Prospettive assistenziali, n. 79, luglio-settembre 1987

 

 

PERCHÉ L'AFFIDAMENTO FAMILIARE: RISPOSTA AD ALCUNE OBIEZIONI

FRIDA TONIZZO (*)

 

 

Premessa

Il ricovero in istituto resta ancora oggi l'inter­vento assistenziale più praticato e diffuso: era­no 68.000 i minori istituzionalizzati al 31 dicem­bre 1983, secondo i dati ISTAT.

Bambini e ragazzi continuano a essere ricove­rati anche se da oltre vent'anni sono conosciuti i danni - personali e sociali - provocati dall’istituzionalizzazione.

Numerosi studi e ricerche lo confermano: l'isti­tuto è una realtà negativa che non può esse­re superata creando istituti più razionali e più «belli».

Le alternative al ricovero esistono, sono pre­viste dalla legge 184/83, e sano realizzabili: lo dimostrano le esperienze attuate nelle zone in cui amministratori, operatori e magistrati - an­che su sollecitazione delle associazioni - hanno scelto di operare in questa direzione.

 

 

LE OBIEZIONI ALL'AFFIDAMENTO

 

Ci sono alcune obiezioni ricorrenti, che ci ven­gono sollevate negli incontri o convegni cui par­tecipiamo quando proponiamo l'affidamento fami­liare: le riportiamo con le nostre relative re­pliche.

 

I genitori d'origine dei bambini non vogliono l'affidamento, preferiscono l'istituto, hanno paura di perdere l'affetto dei loro figli

Questo è un timore comprensibile, anche se infondato. Non dimentichiamo che per anni il ri­covero in istituto è stata l'unica soluzione pro­posta per le più diverse situazioni; per molti genitori è una scelta valida anche perché non conoscono o sottovalutano le conseguenze nega­tive del ricovero: chi glielo ha mai spiegato? La «cultura» dell'istituto o del collegio è mol­to radicata nell'opinione pubblica. Non c'è da stupirsi se la gente è portata a riproporre que­sta soluzione per i propri figli, tenendo anche conto che è ancora diffusa la convinzione che i figli sono «proprietà» dei genitori. Anche sulla base di varie esperienze ci sentiamo di condivi­dere quanto affermato dallo psicologo Guido Cat­tabeni: «Gli incalcolabili vantaggi che derivano al bambino in affido dalla collaborazione della sua famiglia di origine ci impongono di dedicare il massimo del tempo, delle energie e della com­petenza, al lavoro di preparazione della famiglia di origine, partendo dall'idea che è legittimo che dei familiari, e soprattutto le madri, che sono interessati ed affezionati ai propri figli (anche se spesso in modo poco "standardizzato") soffrano all'idea che altri se ne occupino per un tempo più o meno lungo. L'obiettivo di questo lavoro di preparazione può essere anche soltanto quel­lo di ridurre al minimo interventi di sabotaggio dell'affido, quando non fosse realistico pensare di ottenere una piena collaborazione».

«Si cercherà di decolpevolizzare la famiglia d'origine (non è perché tu sei un cattivo genitore che il bambino è affidato ad altri genitori), di ras­sicurarla (gli affidatari integrano e non sostitui­scono la famiglia d'origine), di evidenziare il vero interesse del bambino cui vogliono bene. È quindi necessario che gli operatori organizzino il loro lavoro in modo da avere il tempo di effet­tuare questi interventi preparatori senza illudersi comunque che tutto dipenda dalla loro abilità e competenza "verbale": la loro preparazione del­la famiglia di origine si concluderà positivamen­te solo quando le loro parole saranno conferma­te dai fatti cioè da ciò che avverrà dal momento dell'incontro con gli affidatari in avanti. dovrà essere trascurata la preparazione del bambino all'affidamento. Nel caso della famiglia collabo­rante, la preparazione al passaggio sarà possibile proprio al suo interno: si tratta di dare al bam­bino informazioni sufficienti e anticipate su ciò che avviene, sulle motivazioni e sugli sviluppi futuri».

