Prospettive assistenziali     n. 166  aprile giugno 2009

 

 

Libri

 

 

Silvana lucariello (a cura di), Portato da una cometa - Il viaggio dell’adozione, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2008, pag. 662, euro 28,00

L’Autrice, referente di uno dei cinque poli per l’adozione di Napoli, esprime fin dalle prime pagine giudizi estremamente negativi nei riguardi del bambino adottato.

Infatti afferma che «il sentimento d’affetto e la dedizione che sinceramente si è pronti ad offrirgli, non cancellano perdite e delusioni; anzi per certi versi le successive testimonianze affettive amplificano la mancanza di quello che a lui, proprio a lui, non è toccato di vivere: crocicchio di un dolore senza risposta, che probabilmente il bambino tenderà a colmare con ipotesi, teorie e dubbi destinati con molta probabilità a rimanere insoluti».

E più avanti: «lo strappo delle prime esperienze e le assenze significative non potranno essere ricucite da chi di quell’affetto lo ha privato: da quel mondo materno e paterno il bambino non riceverà risposte agli accadimenti verificatisi all’inizio della vita e solo con enorme fatica potrà ricomporre i tasselli di spazi inesplorati».

Ne consegue che «bisogna amaramente ammettere che perdite di patrimoni primari di esperienze  e mancati .fondamenti, cioè di spazi non segnati e non solcati, rappresentano qualcosa di non sostituibile ed arginabile con altro».

Pertanto, seconda Silvana Lucariello «il contributo dei genitori adottivi, offerto con le migliori intenzioni, non è detto che produca inevitabilmente, in chi è stato privato di affetto, reazioni di consenso e condivisione».

L’Autrice asserisce inoltre che «esaminando più direttamente la genitorialità adottiva, si nota che un primo e fondamentale elemento che la distingue da quella naturale, sia l’iniziale sconnessione tra elementi biologici e contenuti affettivi nell’esperienza di vita del bambino e degli adulti».

Emerge, dunque, una distinzione che l’Autrice considera irrisolvibile. A nostro avviso, le considerazioni dell’Autrice contrastano tra la genitorialità “elettiva” e quella “naturale” per cui quella adottiva non è naturale e quindi artificiale o elettiva.

Da parte nostra continuiamo a far riferimento alle parole del Cardinale Carlo Maria Martini che, nel messaggio inviato agli organizzatori e ai partecipanti del convegno “Bambini senza famiglia e adozione - Legislazione ed esperienze europee a confronto”, svoltosi a Milano il 15 e 16 maggio 1997, aveva sottolineato l’esigenza «di vedere riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione e della genitorialità adottiva quale filiazione e genitorialità vere».

Infatti, secondo il Cardinale martini «la maternità e la paternità non si identificano semplicemente con la procreazione biologica, perché “nato da” non è sinonimo di “figlio di”».

Partendo dalla differenziazione fra genitorialità elettiva e genitorialità naturale, si comprendono i motivi in base ai quali Silvana Lucariello non si riferisce mai alla informazione al bambino della sua situazione di figlio adottivo, ma utilizza il termine “rivelazione”.

Al riguardo, come giustamente osservano nel volume in oggetto Francesca Dici e Daniela Frola la parola “rilevare” sottintende «l’occultamento di una verità, rimanda, cioè, all’esistenza di un segreto, taciuto  e custodito gelosamente».

Certamente se la madre (o il padre) adottiva dice al bambino adottato di non essere la “vera” madre, questa è sicuramente una notizia sconvolgente che condizionerà negativamente il fanciullo, che andrà alla ricerca dei suoi “veri” genitori.

Ben diversa è l’informazione, comunicare il più precocemente possibile, della sua situazione di figlio, nato da altre persone.

L’analisi del volume Portato da una cometa dimostra che ancora lunga è la strada da percorrere prima che all’adozione venga riconosciuta, come chiedeva il Cardinale Martini, la piena dignità e il valore di «filiazione e genitorialità vere».

 

ALBERTO GIASANTI, EUGENIO ROSSI (a cura di), Affido forte e adozione mite: cultura in trasformazione, Franco Angeli, Milano, 2007, pag. 170, euro 16,00

Le problematiche relative all’affidamento familiare di minori a scopo educativo sono affrontate da Alberto Giasanti ed Eugenio Rossi sulla base di una ricerca promossa dall’Amministrazione comunale di Sesto San Giovanni.

Secondo gli Autori «le principali caratteristiche dell’affido familiare dovrebbero essere: la temporaneità, il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine, la previsione del rientro del minore nella famiglia d’origine».

Giustamente essi affermano, inoltre, che la pratica dell’affido familiare richiede «di prendere in considerazione contemporaneamente tutti gli attori della relazione educativa: il soggetto affidato, la famiglia d’origine, la famiglia affidataria e gli operatori sociali del Comune».

Nonostante le succitate asserzioni la ricerca non si rivolge all’aspetto fondamentale dell’affido e cioè alle effettive prestazioni fornite dai Comuni e dagli altri enti pubblici ai nuclei familiari in difficoltà, al fine del superamento per quanto possibile delle loro difficoltà.

