Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008


PER IL DIRITTO DELLE PERSONE CON HANDICAP FISICO GRAVE

A COSTRUIRSI UNA VITA INDIPENDENTE

MAURO PERINO *



Premessa

In data 21 luglio 2008 la Giunta regionale del Piemonte ha approvato, con deliberazione n. 48-9266, le “Linee guida per la predisposizione dei progetti di vita indipendente” che vengono integralmente pubblicate in questo numero della rivista (cfr. l’allegato 1). Si tratta di un provvedimento molto importante con il quale si conclude, positivamente, una lunga fase di sperimentazione che inizia, nel 2000, con l’istituzione di un “Servizio di aiuto alla vita indipendente (Savi)” da parte del Consorzio intercomunale dei servizi alla persona (Cisap) dei Comuni di Collegno e Grugliasco (1).

Con il nuovo servizio si intendeva dare attuazione, nell’ambito del territorio intercomunale, al disposto dell’articolo 39, comma 2, lettera l-ter della legge n.104/1992, così come integrata dalla legge n. 162/1998, nel quale si afferma il «diritto alla vita indipendente» riconoscendo alle persone con grave limitazione dell’autonomia nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, la piena capacità di autodeterminazione e, coerentemente, la possibilità di gestire in modo diretto la propria assistenza personale. Purtroppo però il compito di disciplinare le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta mediante piani personalizzati, veniva (e viene) lasciata alla discrezionalità delle Regioni che – come recita la norma citata – devono operare «nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio».

In attesa di un auspicato intervento regionale il Consorzio – approfittando dell’opportunità offerta dall’approvazione della deliberazione della Giunta regionale 31 maggio 1999, n.28-2748 che prevedeva il finanziamento, in quota parte, di progetti genericamente finalizzati a «interventi destinati a soggetti con handicap di particolare gravità di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992» – attivava, nel primo anno di sperimentazione, tre progetti di vita indipendente per una spesa di circa 140 milioni di lire (2).

A fronte della positiva esperienza condotta dal Cisap negli anni successivi – e grazie all’attività di promozione svolta da Consequor (3) e dalle altre associazioni d’utenza – la Giunta regionale, con deliberazione n. 32-6868 del 5 agosto 2002, avvia la sperimentazione di progetti di vita indipendente nell’ambito di tutta la Regione Piemonte, prevedendo un finanziamento iniziale di 1.000.000,00 di euro. Inoltre, con la deliberazione n. 22-8775 del 25 marzo 2003 la Giunta definisce ulteriori criteri al fine di «non vanificare tale sperimentazione con l’avvio di progetti non rispondenti al principio ispiratore». Infine – con l’approvazione della legge regionale 1/2004 che all’articolo 46, comma 2, lettera c) prevede la «promozione degli interventi atti ad assicurare la vita indipendente» – la Regione Piemonte assume definitivamente tale principio a fondamento delle proprie «politiche per le persone disabili».

Nel corso della sperimentazione che ha preceduto l’approvazione delle “linee guida” si è passati dagli iniziali 73 progetti ai 150 attuali con una spesa, a tutto il 2007, di 2.624.387,34 euro. Adesso che l’impianto normativo può dirsi a regime è doveroso che gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali provvedano a riconoscere, ai destinatari individuati nel provvedimento della Regione, il finanziamento dei “progetti per la vita indipendente” da essi formulati, ottemperando – mediante l’approvazione dei regolamenti contenenti i criteri e le modalità di erogazione degli interventi – al disposto dell’articolo 22 della legge regionale 1/2004 che riconosce «a ciascun cittadino il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18». Tra le quali vengono elencate quelle relative al «mantenimento a domicilio delle persone» ed allo «sviluppo» della «piena autonomia dei soggetti disabili» che possono trovare una sintesi nell’attuazione, ove ne esistano le condizioni, dei progetti di vita indipendente.

È infine da rivendicare che lo Stato – al quale compete la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni – segua il positivo esempio della Regione Piemonte, riconoscendo la piena esigibilità degli interventi necessari a garantire il diritto all’autodeterminazione di quelle persone che, pur non essendo in grado di svolgere autonomamente funzioni essenziali, conservano integre le loro capacità intellettive e sono pertanto capaci di individuare le loro necessità e di informare compiutamente le persone incaricate di assisterle (4).


Cosa si intende per vita indipendente

La vita indipendente è «una filosofia e un movimento di persone con disabilità che lavorano per pari opportunità, rispetto per se stesse ed auto­determinazione. “Vita indipendente” non significa che noi non abbiamo bisogno di nessuno, che vogliamo vivere isolati. “Vita indipendente” significa che noi vogliamo esercitare il medesimo controllo e fare le medesime scelte nella vita di tutti i giorni che i nostri fratelli e sorelle non disabili, vicini ed amici danno per scontati. Noi vogliamo crescere nelle nostre famiglie, andare nelle scuole della nostra zona, usare lo stesso bus, fare lavori che siano in linea con la nostra educazione e le nostre capacità. Di più, proprio come tutti, noi abbiamo bisogno di farci carico della nostra vita, pensare e parlare per noi» (5).

Con queste parole Adolf Radtzka – che fu tra i fondatori del movimento per la vita indipendente sviluppatosi, a partire dagli anni ‘60, prima negli Stati Uniti e poi in Europa – sintetizza l’esigenza di far sì che le persone con handicap non vengano più considerate come dei “malati” che, in quanto tali, non debbono lavorare e sono esentati dai normali obblighi della vita. «Se noi permettiamo alle altre persone di trattarci come fossimo dei malati, non dovremmo esser sorpresi se loro cercano di proteggerci e così facendo controllano e limitano la nostra vita. Se noi ci consideriamo malati e in costante necessità di una “cura”, sarà difficile per noi accettare la nostra disabilità come una componente normale della vita e dirigere la nostra vita». «Il modello medico di disabilità che vede il problema nel singolo (…) usa etichette diagnostiche che tendono a dividere le persone disabili in molti diversi gruppi. Le diagnosi ci fanno sentire diversi quando, di fatto, noi condividiamo molti degli stessi problemi. Nella filosofia della vita indipendente non ha importanza per quali ragioni abbiamo una disabilità. Quello che importa è il riconoscere che tutti, indipendentemente dal tipo e dal grado della loro disabilità, possono imparare ad assumersi maggiore responsabilità, a prendere più decisioni riguardo alla loro vita e ad apportare un contributo maggiore alle loro famiglie e alla comunità. La riabilitazione è un intervento che è limitato nel tempo e nell’azione. Noi abbiamo bisogno di avere accesso ai migliori servizi medici e riabilitativi, inclusi gli ausili come carrozzine, arti artificiali, ecc. Ma la vita vera comincia dopo la riabilitazione, solo quando noi scopriamo se la società è pronta ad accettarci. Sfortunatamente il più delle volte scopriamo che la società ha più bisogno di essere riabilitata di noi» (6.)

Si tratta di una realtà che – secondo quanto affermato nel “Manifesto per la vita indipendente” di Enil Italia (7) – potrà cambiare solo se i diretti interessati riusciranno ad imporre le loro esigenze, sottraendosi alle strumentalizzazioni e al dominio da parte di altri. Perciò «le persone senza disabilità che danno una mano sono davvero benvenute, però le decisioni che riguardano le persone con disabilità devono venire prese da loro stesse. Questo è importante soprattutto sul piano delle decisioni personali (…). Naturalmente questo non vuol dire creare uno “Stato separato” o una società separata. Le scelte di cui si parla sono quelle che in una società ad ordinamento democratico vengono normalmente fatte dalle persone senza disabilità: quando alzarsi e coricarsi, quando e cosa mangiare, quale scuola seguire, quali amici ed amiche frequentare, quali occupazioni o lavoro cercare, come e dove divertirsi, a quali argomenti interessarsi, e così via» (8).

