Prospettive assistenziali     n. 166  aprile giugno 2009

 

LETTERA APERTA AI PRESIDENTI DELL’AIBI E DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI BARI SUL RISCHIO CHE CON L’ADOZIONE MITE VENGANO SOTTRATTI INGIUSTAMENTE MINORI AI NUCLEI FAMILIARI IN DIFFICOLTÀ

 

 

In data 10 ottobre 2008 il quotidiano Avvenire ha riportato le risposte di Marco Griffini, Presidente dell’AiBi, Associazione amici dei bambini e di Francesco Santanera alle seguenti domande:

Da qualche anno Marco Griffini, presidente dell’AiBi, ragiona sui legami di sangue. Può spiegarci perché a suo giudizio diventano troppo spesso un vincolo all’adozione di un bam­bino?

In oltre vent’anni di lavoro per i bambini abbandonati e in difficoltà familiare siamo venuti a conoscenza di centinaia di casi di minori che hanno perso l’opportunità di crescere in una famiglia perché le istituzioni competenti hanno cercato a tutti i costi di preservare il loro legame con la famiglia di origine, anche quando era manifesta la sua impossibilità di prendersi cura dei figli. È questo il nodo che dovremmo sciogliere una volta per tutte: è il diritto del minore alla famiglia che va garantito, non l’interesse dei genitori al figlio.

Il dottor Santanera, che risponde ad altre domande in parallelo a lei, critica la vostra proposta di adozione aperta in presenza di qualche legame con la famiglia d’origine perché ci sarebbe il grave pericolo che «venga utilizzata per sottrarre i minori appartenenti a nuclei familiari in condizioni di disagio socio-economico». Cosa risponde?

Il punto della questione non è tanto il rischio di sottrarre il minore alla famiglia, in quanto si tratta di una soluzione a cui i servizi ricorrono in extrema ratio, quanto quello di prendere una decisione in grado di garantire il pieno interesse del minore in difficoltà familiare. Oggi ci troviamo di fronte a una grande sfida: risolvere il dramma dei minori che vivono fuori dalla famiglia, almeno 34mila in Italia. Per questo è fondamentale promuovere qualsiasi sperimentazione, tentativo e azione capace di liberare i bambini dal limbo dell’abbandono. Purtroppo questo percorso è irto di ostacoli, esistono troppi miti contro cui dobbiamo lottare: il mito della famiglia di origine, dell’assistenza, della cultura. Se consideriamo l’adozione aperta come un tentativo, una delle strategie in grado di dare il calore di una mamma e un papà a migliaia di bambini che vivono fuori famiglia per un tempo indeterminato, allora è sicuramente una strada da perseguire. Tuttavia dal nostro punto di vista, dovrebbe avere un carattere comunque residuale, in quanto non costituisce la soluzione ottimale per il bambino abbandonato a cui deve essere garantito l’affetto e il calore che solo una famiglia adottiva può offrire.

Secondo lei laddove è stata sperimentata l’adozione mite, essa ha avuto buoni risultati?

Il caso della Puglia è esemplare: il Tribunale per i minorenni di Bari, su iniziativa del giudice Franco Paolo Occhiogrosso, ha sostenuto questo tipo di sperimentazione con risultati significativi. Nel 2006 erano circa 50 i minori che, grazie all’adozione mite, hanno avuto da un lato la possibilità di mantenere il legame con la famiglia di origine e dall’altro di creare una relazione stabile e continuativa con genitori disposti ad accoglierli, riconosciuta ex lege.

Santanera, ancora, critica il fatto che l’adozione mite sia concessa anche alle persone singole, temendo che sia la strada maestra per l’adozione da parte di coppie omosessuali. Qual è la sua posizione?

In più occasioni AiBi ha espresso preoccupazione rispetto a una possibile apertura dell’adozione sia ai single quanto alle coppie gay: si tratta di una valutazione che va oltre la capacità della persona di occuparsi della crescita di un figlio, ma che si concentra sui bisogni del minore. Per diventare un adulto sereno e responsabile il bambino dovrebbe avere modelli affettivi e sessuali che riflettano ruoli chiari e codificati. Ad ogni modo dobbiamo tenere presente che l’adozione mite è riconducibile alla fattispecie dell’adozione non legittimante e seppure sia prevista in casi speciali come stabilisce l’articolo 44 della legge 149/2001, mi sembra difficile che diventi una scorciatoia per aprire l’adozione ai single o alle coppie omosessuali.

Per quanto riguarda gli affidi familiari, la proposta di AiBi va nel senso di un rilancio di quelli temporanei, ma di uno svuotamento di quelli “sine die” a vantaggio dell’adozione. Ma questa proposta cozza contro la mancanza di investimenti sulla famiglia di origine: è ovvio – dicono i critici – che un affido diventa sine die se non si investe sulla “riabilitazione” della famiglia di origine. Cosa risponde a queste critiche?

