emoriale delle vittime dell'emarginazione sociale

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  Bambini utilizzati come cavie

HANDICAP




Su Il Giorno del 25 marzo 1971 era comparso un importante articolo in cui il Professor Giulio A. Maccaccaro aveva denunciato che, nelle sperimentazioni di nuovi farmaci, i pazienti venivano spesso utilizzati come topi e che fra le vittime preferite vi erano anche bambini e fanciulli colpiti da handicap.

Ecco la sua testimonianza:

«Di esperimenti condotti su bambini ne ricordo uno compiuto presso l’Istituto di igiene e la Clinica pediatrica dell’Università di Pisa. Gli autori G. Santopadre e L. Poli erano curiosi di sapere se alcuni tipi di un microbo “l’Escherichia coli” possono produrre enteriti nei bambini. I nostri studi – essi scrivono sulla Rivista dell'Istituto Sieroterapico Italiano, 54, pag. 493 – sono stati condotti su soggetti affetti da gravi alterazioni cerebropatiche e successivamente, anche su bambini sani e convalescenti. A questi bambini – dell’Ospizio della clinica – Santopadre e Poli hanno fatto ingoiare culture di germi “noti come capaci di accompagnarsi ad episodi acuti di gastroenterite” per poi vedere cosa succedeva agli sventurati (…)».

Nello stesso articolo, il Professor Maccaccaro aveva segnalato quanto segue:

«Carlo Sirtori, direttore generale dell’istituto Gaslini di Genova, non è secondo né a loro né ad altri quando decide di “usare” i bambini ricoverati nelle Cliniche universitarie convenzionate e ospitate dal Gaslini. Un bel giorno egli sente l’urgenza di fotografare il virus dell’epatite virale. Allora prende 3 bimbi (S. P. femmina anni 2; D. l. femmina anni 3; C.T. maschio anni 8) ricoverati al Gaslini per questa grave malattia e a ciascuno, perforando l’addome, asporta un pezzetto di fegato da guardare al microscopio elettronico. Per essere più sicuro di riuscire nell’intento – racconta C. Sartori su Gazzetta sanitaria 1970, p. 266, da lui diretta – “ero ricorso ad un espediente farmacologico: prima della biopsia somministrai ai primi due bimbi 8 milligrammi per chilogrammo di peso al giorno di azatoprina per tre giorni e al terzo bimbo 8 per cinque giorni (...). L’azatoprina poteva nel nostro caso ridurre i poteri immunitari e rendere pertanto più agevole la maturazione del virus”».

Questo il commento di Maccaccaro:

«Tre bambini vengono ricoverati nella clinica genovese, perché il loro fegato è infettato da un virus non di rado letale: non c’è farmaco per questa malattia: la cura consiste nel proteggere il fegato da altre cause lesive e favorire contemporaneamente lo svilupparsi di quelle difese naturali – cioè immunitarie – che sole possono portare a guarigione. Invece Sirtori fa somministrare ai tre bimbi del Gaslini una sostanza che paralizzi tali difese perché il virus possa svilupparsi più rigogliosamente nel fegato e sia più facile fotografarlo in quel pezzetto dello stesso fegato che egli strapperà tre o cinque giorni dopo. È chiaro che nessuna di queste operazioni configura il più piccolo vantaggio terapeutico e diagnostico, anzi un gravissimo rischio per: S. P. femmina anni 2; D. L. femmina anni 3, C. T. maschio anni 8. Ma Sirtori assicura che più tardi i tre bimbi sono guariti. Se fossero morti ne avremmo mai letto la storia scritta da lui e da lui conclusa con queste incredibili parole “per un traguardo che trasforma l'ambizione in virtù”?».


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