Il primo e più importante ausilio per l’esercizio della vita indipendente è l’assistente personale che deve essere selezionato, assunto, formato e regolarmente remunerato dall’assistito. Questa – secondo i promotori della vita indipendente – rappresenta la condizione senza la quale è impossibile parlare di eguali diritti e di autodeterminazione. Gli assistenti personali devono essere infatti «persone preparate a rispettare i principi della vita indipendente, tutelate da contratti dignitosi ed equi, assunte in forma diretta o consociata dalle persone con disabilità e addestrate, dalle stesse persone con disabilità, a svolgere le funzioni con esse pattuite. Soltanto rispettando questa indicazioni è possibile organizzare l’assistenza personale in modo da consentire la massima libertà di scelta, e quindi a rendere possibile ad ogni singolo utilizzatore di questi servizi di poter scegliere: da chi farsi aiutare; come farsi aiutare; quando farsi aiutare» (9).

Un altro campo nel quale è importante esercitare la massima libertà di scelta è quello degli ausili tecnici, attualmente sottoposto al dominio dei medici prescrittori che operano in base ad elenchi, tabelle e a nomenclatori tariffari di solito non aggiornati ai più recenti sviluppi della tecnologia. Di qui la rivendicazione di «riformare profondamente anche le norme riguardanti gli ausili, da una parte dando facoltà di scelta sui prodotti alle persone con disabilità, rendendole responsabili di questi acquisti, dall’altra controllando che le aziende che producono ausili si conformino agli standard di qualità prescritti dalle normative internazionali vigenti e che anche in questo settore siano pienamente operanti le norme che tutelano i diritti dei consumatori» (10).


L’esperienza di attuazione

della vita indipendente nell’ambito del Cisap

Il movimento per la vita indipendente che si è sviluppato nel nostro Paese (11) si è rivolto in questi anni alle istituzioni pubbliche (Stato, Regioni, Comuni, ecc.) in quanto «uniche controparti in grado di garantire le risorse indispensabili per la vita indipendente con un’ottica di continuità di lungo periodo. Soprattutto in presenza di gravi disabilità l’autogestione della propria esistenza richiede, infatti, risorse ingenti principalmente per l’assistenza e la salute e il supporto economico pubblico diventa per molti l’unica possibilità di vivere autonomamente» (12). Ed è proprio su sollecitazione di uno di questi movimenti – Enil Italia – che, nel 2000, si è dato avvio al “Servizio di aiuto alla vita indipendente” sul territorio dei Comuni di Collegno e Grugliasco.

Nella fase iniziale si è provveduto, in primo luogo, alla formale costituzione di un apposito gruppo di lavoro interdisciplinare in collaborazione con l’Azienda sanitaria e, successivamente, a coinvolgere tutte le associazioni d’utenza del territorio che hanno così avuto modo di formulare osservazioni e di proporre suggerimenti. Si è infine concordato di integrare il gruppo interdisciplinare con alcuni rappresentanti, scelti dalle associazioni stesse (13), allo scopo di procedere alla definizione condivisa:

dei criteri di individuazione e di selezione delle persone da inserire nella sperimentazione;

dei protocolli operativi contenenti gli adempimenti posti a carico del Consorzio (quantificazione e regolare erogazione, per il periodo di tempo definito, del budget finanziario concordato; verifica sul corretto utilizzo delle risorse attribuite) e quelli a carico della persona inserita nella sperimentazione (scelta del/degli assistenti; stipula di regolare contratto di lavoro nel rispetto della normativa vigente; garanzia di copertura assicurativa e previdenziale del personale addetto);

della metodologia di verifica, di processo e di risultato, dei piani d’intervento e di valutazione finale complessiva della sperimentazione, finalizzata ad una futura stabilizzazione ed estensione del Savi.

A formalizzare con apposito atto deliberativo le proposte elaborate, provvede il Consiglio di amministrazione del Consorzio, che assegna inoltre al gruppo interdisciplinare – costituito in commissione senza i rappresentanti delle associazioni – il compito di selezionare le richieste di adesione al progetto raccolte nell’ambito dei servizi consortili ed attraverso l’informazione fornita dalle associazioni. Previa negoziazione con ogni singola persona, vengono così approvati i primi progetti di vita indipendente elaborati autonomamente.

Da allora i criteri, le procedure e la metodologia utilizzati dal Savi non sono sostanzialmente cambiati. L’unico elemento di novità, del quale è importante dare atto, è che con l’approvazione, da parte dell’Assemblea consortile, della deliberazione n. 4 del 22 febbraio 2006 “Norme per l’individuazione dei destinatari degli interventi e dei servizi sociali consortili e definizione dei loro diritti” – adottata in adempimento di quanto disposto dall’articolo 22 della legge regionale 1/2004 – l’assistenza personale autogestita è stata inserita tra le prestazioni essenziali che il Cisap è tenuto ad erogare ai cittadini aventi diritto.

Attraverso un apposito “sportello socio-sanitario distrettuale”, attivo dal 2004, vengono fornite tutte le informazioni necessarie a formulare – anche avvalendosi dell’aiuto delle associazioni promotrici – progetti di vita indipendente. Sempre attraverso lo sportello vengono svolte le procedure finalizzate all’erogazione dei contributi da utilizzare per l’assunzione diretta degli assistenti personali.

Al Savi possono accedere le persone «con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici» (14). A corredo della richiesta di usufruire del servizio deve esser fornita la seguente documentazione:

certificazione, rilasciata dal medico curante, attestante la condizione di non autosufficienza nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita. Qualora il medico non rilasci il certificato richiesto – o lo stesso non sia ritenuto esaustivo – la persona interessata può richiedere alla commissione di valutazione dei progetti di rivolgersi ad altri servizi dell’Azienda sanitaria (Fisiatria o Medicina legale);

piano personalizzato contenente l’indicazione degli obiettivi da raggiungere, in termini di autonomia, e con la descrizione e la quantificazione delle necessità assistenziali con i relativi costi;

indicazione dei servizi socio-sanitari eventualmente già utilizzati e che possono concorrere alla realizzazione del progetto di vita indipendente.

Alla persona inserita nel Savi viene corrisposto un contributo mensile anticipato pari a un dodicesimo del budget annuale accordato. L’ammontare complessivo della somma stanziata per ogni singolo progetto prevede i costi effettivi che devono esser sostenuti dal titolare dello stesso: salario, oneri riflessi e spese assicurative per gli assistenti. L’importo viene aumentato del 10% per le spese generali di gestione, per gli imprevisti e per le emergenze assistenziali non documentabili (ad esempio per la sostituzione tempestiva dell’assistente personale).

Il destinatario del contributo è tenuto a presentare un rendiconto semestrale delle spese sostenute che può essere autocertificato. In tal caso è fatto obbligo di dichiarare la sede ove sono depositati i documenti originali sui quali il Consorzio esercita il controllo. Annualmente (o al termine del progetto) viene richiesto al titolare di produrre una relazione scritta, onde poter verificare l’efficacia dell’intervento così come previsto dall’articolo 39, comma 2, punto l-ter della legge n.104/1992.

Attualmente vengono finanziati 15 progetti (di cui due attivati nei mesi di ottobre e novembre, in sostituzione di altrettanti progetti chiusi nel 2007 per il deterioramento delle condizioni di salute dei titolari) (15) con una spesa che, per il solo 2008, si attesta su 182.667,00 euro a fronte di un finanziamento regionale (relativo a 7 progetti “consolidati”) di 126.326,40 euro. Ad anno pieno, la spesa prevista per il mantenimento dei progetti in atto può essere quantificata in 193.243,00 euro, di cui 66.916,60 a totale carico del Consorzio.