Mi sembra che questa valutazione non consideri un dato importante: esiste una serie di strumenti e misure, anche a carattere preventivo, a sostegno delle famiglie in difficoltà. Del resto dalla nostra esperienza di associazione che lavora con le famiglie veniamo a conoscenza di decine e decine di casi di genitori che si disinteressano completamente del benessere dei loro figli, indipendentemente dalla loro condizione economica. Occorre fare un’importante distinzione per non cadere in facili equivoci: da un lato esiste il problema della povertà materiale che rende difficile alle famiglie prendersi cura nella maniera adeguata dei loro figli, dall’altro si presenta una evidente povertà spirituale della famiglia che determina la trascuratezza e l’abbandono morale dei figli. In entrambi i casi le autorità competenti rendono possibile l’adozione solo come extrema ratio, laddove non sia possibile il riavvicinamento del minore alla famiglia di origine. E nel frattempo i figli rimangono in una zona grigia dell’accoglienza, in cui il minore non può essere inserito definitivamente in nessuna famiglia, né di origine né adottiva.

Francesco Santanera, fondatore dell’Anfaa, si è detto contrario all’adozione “mite” o “aperta”, così come proposta dall’AiBi al Governo. Può spiegare perché?

Perché non sono state finora avanzate proposte che evitino l’ingiustificata sottrazione dei minori ai nuclei in gravi difficoltà; nonostante ne venga suggerito l’inserimento nel nostro ordinamento nei riguardi dei bambini che, come ha dichiarato AiBi ad Avvenire il 16 maggio scorso, conservano «qualche legame seppur tenue, con la famiglia d’origine». È vero che con l’adozione “mite” o “aperta” il minore non rompe i rapporti giuridici con la famiglia d’origine, ma è altrettanto vero che gli adottanti assumono i poteri genitoriali e quindi possono trasferirsi in qualsiasi luogo, anche all’estero, creando in questo modo un impedimento al mantenimento delle relazioni con la famiglia d’origine.

Dunque è anche contrario alle forme di adozione mite sperimentate da alcuni tribunali ita­liani?

Il presidente del Tribunale per i minorenni di Bari ha deciso di procedere alla pronuncia delle ado­-zioni miti (istituto giuridico non previsto dal nostro ordinamento) asserendo di essere stato autorizzato dal Consiglio superiore della Magistratura. Ma in una lettera del 23 maggio 2006 il segretario generale del Csm ha dichiarato che nessuna autorizzazione era stata rilasciata. Sono contrario all’adozione mite non solo perché non è prevista dalle leggi vigenti, ma anche perché non vi sono garanzie sulla preventiva tutela dei diritti dei genitori nei riguardi dei loro figli.

L’AiBi sostiene che talvolta è più utile spezzare legami di sangue fragili e insignificanti piuttosto che condannare un bambino a restare per sempre senza famiglia. Cosa ne pensa?

Se i legami tra il bambino e il suo nucleo d’origine sono insignificanti, come sostiene l’AiBi, allora ci sono le condizioni per la dichiarazione di adottabilità e la successiva adozione legittimante. Se invece i legami sono fragili, allora occorre fornire al nucleo d’origine i supporti necessari affinché vengano rispettati i principi fondamentali della legge 184/1983 che stabilisce: «Il minore ha diritto a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia»; «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla  propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto». Nonostante questo, purtroppo non vi sono leggi dello Stato e delle Regioni (esclusa la n. 1/2004 della Regione Piemonte) che sanciscano diritti esigibili alle persone e ai nuclei familiari in difficoltà. Ne deriva che gli enti pubblici possono agire o non agire: in sostanza possono fare quello che vogliono. Inoltre non mi risulta che vi siano Comuni che obbligano i propri operatori a redigere piani specifici di sostegno, in cui siano precisati gli interventi che saranno forniti dai servizi (casa, sanità, scuola, assistenza, ecc.) e gli adempimenti che il nucleo familiare è tenuto a osservare. Questi piani dovrebbero essere il punto di riferimento anche dei Tribunali per i minorenni per poter verificare, sia nei casi in cui venga in seguito avviato il procedimento di adottabilità, sia qualora si proceda successivamente a un affido, le effettive attività svolte dai servizi e i reali comportamenti del nucleo familiare.

Perché pensa che l’adozione “mite” possa diventare un “cavallo di Troia” per l’adozione alle coppie omosessuali?

