Prospettive assistenziali, n. 10, aprile-giugno 1970

 

 

ATTUALITÀ

 

SENSIBILIZZAZIONE DELLA COMUNITA' E AFFIDAMENTO ETEROFAMILIARE DI BAMBINI HANDICAPPATI PSICHICI (1)

 

 

Nei primi mesi del 1969, si è tenuto presso un reparto dell'Ospedale G. Corberi di Neuro­psichiatria Infantile, un censimento teso a rile­vare le cause e i motivi veri della degenza dei minori.

Erano questi handicappati psichici, in ge­nere insufficienti mentali di vario grado con di­sturbi comportamentali più o meno gravi: epiles­sia, disadattamento socio-ambientale. Molti di essi frequentavano la scuola speciale annessa al reparto, altri, non ancora in grado, rimanevano nel reparto stesso, dove venivano avviati ad addestramenti di base (sapersi abbigliare, man­giare da soli, ecc.).

Erano giunti all'Ospedale per lo più con «ordinanza di ricovero» che li dichiarava «pe­ricolosi a sé e agli altri», rifiutati dalle famiglie o da Istituti Medico-Psico-Pedagogici, nella qua­si totalità dei casi perché disturbanti la vita familiare o la vita di gruppo e di comunità, nell'ambito dei predetti Istituti specializzati per l'assistenza di insufficienti mentali o di caratte­riali. Molti dei minori prima del ricovero presso l'Ospedale Corberi, erano stati ospiti di più di un istituto (un minore a 12 anni di età aveva conosciuto 13 istituti; un altro minore a 7 anni di età, era stato in otto istituti diversi).

Dalla prima rilevazione si poté pertanto constatare come alle origini del disturbo comportamentale, che si sovrapponeva a una insuf­ficienza intellettiva nella quasi totalità dei casi, di origine cerebropatica (a volte unita anche a forme di epilessia), ci fosse disadattamento socio-ambientale. Alcuni minori (il 15%) erano in stato di completo abbandono (i familiari non erano conosciuti); altri, la maggior parte, ave­vano alle spalle famiglie più o meno disgregate che, rifiutandoli, li avevano lasciati in stato di abbandono psicologico; solo una minoranza (cir­ca il 25%), proveniva da famiglia regolare, ac­cettante, che li avrebbe raccolti nel proprio am­bito, se avesse avuto risorse e strutture idonee a disposizione (scuole speciali nella zona, labo­ratori protetti, sussidi economici sostitutivi di ricovero, ecc.). Di questo ultimo gruppo face­vano parte inoltre i bambini più gravi dal punto di vista organico. Si è arrivati perciò a pensare che il rimedio più utile, la terapia più adeguata, per risolvere il problema comportamentale e il disadattamento socio-ambientale, fosse di offrire a questi bambini ciò che di fondamentale era loro mancato spesso sin dalla nascita. Si fece pertanto strada l'idea, sulla scia di quanto già sperimentato in altri Paesi (Francia: «place­ment familial» di bambini psicotici; Svizzera: i bambini sotto i 6 anni, anche handicappati, non entrano in Istituto, ma sono collocati presso famiglie; Inghilterra: i bambini soli sono collo­cati presso «foster parents»; U.S.A.: più di 200 mila minori vivono presso famiglie affidatarie), dell'affidamento eterofamiliare retribuito a scopo pedagogico-terapeutico.

I problemi da affrontare erano molti; non tutti i minori potevano essere affidati senza il consenso delle famiglie d'origine, occorreva spesso risolvere problemi di natura giuridica, era necessario ottenere dei fondi da erogare a questi scopi. Si riteneva infatti a questo pro­posito, che il compito svolto da una famiglia che ricevesse in affidamento un bambino, con­sistesse in una attività professionale vera e pro­pria (simile a quella del Medico o dell'Assisten­te Sociale che lavorano in Ospedale) e come tale pertanto dovesse essere retribuita. Oltre ai menzionati problemi si dovevano studiare le modalità di reperimento delle famiglie affidata­rie, come selezionarle, secondo le tecniche del Placement familiare e indi come poterle seguire una volta realizzato l'affidamento.

D'altra parte, si sentiva la necessità di arri­vare alla realizzazione di tali affidamenti: è noto a tutti infatti come i bambini subiscano gravi danni nella evoluzione intellettuale e affettiva, se vengono a trovarsi in condizioni di carenza di cure familiari. Ancora più grave era la situa­zione per i bambini insufficienti mentali, come quelli che erano stati studiati nella rilevazione di reparto per i quali la struttura ospedaliera, continuando la istituzionalizzazione con la con­seguente deprivazione di cure parentali, non po­teva arrecare che ulteriore danno, o nella mi­gliore delle ipotesi non permetteva l'optimum del recupero psicosociale.

