PERCHÉ L'AFFIDAMENTO FAMILIARE:
RISPOSTA AD ALCUNE OBIEZIONI
FRIDA TONIZZO (*)
Premessa
Il ricovero in istituto resta ancora oggi l'intervento
assistenziale più praticato e diffuso: erano 68.000 i
minori istituzionalizzati al 31 dicembre 1983, secondo i dati ISTAT.
Bambini e ragazzi continuano a
essere ricoverati anche se da oltre vent'anni sono
conosciuti i danni - personali e sociali - provocati dall’istituzionalizzazione.
Numerosi studi e ricerche lo confermano: l'istituto
è una realtà negativa che non può essere superata creando istituti più
razionali e più «belli».
Le alternative al ricovero
esistono, sono previste dalla legge 184/83, e sano realizzabili: lo dimostrano
le esperienze attuate nelle zone in cui amministratori, operatori e magistrati
- anche su sollecitazione delle associazioni - hanno scelto di operare in
questa direzione.
LE
OBIEZIONI ALL'AFFIDAMENTO
Ci sono alcune obiezioni ricorrenti, che ci vengono sollevate negli incontri o convegni cui partecipiamo quando
proponiamo l'affidamento familiare: le riportiamo con le nostre relative repliche.
I genitori d'origine dei bambini non
vogliono l'affidamento, preferiscono l'istituto, hanno paura di perdere
l'affetto dei loro figli
Questo è un timore comprensibile, anche se infondato.
Non dimentichiamo che per anni il ricovero in istituto è stata l'unica
soluzione proposta per le più diverse situazioni; per molti genitori è una
scelta valida anche perché non conoscono o sottovalutano le conseguenze negative
del ricovero: chi glielo ha mai spiegato? La «cultura»
dell'istituto o del collegio è molto radicata nell'opinione pubblica. Non c'è
da stupirsi se la gente è portata a riproporre questa
soluzione per i propri figli, tenendo anche conto che è ancora diffusa la
convinzione che i figli sono «proprietà» dei genitori. Anche sulla
base di varie esperienze ci sentiamo di condividere quanto affermato
dallo psicologo Guido Cattabeni: «Gli incalcolabili
vantaggi che derivano al bambino in affido dalla collaborazione della sua
famiglia di origine ci impongono di dedicare il
massimo del tempo, delle energie e della competenza, al lavoro di preparazione
della famiglia di origine, partendo dall'idea che è legittimo che dei
familiari, e soprattutto le madri, che sono interessati ed affezionati ai
propri figli (anche se spesso in modo poco "standardizzato") soffrano
all'idea che altri se ne occupino per un tempo più o meno lungo. L'obiettivo di
questo lavoro di preparazione può essere anche soltanto quello di ridurre al minimo interventi di sabotaggio dell'affido, quando non
fosse realistico pensare di ottenere una piena collaborazione».
«Si cercherà di decolpevolizzare
la famiglia d'origine (non è perché tu sei un cattivo genitore che il bambino è
affidato ad altri genitori), di rassicurarla (gli affidatari
integrano e non sostituiscono la famiglia d'origine), di evidenziare il vero
interesse del bambino cui vogliono bene. È quindi
necessario che gli operatori organizzino il loro lavoro in modo da avere il
tempo di effettuare questi interventi preparatori
senza illudersi comunque che tutto dipenda dalla loro abilità e competenza
"verbale": la loro preparazione della famiglia di origine si
concluderà positivamente solo quando le loro parole saranno confermate dai
fatti cioè da ciò che avverrà dal momento dell'incontro con gli affidatari in avanti. Né dovrà
essere trascurata la preparazione del bambino all'affidamento. Nel caso della
famiglia collaborante, la preparazione al passaggio sarà possibile proprio al
suo interno: si tratta di dare al bambino
informazioni sufficienti e anticipate su ciò che avviene, sulle motivazioni e
sugli sviluppi futuri».
«Se la famiglia di origine
non dà molto affidamento per quanto riguarda le capacità di preparare il
bambino, deve essere aiutata nelle varie fasi dall'operatore sociale. Ovvio che
il bambino possa e debba portare con sé le cose
personali, che rappresentano la concretizzazione della possibilità di
conservare i suoi legami affettivi con il passato: il segno della continuità.
Preparare il bambino diventa assolutamente importante quando
la famiglia sia in difficoltà o per nulla capace a collaborare all'affido.