«Se la famiglia di origine non dà molto affida­mento per quanto riguarda le capacità di prepa­rare il bambino, deve essere aiutata nelle varie fasi dall'operatore sociale. Ovvio che il bambino possa e debba portare con sé le cose personali, che rappresentano la concretizzazione della pos­sibilità di conservare i suoi legami affettivi con il passato: il segno della continuità. Preparare il bambino diventa assolutamente importante quan­do la famiglia sia in difficoltà o per nulla capace a collaborare all'affido. L'operatore deve supplì­re, in questi casi, alla funzione rassicurante del­la famiglia. Ciò sarà possibile naturalmente se egli avrà potuto stabilire quel minimo di rapporto interpersonale con il bambino che consente di presentarsi come persona che lo "riconosce". In casi di allontanamenti improvvisi ed urgenti, disposti dal tribunale per i minorenni, non es­sendoci il tempo di conoscere a sufficienza i bi­sogni del bambino o di stabilire con lui un mi­nimo di rapporti di fiducia, non è tecnicamente ammissibile trapiantarlo da una famiglia all'altra, per quanto quest'ultima possa essere ottimale. Bisogna allora ricorrere ad un inserimento prov­visorio in un contesto ambientale emotivamente meno pregnante, in una comunità cioè che con­senta sia di svolgere un periodo di osservazione e di conoscenza sia di predisporre interventi che preparino ad un collocamento in famiglia».

 

Non ci sono famiglie disponibili per l'affidamento

Questa è l'obiezione che risulta la più infon­data e che, come associazione, respingiamo deci­samente. Non è vero che non ci sono famiglie; spesso manca invece la disponibilità a voler fare gli affidamenti da parte di amministratori, opera­tori e anche magistrati, affidamenti che richie­dono un maggior impegno da parte di tutti.

Le disponibilità delle famiglie devono essere sollecitate, anzitutto attraverso un'informazione corretta del problema da parte di amministratori e operatori per richiamare l'attenzione dell'opi­nione pubblica sulla necessità di evitare il rico­vero in istituto dei bambini anche attraverso l'affidamento.

Ovviamente anche le associazioni e i gruppi di base, le stesse famiglie affidatarie, possono affiancare l'azione promozionale dei servizi locali che devono, in base alla legge 184/83, realizzare gli affidamenti.

Certo è che la miglior campagna per gli affi­damenti che gli amministratori e gli operatori possono fare è quella di preparare e seguire bene gli affidamenti stessi: i fallimenti pesano e con­dizionano negativamente la diffusione degli affi­damenti; se si «rifilano» ragazzini difficilissimi a famiglie impreparate, se non si sostengono i rapporti fra affidatari, affidati, e famiglia d'origi­ne, anche la miglior campagna è destinata a fallire.

L'esperienza realizzata in questi anni in Italia dimostra che - se opportunamente sensibiliz­zata - l'opinione pubblica risponde positivamen­te; in certi casi coppie e famiglie manifestano la loro disponibilità ad accogliere anche bambini handicappati.

 

Solo famiglie eccezionali possono diventare affidatarie

Non si tratta di essere famiglie eccezionali, ma certamente consapevoli della scelta. Cerchiamo di fare un piccolo elenco di quelle che dovrebbero essere le condizioni per realiz­zare gli affidamenti:

- La disponibilità deve essere comune, di entrambi i coniugi, e degli altri componenti della famiglia: figli, nonni, soprattutto se conviventi; non è cioè consigliabile lasciarsi trascinare in questa esperienza per «accontentare» l'altro co­niuge; i risultati possono essere negativi per non dire disastrosi anzitutto per- il bambino affidata che si vedrà costretto a cambiare ancora famiglia e ambiente, ma anche per gli affidatari ed i loro famigliari.

- Bisogna essere preparati ad accettare il bambino con i problemi suoi e della sua famiglia. Vi possono essere casi in cui l'affidamento è determinato da motivi contingenti (es. la malat­tia di un solo genitore) che si risolvono anche rapidamente, ma nella maggioranza si tratta di bambini che sono stati segnati, anche pesante­mente, da una lunga permanenza in istituto o da una situazione familiare pesante, difficile. Questi bambini possono quindi avere alle spalle una storia, un passato anche traumatizzante che non può essere cancellato: fa parte di loro. Per questo occorre che la famiglia affidataria sia adeguatamente informata sulle condizioni perso­nali e familiari del bambino in modo da avere in mano gli elementi necessari per poter impostare un rapporto corretto con lui.

- È quindi importante che gli affidatari sappia­no accettare il bambino non solo «di testa» ma «col cuore», cioè capire che quel bambino che si presenta diverso dai nostri, nati in casa, pro­viene da un ambiente, da una famiglia che biso­gna conoscere e comprendere. Attraverso l'affi­damento si viene a contatto con persone che hanno avuto spesso poco dalla vita e sono in grado di dare poco ai loro figli. Questo non vuol dire assumere un atteggiamento fatalistico o di­missionario nei confronti del bambino e della sua famiglia - tanto valeva allora non fare l'affida­mento! - ma tener conto dì questa realtà nel rapporto col bambino, senza pretendere da lui cambiamenti rapidi e continui, insomma non pen­sare di farlo diventare a tutti i costi un «bravo» bambino nel giro di poco tempo. Non è un com­pito facile certo, ma è un compito possibile, e le positive esperienze maturate in questi anni lo confermano. Sono certamente avvantaggiate quelle famiglie che sono aperte ai problemi degli altri, che non considerano i figli una «proprietà privata» e che hanno maturato una sensibilità sociale.

