Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

NOVITA E RAZIONALITA’ NELLA CURA DELL'ANZIANO

MARCO TRABUCCHI e RENZO ROZZINI (1)

 

 

«Novità» e «razionalità» sembrano due termini atipici quando si discute di vecchiaia: per troppo tempo stereotipi pseudoscientifici hanno caratte­rizzato un atteggiamento negativo individuale e collettivo verso l'uomo che invecchia. Il richiamo a criteri di razionalità e di novità si fonda su dati obiettivi della moderna ricerca scientifica, che permettono di rivoluzionare i punti di vista tradizionali sulle modalità intrinseche che segna­no i processi di invecchiamento e quindi sulle caratteristiche di interventi sanitari mirati e spe­cifici.

L'interpretazione delle condizioni di salute ha subito profonde modificazioni negli ultimi anni. infatti si è raggiunto il convincimento che il be­nessere psichico e fisico dell'uomo non può es­sere determinato come insieme di osservazioni singole di parametri indipendenti, ma come equi­librio complessivo, che si assesta a livelli diversi alle varie età, controllato dalla struttura geneti­ca, dalla storia individuale, dalle condizioni di vita dei gruppi sociali. In questa prospettiva an­che i processi di invecchiamento non vengono più interpretati come eventi catastrofici, neces­sariamente associati ad una condizione di malat­tia: sono l'evoluzione naturale della struttura fisica e psichica dell'individuo e come tali subi­scono fortemente l'influenza delle condizioni nel­le quali la vita stessa si sviluppa.

L'anziano perde molta della sua libertà per mo­tivi sociali, economici, psicologici, fisici: questa deve essere riconquistata, almeno per quella por­zione più direttamente dipendente dalla volontà del singolo e dalla sua capacità di controllare e di migliorare lo stile di vita. Il corpo dell'uomo non deve avere nulla di misterioso e di segreto: la scienza e la medicina hanno chiarito molti dei meccanismi che regolano la vita normale e la comparsa di malattia; certamente nel prossi­mo futuro sapremo conoscere anche aspetti oggi meno chiari.

 

L'anziano e la salute

L'anziano ha diritta alla salute: se conosce me­glio se stesso è anche capace di chiedere al si­stema sanitario di non essere trascurato e con­siderato un «malato necessario», soltanto a ra­gione dei propri anni. Così potrà pretendere di essere curato con il necessario impegno, senza pessimismi o interventismi eccessivi. Questo at­teggiamento non provocherà la comparsa di «ma­lattie immaginarie», né faciliterà tentativi di au­tomedicazione o il desiderio di «fare da sé» an­che quando non è opportuno; darà anzi il senso del limite e indicherà l'esigenza di ricorrere al sistema sanitario quanto realmente è necessa­rio, per ricevere indicazioni e trattamenti utili e non banali. D'altra parte, la medicina deve affron­tare e risolvere i problemi specifici posti da un numero sempre più ampio di persone con proble­mi di salute, che hanno diritto alla guarigione o a ritrovare un equilibrio della propria condizione.

A tutte le età, la maggior parte delle persone mantiene il proprio livello di capacità intellettua­le e anzi, talvolta, invecchiando, lo migliora. Tra l'età di 60 e 70 anni, meno del 30% dei soggetti presenta una caduta delle capacità mentali e psi­cologiche; tra gli 80 e i 90 anni circa il 40% mostra un certo declino, mentre una piccola par­te, significativamente, continua a migliorare. Per­fino fra 74 e 81 anni, almeno il 10% delle perso­ne esaminate aumenta le proprie prestazioni ri­spetto ai periodi precedenti.

Questi studi hanno fatto percorrere una lunga strada alle false ipotesi secondo le quali l'intel­ligenza raggiunge il massimo a 16 anni e poi di­minuisce, per cui invecchiare sarebbe oggettiva­mente una malattia. D'altra parte, è certo che la qualità della vita delle persone esaminate incide profondamente sulle capacità intellettive: si con­ferma quanto già noto, cioè che i processi cere­brali che producono l'intelligenza non sono «au­tonomi» e «indipendenti», ma strettamente legati al complesso della vita dell'uomo.