Il valore annuo dei singoli progetti è compreso tra un minimo di 6.000,00 euro ed un massimo di 38.520,00 euro. Il valore medio è di 12.882,86 euro. Tali risorse sono destinate a remunerare assistenze personali autogestite che vanno da un minimo di 3 ore giornaliere ad un massimo di 24 ore. Mediamente vengono assicurate circa 7 ore giornaliere di assistenza.

I destinatari dei 15 progetti sono 9 uomini e 6 donne di età compresa tra i 26 e i 60 anni (età media 43,8 anni) dei quali è utile tracciare un sintetico profilo:

uomo di 55 anni tetraplegico. A causa della sua condizione ha dovuto lasciare il lavoro. Vive con moglie e due figli. Il progetto di vita indipendente è stato attivato nel 2000 e prevede l’assunzione diretta di assistenti personali che operano per circa 12 ore al giorno. L’obiettivo perseguito è il mantenimento delle sue autonomie nell’ambito familiare e al di fuori delle mura domestiche;

donna di 40 anni affetta da sclerosi multipla. Ha dovuto lasciare il lavoro per l’aggravarsi della malattia. Vive sola con due figli ancora piccoli. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2002, prevede l’assunzione diretta di assistenti personali che operano per circa 7 ore al giorno. L’obiettivo perseguito è di far sì che la signora possa svolgere un ruolo attivo nella gestione della casa e sia messa in condizione di assolvere pienamente la funzione materna, partecipando alla vita dei bambini anche al di fuori della casa;

donna di 37 anni affetta da spina bifida. Ha lasciato il lavoro di bibliotecaria. Vive con il marito. Il progetto di vita indipendente è stato attivato nel 2002 e prevede circa 7 ore giornaliere di assistenza. L’obiettivo perseguito è di far sì che la signora pos­sa contribuire alla gestione della casa e sia mes­sa in condizione di intrattenere relazioni con l’esterno;

donna di 45 anni affetta da sclerosi multipla. Vive con il marito. La signora è sempre stata casalinga. Il progetto di vita indipendente è stato attivato nel 2003 e prevede circa 5 ore giornaliere di assistenza. Come nella situazione precedente l’obiettivo perseguito è di far sì che la signora possa continuare ad esercitare un ruolo attivo nell’ambito domestico ed al di fuori di esso;

uomo di 26 anni con distrofia muscolare progressiva. Vive con i genitori ed un fratello. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2003, prevede un’assistenza di circa 6 ore al giorno, grazie alla quale può frequentare l’università e svolgere attività sportiva nella squadra nazionale di hockey su pista per atleti in carrozzina;

donna di 51 anni colpita da grave artrite reumatoide con interessamento poliarticolare. Vive con il marito ed un figlio. La signora è sempre stata casalinga. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2005, prevede un’assistenza di circa 4 ore al giorno, finalizzata a consentirle di provvedere alle faccende domestiche, mantenendo la possibilità di intrattenere relazioni con l’esterno;

uomo di 38 anni con esiti da emorragia parenchinale tempoparietale. Vive con la moglie ed un figlio piccolo e continua a lavorare, seppure con difficoltà. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2006, prevede un’assistenza di circa 4 ore al giorno;

uomo di 58 anni con esiti da poliomielite con gravi problemi di deambulazione. Vive con la moglie. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2003, prevede un’assistenza di circa 4 ore al giorno prevalentemente finalizzate al sostegno nell’ambito dell’attività lavorativa, svolta presso una tipografia, ed alla partecipazione alle attività dell’associazione Consequor;

uomo di 32 anni cieco assoluto. Grazie al progetto, attivato nel 2006, è riuscito a lasciare la casa dei genitori e vive in un alloggio indipendente. Inoltre, utilizzando un’assistenza personale di circa 5 ore al giorno, può lavorare presso una biblioteca, svolgere docenze come tecnico informatico e frequentare l’università;

uomo di 60 anni tetraplegico. Vive solo. Il progetto, attivato nel 2000, prevede un’assistenza continuativa sulle 24 ore che gli ha consentito di lavorare regolarmente presso un industria aeronautica sino alla pensione. Attualmente svolge un ruolo di responsabilità nell’associazione Consequor, opera in ambito cooperativo e frequenta corsi universitari;

uomo di 29 anni, cieco assoluto con difficoltà di deambulazione. Vive con i genitori. Il progetto di vita indipendente, attivato nel 2002, prevede un’assistenza di circa 3 ore al giorno, grazie alla quale svolge un percorso formativo propedeutico al conseguimento dell’autonomia lavorativa;

donna di 50 anni affetta dal morbo di Still. Ex dipendente comunale ora in pensione. Vive con la madre dopo la morte del compagno. Grazie al progetto, attivato nel 2007, riesce a mantenere il grado di autonomia necessario ad occuparsi della madre anziana ed a partecipare a corsi di informatica ed inglese. Il progetto prevede un’assistenza autogestita di circa 4 ore al giorno;

uomo di 51 anni con distrofia muscolare. Ha dovuto lasciare il lavoro per l’aggravarsi della malattia. Vive con due genitori anziani. Attraverso il progetto, attivato nel 2007, usufruisce di circa 6 ore al giorno di assistenza personale che gli consentono di non gravare sui congiunti e di svolgere regolarmente attività di volontariato presso l’Uildm (Unione italiana lotta contro la distrofia muscolare);

uomo di 45 anni tetraplegico. Non è occupato e vive con la mamma anziana ed un figlio che, per lavoro, è assente per gran parte dell’anno. Il progetto di vita indipendente, attivato nel mese di ottobre del 2008, prevede circa 4 ore giornaliere di assistenza. L’obiettivo perseguito è di far sì che il destinatario possa mantenere un ruolo attivo in casa ed all’esterno senza gravare sui congiunti;

donna di 40 anni cieca assoluta per cause insorte quando già lavorava come geometra, occupandosi di progettazione civile ed industriale. Il progetto di vita indipendente, attivato nel mese di novembre del 2008, prevede circa 2 ore giornaliere di assistenza. L’obiettivo perseguito è di far sì che la signora possa seguire un percorso formativo, onde ricollocarsi nel mondo del lavoro.

Come si può ben vedere solamente tre dei progetti in atto risultano finalizzati al mantenimento di una collocazione lavorativa ed altrettanti hanno finalità di studio o di formazione propedeutica ad un inserimento occupazionale. Ben sette persone hanno infatti dovuto smettere di lavorare a causa della malattia o perché collocate in pensione. Ad esse si aggiungono due casalinghe che rivendicano di poter continuare ad essere tali. Infine si può osservare che tra i destinatari dei progetti vi sono tre ciechi assoluti, di cui uno solo con difficoltà motorie. Alla luce dell’avvenuta approvazione delle linee guida regionali è dunque opportuno verificare se tali variegate situazioni possono rientrare tra quelle che – in base ai nuovi criteri – hanno titolo ad accedere alla vita indipendente.


Osservazioni sulle linee guida regionali

alla luce dell’esperienza del Cisap

Con la deliberazione n. 48-9266/2008 la Giunta regionale del Piemonte si allinea con i provvedimenti già adottati da alcune Regioni italiane (16) riconoscendo che la vita indipendente rappresenta «il diritto all’autodeterminazione della propria esistenza per affrontare e controllare in prima persona, senza scelte e decisioni altrui, il proprio quotidiano ed il proprio futuro» e che «l’assistenza autogestita, liberamente scelta e perseguita con determinazione, evita l’istituzionalizzazione favorendo la domiciliarità e valorizzando sia le condizioni umane della persona richiedente che le sue residue capacità lavorative» in quanto «è sicuramente un ausilio di cui le persone con grave disabilità motoria necessitano per consentire di passare dal ruolo di “oggetto di cura” al ruolo di “soggetto attivo”».

