Notiziario della Fondazione promozione sociale (n. 13)
(tratto da Prospettive Assistenziali, 159, 2007)

 LA FONDAZIONE DIFENDE ANCHE I MALATI PSICHIATRICI GRAVI CONTRO LE DIMISSIONI “FORZATE” DAGLI OSPEDALI E/O CASE DI CURA

 A partire dal mese di gennaio 2007 la Fondazione ha deciso di estendere l’attività di sportello, svolta dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti[1], anche alle persone affette da malattia psichiatrica.

La decisione non è stata semplice, perché, analogamente a quanto si verifica nel settore degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer o degli adulti con patologie invalidanti e/o degenerative (ad esempio persone affette da sclerosi multipla, traumatizzati cranici), all’attività pura e semplice di opposizione alle dimissioni, deve necessariamente seguire anche una precisa azione nei confronti delle istituzioni (Regioni, Asl, enti locali), perchè siano realizzate le risposte socio-sanitarie idonee a soddisfare le esigenze di questi malati: cure domiciliari, centri diurni sanitari e ricoveri convenzionati in Residenze sanitarie assistenziali.

Per raggiungere questi obiettivi la Fondazione si avvale e nel contempo sostiene, le associazioni aderenti al Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, impegnate da oltre quarant’anni nella difesa del diritto alle cure sanitarie e, in particolare degli anziani malati e non autosufficienti.

I lettori di Prospettive assistenziali conoscono bene le difficoltà e gli ostacoli incontrati, ma anche i risultati ottenuti con il volontariato dei diritti.

Tuttavia, recentemente si è costituito un coordinamento tra le associazioni di tutela dei malati psichiatrici che hanno assicurato il loro appoggio alla petizione popolare[2] e una piattaforma comune di richieste nei confronti della Regione Piemonte e delle Asl a cui hanno aderito anche il Csa.

La Fondazione ha quindi deciso di estendere la sua attività di difesa anche nei confronti di malati psichiatrici, limitando tuttavia l’intervento ai soli soggetti affetti da gravi disturbi psichici che l’ospedale e/o la casa di cura vorrebbe dimettere, pur in presenza di familiari non più disponibili ad accoglierli in casa, pur essendo affettivamente e moralmente più che intenzionati a continuare ad occuparsi del loro congiunto.

L’attività di sportello  come vedremo più avanti – può soddisfare le esigenze del singolo caso, ma, nel contempo permette di entrare nello specifico dei problemi, individuare gli ostacoli e avanzare proposte operative concrete alle amministrazioni a tutela dei diritti di questi malati: aspetto questo che dovrà essere sostenuto dall’attività delle associazioni di tutela. A titolo di esempio riportiamo una delle situazioni seguite.

 

Il caso della signora E. V.

Il 7 marzo 2007 la signora E. V. telefona alla Fondazione. Ha il padre di 78 anni ricoverato in una casa di cura convenzionata per malattie mentali. È agitata e preoccupata perché, a dieci giorni dal ricovero avvenuto in seguito ad una forte crisi, con aggressività manifestata nei confronti della moglie (di anni 74)[3], il medico del reparto le ha annunciato la dimissione del paziente a giorni.

La signora ha accolto in casa la madre (che è terrorizzata), ma ha una bambina piccola e non può assolutamente occuparsi del padre se rientrasse al domicilio.

E che ne sarebbe di lui – si chiede – una volta a casa, da solo, incapace com’è di provvedere alle esigenze minime: farsi da mangiare, andare a fare la spesa, prendere le medicine?

È l’assistente sociale dell’Asl, a cui si è rivolta, che le ha consigliato di rifiutare le dimissioni e di rivolgersi alla nostra Fondazione.

Chiariamo con la signora E. V. che l’obbligo di cura spetta in effetti al Servizio sanitario nazionale e non ai familiari.

Poiché l’alloggio è affittato a nome del padre, consigliamo per il momento di continuare a ospitare presso di lei la madre.

Vista la minaccia di dimissioni incombente le suggeriamo però di inviare subito la seguente raccomandata con ricevuta di ritorno:

«Egr. Direttore Generale Asl

- Egr. Direttore Generale Asl

- Egr. Direttore Sanitario (Ospedale o Casa di cura privata convenzionata

Confermo mia impossibilità ad accettare le dimissioni di mio marito C. V. affetto da ideazione delirante con tematiche di gelosia nei miei confronti  vedi documentazione allegata) attualmente ricoverata presso la Casa di Cura… dal quale ho subito aggressività fisica e verbale; perciò sano stata costretta a trasferirmi a casa di mia figlia. Consegnerò la chiavi di casa come da lui voluto ma segnalo la mia preoccupazione perché ritengo non sia in grado da solo di assumere regolarmente la terapia e di provvedere alle sue esigenze fondamentali di vita.

«Chiedo pertanto ai responsabili in indirizzo di agire nei suoi riguardi attivando i percorsi di cura necessari alla sua tutela».

Il primo risultato è che le dimissioni non sono più così imminenti, anche se i medici della Casa di Cura continuano a non voler prendere in considerazione i problemi della moglie.

La figlia, pur avendo molti sensi di colpa, perché vuole bene al padre, capisce che non può permettere che torni a casa con grave rischio per l’incolumità di sua madre. Sostenuta dalla Fondazione resiste alle pressioni, ma decide di incontrare il padre.

Riesce ad avere un colloquio ragionevole con lui, che accetta l’ipotesi di un ricovero definitivo in Rsa; nell’arco di una quindicina di giorni il signor C. V. è trasferito, con il suo consenso, dalla casa di cura ad una Rsa con ambulanza a carico del Servizio sanitario regionale. La moglie può rientrare a casa.