Si decise allora di proporre all'Amministra­zione Provinciale di Milano, un esperimento di collocamento familiare retribuito e specializ­zato per due minori ricoverati ormai da qualche anno nell'Ospedale.

Dopo qualche tempo, nel mese di maggio 1969 la Giunta Provinciale approvò la spesa ne­cessaria per i richiesti affidamenti.

Nel frattempo si pensò di procedere ad un lavoro di sensibilizzazione al problema degli affidamenti eterofamiliari della comunità circo­stante all'Ospedale Corberi. Si iniziò pertanto con il Comune di Limbiate la cui popolazione si era dimostrata in più di una occasione disponi­bile nei confronti dei minori e desiderosa di venire loro incontro aiutandoli a risolvere qual­che loro problema.

Un gruppo di famiglie Limbiatesi si mosse, con l'équipe dell'Ospedale composta da Psichia­tra, Psicologo, Assistente Psicotecnica, Assi­stente sociale e Cappellano, organizzò una ta­vola rotonda sul tema «Bambini sali nell'Ospe­dale Psichiatrico». Venne proiettato un film documentario di Aubry dal titolo «Le conseguen­ze dell'insufficienza di cure materne», in cui venivano presentati bambini gravemente handi­cappati a causa della deprivazione di cure fami­liari e i notevoli miglioramenti che essi ripor­tavano dopo un intenso rapporto con una figura materna.

Il Cappellano presentava «Diritto del bam­bino di scarsa intelligenza a vivere la sua vita», lo Psichiatra illustrava «Nuovi orientamenti nell'assistenza all'infanzia» (affidamento fami­liare, adozione, focolari, ecc.) e l'Assistente So­ciale concludeva sui «Bisogni dei bambini dell’Ospedale Psichiatrico di Limbiate» offrendo alla popolazione di Limbiate spunti per un inter­vento concreto a favore dei bambini stessi. A seguito della Tavola rotonda i giornali della zona, trattarono dell'argomento, per molti ancora nuovo, parecchie persone vennero in Ospedale per chiedere precisazioni e ulteriori illustrazioni del problema.

Circa 15 famiglie si presentarono; altre, ve­nute a conoscenza della cosa tramite la stampa, scrissero per avere un bambino in affidamento.

L'équipe medicopsicosociale dell'Ospedale iniziò così il lavoro per conoscere le famiglie e individuare le più idonee.

Si poté in tal modo giungere nel mese di giugno 1969 ai primi due affidamenti.

Vennero scelte due bambine di cui si illu­stra qui di seguito la situazione:

1) A.M. di anni 6, ricoverata in Ospedale dal luglio 1967 (si era tentato un reinserimento nella famiglia d'origine, dopo un anno di degenza, ma trascorsi tre mesi ci fu l'insuccesso), pre­sentava una diagnosi di «insufficienza mentale di medio grado, note di comportamento psico­tico».

Era stata seguita in un piccolo gruppo con personale costante in reparto, ma questo non era bastato a «sbloccarla». Non parlava con nessuno (bisbigliava solo poche parole alla re­sponsabile del gruppo), rifuggiva soprattutto dalle figure maschili. La sua storia familiare po­teva spiegare questo. Il padre, etilista cronico, senza occupazione, faceva frequenti scenate in casa, gli episodi di violenza erano quotidiani; la bambina settimogenita di 8 figli (di cui 4 ri­coverati in Istituto) era sempre vissuta in quell'atmosfera familiare molto tesa. La madre, poco dotata intellettivamente e sempre occupata in duri lavori nei campi, non aveva saputo salva­guardarla sul piano affettivo. All'epoca dell'af­fidamento il padre aveva abbandonato la fami­glia, la madre era consenziente a procedere in tal senso (solo più tardi, a seguito di ripensa­mento, tentò di riavere con sé la figlia, fu facil­mente però convinta a rinunciare dalle grosse difficoltà a cui sarebbe andata incontro). A que­sto proposito si poté rilevare anche per altre situazioni di minori successivamente affidati, la necessità di una adeguata regolamentazione giu­ridica che si sta via via sollecitando presso i competenti Tribunali per i Minorenni.