- L'idoneità all'affidamento non è determina­ta, tuttavia, dal livello culturale o di istruzione, e nemmeno da particolari competenze in campa psicologico-pedagogico.

- Gli affidatari appartengono a tutte le classi sociali e hanno diritto, secondo noi, di ricevere un rimborso spese per il servizio sociale che svolgono: questo consente a tutte le famiglie idonee di fare la scelta dell'affidamento indipen­dentemente dalle loro condizioni economiche.

- Occorre essere preparati ad affrontare - an­che se non da soli - i problemi che nascono dai rapporti con i famigliari del bambino: questi pos­sono collaborare all'educazione del figlio e pre­parare il terreno per il suo rientro nel nucleo d'origine, ma possono anche ostacolare interfe­rendo pesantemente nell'andamento dell'affida­mento con richieste e comportamenti errati.

- In ogni caso i genitori non devono essere giudicati o colpevolizzati dagli affidatari, e so­prattutto i bambini affidati non devono percepire che i loro genitori sono giudicati o colpevolizzati dalla famiglia in cui stanno vivendo: la «con­danna» dei loro genitori significherebbe anche la loro condanna («se loro - i genitori - sono cattivi, allora sono cattivo anch'io»). Con que­sto non si vuole certo sostenere che gli affida­tari devono sopportare tutto, né adottare gli stes­si metodi educativi dei genitori d'origine. Per le situazioni più difficili e conflittuali - quando non basta l'intervento degli operatori sociali - è giustamente previsto anche l'intervento del Tribunale per i minorenni per tutelare le condi­zioni di vita e di crescita dei bambini.

- L'affidamento è una scelta di impegno so­ciale che la famiglia non può realizzare da sola. L'affidamento é destinato a fallire se non è ade­guatamente sostenuto da parte degli amministra­tori, degli operatori, dei magistrati e della stessa comunità. Al riguardo vorremmo sottolineare una esigenza molto sentita dalle famiglie dell'ANFAA: la necessità di un impegno che vada oltre l'ac­coglienza familiare di «quel» bambino, per svol­gere un'azione promozionale più ampia per sol­lecitare le autorità affinché vengano realizzati tutti gli interventi nei confronti delle famiglie in difficoltà e dei loro bambini.

 

Se il bambino si affeziona agli affidatari, soffrirà quando tornerà dai suoi

Sulla base di varie esperienze, crediamo di poter dire che si può allevare ed amare un bam­bino anche se non è e non diventerà nostro figlio: l'affetto è indispensabile per crescere.

La durata dell'affidamento condiziona certamen­te l'intensità dei rapporti affettivi (non si può paragonare l'affidamento di pochi mesi a quello di diversi anni), e gli affidatari, per primi, devono preparare loro stessi e il bambino al distacco che non sarà traumatico se si saranno mantenuti rapporti con la famiglia di origine. Sono diversi i casi in cui dopo la conclusione dell'affidamento è rimasto un legame e un rapporto con gli ex af­fidati.

Quello che preoccupa talvolta le famiglie non è il distacco ma la decisione del rientro del bam­bino senza che sia cambiato qualcosa da quando ne è uscito per essere affidato, rientro che viene deciso dagli operatori o dagli stessi magistrati senza un approfondimento della situazione fa­miliare.

Va anche detto che ci sono anche casi in cui un genitore spesso solo (madre nubile, padre ve­dovo ecc.) non ce la fa a tirar su i figli anche se ci tiene a loro, anche se ci sono rapporti signi­ficativi con loro. Questi affidamenti anche se du­rano anni non vanno confusi con le adozioni: a questo riguardo è importante che magistrati e operatori non assumano posizioni rigide dando interpretazioni restrittive sulla temporaneità dell'affidamento; è invece necessaria la revisione periodica di queste situazioni per verificare even­tuali cambiamenti, ma non per questo devono es­sere decisi rientri impossibili o stati di adotta­bilità che non sussistono.

 

 

(*) Comunicazione svolta da Frida Tonizzo all'Incontro internazionale di Castiglioncello del 10-11-12 aprile 1987.

 

 

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