille interrogativi e risposte parziali si inizia però ad intravvedere una
linea di cambiamento positivo: è una speranza fondata su basi razionali.
(1) Dipartimento di Medicina
sperimentale - IIª Università di Roma.
www.fondazionepromozionesociale.it