L'ambiguità che apparentemente caratterizza la vita del vecchio (senectus est - aut non est - ipsa morbus?) si riflette anche nella pratica ge­riatrica, dibattuta tra una clinica caratterizzata salo per l'età del paziente ed una medicina con visione più larga, che assume responsabilità e compiti per tutta la durata della vita dell'uomo. Recentemente in vari paesi - e particolarmente negli Stati Uniti - la geriatria si è affermata come specialità a sé stante, con riconoscimenti accademici e pratici; questo fatto ha stimolato il dibattito - non sempre disinteressato - sui contenuti della specialità stessa. Il mondo acca­demico cerca di fondare su precise basi scienti­fiche e di ricerca la pratica geriatrica, perché si ritiene non vi possa essere una scienza - sep­pure connotata fortemente In senso operativo - senza una forte base culturale.

Ma verso quale ricerca si muove la geriatria? Molti si sono posti una domanda centrale a que­sto proposito: quanto sono importanti nuove co­noscenze per difendere la salute degli anziani? Le risposte fornite tendono spesso a contrappor­re l’importanza della ricerca biologica rispetto alla identificazione di nuovi sistemi dì organiz­zazione sociale che regolano più o meno diret­tamente la vita del vecchio (interazioni tra per­sone, abitazioni, trasporti, condizioni economi­che, sistemi di assistenza, etc.). Sono più Im­portanti ad esempio, le conoscenze sui recettori centrali per la dopamina o la capacità e l'espe­rienza (frutto di un preciso training) per seguire il vecchio nei diversi ambiti dove vive la pro­pria vita?

Le posizioni estreme - che spesso sono espressione della cultura di «provenienza» di chi le difende - arrecano un grave danno allo svi­luppo di un sistema integrato di teoria e di pras­si, che solo permetterebbe di affrontare gli im­mani problemi di salute posti dall'invecchiamento della popolazione, nel tentativo di migliorare am­biguità «oggettive», come cercano dì fare le scuole più progredite. Ma non è compito facile.

 

L'invecchiamento dell'uomo ed il cervello

Un momento unitario nell'interpretazione del­la vita dell'anziano può essere ritrovato nella let­tura dei dati sul funzionamento dell'encefalo, co­me è indicato dalle più recenti scoperte delle neuroscienze, che delineano i1 cervello come ele­mento centrale nell'esperienza dell'individuo e come garanzia di continuità tra il passato ed il futuro.

La continua lineare modificabilità del sistema encefalico ad opera degli eventi vitali trova un fondamento sulla struttura anatomica degli ag­gregati neuronali a vari livelli, che esprime una forte potenzialità di plasticità. In particolare, la comprensione dei meccanismi dì modulazione ha permesso di conoscere l'infinita gamma di out­puts che può essere prodotta da un sistema si­naptico. Superando il modello classico della tra­smissione neuronale, modernamente sì ritiene che ogni neurone possa avere circa 15.000 con­nessioni sinaptiche a livello del corpo cellulare, dell'assone, dei dendriti. Inoltre è stata descritta la possibilità che il messaggio trasmesso a li­vello di ciascuno di questi punti di contatto non sia rigido, ma modulato dal concorrere di più tra­smettitori a determinarne la qualità. Infatti un trasmettitore può interferire sia a livello presi­naptico sia a livello recettoriale con il passaggio del messaggio ad opera di un altro trasmettito­re, producendo effetti modulati, secondo un'infi­nita gamma di possibilità. È stato dimostrato - a questo proposito - che più di un trasmettitore può coesistere all'interno di uno stesso neurone. Un esempio tra i più studiati è quello della si­napsi dopaminergica, il cui funzionamento è re­golato anche da neurotrasmettitori peptidergici, che agiscono a livello della sintesi, della libera­zione, della ricaptazione e del legame con il com­plesso recettoriale da parte della dopamina stessa.

Recenti ricerche - limitate a precisi modelli sperimentali - hanno indicato anche la possibi­lità che in condizioni particolari - cioè in rispo­sta a stimoli specifici - possa avvenire una neo­formazione di nuovi contatti sinaptici: si tratta di un'ipotesi rivoluzionaria rispetto agli schemi tra­dizionali, che, però, qualora fosse confermata aprirebbe grandi possibilità interpretative sul fe­nomeno della plasticità.

Un'altra caratteristica fondamentale dell'ence­falo - importante per regolare la potenzialità del sistema - è la ridondanza; anche eventuali riduzioni del complesso delle popolazioni neuro­nali (che d'altra par-te sono quantitativamente molto limitate) non modificano sostanzialmente le capacità operative di una struttura (il cervel­lo) in grado d'attivare plasticamente eventuali si­stemi silenti e quindi di garantire la «normalità» del funzionamento, intesa in termini dinamici.