La deliberazione regionale afferma inoltre che «la titolarità e la responsabilità nella scelta e nella formazione e nella gestione del rapporto di lavoro dell’assistente personale è esclusivamente del richiedente» il contributo per il finanziamento del progetto di vita indipendente (che può individuare il proprio assistente anche nell’ambito familiare, purché provveda «a regolarizzarne il rapporto di lavoro nel rispetto delle forme contrattuali previste dalla normativa vigente»).

A fronte di una sostanziale assunzione dei principi che stanno alla base della filosofia della vita indipendente è d’uopo osservare che il documento regionale “interpreta”, in senso più restrittivo, la legge n. 162/1998. La Regione Piemonte individua infatti, quali destinatari dei progetti, «esclusivamente persone portatrici di grave disabilità motoria certificata ai sensi dell’articolo 3 della legge 104/1992, di età compresa tra i 18 e 64 anni» mentre la legge nazionale, per altro citata nella premessa delle linee guida, assume come riferimento le «persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici».

Come evidenziato dai profili d’utenza tracciati nel paragrafo precedente, vi sono situazioni nelle quali può esser data una «grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita», anche nel caso in cui «la grave disabilità motoria» non sia (o non sia ancora) tale. Dunque, anche a prescindere dal dovuto rispetto della legge nazionale, è proprio dalla pratica constatazione della presenza di persone affette da malattie progressive, quali la sclerosi multipla o la distrofia muscolare che, pur conservando (ancora) una certa capacità motoria, risultano comunque limitate nell’autonomia personale, il Consorzio non ha ritenuto di porre il possesso di tale requisito tra quelli indispensabili per l’accesso al servizio. Occorre infatti considerare che, per questi soggetti, la condizione di “disabilità permanente” non è affatto sinonimo di “disabilità stabilizzata”. Va inoltre tenuto in debito conto il fatto che, a ridurre le possibilità di esercizio delle funzioni essenziali, contribuiscono non solo le condizioni di handicap fisico, ma anche il combinarsi di queste con le varie barriere che impediscono una effettiva partecipazione alla vita familiare e sociale.

Andrebbe inoltre spiegata la ragione per la quale i ciechi assoluti (ma in condizione di controllare i propri arti) andrebbero, a priori, esclusi dalla possibilità di richiedere contributi per la vita indipendente. A maggior ragione se si considera che la “Convenzione sui diritti delle persone con disabilità” approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 (anch’essa citata nel testo regionale) proclama, all’articolo 19, il diritto alla «vita indipendente ed inclusione nella comunità (…) di tutte le persone con disabilità (…) in pari condizioni di scelta rispetto agli altri (…) anche assicurando l’assistenza personale necessaria a sostenere la vita» (17).

Tornando al testo delle linee guida è sicuramente da rimarcare con favore il riconoscimento della possibilità di finalizzare i progetti di vita indipendente non solo al mantenimento di un ruolo attivo in contesti lavorativi e formativi, ma anche per consentire l’esercizio della funzione di genitore (ottemperando cioè ai doveri che da essa conseguono nei confronti dei figli minori) e di poter svolgere attività di promozione sociale. Quest’ultima opportunità è particolarmente importante, in quanto consente di dare pratica continuità ai progetti di vita indipendente anche al termine naturale del percorso lavorativo, ove l’interessato voglia e possa conservare un ruolo socialmente attivo. Secondo il documento regionale possono infatti permanere nel progetto già avviato anche le persone che abbiano compiuto 65 anni «purché ne sussistano le condizioni ed esse continuino a mantenere i requisiti».

A ben vedere, però, le fattispecie previste per accedere alla vita indipendente (le persone richiedenti devono essere «inserite in contesti lavorativi, o formativi, o sociali con rilevanza a favore di terzi o con riferimento all’esercizio delle responsabilità genitoriali nei confronti di figli minori») non rendono piena giustizia al principio – affermato con forza dai movimenti promotori – secondo il quale la vita indipendente è da intendersi come un diritto umano fondamentale di tutte le persone con handicap grave. Basti pensare alle “casalinghe” di cui ai progetti consortili che – se il disposto regionale venisse applicato alla lettera – potrebbero continuare a “fare vita indipendente” solamente sino alla maggiore età dei figli o grazie ad una sopravvenuta vocazione a svolgere attività sociali «con rilevanza a favore di terzi». A meno che la condizione di “datore di lavoro”, in cui esse si collocano volontariamente con l’adesione ai progetti di vita indipendente, venga equiparata – come in linea di principio dovrebbe – ad una vera e propria attività produttiva.

Accanto ai requisiti, per così dire “oggettivi”, di cui sopra, le persone che si candidano alla vita indipendente devono infatti possedere, secondo le linee guida, una soggettiva «capacità di autodeterminazione e chiara volontà di gestire in modo autonomo la propria esistenza e le proprie scelte. Devono essere consapevoli che l’assunzione di assistenti personali, individuati e formati direttamente, li vede impegnati nel ruolo di datori di lavoro con tutti i diritti e i doveri che ne conseguono. Devono poter manifestare una chiara volontà di sperimentare e vivere un percorso di vita indipendente». Per tali ragioni è previsto che, nel proprio piano personalizzato, le persone indichino quali risultati positivi a sostegno delle proprie esigenze e necessità intendono perseguire attraverso l’utilizzo di una assistenza personale autogestita.

I progetti di vita indipendente, in quanto espressamente finalizzati al raggiungimento della piena autonomia personale, «non devono essere interpretati come interventi di sostegno al nucleo familiare, azione, peraltro, già ricompresa nei finanziamenti di cui alla legge 162/1998, né come interventi sostitutivi dell’attività di assistenza tutelare, né come interventi di carattere sanitario di competenza infermieristica e/o riabilitativa». Il richiamo è al disposto dell’articolo 39, comma 2, lettera l-bis della legge n. 104/1992 che, a seguito delle integrazioni apportate con la legge n. 162/1998, prevede la possibilità che le Regioni – sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale – provvedano (anche in questo caso nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio) a «programmare interventi di sostegno alla persona e familiare come prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti locali a favore delle persone con handicap di particolare gravità, di cui all’articolo 3, comma 3, mediante forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche della durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione dei servizi di cui all’articolo 9, all’istituzione di servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza, tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 8, comma 1, lettera i), e 10, comma 1, e al rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell’ambito di programmi previamente concordati». Si tratta di una disposizione molto importante, in quanto offre la possibilità di accesso ad un’assistenza gestita in forma diretta – integrativa e non sostitutiva dei servizi indicati dalla legge 104/1992 – anche a coloro che non possono (o non vogliono) candidarsi alla vita indipendente.

Con specifico riferimento al finanziamento dei progetti nel documento regionale si afferma che il contributo per la vita indipendente «di norma è alternativo all’erogazione di altri interventi di natura economica e di interventi di aiuto domestico da parte degli enti gestori». Esso «può, tuttavia, essere parte di un progetto che vede un mix di interventi complementari concordati con l’ente gestore delle funzioni socio-assistenziali e l’Asl, quali le attività di assistenza tutelare e le cure domiciliari». Anche in questo caso si tratta di un’importante apertura: che va colta ponendo estrema attenzione ad un diritto – quello soggettivo alle cure – che, per tutte le persone, rappresenta il necessario complemento all’effettivo esercizio di una vita indipendente.