Secondo le nostre esperienze detti interventi non riguardano solamente, come sostengono gli Autori del libro, «gli operatori sociali del Comune», ma coinvolgono in primo luogo le istituzioni ed i loro provvedimenti: ai soggetti in condizioni di disagio socio-economico sono riconosciuti diritti esigibili? Quali sono le prestazioni previste? Se non vengono fornite in una misura ritenuta adeguata dagli utenti, quest’ultimi possono presentare ricorso?

A nostro avviso è fuorviante affermare che le caratteristiche principali sono la temporaneità e il rientro del minore nella sua famiglia d’origine, qualora – come purtroppo quasi sempre avviene – i detti nuclei non vengono adeguatamente supportati al fine della risoluzione completa o parziale delle loro situazioni che avevano determinato l’allontanamento del fanciullo dal suo nucleo familiare.

Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne la questione del cosiddetto “semiabbandono” che, a parere degli Autori «si riferisce a quella situazione nella quale non vi è una condizione di totale abbandono del minore, privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, ma quella meno grave della mancanza di ambiente familiare idoneo che – quando è  temporanea – costituisce il presupposto dell’affidamento familiare. All’espressione semiabbandono permanente sono equiparate altre, quali quella che richiama le cosiddette zone grigie dell’abbandono e quella di “bambini nel limbo”, che si riferisce ai minori il cui affidamento familiare cominciato come temporaneo si trasforma poi in affidamento sine die per il mancato rientro del bambino nella famiglia d’origine alla scadenza dell’affidamento. Gli affidamenti sine die costituiscono la maggioranza (58%) del totale degli affidamenti familiari italiani».

Come risulta evidente, le sopra citate definizioni del “semiabbandono permanente”, che riguardano le difficoltà dei nuclei familiari in condizioni di disagio, non tengono in alcuna considerazione – fatto di estrema gravità – l’effettuazione o meno delle erogazioni di competenza dei settori della sanità (ad esempio nei confronti del o dei genitori con problemi psichiatrici), della casa (nei riguardi di coloro che vivono in ambienti malsani o sono costretti a versare affitti troppo elevati rispetto alle loro risorse), del lavoro (per quanto concerne i disoccupati, i sottoccupati ed i pecari) e degli altri settori sociali, ivi compreso quello relativo all’assistenza.

È inaccettabile ciò che troppo spesso avviene e cioè che i nuclei in difficoltà siano abbandonati a loro stessi dalle istituzioni e la conseguenza sia la sottrazione dei loro figli mediante le cosiddette adozioni miti o aperte, non previste dal nostro ordinamento giuridico.

Il libro contiene anche una parte redatta da Franco Occhiogrosso sull’adozione mite in cui sono ripetute le posizioni da noi ripetutamente contestate su questa rivista.

 

ERIKA FERRARESI, Mamma col cuore - La mia vita con l’endometriosi, Edizioni Pendagron, Bologna, pag. 174, euro 13,00

Il racconto in prima persona di una donna che desidera disperatamente un figlio ma si scopre sterile a causa di una malattia poco conosciuta ma purtroppo abbastanza diffusa: l’endometriosi, di cui in Italia sono vittime circa 3 milioni di donne.

Secondo quanto precisa l’Associazione italiana endometriosi (cfr. il sito www.endoassoc.it) «si tratta di una malattia cronica, dato che allo stato attuale delle conoscenze scientifiche non esiste un  trattamento terapeutico capace di eliminarla definitivamente. I sintomi, che spesso accompagnano la malattia secondo uno spettro molto ampio a livello sia qualitativo sia quantitativo, si suddividono in due grandi categorie: il dolore e l’infertilità o la sterilità». Erika Ferraresi rende i lettori partecipi della sua sofferenza che non coinvolge soltanto l’apparato riproduttivo, ma anche per le continue visite alla ricerca del medico che possa farla stare meglio e per il bruciante desiderio di maternità destinato a rimanere inappagato.

Come viene precisato nella prefazione, l’Autrice «si dibatte nella profonda scissione tra due mondi che coesistono dentro di lei: da un lato la vita lavorativa e professionale, appagante, coinvolgente e “di successo”; dall’altro la vita privata, dove la mancanza di un figlio sembra offuscare ogni sicurezza. Così la sensazione di “non farcela” ad avere un bambino, l’incontro inaspettato con la sterilità gettano sulla sua esistenza l’ombra di quello che lei vive come “insuccesso”. Dentro questa esperienza di sofferenza, un marito innamorato, gli affetti, le amicizie sembrano non essere sufficienti per sentirsi piena e realizzata».

Tenta in tutti i modi di curarsi e di realizzare il suo sogno di maternità percorrendo anche la strada della riproduzione assistita, che però si rileva impraticabile.

A questo punto pensa all’adozione che ci sembra venga considerata dall’Autrice come strumento risolutivo dei suoi problemi e non come decisione assunta per dare una famiglia ad un bambino che né è privo.