Gli studi dei processi neurochimici che sotto­stanno all'invecchiamento cerebrale dell'uomo hanno dovuto scontrarsi negli ultimi anni con ipo­tesi vecchie e non fondate, che tendevano ad identificare un evento specifico con fenomeni ge­neralizzati di decadenza. Un complesso di affer­mazioni errate e di interessi commerciali ha so­stenuto l'ipotesi di lesioni vascolari arterioscle­rotiche come elemento fondamentale nel deter­minare l'evoluzione biologica del cervello con gli anni; d'altra parte, anche ipotesi più raffinate su una diffusa alterazione del metabolismo lipidico e proteico - con conseguente disgregazione del­le funzioni di membrana - non sono state con­fermate alla luce della specificità di area e di funzione degli eventi età-dipendenti.

Il criterio della ricerca di meccanismi caratte­rizzanti in maniera selettiva il trascorrere del tempo sulla struttura biologica ha informato la ricerca in questo campo, volta a identificare un possibile pace-maker dell'invecchiamento cere­brale.

Allo stato attuale delle conoscenze non è an­cora possibile indicare in un solo neurotrasmet­titore o in una singola popolazione neuronale un fattore regolatore dell'invecchiamento cerebrale: è però stato compiuto un grosso progresso negli ultimi anni, quando si è passati da un atteggia­mento descrittivo ad uno interpretativo, teso a cogliere nella mole dei dati offerti dalla ricerca una linea che potesse essere rilevante, da una parte per comprendere i meccanismi fisiopatolo­gici dell'invecchiamento, dall'altra per meglio identificare possibili approcci «umani», utili per collocare l'encefalo al centro del rapporto tra l'anziano e la sua esperienza vitale.

Il cervello è quindi garanzia di continuità e strumento fondamentale per la difesa della salute nel vecchio.

 

Invecchiare non è una malattia

Questi studi di carattere neurobiologico han­no modificato in maniera molto incisiva la cul­tura sull'invecchiamento e quindi - presto - anche il modo con il quale l'uomo può dirigere la propria vita.

Molti hanno la possibilità di scegliere una ter­za età nella serenità purché si voglia «dirigere» la propria vita e non essere diretti dagli eventi. Viviamo in una società che lentamente, ma sicu­ramente, accetta la libertà di tutti... è una strada lunga, ma che ogni giorno è più larga di quella di ieri. L'incontro tra una sensibilità umana sem­pre più attenta e una scienza in grande progres­so permette oggi di affermare che «Invecchiare non è una malattia».

Questa precisazione sull'invecchiamento che può essere vissuto in salute è un'importante pre­messa anche a considerazioni sulla malattia del vecchio: infatti troppo spesso un atteggiamento genericamente pessimista compromette fin dall'inizio qualsiasi scelta precisa a favore dell'an­ziano che si ammala e per il mantenimento del­la sua salute.

Lo studio delle dinamiche che caratterizzano l’equilibrio-salute dell'anziano porta ad identifi­care una sostanziale e fondamentale unità della struttura psichica e somatica: la vecchiaia raoppresenta il momento della vita nel quale questa identificazione raggiunge il massimo livello. Non è quindi possibile programmare interventi senza un'attenzione continua all'«essere nel mondo» dell'anziano e alle influenze che lo stato della mente esercita sulle possibilità di mantenere o riconquistare una condizione di benessere.

Questo criterio ha indotto lo sviluppo in cam­po geriatrico di una serie di metodologie di rile­vazione accurata dei bisogni; ha cioè portato ad una considerazione sistematica - come premes­sa di qualsiasi intervento - delle capacità so­matiche, mentali, sociali, funzionali. Solo un'at­tenta osservazione permette di progettare ap­procci all'anziano che non siano tentativi isolati e spesso fallimentari di modificare questa o quel­la situazione, ma progetti di «cura globale» dell'uomo (che è soma, psiche, dinamiche relazio­nali).

Il passare degli anni induce profonde modifica­zioni della struttura della persona, che a loro volta caratterizzano una forte variabilità indivi­duale; è quindi poco corretto progettare inter­venti di ordine generale, senza la premessa di un'indagine approfondita dei bisogni soggettivi ed oggettivi. La vecchiaia, d'altra parte, proprio perché riduce le capacità adattative, aumenta le influenze reciproche delle varie condizioni, im­ponendo un'analisi unitaria delle diverse dina­miche esistenziali.