Pertanto il contributo regionale non deve essere considerato, a priori, come alternativo agli interventi sanitari svolti al domicilio del destinatario che ne abbia necessità, anche nel caso in cui, questi ultimi, possano esplicarsi attraverso erogazioni monetarie (come avviene per gli “assegni di cura”). È pur vero che il contributo regionale «è previsto per interventi anche della durata di 24 ore, compresi i festivi e le sostituzioni dell’assistenza personale» ma, nella pratica, è impossibile che, con le sole risorse regionali destinate alla vita indipendente, possano essere finanziati interventi così estesi. Infatti, come evidenziato dall’esperienza del Consorzio, per corrispondere ad una reale necessità di assistenza personale sulle 24 ore viene erogato un contributo pari a 38.520,00 euro, mentre le linee guida prevedono, per ciascun progetto, «un contributo regionale annuale massimo pari a 22.480,00 euro». Inoltre, a differenza del contributo consortile – che viene aumentato del 10% per le spese generali di gestione, per gli imprevisti e per le emergenze assistenziali non documentabili – quello regionale «è finalizzato esclusivamente all’assunzione dell’assistenza personale e alla remunerazione delle sostituzioni. Non ricomprende pertanto spese di natura diversa» e deve essere interamente rendicontato.

Posto che una persona che necessiti di un tale livello assistenziale non può che rientrare tra gli aventi diritto agli interventi socio-sanitari finalizzati all’assistenza tutelare ed alle cure domiciliari, si tratta dunque di coordinare sinergicamente il contributo per la vita indipendente, erogato dall’ente gestore, con un “assegno di cura” sanitario. In tal modo si potrà rispondere concretamente alla richiesta – formulata da alcune associazioni d’utenza – di prevedere una “quota sanitaria” per l’esercizio del diritto alla vita indipendente mantenendo, nel contempo, una opportuna distinzione tra le diverse competenze istituzionali.

Per la stessa logica il contributo per la vita indipendente non può essere obbligatoriamente alternativo agli interventi di sostegno al reddito dei quali il destinatario avesse necessità e che vanno comunque assicurati. È infatti evidente che – nel determinarne l’entità – non si possono trascurare le basilari esigenze vitali che le persone colpite da handicap gravemente invalidanti certamente non sono in grado di soddisfare con la miserevole pensione di 246,73 euro che ricevono dallo Stato! (18). Va dunque interpretata con questa chiave di lettura la disposizione regionale secondo la quale «l’entità del contributo è determinata tenendo conto del reddito personale (19) e del complesso delle risorse a disposizione della persona disabile, sia in termini di aiuti economici» – inclusi dunque quelli doverosamente forniti dall’Ente gestore agli aventi diritto – «sia di aiuti personali già disponibili ed utilizzati, sia abitativi e di contesto ambientale. In ogni caso deve essere garantita al disabile la possibilità di utilizzo delle risorse economiche necessarie ad assicurare la realizzazione del percorso di vita indipendente».

È dunque proprio al problema della quantificazione delle risorse economiche – fatalmente connesso con quello della definizione di cosa sia effettivamente “necessario” per la realizzazione di tale percorso – che occorre prestare particolare attenzione. Infatti, come ricorda Gianni Pellis, «la vita delle persone, di tutti i cittadini, non è fatta solo di bisogni primari o essenziali per la vita quotidiana, l’assistenza personale è prevista anche per esigenze necessarie, utili o soltanto possibili, sia in casa che fuori. Come, per esempio, visite ad amici e parenti, riunioni, incontri e conferenze, gestione della corrispondenza e della contabilità personale; poi visite mediche, stati di temporanea malattia o di emergenza, gite di uno o più giorni, partecipazione a corsi o seminari di informazione, acquisti personali, ecc.» (20). In buona sostanza, la vita indipendente mette in discussione le pratiche comunemente utilizzate dai servizi socio-assistenziali per la definizione del “bisogno dell’utente”. E ciò accade perché, a ben vedere, la tematica della vita indipendente attiene alla sfera dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 3 della nostra Costituzione, nel quale si afferma che è compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Si tratta dunque di un diritto, alla libertà ed all’uguaglianza, a sé stante rispetto a quelli – ovviamente complementari – all’assistenza, alla salute, all’istruzione ed al lavoro.

Di questa contraddizione si percepisce la traccia nelle linee guida che – come si è osservato – privilegiano l’utilizzo dei contributi per finalità “socialmente utili” (quali andare a lavorare, studiare, allevare i figli, operare nel volontariato) e lasciano sullo sfondo il problema rappresentato dalla necessità primaria di superare l’handicap che – come una sorta di “peccato originale” – differenzia “alla radice” le persone in condizione di disabilità da tutte le altre. È dunque alla “vita normale” alla quale le persone realisticamente aspirano che si deve fare riferimento e, per questo, nel valutare le condizioni economiche del destinatario dei contributi finalizzati all’esercizio della vita indipendente non si tratta di applicare parametri economici rigidi e predeterminati, ma di operare (nei limiti del possibile) “per comparazione” nel quadro delle compatibilità finanziarie date.

Posto che è onere del richiedente la definizione e la valorizzazione economica degli interventi (a suo parere) necessari a “perequare” la situazione di svantaggio che lo affligge, si tratta di operare un confronto su più piani: verificare quante risorse (economiche e non) il candidato alla vita indipendente può (o deve) mettere in campo autonomamente (ad esempio l’indennità di accompagnamento); valutare quali sarebbero i costi di un intervento tradizionale nella situazione data (una istituzionalizzazione determina, in genere, una spesa ben maggiore di una assistenza personale anche estesa); confrontare il budget richiesto con quello stanziato per le altre situazioni analoghe seguite; rapportare la valorizzazione di ogni singolo progetto allo stanziamento complessivo previsto per il servizio. Il tutto insieme al richiedente e partendo dal presupposto – nel caso di una persona inserita al lavoro – che sarebbe assurdo considerare rigidamente il reddito da lavoro per determinare (al ribasso) l’entità di un contributo finalizzato, per l’appunto, a continuare a lavorare!

Per dirla con le parole di Gianni Pellis «mi limito, parlando di finanziamenti, di cifre, di occupazione e di formazione, parole che hanno sempre un effetto importante, a sottolineare due risultati inequivocabili: il primo, che l’assistenza personale autogestita ha permesso il mantenimento del mio posto di lavoro, nel senso che mi ha effettivamente dato le opportunità fisiche di assistenza personale per andare in ufficio e, dopo le 8 o 10 ore tradizionali, per ritornare a casa; inoltre il lavoro, tra tutti i benefici per me, ha significato essere un contribuente attivo; il secondo risultato è che ha creato due nuovi posti di lavoro qualificato, formazione inclusa, produttivi, efficienti ed efficaci. Questo dimostra che l’assistenza personale autogestita, oltre ai meccanismi che riesce a mettere in moto, rappresenta anche fonte di reddito e di conseguenza crea, nel mio caso, altri due contribuenti attivi: sia per i contributi previdenziali versati, sia perché diventano soggetti che pagano le tasse. Questo per sostenere un’altra importante valutazione, parlando di cifre, e cioè che il finanziamento dello Stato (…) rientra nelle casse dello Stato al 40-45% circa sotto forma di ritorni fiscali e previdenziali» (21).

Proseguendo nell’esame del testo regionale è opportuno evidenziare alcuni aspetti significativi delle procedure di valutazione dei piani progettuali. In sostanziale sintonia con la pratica esperita dal Consorzio le linee guida prevedono che i progetti di vita indipendente presentati vengano «recepiti» dagli enti gestori che «li sottopongono alla valutazione dell’Unità valutativa handicap o di una apposita Commissione mista costituita dai rappresentanti dei servizi socio-assistenziali e dei servizi sanitari che ne concerta il contenuto, la fattibilità e l’impegno economico con gli interessati». L’assunzione della pratica della negoziazione per la quantificazione del budget finanziario da destinare all’assistenza personale è, come già osservato, molto importante perché consente di impostare i rapporti tra i servizi e i diretti interessati sulla base della massima trasparenza. Alla persona con handicap grave che si candida alla vita indipendente viene infatti richiesto di “farsi carico” – in unità di intenti con i servizi – dell’insieme dei progetti e non solamente della ottimale realizzazione del proprio. Ciò a causa del fatto che in un quadro di risorse limitato è, evidentemente, impossibile tutelare il diritto alla vita indipendente nella sua pienezza.