L'operatore deve supplìre, in questi casi, alla funzione rassicurante della famiglia. Ciò sarà possibile naturalmente se egli
avrà potuto stabilire quel minimo di rapporto interpersonale con il bambino che
consente di presentarsi come persona che lo "riconosce". In casi di allontanamenti improvvisi ed urgenti, disposti dal
tribunale per i minorenni, non essendoci il tempo di conoscere a sufficienza i
bisogni del bambino o di stabilire con lui un minimo di rapporti di fiducia,
non è tecnicamente ammissibile trapiantarlo da una famiglia all'altra, per
quanto quest'ultima possa essere ottimale. Bisogna
allora ricorrere ad un inserimento provvisorio in un contesto
ambientale emotivamente meno pregnante, in una comunità cioè che consenta sia
di svolgere un periodo di osservazione e di conoscenza sia di predisporre
interventi che preparino ad un collocamento in famiglia».
Non ci sono famiglie disponibili per l'affidamento
Questa è l'obiezione che risulta
la più infondata e che, come associazione, respingiamo decisamente. Non è
vero che non ci sono famiglie; spesso manca invece la disponibilità a voler
fare gli affidamenti da parte di amministratori, operatori
e anche magistrati, affidamenti che richiedono un maggior impegno da parte di
tutti.
Le disponibilità delle famiglie devono essere
sollecitate, anzitutto attraverso un'informazione corretta del problema da
parte di amministratori e operatori per richiamare
l'attenzione dell'opinione pubblica sulla necessità di evitare il ricovero in
istituto dei bambini anche attraverso l'affidamento.
Ovviamente anche le associazioni e i gruppi di base,
le stesse famiglie affidatarie, possono affiancare l'azione promozionale dei
servizi locali che devono, in base alla legge 184/83, realizzare gli
affidamenti.
Certo è che la miglior campagna per gli affidamenti
che gli amministratori e gli operatori possono fare è quella di preparare e
seguire bene gli affidamenti stessi: i fallimenti pesano e condizionano
negativamente la diffusione degli affidamenti; se si
«rifilano» ragazzini difficilissimi a famiglie impreparate, se non si
sostengono i rapporti fra affidatari, affidati, e
famiglia d'origine, anche la miglior campagna è destinata a fallire.
L'esperienza realizzata in questi anni in Italia
dimostra che - se opportunamente sensibilizzata - l'opinione pubblica risponde
positivamente; in certi casi coppie e famiglie manifestano la loro disponibilità
ad accogliere anche bambini handicappati.
Solo famiglie eccezionali possono
diventare affidatarie
Non si tratta di essere
famiglie eccezionali, ma certamente consapevoli della scelta. Cerchiamo di fare
un piccolo elenco di quelle che dovrebbero essere le condizioni per realizzare
gli affidamenti:
- La disponibilità deve essere comune, di entrambi i coniugi, e degli altri componenti della
famiglia: figli, nonni, soprattutto se conviventi; non è cioè consigliabile
lasciarsi trascinare in questa esperienza per «accontentare» l'altro coniuge;
i risultati possono essere negativi per non dire disastrosi anzitutto per- il
bambino affidata che si vedrà costretto a cambiare ancora famiglia e ambiente,
ma anche per gli affidatari ed i loro famigliari.
- Bisogna essere preparati ad accettare il bambino
con i problemi suoi e della sua famiglia. Vi possono
essere casi in cui l'affidamento è determinato da motivi contingenti (es. la
malattia di un solo genitore) che si risolvono anche rapidamente, ma nella
maggioranza si tratta di bambini che sono stati segnati, anche pesantemente,
da una lunga permanenza in istituto o da una situazione familiare pesante,
difficile. Questi bambini possono quindi avere alle spalle una storia, un
passato anche traumatizzante che non può essere cancellato: fa parte di loro.
Per questo occorre che la famiglia affidataria sia
adeguatamente informata sulle condizioni personali e
familiari del bambino in modo da avere in mano gli elementi necessari per poter
impostare un rapporto corretto con lui.
- È quindi importante che gli affidatari
sappiano accettare il bambino non solo «di testa» ma
«col cuore», cioè capire che quel bambino che si presenta diverso dai nostri,
nati in casa, proviene da un ambiente, da una famiglia che bisogna conoscere
e comprendere. Attraverso l'affidamento si viene a contatto con persone che
hanno avuto spesso poco dalla vita e sono in grado di dare poco ai loro figli.
