Prospettive assistenziali, n. 77, gennaio-marzo 1987

 

 

FAMIGLIE E COMUNITÀ ALLOGGIO IN ALTERNATIVA AGLI ISTITUTI Dl ASSISTENZA ED AI CONVITTI D'ISTRUZIONE

 

 

I recenti pesanti attacchi all'adozione e all'af­fidamento familiare a scopo educativo e il ri­lancio del ricovero in istituti assistenziali hanno destato notevole preoccupazione nell'Associazio­ne nazionale famiglie adottive e affidatarie e nell'Unione per la lotta contro l'emarginazione so­ciale.

Le due organizzazioni hanno concordato urna se­rie di iniziative, le cui modalità di intervento sono illustrate nel documento che riportiamo inte­gralmente.

 

 

TESTO DEL DOCUMENTO

 

Tutte le numerose ricerche scientifiche, attua­te a partire dagli anni '50 hanno dimostrato in modo incontrovertibile i deleteri e permanenti ef­fetti della carenza di cure familiari e del rico­vero in istituto. Ciò nonostante vi sono ancora 80 mila bambini in strutture assistenziali, a cui si deve aggiungere un numero imprecisato di allievi di scuole elementari e medie istituzionaliz­zati in convitti.

Le caratteristiche della politica antifamiliare e diseducativa del ricovero in istituti di assisten­za e in convitti di istruzione, possono essere così sintetizzate:

- affievolimento, dei rapporti bambino-geni­tori, tanto più grave quanto maggiore é la di­stanza fra la sede dell'istituto o del convitto e la residenza dei familiari;

- il ricovero in istituti di assistenza e in con­vitti di istruzione è un esempio negativo per i genitori, soprattutto quelli con bambini piccoli, poiché li induce a trascurare il valore fondamen­tale delle esigenze affettive della prole;

- conseguenze disadattanti sui minori;

- non coinvolgimento della parentela e del vicinato nei confronti delle famiglie in difficoltà. Si sottolinea che il ricovero in convitti di istru­zione presenta le stesse caratteristiche negative del ricovero in istituti di assistenza, in quanto identica è la situazione dei minori accolti rispet­to alle carenze di cure familiari. La presenza di numerose scuole pubbliche e private non giusti­fica in alcun modo il ricovero a tempo pieno in convitto, compreso quello dal lunedì al sabato, di fanciulli di età inferiore ai 14 anni.

 

Legge 4 maggio 1983 n. 184

Partendo dalle considerazioni di cui sopra, la legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'ado­zione e dell'affidamento dei minori» stabilisce quanto segue:

- art. 1 - Il minore ha diritto di essere edu­cato nell'ambito della propria famiglia.

- art. 2 - Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli mi­nori, o ad una persona singola, o ad una comu­nità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovera del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di appartenenza del minore stesso.

- art. 8 - Sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilità dal Tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori in si­tuazione di abbandono perché privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio.

Per evitare alle migliaia di bambini (compresi quelli colpiti da handicap) ancora istituzionaliz­zati le gravissime conseguenze della carenza di cure familiari e del ricovero occorre che siano attuati i seguenti impegni:

a) i genitori devono essere aiutati ad allevare i figli attraverso la messa a disposizione di ser­vizi primari (ad esempio una scuola finalizzata a valorizzare il bambino nella sua identità e diver­sità) e di interventi socio-assistenziali adeguati (aiuti economici, assistenza domiciliare, ecc.);

b) i minori che non possono continuare a vi­vere con i propri familiari e che non sono adot­tabili, devono essere affidati a famiglie informa­te, selezionate, preparate e seguite con cura dai servizi socio-assistenziali.

Devono essere privilegiati gli interventi a fa­vore dei minori più piccoli (0-10 anni) per i se­guenti motivi: il carattere preventivo, in conside­razione delle esigenze dello sviluppo del bam­bino e delle conseguenze particolarmente nega­tive del ricovero in istituto; una maggiore cor­rispondenza dell'opinione pubblica ai problemi dei bambini piccoli; minori difficoltà di realizza­zione sia per quanto riguarda la messa a dispo­sizione dei servizi primari non assistenziali (asili nido, scuole materne, alloggi per famiglie di nuo­va formazione, ecc.), sia per quanto, riguarda le alternative al ricovero (assistenza economica, co­munità alloggio); minori difficoltà a reperire fa­miglie affidatarie;

c) i minori in situazione di abbandono siano tempestivamente segnalati dagli operatori socia­li, sanitari e scolastici e dai cittadini al Tribu­nale per i minorenni e dichiarati adottabili; de­vono essere scelte dal Tribunale per i minorenni, con la collaborazione dei servizi sociali degli enti locali, le famiglie adottive idonee all'adozione di questi minori, verificandone la disponibilità e le capacità educative ed affettive, anche in funzio­ne dell'età del minore stesso.