Con riferimento ai compiti assegnati ai servizi è inoltre da segnalare l’opportuno richiamo a garantire la continuità ai progetti verificandone annualmente l’andamento. Anche nel caso in cui vengano a mancare le condizioni che connotano il progetto di vita indipendente questo «deve essere sostituito o con un progetto di sostegno all’autonomia o con interventi diretti, finanziabili con i fondi ai sensi della legge 162/1998, fatti salvi i necessari interventi sanitari e/o socio-sanitari previsti dalla vigente normativa».

Infine è da sottolineare l’introduzione di una norma a tutela dei destinatari che – almeno in potenza – può rivelarsi molto positiva: «Contro il diniego motivato all’approvazione del progetto di vita indipendente o contro la sospensione o la revoca dello stesso trova applicazione il dispositivo di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 51-11389 del 23 dicembre 2003 – allegato B – ultimo comma» (22). Perché tale norma, che garantisce al richiedente la possibilità di ricorso, si traduca in pratica, occorre infatti che la Regione provveda – seppur a distanza di cinque anni – a dotare la Commissione, individuata con la sopra citata deliberazione del 2003, delle professionalità necessarie ad espletare i numerosi compiti ad essa assegnati.


Considerazioni conclusive

Le pratiche di vita indipendente messe in atto a livello regionale e nazionale dimostrano che, per le persone non autosufficienti, le soluzioni da individuare sulla base delle loro esigenze sono estremamente diverse fra loro e vanno ricercate ponendo attenzione alle cause ed agli effetti di tale condizione. Occorre, in sostanza, che la non autosufficienza venga correttamente definita. Infatti «può sembrare incredibile, ma nella nostra legislazione non c’è alcuna definizione della non autosufficienza, nemmeno nelle disposizioni relative al fondo per le non autosufficienze previsto dai commi 1264 e 1265 dell’articolo 1 della legge 296/2006» (23).

Come segnalato da questa rivista, sono tre i gruppi di persone che si collocano, con esigenze e diritti profondamente diversi, nella condizione di non autosufficienza:

il primo gruppo è costituito da tutti coloro che sono colpiti da malattie quali ictus, infarti, pluripatologie invalidanti, morbo di Alzheimer e altre demenze senili. La non autosufficienza di queste persone è causata dalle malattie dalle quali sono afflitte, la cui caratteristica è l’alternarsi delle fasi acute e di quelle croniche. La normativa sui Lea ( Livelli essenziali di assistenza) prevede che a questi soggetti venga garantito l’esercizio del diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie senza limiti di durata (24). Gli interventi devono essere quindi finalizzati alla cura delle patologie, ad evitare o limitare l’aggravamento delle loro condizioni e l’insorgere di altre infermità, a contrastare il dolore fisico e psichico, a tutelare le fondamentali esigenze di coloro che non sono in grado di esprimersi;

il secondo gruppo è composto dalle persone gravemente colpite da handicap sul piano intellettivo e quindi con notevoli difficoltà a segnalare i propri bisogni vitali. Ove non sussistano patologie associate, questi soggetti necessitano di essere supportati, al termine della scuola dell’obbligo, attraverso l’inserimento in centri diurni o in comunità alloggio da predisporre e gestire nell’ambito delle competenze del comparto socio-assistenziale. Ad essi il servizio sanitario deve infatti già garantire, come per tutti gli altri cittadini, gli interventi di livello essenziale necessari alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione. Ai sensi degli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 questo gruppo di persone ha il diritto esigibile ad ottenere dai Comuni il ricovero in strutture residenziali. Quanto al diritto all’inserimento nei centri diurni occorre far riferimento alla normativa sui Lea socio-sanitari (che viene però applicata in modi differenti nei diversi ambiti regionali) (25);

il terzo gruppo comprende le persone delle quali si è trattato in quest’articolo, per le quali l’ef­fettiva esigibilità del diritto alla vita indipendente su tutto il territorio nazionale rappresenta un obiet­tivo ancora da raggiungere, nonostante le positive iniziative assunte da una minoranza delle Regioni.

Poiché a seguito della legge costituzionale n. 3/2001 lo Stato non ha più alcuna competenza in materia di assistenza sociale, ad esclusione della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (26) occorre che tutte le prestazioni non sanitarie necessarie ai tre gruppi di persone che rientrano nella condizione di non autosufficienza vengano inserite tra i Liveas (Livelli essenziali di assistenza sociale) e che, al finanziamento delle stesse, si provveda riattivando il “Fondo per le non autosufficienze” (al plurale) istituito con la legge 12 ottobre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) (27).

Andrebbe altresì previsto l’obbligo, per i Comuni singoli o associati, di utilizzare il Fondo suddetto per la copertura delle spese, ad essi attribuite, relative alla doverosa erogazione:

delle prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali socio-sanitarie riguardanti le persone affette da patologie invalidanti e da non autosufficienza, come previsto dalla vigente normativa sui Lea sanitari e socio-sanitari;

degli interventi socio-assistenziali domiciliari, semiresidenziali e residenziali relativi ai soggetti colpiti da handicap intellettivo (fatte salve le competenze del servizio sanitario);

delle iniziative e dei progetti finalizzati all’esercizio della vita indipendente a favore delle persone con handicap invalidante, ma con capacità e volontà di autodeterminazione.

Con riferimento a quest’ultimo punto – che, a regime, deve vedere coinvolti i settori comunali preposti alla sicurezza sociale (28) e non i servizi socio-assistenziali – è però bene ricordare le notevoli difficoltà che ancora si frappongono al raggiungimento dell’obiettivo. Infatti «rispetto alla costruzione di un dibattito sulla vita indipendente che possa definirsi adeguato ai tempi, efficace, si deve avviare al graduale superamento quella fase dove si doveva affermare culturalmente che la vita indipendente è complessivamente e di gran lunga migliore rispetto alle altre soluzioni. Sia chiaro, per altre soluzioni s’intendono eutanasie vecchie e nuove, abbandoni ed istituzioni totali (…). Oggi, quel che non è a tutti chiaro, è che questi istituti sono economicamente molto meno convenienti rispetto ai costi finanziari della vita indipendente. Tutto questo, dando per acquisiti i danni sociali e psichici che produce una vita custodializzata. Rispetto all’insieme di questa realtà, sia nell’ambito del ceto politico, che fra gli addetti ai lavori-operatori, vi è ancora chi non sa e/o fa finta di non sapere» (29).



Allegato 1


LINEE GUIDA PER LA PREDISPOSIZIONE

DEI PROGETTI DI “VITA INDIPENDENTE” (30)


Premessa

Vita indipendente” è il diritto all’autodeterminazione della propria esistenza per affrontare e controllare in prima persona, senza scelte e decisioni altrui, il proprio quotidiano ed il proprio futuro.

L’assistenza autogestita, liberamente scelta e perseguita con determinazione, evita l’istituzionalizzazione favorendo la domiciliarità e valorizzando sia le condizioni umane della persona richiedente che le sue residue capacità lavorative.

Il primo riconoscimento nazionale alla vita indipendente trova fondamento nella legge 162/1998 avente per oggetto “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave” che, all’articolo 36 comma 2, lettera 1-ter prevede, tra i com­piti delle Regioni, quello di «disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non su­perabili mediante ausili tecnici, le modalità di rea­lizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro effi­cacia».