L'osservazione della realtà dell'uomo che in­vecchia consente di capire che la salute non è una «variabile indipendente», che segue leggi au­tonome ma che, invece, è profondamente influen­zata dalle condizioni generali di vita. Ad esem­pio, è stato dimostrato che le condizioni di po­vertà e di disagio sociale lasciano un segno pro­fondo a livello somatico. È possibile dimostrare un'influenza diretta della povertà sulla salute fi­sica e sullo stato funzionale: i soggetti ignoran­ti, indigenti, isolati e depressi passano più gior­nate a letto per malattia e presentano un dete­rioramento dello stato funzionale più grave dei coetanei non «poveri» a causa di una serie di ragioni oggettive, che vanno dall'esistenza di precarie condizioni abitative ad un'alimentazione scarsa e non razionale, a una ridotta capacità complessiva di autogestione (non osservanza del­le regole igieniche, non abitudine a un rapporto positivo con le strutture sanitarie, abuso di fumo, alcool, scarsa attività motoria, ecc.). Il concetto di condizioni di povertà può essere esteso ad una serie di situazioni organizzative che caratte­rizzano la vita del vecchio: basta pensare alle case di riposo, all'assistenza fornita in molti ospedali, all'oggettiva ignoranza di molti opera­tori sulle caratteristiche specifiche che identifi­cano l'invecchiamento. La fragilità dell'anziano viene interpretata in termini generali, come non bisognosa di conoscenze tecniche mirate.

Recentemente l'editoriale di una rivista geron­tologica intitolava: «Democracy and not demo­qraphy», per esprimere l'importanza di un'atten­zione specifica ed accurata ai bisogni dei sin­goli anziani, abbandonando la pratica - irrile­vante sul piano umano - delle indagini demo­grafiche, in grado di descrivere i grandi numeri - la cui evoluzione ormai è nota - ma assolu­tamente insufficienti per una reale programma­zione delle risposte. Valga un esempio: recente­mente è giunta alla nostra attenzione una signo­ra ottantenne, sposata con un coetaneo, la quale dopo il ricovero in casa di riposo ha iniziato ad abusare d'alcoolici. Un colloquio approfondito ha portato ad identificare la causa dell'abuso nella sospensione di ogni rapporto sessuale con il ma­rito, imposta per imprecisate ragioni da parte del medico della casa di riposo. Il cambiamento d'abitudini aveva fatto comparire ansia, insonnia ed una forte angoscia di morte che la signora combatteva con l'alcool. Certamente, in base al­le statistiche, la sessualità negli ottantenni può essere interpretata come un fenomeno margina­le, mentre solo una attenzione alla realtà vitale permette interventi che - almeno - non siano fonte di danno. Si tratta di un semplice caso cli­nico, che però indica come da un'osservazione attenta ed accurata dell'«essere nel mondo» si possono ottenere indicazioni pratiche molto più precise che non dal dato demografico.

Un altro particolare contributo della cultura geriatrica al miglioramento delle condizioni di vita dell'anziano è stata la valorizzazione della vita stessa come entità precedente qualsiasi con­siderazione di ordine economico o produttivo. È stato calcolato che un'analisi del rapporto costi­-benefici nell'anziano porta necessariamente ad una conclusione negativa, se l'unico parametro utilizzato sotto la voce benefici è la «capacità produttiva». La vita dell'uomo deve essere di­fesa non per un ipotetico valore economico, ma perché la conquista della dignità e della liber­tà di tutti è il principale obiettivo di qualsiasi organizzazione sociale; e questo obiettivo è an­cora più delicato quando è in gioco la dignità di chi ha già dato molto alla collettività ed è ogget­tivamente più fragile.

 

Che fare?

Al di là di interessi o di sensibilità particolari, le strutture civili hanno compreso che sul piano economico ed organizzativo sarà molto difficile garantire un domani sereno a milioni di anziani se non si ricercano oggi ipotesi nuove di crescita collettiva.

Non si deve proporre un modello di interventi basato soltanto sulla generosità e disponibilità personali, ma si devono indicare le linee di uno sviluppo sociale nel quale trovi posto l'attenzione verso la prevenzione, l'intervento mirato e il re­cupero rispetto ai momenti di crisi. La fiducia sulle possibilità reali di costruire questo modello è data non solo dalla certezza della plasticità della persona in termini somatici e psichici a tutte le età, ma anche dalla coscienza che la struttura sociale non è definitivamente bloccata in ruoli e funzioni, dominati dall'ingiustizia e dal­la sopraffazione. È però necessario un forte con­tributo di volontà, di cultura e di «caritas», per riuscire a delineare progetti realistici. Devono es­sere abbandonate anche le visioni pessimistiche, che interpretano solo in senso negativo per l'an­ziano le modificazioni del costume degli ultimi anni; pur nell'ingiustizia spesso diffusa, la con­dizione del vecchio oggi è meno tragica rispetto ai decenni scorsi. È migliorata la nostra capacità di leggere la realtà, per cui appare più evidente ogni situazione di crisi, un tempo mascherata e silenziosa.