 

Comunità alloggio

Nei casi in cui non siano attuabili gli interventi di cui sopra, si chiede che siano riconosciute le positive esperienze delle comunità alloggio che assicurano una vita di tipo parafamiliare, non de­terminano l'allontanamento dei soggetti dalla zo­na (USL) di residenza dei loro, genitori (salvo che ciò sia effettivamente necessario), consentono il coinvolgimento del vicinato. Proprio partendo dal­le positive esperienze della comunità alloggio per bambini piccoli, per adolescenti (così come quelle che accolgono anziani o handicappati adul­ti) si chiede:

a) la conferma delle comunità alloggio esi­stenti in modo da garantire la continuità dei rap­porti già instaurati fra i minori e gli educatori;

b) la predisposizione urgentissima di un pro­gramma per la istituzione in tutte le USL di co­munità alloggio per i minori da attuare contem­poraneamente alle iniziative di aiuta alle fami­glie e alla creazione del servizio di affidamento familiare a scopo educativo. Si chiede che:

1) siano destinati contributi economici per la istituzione di comunità alloggio (acquisto locali, spese di ristrutturazione e di arredamento, spese di gestione, ecc.). Le IPAB, gli enti locali e gli IACP (Istituti autonomi per le case popolari) do­vrebbero mettere a disposizione appartamenti da adibire a comunità alloggio. AI riguardo si pre­cisa che le comunità alloggio devono avere una capienza massima di 8 posti, essere inserite nel normale contesto abitativo ed avere personale idoneo sotto tutti i punti di vista.

Non rientrano pertanto fra le comunità alloggio i cosiddetti gruppi famiglia o altre articolazioni interne degli istituti di ricovero;

2) vengano istituiti momenti di aggiornamento professionale per gli operatori delle comunità al­loggio e dei servizi di affidamento familiare;

3) sia intensificata la vigilanza sugli istituti di ricovero assistenziale e sui convitti di istruzio­ne, intervenendo in particolare nei confronti dei minori che, utilizzando gli interventi esistenti, po­trebbero riunirsi o avvicinarsi alla loro famiglia

o essere accolti da famiglie affidatarie, oppure essendo in situazione di abbandono materiale e morale, devono essere proposti per l'adozione;

4) sia avviata una campagna informativa e for­mativa sulle esigenze affettive dei bambini, so­prattutto di quelli più piccoli.

Le iniziative sopra elencate dovrebbero essere assunte e attuate in modo da realizzare nel mag­gior numero possibile di USL la deistituzionaliz­zazione di tutti i minori entro il 1990.

L'accoglimento in comunità alloggio dovrebbe essere disposto nei casi in cui non sia possi­bile attuare, a seconda delle situazioni, l'adozio­ne o l'affidamento a scopo educativo. Devono es­sere assunte le necessarie iniziative affinché la durata dell'accogli mento in comunità alloggio sia fa più breve possibile, in modo da assicurare al più presto situazioni stabili ai minori in difficoltà. inoltre 1e comunità alloggio, dovrebbero essere pan servizio a disposizione degli Enti locali per il pronto intervento quando i genitori o gli affida­tari sono temporaneamente impossibilitati a prov­vedere ai loro figli (malattie, interventi chirurgici, periodi di riposo, ecc:).

 

Iniziative specifiche per gli handicappati

Le proposte di cui ai paragrafi precedenti ri­guardano anche gli handicappati, siano essi fisici, psichici o sensoriali. In particolare si sottolinea che non è accettabile il ricovero di handicappati in istituto, motivato da esigenze riabilitative: è assurdo migliorare le condizioni fisiche dei mi­nori e danneggiare - a seguito dell'istituzionaliz­zazione - quelle psichiche. Per una reale promo­zione umana e sociale degli handicappati, è ne­cessario operare per il loro inserimento a tutti i livelli (scuole materne, dell'obbligo e superio­ri, formazione professionale, lavoro, casa, tra­sporti, ecc.). Gli interventi assistenziali per gli ultraquattordicenni (ad esempio, centri diurni) dovrebbero essere riservati esclusivamente agli handicappati che non sono in grado di svolgere alcuna proficua attività lavorativa. Per i minori comunemente denominati «disadattati», occorre una attenta valutazione che tenga conto delle loro esperienze, spesso caratterizzate da acute sofferenze causate dal ricovero in istituto o da gravi carenze della vita trascorsa in famiglia.