Di fronte alla disponibilità di circa 10 coppie di coniugi per ciascun bambino adottabile, ritengo che l’adozione da parte di conviventi o di persone singole, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale, si ponga in netto contrasto con i diritti del bambino adottabile di crescere in una vera famiglia. Da osservare che gli effetti dell’adozione mite e di quella disposta nei confronti di una persona singola sono molto negativi per l’adottato rispetto a quelli previsti per l’adozione legittimante. Infatti l’adottato con adozione mite non diventa figlio legittimo del (o dei) coniugi adottanti e non stabilisce alcun rapporto di parentela con i componenti della famiglia adottiva; il o gli adottanti possono essere anche molto anziani non essendo previsti limiti massimi di età; il Tribunale per i minorenni può pronunciare l’adozione anche senza l’assenso dei genitori e infine l’adozione può essere revocata, benché solo per gravi motivi.

Cosa ne pensa degli affidi familiari “a tempo indeterminato”? Non equivale a mantenere un bambino nel limbo?

Purtroppo gli affidi sine die ci sono e ci saranno sempre. Era una situazione presente quando nel 1967 l’Anfaa e l’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) ne hanno promosso l’istituzione in Italia. Tuttavia la situazione dei bambini in affidamento sine die è di gran lunga migliore del ricovero presso comunità alloggio, in cui il minore vive una situazione non da limbo, ma spesso da inferno. D’altra parte se il minore e la sua famiglia ricevono i necessari supporti dai servizi, non mi sembra che il fanciullo si trovi obbligatoriamente in una situazione critica. Compito della famiglia affidataria è anche quello di aiutare il minore a comprendere le difficoltà della sua famiglia d’origine.

 

Una precisazione

Poiché nel testo pubblicato su Avvenire mancavano alcune parti significative, il 14 ottobre 2008 Francesco Santanera ha inviato a Marco Griffini la seguente e-mail: «Le scrivo in quanto nel testo pubblicato su Avvenire del 10 ottobre u. s., certamente per motivi di spazio, non sono riportate alcune tra le motivazioni che mi inducono ad essere contrario all’adozione mite o aperta. Avevo premesso che quando l’Anfaa nel 1963 aveva promosso la legge sull’adozione incentrata sui diritti dei fanciulli senza famiglia “allo scopo di evitare la sottrazione dei figli ai congiunti in condizione di disagio personale, sociale ed economico” avevo proposto “l’innovativa dichiarazione di adottabilità, al cui procedimento hanno diritto di partecipare non solo i genitori ma anche tutti i parenti che hanno avuto rapporti significativi con il minore. Il procedimento di adottabilità prevede obbligatoriamente una serie di accertamenti sulla situazione del minore e del suo nucleo d’origine; a sua volta la legge 184/1983 stabilisce che i genitori e gli altri congiunti di cui sopra possono agire contro le decisioni del Tribunale per i minorenni ricorrendo alla Corte d’appello e a quella di Cassazione”.

«Avevo inoltre precisato che “le sentenze appellate che hanno annullato dichiarazioni di adottabilità confermano la validità della procedura prevista dalla legge a tutela dei diritti del minore e del suo nucleo d’origine”.

«Inoltre, alla seconda domanda avevo risposto quanto segue: Sono contrario all’adozione mite non solo perché non è prevista dalle leggi vigenti, ma anche per il fatto che non vi sono garanzie di sorta per quanto riguarda la preventiva tutela dei diritti dei genitori nei riguardi dei loro figli, com’è dimostrato da alcune sentenze, di cui ne cito due. Il Tribunale per i minorenni di Torino ha pronunciato il 31 gennaio 2008 una adozione ai sensi dell’articolo 44 della legge 184/1983, addirittura contro la volontà della madre esercente i poteri parentali. Nonostante l’evidente violazione della legge, non avendo la madre presentato ricorso, la sentenza è diventata definitiva e il figlio le è stato ingiustamente sottratto. Significativa è altresì la sentenza della Corte costituzionale n. 315 del 10 luglio 2007 che ha impedito la sottrazione di un figlio dal proprio padre biologico, come aveva deciso il Tribunale per i minorenni di Venezia, con una singolare interpretazione del su citato articolo 44 della legge 184/1983”.

«Nei riguardi dell’adozione mite Lei afferma che “nel 2006 erano circa 50 i minori che, grazie all’adozione mite, hanno avuto da un lato la possibilità di mantenere il legame con la famiglia d’origine e dall’altro di creare una relazione stabile e continuativa con genitori disposti ad accoglierli, riconosciuta ex-lege”. Al riguardo gradirei avere copia delle sentenze (e se possibile anche delle relazioni sociali) dalle quali Lei ha ricavato il Suo giudizio nettamente positivo. Tenga presente che le mie valutazioni negative sul citato comportamento dei Tribunali per i minorenni di Torino e di Venezia derivano dall’analisi delle sentenze, commentate sui n. 162 e 163 di Prospettive assistenziali.