Questo non vuol dire assumere un atteggiamento fatalistico o dimissionario nei
confronti del bambino e della sua famiglia - tanto valeva
allora non fare l'affidamento! - ma tener conto dì questa
realtà nel rapporto col bambino, senza pretendere da lui cambiamenti rapidi e
continui, insomma non pensare di farlo diventare a tutti i costi un
«bravo» bambino nel giro di poco tempo. Non è un compito facile certo, ma è un
compito possibile, e le positive esperienze maturate
in questi anni lo confermano. Sono certamente avvantaggiate quelle famiglie che
sono aperte ai problemi degli altri, che non considerano i figli una «proprietà
privata» e che hanno maturato una sensibilità sociale.
- L'idoneità all'affidamento non è determinata, tuttavia,
dal livello culturale o di istruzione, e nemmeno da
particolari competenze in campa psicologico-pedagogico.
- Gli affidatari
appartengono a tutte le classi sociali e hanno diritto, secondo noi, di
ricevere un rimborso spese per il servizio sociale che svolgono: questo
consente a tutte le famiglie idonee di fare la scelta dell'affidamento indipendentemente
dalle loro condizioni economiche.
- Occorre essere preparati ad affrontare - anche se
non da soli - i problemi che nascono dai rapporti con i famigliari del bambino:
questi possono collaborare all'educazione del figlio e preparare il terreno
per il suo rientro nel nucleo d'origine, ma possono anche ostacolare interferendo
pesantemente nell'andamento dell'affidamento con
richieste e comportamenti errati.
- In ogni caso i genitori non devono essere giudicati
o colpevolizzati dagli affidatari, e soprattutto i bambini
affidati non devono percepire che i loro genitori sono giudicati o
colpevolizzati dalla famiglia in cui stanno vivendo: la «condanna» dei loro
genitori significherebbe anche la loro condanna («se loro - i genitori - sono cattivi, allora sono
cattivo anch'io»). Con questo non si vuole certo sostenere che gli affidatari devono sopportare
tutto, né adottare gli stessi metodi educativi dei genitori d'origine. Per le
situazioni più difficili e conflittuali - quando non basta l'intervento degli
operatori sociali - è giustamente previsto anche l'intervento del Tribunale per
i minorenni per tutelare le condizioni di vita e di crescita dei bambini.
- L'affidamento è una scelta di impegno
sociale che la famiglia non può realizzare da sola. L'affidamento é destinato
a fallire se non è adeguatamente sostenuto da parte degli
amministratori, degli operatori, dei magistrati e della stessa comunità. Al
riguardo vorremmo sottolineare una esigenza molto
sentita dalle famiglie dell'ANFAA: la necessità di un impegno che vada oltre
l'accoglienza familiare di «quel» bambino, per svolgere un'azione
promozionale più ampia per sollecitare le autorità affinché vengano realizzati
tutti gli interventi nei confronti delle famiglie in difficoltà e dei loro
bambini.
Se il bambino si affeziona agli affidatari, soffrirà quando
tornerà dai suoi
Sulla base di varie esperienze, crediamo di poter dire che si può
allevare ed amare un bambino anche se non è e non diventerà nostro figlio:
l'affetto è indispensabile per crescere.
La durata dell'affidamento condiziona certamente
l'intensità dei rapporti affettivi (non si può paragonare l'affidamento di
pochi mesi a quello di diversi anni), e gli affidatari,
per primi, devono preparare loro stessi e il bambino al distacco che non sarà
traumatico se si saranno mantenuti rapporti con la famiglia di
origine. Sono diversi i casi in cui dopo la conclusione dell'affidamento
è rimasto un legame e un rapporto con gli ex affidati.
Quello che preoccupa talvolta le famiglie
non è il distacco ma la decisione del rientro del bambino senza che sia
cambiato qualcosa da quando ne è uscito per essere affidato, rientro che viene
deciso dagli operatori o dagli stessi magistrati senza un approfondimento della
situazione familiare.
Va anche detto che ci sono
anche casi in cui un genitore spesso solo (madre nubile, padre vedovo ecc.)
non ce la fa a tirar su i figli anche se ci tiene a loro, anche se ci sono
rapporti significativi con loro. Questi affidamenti anche se durano anni non
vanno confusi con le adozioni: a questo riguardo è importante che magistrati e
operatori non assumano posizioni rigide dando interpretazioni restrittive sulla
temporaneità dell'affidamento; è invece necessaria la revisione
periodica di queste situazioni per verificare eventuali cambiamenti, ma non
per questo devono essere decisi rientri impossibili o stati di adottabilità che non sussistono.
(*) Comunicazione svolta da Frida Tonizzo all'Incontro internazionale di Castiglioncello
del 10-11-12 aprile 1987.
www.fondazionepromozionesociale.it