La bambina venne affidata senza che si co­noscesse il suo quoziente intellettivo; non era stato infatti possibile ottenere dei risultati dall'applicazione di Scale di Livello per la sua per­sistente oppositività e il suo negativismo. Ora, a 8 mesi di distanza, la bambina parla, si è per­fettamente inserita nel nuovo clan familiare, ha stabilito validi rapporti affettivi con entrambi gli affidatari, è stata dichiarata idonea per essere ammessa alla Scuola Speciale. A ottobre pros­simo infatti inizierà a frequentare, come ester­na, la scuola dell'Ospedale Corberi.

La famiglia affidataria ha già altri due figli, una femmina di 12 anni e un maschio di 9 anni, che hanno stabilito con la piccola normali rap­porti fraterni. Gli affidatari hanno rispettiva­mente 35 anni e 32 anni, il marito è infermiere presso l'Ospedale Psichiatrico degli adulti e la moglie è casalinga. Risiedono a Limbiate.

2) C.D. di anni 4, ricoverata in Ospedale dal 1966, all'età di 12 mesi, presentava diagnosi di «Ritardo intellettivo di medio grado con emi­anopsia e emiparesi agli arti di sinistra». La famiglia, disgregata, non l'aveva mai seguita con regolare periodicità; con intervento del Tribu­nale per i minorenni di Milano si era ottenuta la dichiarazione di «stato di adottabilità» che venne comunicato proprio nel periodo dell'affi­damento.

Nell'ambito del reparto la bambina, essendo la più piccola come età, si era venuta a trovare in una situazione di privilegio, aveva trovato tante mamme nelle varie infermiere che ruota­vano nel servizio, si andava via via «viziando» assumeva comportamenti alterati causati dall'i­perprotezione e dalle infinite attenzioni di tutte. Non aveva però stabilito nessun rapporto affet­tivo con nessuna persona. Iniziava a parlare; necessitava di fisioterapia.

E' stata affidata a due coniugi, rispettiva­mente di 34 e 30 anni, che non hanno figli per­ché la moglie non ne può avere senza sotto­porsi a un intervento che non intende fare. Il marito è impiegato, la moglie casalinga; risie­dono a Limbiate. Attualmente ritengono di voler fare domanda di adozione della bambina al Tri­bunale dei Minorenni. La bambina è seguita in fisioterapia dall'Ospedale.

L'équipe dell'Ospedale ha costantemente as­sistito entrambe le famiglie aiutandole a risol­vere gli inevitabili problemi di varia natura (rap­porti affettivi, rapporti con la famiglia di origine, bisogno di sicurezza, ecc.). Si è incontrata con loro con periodicità mensile.

A un anno dall'affidamento le bambine ver­ranno sottoposte ambulatoriamente ad esami di controllo.

L'Amministrazione Provinciale ha retribuito con una cifra di L. 60.000 mensili ognuna delle due famiglie.

A quasi un anno di distanza dai primi due affidamenti, si può dire che essi non sono ormai più un esperimento. Sono stati seguiti da altri tre e si sta studiando la concreta possibilità di realizzarne altri molto presto. L'Amministrazio­ne Provinciale di Milano ha stanziato per l'anno 1970 la somma equivalente a n. 6 affidamenti.

Anche l'attività di sensibilizzazione si sta estendendo; si sono tenute «Tavole rotonde» sul tema trattato, a Saronno e a Monza, presto se ne realizzerà una a Cesano Maderno. Il cir­condario dell'Ospedale è perciò venuto a con­tatto con il problema e continue sono le segna­lazioni per richieste di affidamento.

E' stato portato a conoscenza delle Provin­cie d'Italia l'iniziativa della Provincia di Milano e già alcune Amministrazioni si stanno muoven­do in questo senso.

Si ritiene da ultimo, che accanto al lavoro dell'équipe, che seleziona e segue le famiglie debba concentrarsi per ora lo sforzo delle Am­ministrazioni Pubbliche per far nascere le risorse e le strutture necessarie per una completa atti­vità di recupero (es. scuole speciali, laboratori protetti, ecc.). Altrimenti gli affidamenti familiari di oggi saranno costretti a finire nel nulla con il ritorno dei minori delle istituzioni per poter frequentare la scuola speciale o per essere av­viati al lavoro. D'altro canto se dette strutture si realizzeranno, con l'intensificazione delle équipes, si potrà pensare anche a un maggior numero di rientri nelle famiglie d'origine.

 

Guido Cattabeni

Giuseppe Cicorella

Maria Nova

 

 

(1) Relazione dell'Assessorato agli Ospedali Psichia­trici della Provincia di Milano presentata al Convegno di Lecce nel marzo 1970.

 

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