 

Altre iniziative della figlia

Purtroppo la struttura di ricovero è situata a più di 50 chilometri di distanza dalla residenza della figlia che desidera continuare ad interessarsi di suo padre.

La signora decide quindi di scrivere alla Presidente della Giunta della Regione Piemonte per evidenziare la difficoltà, con una figlia piccola, a seguire la madre anziana e il padre ricoverato così lontano.

Inoltre, informata dalla Fondazione sui diritti dei ricoverati in Rsa, assume anche iniziative concrete nei riguardi della struttura e invia la lettera riportata in precedenza.

Infine, per rappresentare meglio gli interessi di suo padre decide anche di assumere le funzioni di amministratore di sostegno e, dopo essersi consultata con l’Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali), che segue per conto della Fondazione questa attività, ha presentato autonomamente la domanda, come previsto dalla legge 6/2006.

 

Commento

Questi sono i fatti, così come sono accaduti, che dimostrano che le leggi vigenti tutelano i malati cronici non autosufficienti, qualunque sia la loro patologia.

Osservo che il malato non è entrato in nessuna lista d’attesa e ha ottenuto il ricovero, entro due mesi circa, passando direttamente dall’ospedale (ricovero in Tso) alla casa di cura e poi alla Rsa convenzionata.

Certamente non è stato tutto lineare, perché la signora E. V., come spesso capita con i parenti, ha avuto non pochi timori prima di decidersi a scrivere, temendo ricatti e ripercussioni negative nei confronti del malato.

Si noti che la telefonata è del 7 marzo 2007, ma la lettera verrà inviata solo il 3 aprile, e cioè quasi un mese dopo, durante il quale la signora ha tentato (inutilmente) di risolvere la questione “parlando” con i medici e l’assistente sociale.

Ma, come riconoscerà in seguito, è l’invio della lettera raccomandata che ha modificato significativamente la situazione.

Nel caso in specifico, vista l’età (78 anni) la Rsa era una condizione alternativa accettabile.

Nel caso di giovani e/o adulti con problemi psichiatrici gravi la risposta dovrebbe essere la comunità alloggio sanitaria.

Auspichiamo, quindi, che associazioni di tutela dei malati psichiatrici sostengano la difesa dei casi singoli e, contestualmente, promuovano le iniziative necessarie (comprese azioni rivendicative e di protesta) nei confronti delle istituzioni, affinché sia davvero esigibile il diritto alle cure sanitarie per i malati psichiatrici che non possono rientrare al proprio domicilio e siano realizzate le strutture residenziali necessarie in misura adeguata al fabbisogno.

Come abbiamo spiegato inizialmente la Fondazione in questa prima fase, si limita a seguire solo i casi di dimissioni di malati gravi che non possono rientrare al domicilio. Resta ovviamente da sostenere e promuovere tutta la parte relativa alla prevenzione e cura della malattia mentale, e all’esigenza di interventi sanitari domiciliari e semiresidenziali quali i centri diurni.



[1] La Fondazione ha rilevato l’attività del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti che, per conto delle associazioni aderenti al Csa, provvedeva - sin dal 1978 - alla tutela dei casi individuali. Lo sportello è attivo per:

- fornire le informazioni e il sostegno necessari ai familiari di soggetti con handicap intellettivo e ai congiunti di adulti e anziani cronici non autosufficienti (compresi i malati di Alzheimer), affinché possano tutelare al meglio i diritti dei propri familiari;

- aiutare i cittadini a predisporre correttamente le richieste agli enti pubblici per ottenere le prestazioni necessarie (ad esempio centri diurni, comunità alloggio);

- ottenere la prosecuzione delle cure presso ospedali o case di cura private convenzionate degli adulti e degli anziani cronici non autosufficienti, quando non è possibile il loro rientro a domicilio e non è disponibile un posto letto convenzionato con l’Asl in una residenza socio-sanitaria;

- richiedere agli enti locali l’integrazione delle rette di ricovero, prevista dalle leggi vigenti e che riguardano gli anziani malati cronici non autosufficienti ultrasessantacinquenni ed i soggetti con handicap in situazione di gravità.

La consulenza è fornita previo appuntamento, a titolo gratuito.

[2] Ci riferiamo alla petizione popolare (tuttora in corso) rivolta al Presidente della Regione Piemonte, ai Sindaci, ai Presidenti delle Province, delle comunità montane e dei consorzi socio-assistenziali, ai Direttori generali delle Asl e delle Aso, sottoscritta da oltre 50 organizzazioni del terzo settore. Si vedano al riguardo gli articoli pubblicati su Prospettive assistenziali “Una petizione popolare per richiedere idonei provvedimenti sanitari, socio-sanitari e assistenziali a favore dei soggetti deboli del Piemonte”, n. 153, 2006; Maria Grazia Breda, “Petizione popolare per il Piemonte: i primi risultati ottenuti”, n. 157, 2007.

[3] Nella dichiarazione medica che la signora E. V. ha inviato successivamente risulta che il signor C. V. «Entra in reparto proveniente dal Servizio psichiatrico di diagnosi e cure dove era stato ricoverato in regime di Tso [trattamento sanitario obbligatorio, n.d.r.] in data 7 febbraio 2007 e trasferito con diagnosi di episodio psicotico acuto, vasculopatia ischemica cerebrale generalizzata, ipertensione arteriosa con insufficienza renale, ipertrofia prostatica. Al domicilio il paziente aveva più volte aggredito la moglie spinto da una ideazione delirante con tematiche di gelosia (…)». Al momento del trasferimento alla casa di cura il medico conferma che «permane l’interpretatività delirante nei confronti della moglie che consiglia al momento il proseguimento delle cure in casa di cura».