«Per quanto concerne l’affidamento familiare a scopo educativo avevo scritto quanto segue:

“a) Purtroppo ci sono e ci saranno sempre degli affidi sine die. Era una situazione presente quando nel 1967 l’Anfaa e l’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) ne hanno promosso l’istituzione in Italia. Infatti nel volume che avevo scritto con Giuseppe Andreis e Frida Tonizzo, L’affida­mento familiare edito dall’Amministrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali, era stato precisato che ‘l’affidamento intende essere una risposta ai problemi del bambino il cui nucleo familiare eccezionalmente o temporaneamente o definitivamente non è in grado di provvedere al suo allevamento, educazione, istruzione e d’altra parte la situazione non è risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia d’origine o con l’adozione a seconda dei casi’;

“b) Circa gli affidamenti sine die occorre che i Comuni garantiscano le prestazioni anche dopo il raggiungimento della maggiore età. Ricordo che il Comune di Torino ha stabilito che detti progetti devono ‘concludersi non oltre il compimento del venticinquesimo anno di età del giovane’ ed ha previsto l’erogazione agli affidatari di un contributo di euro 5.164,57 da utilizzare per il pagamento della cauzione dell’alloggio in cui andrà ad abitare il giovane, l’acquisto dei mobili e le altre esigenze. Nel caso di affidati con limitata o nulla autonomia, l’affidamento può proseguire anche oltre il 25° anno d’età. Inoltre occorrerebbe che il Parlamento, le Regioni e i Comuni promuovessero iniziative analoghe all’ottimo progetto di una nuova forma di affido, avviato dalla Fondazione Paideia e dal Comune di Torino, esperienza illustrata nel volume curato da Roberto Maurizio, Dare una famiglia a una famiglia, Edizioni Ega”. «Ciò premesso, considerato che noi due operiamo per il medesimo scopo di garantire ai minori di crescere in una famiglia, se possibile quella d’origine oppure, a seconda dei casi, in una famiglia adottiva o affidataria, gradirei poterLa incontrare, se possibile a Torino date le mie attuali difficoltà. Cordiali sa­luti».

 

Documentazione richiesta

al Presidente Occhiogrosso

Rimasto particolarmente colpito dalla succitata affermazione di Marco Griffini, secondo cui «nel 2006 erano circa 50 i minori che, grazie all’adozione mite, hanno avuto da un lato la possibilità di mantenere il legame con la famiglia d’origine e dall’altro di creare una relazione stabile e continuativa con genitori disposti ad accoglierli, riconosciuta ex lege», Santanera ha chiesto con lettera del 14 ottobre 2008 a Franco Occhiogrosso, Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, «copia delle sentenze (o parte di esse) pronunciate dal Tribunale da te presieduto in modo da consentirmi di compiere valutazioni specifiche sull’argomento» aggiungendo che «se ti è possibile, fatte salve le norme sulla riservatezza dei dati personali, gradirei ricevere anche le relative relazioni sociali allo scopo di conoscere gli interventi che vengono fatti ai nuclei familiari in difficoltà, conoscenza che mi può essere utile per quanto riguarda le prestazioni fornite dai servizi socio-assistenziali del Piemonte».

 

Come interpretare le mancate risposte?

Sono trascorsi mesi dall’invio delle lettere spedite ai Presidenti del Tribunale per i minorenni di Bari (che nel frattempo ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età) e dell’AiBi e restano problematici i motivi delle mancate risposte, tanto più che le sentenze non sono coperte da alcun segreto di ufficio dopo che – come viene praticato abitualmente – vengono omessi i riferimenti alle persone coinvolte.

Non era utile far conoscere i motivi reali in base ai quali nel 2006 il Tribunale per i minorenni di Bari aveva pronunciato – come aveva affermato Marco Griffini – 50 adozioni miti?

Poiché lo stesso Griffini si era espresso in termini molto positivi nei riguardi delle succitate adozioni, perché non ha riferito in merito ai dati oggettivi sui quali basa la sua valutazione?

Inoltre quali interventi sono stati effettuati dai servizi sociali per sostenere i nuclei familiari in condizioni di disagio e in base a quali fatti detti nuclei (e quindi non solo i genitori ma anche gli altri eventuali congiunti disponibili) sono stati considerati definitivamente incapaci di provvedere all’educazione dei minori in difficoltà, anche se hanno conservato validi legami affettivi, tali da escludere la possibilità di procedere alla dichiarazione di adottabilità?

Quali sono stati i criteri scelti dai magistrati per valutare il “semiabbandono permanente” dei minori visto che è una situazione non prevista dalle leggi vigenti?

Infine, per quali motivi gli altri Tribunali per i minorenni non hanno pronunciato adozioni miti visto che nuclei familiari in difficoltà sono presenti in tutto il nostro Paese?