Il mondo degli anziani, con la sua fortissima variabilità individuale, richiede un grande equili­brio tra proposte collettive e proposte per il sin­golo, la lunghezza della storia vissuta da ciascun vecchio e le condizioni oggettive attuali impon­gono soluzioni diversificate, molto difficili da in­dividuare affidandosi solo agli schemi consueti di analisi.

Molte malattie dell'anziano possono essere più facilmente controllate se il paziente non raggiun­ge la fase nella quale l'equilibrio-salute è grave­mente compromesso dalla malattia. La diagnosi precoce può evitare o abbreviare l'ospedalizza­zione, con indubbi vantaggi sul piano umano per il paziente e, sul piano economico, per il sistema sanitario. Tra gli interventi utili in senso preven­tivo si sottolinea l'importanza della preparazione di un libretto sanitario accurato per ogni anzia­no, che raccolga la storia clinica passata e de­scriva in maniera analitica le condizioni psicofi­siche attuali. Questo deve divenire il punto di partenza per ogni ulteriore rapporto con il siste­ma sanitario, evitando sprechi, interventi scorret­ti e ripetitivi, dimenticanze pericolose, ecc. Il libretto dovrebbe inoltre essere un mezzo effi­cace per una progressiva educazione sanitaria dell'anziano.

Sempre sul piano preventivo, la medicina mo­derna ha confermato l'utilità di indagini epide­miologiche su gruppi omogenei, dirette a carat­terizzare lo stato di salute del singolo e della popolazione anziana nel suo complesso.

In questo modo è possibile attuare diagnosi precoci e impostare seri piani di prevenzione a livello individuale e collettivo, individuando i fat­tori di rischio delle varie patologie.

Nell'ambito di interventi che hanno un signifi­cato di prevenzione della perdita di autonomia vanno collocati anche i servizi alla persona (cen­tri sociali, assistenza domiciliare, ecc.). Questi (attraverso un miglioramento della qualità com­plessiva della vita dell'anziano) rappresentano un indispensabile complemento della difesa della salute.

Nonostante ogni sforzo di tipo preventivo, i problemi medici dell'anziano coprono però sem­pre uno spazio molto ampio; i risultati che la me­dicina ha conseguito nell'aumento della speranza di vita hanno portato alla sopravvivenza di una parte della popolazione affetta da esiti invalidan­ti di patologia acuta e da patologia cronica (per definizione non guaribile). Questo fatto da un lato ha espanso la gamma dei problemi medici posti alle strutture sanitarie, dall'altro ha deter­minato la necessità di soluzioni diversificate. Nell'ambito della medicina geriatrica si rende indispensabile la creazione di tutte le struttu­re razionalmente previste per le esigenze sani­tarie dell'anziano, affinché ognuna dì esse ri­sponda al particolare problema per cui è pro­gettata e non debba supplire invece alla manca­ta realizzazione di altre.

L'intervento medico nei riguardi dell'anziano è individuabile nella concretizzazione di un numero adeguato di strutture ospedaliere idonee alla cura (unità di degenza ospedaliera ad impronta riabi­litativa; divisioni di diagnosi e di terapia prolun­gata o di lungodegenza riabilitativa), di ospedali diurni, di poliambulatori, di strutture residenziali sanitarie non ospedaliere e di prestazioni sani­tarie domiciliari ben organizzate.

Sono problemi enormi, per i quali spesso man­cano progetti razionali, perché non sempre vi é consenso anche da parte dei tecnici sulle solu­zioni più appropriate. Manca una seria prepara­zione del personale, che trasformi la generosità individuale in organiche prestazioni collettive, manca un serio coordinamento territoriale tra le diverse strutture, non vi sono conoscenze speci­fiche sulle condizioni che determinano la perdita dell'autosufficienza da parte dell'anziano.

Nonostante mille interrogativi e risposte par­ziali si inizia però ad intravvedere una linea di cambiamento positivo: è una speranza fondata su basi razionali.

 

 

 

 

(1) Dipartimento di Medicina sperimentale - IIª Univer­sità di Roma.

 

 

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