L’assistenza personale è sicuramente un ausilio di cui le persone con grave disabilità motoria necessitano per consentire di passare dal ruolo di “oggetto di cura” al ruolo di “soggetto attivo”.

Tenuto conto che la classificazione Icf, attraverso un approccio bio-psico-sociale, definisce la disabilità come la conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e l’ambiente, si rende necessario sostenere le facilitazioni ambientali da contrapporre ad ostacoli e barriere fisiche e sociali.

A livello europeo il diritto a vivere in modo indipendente è stato sancito con la Dichiarazione di Madrid nel marzo 2002 in occasione del Congresso europeo sulla disabilità.

Questo principio è in linea con la politica europea che fin dal 1992, in seguito alla prima Conferenza europea dei Ministri responsabili per le politiche a favore delle persone con disabilità, ha perseguito la promozione dei diritti e della piena partecipazione nella società delle persone con disabilità.

Successivamente la seconda Conferenza europea, tenutasi a Malaga nel 2003, ha adottato la Dichiarazione ministeriale “Migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità. Condurre una politica coerente per, e mediante, una piena partecipazione”.

I principi suddetti trovano, altresì, fondamento nella convenzione sui diritti delle persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea generale dell’Onu, convenzione che è stata aperta, a partire dal 30 marzo 2007, alla firma di tutti gli stati membri.


Destinatari del progetto

Destinatari del progetto sono:

- esclusivamente persone portatrici di grave disabilità motoria certificata ai sensi dell’articolo 3 della legge 104/1992, di età compresa tra i 18 e 64 anni, inserite in contesti lavorativi, o formativi, o sociali con rilevanza a favore di terzi o con riferimento all’esercizio delle responsabilità genitoriali nei confronti di figli minori. Possono permanere nel progetto già avviato le persone che abbiano compiuto 65 anni purché ne sussistano le condizioni ed esse continuino a mantenere i requisiti suddetti;

- persone con capacità di autodeterminazione e chiara volontà di gestire in modo autonomo la propria esistenza e le proprie scelte. Devono essere consapevoli che l’assunzione di assistenti personali, individuati e formati direttamente, li vede impegnati nel ruolo di datori di lavoro con tutti i diritti e doveri che ne conseguono. Devono pertanto manifestare una chiara volontà di sperimentare e vivere il percorso di Vita indipendente. L’assunzione di assistenti personali è finalizzata a garantire il raggiungimento/mantenimento del livello occupazionale ed una piena integrazione sociale promuovendo così il diritto alle pari opportunità, all’indipendenza, alla partecipazione. A tale proposito nel proprio piano personalizzato gli interessati devono indicare quali positivi risultati a sostegno delle proprie esigenze e necessità intendano perseguire con l’attuazione di un progetto di vita indipendente.


Tipologia dell’intervento

I progetti di Vita indipendente in quanto finalizzati al raggiungimento della piena autonomia personale non devono essere interpretati come interventi di sostegno al nucleo familiare azione – peraltro, già compresa nei finanziamenti di cui alla legge 162/1998 – né come interventi sostitutivi dell’attività di assistenza tutelare, né come interventi di carattere sanitario di competenza infermieristica e/o riabilitativa.

La persona con disabilità sceglie autonomamente il proprio assistente personale, che può essere un familiare, ed è tenuta a regolarizzarne il rapporto di lavoro nel rispetto delle forme contrattuali previste dalla normativa vigente.

La titolarità e la responsabilità nella scelta, nella formazione e nella gestione del rapporto di lavoro dell’assistente personale è esclusivamente del richiedente.


Contributo

Il contributo per la Vita indipendente di norma è alternativo all’erogazione di altri interventi di natura economica e di interventi di aiuto domestico da parte degli enti gestori. Può, tuttavia, essere parte di un progetto che vede un mix di interventi complementari concordati con l’ente gestore delle funzioni socio-assistenziali e l’Asl, quali le attività di assistenza tutelare e le cure domiciliari.

Il contributo è previsto per interventi anche della durata di 24 ore, compresi i festivi e le sostituzioni dell’assistenza personale;

L’entità del contributo è determinata tenendo conto del reddito personale e del complesso delle risorse a disposizione della persona disabile (sia in termini di aiuti economici, sia di aiuti personali già disponibili ed utilizzati, sia abitativi e di contesto ambientale).

In ogni caso deve essere garantita al disabile la possibilità di utilizzo delle risorse economiche necessarie ad assicurare la realizzazione del percorso di vita indipendente.


valutazione dei piani progettuali

Gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali recepiscono i piani personalizzati presentati e li sottopongono alla valutazione dell’unità valutativa handicap o di una apposita Commissione mista costituita da rappresentanti dei servizi socio-assistenziali e dei servizi sanitari che ne concerta il contenuto, la fattibilità e l’impegno economico con gli interessati.

i singoli piani individuali dovranno essere valutati in merito all’efficacia del progetto rispetto allo sviluppo della vita indipendente ed all’integrazione sociale.

Per la peculiarità del concetto di “Vita indipendente”, cosi come sopra specificato, tali progetti non devono essere confusi con progetti di sostegno alla disabilità che possono essere garantiti anche con assegni di cura o con altre forme di intervento indiretto (ex legge 162/1998).

Tutti i progetti di vita indipendente, a cui va garantita la continuità, devono essere sottoposti a verifica sulla base di una relazione annuale sulle spese sostenute e sull’andamento del progetto che la persona beneficiaria è tenuta a produrre attestante l’attuazione del progetto stesso.

Qualora un progetto perda la connotazione di vita indipendente, cioè vengano a mancare le condizioni o i requisiti previsti, deve essere sostituito o con un progetto di sostegno all’autonomia o con interventi diretti, finanziabili con i fondi ai sensi della legge 162/1998, fatti salvi i necessari interventi sa­nitari e/o socio-sanitari previsti dalla vigente normativa.

Contro il diniego motivato all’approvazione del progetto di vita indipendente o contro la sospensione o la revoca dello stesso trova applicazione il dispositivo di cui alla delibera della Giunta regionale n. 51-11389 del 23 dicembre 2003, allegato B, ultimo comma.


assegnazione del contributo regionale

per ciascun progetto è previsto un contributo regionale annuale massimo pari ad euro 22.480,00. Tale finanziamento è finalizzato esclusivamente all’assunzione dell’assistenza personale e alla remunerazione delle sostituzioni. Non ricomprende pertanto spese di natura diversa.


Trasferimenti

Qualora il beneficiario di un progetto di vita indipendente trasferisca la residenza in un comune rientrante nell’ambito territoriale di un altro ente gestore, quest’ultimo subentra nel finanziamento e nella verifica del progetto di cui è titolare il disabile. A tal fine le risorse destinate al progetto devono essere trasferite all’ente gestore competente per territorio. Di tale trasferimento e degli accordi presi tra gli enti gestori deve essere data comunicazione ‘ all’amministrazione regionale, ai fini della corretta assegnazione delle risorse.




* Direttore del Cisap, Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).

(1) Cfr. l’articolo di Mauro Perino ed Elena Galetto, “Disabilità grave e diritto alla vita indipendente”, Appunti sulle politiche sociali, n. 6, 2001.

(2) Cfr. l’articolo di Gianni Pellis, “L’assistenza personale autogestita: una realtà innovativa per le persone con handicap fisico molto grave”, Prospettive assistenziali, n. 137, 2002.

(3) Associazione Onlus di promozione sociale per la vita indipendente con sede in Grugliasco: www.consequor.it.

(4) Cfr. l’editoriale “Agiranno il nuovo Parlamento e il Governo per migliorare le attuali incivili condizioni di vita delle persone più deboli e bisognose?”, Prospettive assistenziali, n. 162, 2008.

(5) Adolf Radtzka, “Vita indipendente: tentativo di una definizione”, www.consequor.it

(6) Ibidem.