 

Modalità di intervento - Proposte

Si propone che le Sezioni ULCES, in collabora­zione con l'ANFAA, assumano le seguenti ini­ziative:

1. - Nei confronti dei mezzi di comunicazione. Una informazione semplice e non distorta è un potente mezzo di pressione, soprattutto se integrata dalle altre iniziative indicate nei punti che seguono.

Articoli su giornali e riviste, servizi radiofo­nici o televisivi, dibattiti, sono alcune possibilità che vanno utilizzate. Anche la redazione e divul­gazione di libri bianchi e la semplice distribu­zione di volantini sono strumenti utili; ad esem­pio, per denunciare l'inattività di Enti pubblici o la violazione di diritti addebitabile a istituzioni private.

2. - Nei confronti dei singoli istituti. Occorre rivendicare per i ragazzi istituzionalizzati la fre­quenza di scuole esterne (dalle materne alle su­periori) e degli altri servizi del territorio (spor­tivi, abitativi, culturali, ecc.), in modo da rompe­re la catena che inchioda i ricoverati all'interno delle strutture residenziali. Bisogna verificarne il funzionamento parlando con i ragazzi, interro­gando il personale, sollecitando Regioni, Comuni, USL ad esercitare i poteri che le leggi assegna­no a detti enti in materia di vigilanza. va di­menticato che, ai sensi dell'art. 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184 «il giudice tutelare, ogni sei mesi, procede ad ispezioni negli istituti (...). Può procedere ad ispezioni straordinarie in ogni tem­po». Anche i poteri dei Tribunali per i minoren­ni sono notevoli. Ricordiamo, ad esempio, il de­creto del Tribunale per i minorenni dell'Emilia­-Romagna emesso il 23 maggio 1972 in cui, sulla base di una dettagliata perizia d'ufficio, veniva precisato, fra l'altro, che «attualmente, e cioè come é strutturato in persone e ambienti, l'isti­tuto medico-psico-pedagogico di Villa Giardini, Modena, non sia idoneo per assicurare uno svi­luppo armonico e valido dei bambini ricoverati». Non va nemmeno sottovalutato il ruolo dell'au­torità giudiziaria ordinaria nella repressione dei reati commessi nei confronti di minori istituzio­nalizzati. Occorre altresì combattere le nuove forme di emarginazione, come sono, a nostro av­viso, i villaggi SOS e gli istituti organizzati nei cosiddetti gruppi-famiglia, i convitti.

3. - Nei confronti di Comuni, Comunità mon­tane, Usl, Province. È assolutamente necessario che gli Enti locali applichino - finalmente - tutte le leggi che direttamente o indirettamente possono migliorare le condizioni di vita dei mi­nori e delle loro famiglie (casa, diritto allo stu­dio, cultura, ecc.). Occorre, inoltre, pretendere che gli Enti suddetti diano piena attuazione alla legge 184. È altresì necessaria l'unificazione nel­le USSL di tutte le competenze assistenziali.

4. Nei confronti delle Regioni. Anche in man­canza della legge quadro di riforma dell'assisten­za, le Regioni hanno ampie possibilità - come hanno fatto alcune di esse - per emanare leggi di riordino del settore, approvare piani socio-assi­stenziali o socio-sanitari, promuovere servizi a misura delle esigenze dei minori e delle loro fa­miglie. Si ricorda che l'art. 80 della legge 4 mag­gio 1983, n. 184 prevede quanto segue: «Le Re­gioni determinano le condizioni e modalità di so­stegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponi­bilità e l'idoneità all'accoglienza indipendente­mente dalle condizioni economiche».

5. - Nei confronti del Parlamento. Da oltre vent'anni viene dichiarato che la legge di riforma dell'assistenza è necessaria, anzi indifferibile. Decine di migliaia di minori, di anziani, di handi­cappati sono costretti - a causa dell'inattività del Parlamento - a vivere in condizioni spesso disumane. Ma la legge di riforma deve essere redatta in modo che sia definito in modo assolu­tamente certo qual è l'ente che deve intervenire (mentre, purtroppo, vi sono ancora partiti i quali chiedono che alcune competenze siano svolte dai Comuni singoli e altre dai Comuni associati). Né è ammissibile, inoltre, che la legge stessa sia l'occasione per regalare ai privati parte o gran parte degli ingenti patrimoni delle IPAB, Istitu­zioni pubbliche di assistenza e beneficenza; pa­trimoni che, secondo alcuni, ammontano ad al­meno 30-40 mila miliardi. Al riguardo si segnala il pericolosissimo precedente stabilito dalla leg­ge della Regione Sicilia 9.5.1986, n. 22 che agli artt. 30 e segg. prevede il semplice regalo ai privati dei patrimoni di molte IPAB, senza che i privati abbiano alcun obbligo, nemmeno quello di conservare i beni.

 

 

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