(7) Referente italiano di European network indipendente living (Enil), movimento di liberazione delle persone con disabilità.

(8) Tratto dal sito www.enil.it.

(9) Ibidem.

(10) Ibidem.

(11) Cfr. Marco Gastoni, “Alle origini del movimento per la vita indipendente”, Rivista anarchica “A”, supplemento al n. 331, 2007.

(12) Marco Gastoni, “Perché un dossier sulla vita indipendente e la disabilità?”, Ibidem.

(13) Si tratta delle associazioni operanti nell’area dell’handicap intellettivo – “La Scintilla” e “L’isola che non c’è” – e di quelle rappresentative dei disabili fisici: “Associazione italiana sclerosi multipla” ed “Enil Italia”. I rappresentanti di queste ultime sono entrati a far parte del gruppo interdisciplinare unitamente al responsabile Savi, al responsabile progetto handicap (entrambi del Cisap) ed al Direttore del distretto di Collegno e Grugliasco dell’Azienda sanitaria.

(14) Deliberazione del Consiglio di amministrazione del Cisap n. 15 del 3 aprile 2001.

(15) I progetti Savi chiusi nel 2007 sono stati trasformati, rispettivamente, in un intervento assistenziale sostenuto con “assegno di cura” ed in un inserimento in struttura residenziale.

(16) Oltre al Piemonte, le Regioni che hanno approvato norme specifiche per la vita indipendente sono: la Valle d’Aosta (2003), il Friuli Venezia Giulia (2007), il Lazio (2000), le Marche (2007), la Toscana (2004) e il Veneto (2004).

(17) La Convenzione accomuna nella condizione di disabilità «quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri». Pur riconoscendo a tutti questi soggetti il diritto alla vita indipendente ed all’inclusione sociale, la Convenzione evidenzia il limite di non considerare la specificità delle persone con handicap intellettivo e, soprattutto, di quelle con limitata o nulla autonomia. In tal modo si vanifica, con riferimento a tali situazioni, il concetto di «pari condizioni di scelta rispetto agli altri», che andrebbe realisticamente declinato con puntuale riferimento alla natura ed alla gravità che l’insufficienza mentale può assumere. Inoltre la Convenzione accomuna l’handicap intellettivo alla malattia mentale e, più in generale, non opera una opportuna distinzione tra chi è limitato nell’attività e nella partecipazione a causa di malattie invalidanti e chi invece vive una condizione di disabilità a causa di una menomazione (di natura fisica, sensoriale o intellettiva) non assimilabile ad una malattia. Cfr. l’articolo di Mauro Perino, “La Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con handicap”, Prospettive assistenziali, n. 159, 2007.

(18) In certi casi integrabile, su richiesta, con un ulteriore contributo mensile di 10,33 euro.

(19) E cioè nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 25 della legge n. 328/2000 e dai decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000 in base ai quali nessun contributo economico può essere richiesto ai congiunti degli assistiti qualora si tratti di ultrasessantacinquenni non autosufficienti o di soggetti con handicap in situazione di gravità.

(20) Gianni Pellis, “L’assistenza personale autogestita: una realtà innovativa per le persone con handicap fisico molto grave”, Op. cit.

(21) Ibidem.

(22) La deliberazione citata ha per oggetto “Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, Allegato 1, punto 1.C. Applicazione livelli essenziali di assistenza all’area dell’integrazione socio-sanitaria”. L’ultimo comma dell’allegato B prevede che «la Commissione centrale per le rivalutazioni degli ex ospedali psichiatrici. di cui alla delibera della Giunta regionale n. 74-28035 del 2 agosto 1999, integrata con le figure professionali in possesso di specifica competenza sulle aree di cui al presente atto, da individuarsi con apposito provvedimento regionale, costituisce il livello di riferimento e di garanzia in ordine alle eventuali controversie che dovessero insorgere fra i diversi soggetti in merito alle valutazioni espresse a livello locale» . Il rimando a tale organismo si ritrova anche nella deliberazione della Giunta regionale n. 17-15226 del 30 marzo 2005 “Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti. Modifiche e integrazioni alla delibera della Giunta regionale n. 51-11389 del 23 dicembre 2003 ‘decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, Allegato 1, punto 1.C. Applicazione livelli essenziali di assistenza all’area dell’integrazione socio-sanitaria’” ove si afferma che «la Commissione centrale per le rivalutazioni degli ex ospedali psichiatrici di cui alla delibera della Giunta regionale n. 74-28035 del 2 agosto 1999, integrata con le figure professionali in possesso di specifica competenza sull’area degli anziani, da individuarsi con apposito provvedimento regionale, costituisce il livello di riferimento e di garanzia in ordine alle eventuali controversie che dovessero insorgere fra i diversi soggetti (Asl, soggetti gestori socio-assistenziali, gestori dei presidi residenziali o relativi organismi rappresentativi, utenti/famigliari/tutori/associazioni rappresentative) in merito alle valutazioni e rivalutazioni espresse a livello locale».

(23) Editoriale, Op.cit.

(24) Articolo 54 della legge 289/2002 e decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001.

(25) Per quanto attiene all’handicap il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 che, all’allegato 1.C, definisce i livelli essenziali di assistenza con riferimento all’area dell’integrazione socio-sanitaria, individua due tipologie di prestazioni con le relative attribuzioni percentuali di spesa: a) l’assistenza alle persone in condizione di handicap attraverso interventi diretti al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e tramite prestazioni domiciliari, ambulatoriali, semi-residenziali e residenziali e assistenza protesica (art. 26 della legge 833/1978 e Linee guida) viene posta a totale carico del Servizio sanitario nazionale nella fase intensiva, così come le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva e nei casi di responsività minimale. Viene inoltre mantenuta a totale carico del Servizio sanitario nazionale l’accoglienza in strutture terapeutiche di minori affetti da disturbi comportamentali o da patologie di interesse neuro-psichiatrico; b) la tutela della persona handicappata attraverso prestazioni di riabilitazione, educative e di socializzazione, di facilitazione dell’inserimento scolastico e lavorativo, in regime domiciliare, semi-residenziale e residenziale, nella fase di lungo assistenza, compresi gli interventi e servizi di sollievo alla famiglia (legge 104/1992 con le modifiche ed integrazioni introdotte dalla legge 162/1998) vengono fatte gravare: per il 100% sul fondo sanitario le prestazioni diagnostiche, riabilitative e di consulenza specialistica; per il 70% a carico del fondo sanitario e per il 30% sui fondi comunali – fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale – l’assistenza in strutture semi-residenziali e residenziali per persone con handicap grave. È attribuita invece per il 40% sul fondo sanitario e per il 60% sui fondi comunali – sempre fatta salva la compartecipazione dell’utente – l’assistenza alle persone in condizione di gravità prive del sostegno familiare nei servizi di residenza permanente. L’assistenza scolastica ed educativa ed i programmi di inserimento sociale e lavorativo vengono posti a totale carico dei comuni.

(26) Articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione.

(27) In merito alla prestazioni sanitarie ai soggetti dei tre gruppi individuati, che rientrano tra i diritti esigibili (legge 833/1978, articolo 54 della legge 289/2002 e decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001), non dovrebbe essere previsto alcun fondo poiché i finanziamenti devono essere tratti dal Fondo sanitario nazionale il cui ammontare, se del caso, potrebbe essere incrementato.

(28) Cfr. l’editoriale “Per la creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale”, Prospettive assistenziali, n. 121, 1998.

(29) Claudio Roberti, “Percorsi verso una vita indipendente per tutti: dal possono al devono”, Rivista anarchica “A”, Op.cit.

(30) Delibera della Giunta della Regione Piemonte n. 48-9266 del 21 luglio 2008.