Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008


Inaccettabile il CONTRATTO IMPOSTO

DALLA RSA FONDAZIONE SANT’ERASMO DI LEGNANO

AGLI ANZIANI MALATI NON AUTOSUFFICIENTI



Il contratto imposto dalla Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) Fondazione Sant’Erasmo di Legnano (Mi) agli anziani malati cronici non autosufficienti a favore dei quali l’Asl versa la quota sanitaria (1) è un altro esempio delle disfunzioni, spesso di notevole gravità, che si riscontrano nelle attività sanitarie e socio-assistenziali praticate in Lombardia.

Un elenco delle situazioni e delle iniziative della Regione Lombardia contrastanti con le esigenze fondamentali dei cittadini in condizioni di grave disagio è riportato nell’allegato 1.


Negata di fatto la competenza socio-sanitaria delle Asl e dei Comuni

Dall’esame del contratto emerge la negazione di fatto delle norme (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 e articolo 54 della legge 289/2002) in base alle quali compete al Servizio sanitario nazionale (e non ai malati e/o ai loro congiunti) provvedere senza limiti di durata alla cura degli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza; spetta inoltre ai Comuni garantire gli interventi sociali attinenti le prestazioni sanitarie. Ciò premesso, non risultano compatibili con il rispetto dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti le norme inserite dalla Rsa Fondazione Sant’Erasmo (2) nel proprio regolamento, che devono essere sottoscritte e accettate dai malati e/o da coloro che li rappresentano (3).

Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti disposizioni del regolamento:

a) l’infermo è definito un «ospite», e quindi non viene considerato come un soggetto avente diritto alle cure socio-sanitarie;

b) «l’ospite e il garante richiedono la prestazione del servizio» (articolo 2). Pertanto non solo è confermato che il malato non ha alcun diritto, ma vengono poste le premesse affinché la sottoscrizione del regolamento si configuri come un contratto privato con l’attribuzione al garante di numerose e gravose incombenze non previste da alcuna legge;

c) viene addirittura sancito che la Rsa Fondazione S. Erasmo ha la facoltà di «presentare disdetta con preavviso di almeno quindici giorni» (articolo 2). Ne deriva che la stessa Rsa Fondazione S. Erasmo si arroga il potere di porre termine al diritto del malato di essere curato senza limiti di durata stabilito dalle vigenti leggi dello Stato;

d) anche se le risorse economiche del malato sono inferiori a quanto richiesto, il malato stesso (o chi lo rappresenta) è obbligato a versare l’intera retta (articolo 4), e a corrispondere il deposito cauzionale di euro 1.500 (articolo 7) che «è infruttifero di interessi». A questo proposito si precisa che, sulla base dei compiti affidati dalle leggi ai Comuni, la quota alberghiera deve essere corrisposta alla struttura di ricovero dal Comune che ha stipulato la convenzione con detto ente e che il malato, ai sensi dell’articolo 25 della legge 328/2000 e dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, deve trasmettere al Comune l’importo relativo alla quota alberghiera nei limiti delle sue personali risorse economiche (4). Ad esempio, qualora la retta giornaliera sia di 71,00 euro e la pensione mensile riscossa ammonti a 396 euro (importo dell’assegno sociale erogato agli ultrasessantacinquenni privi di altri redditi), la Rsa Fondazione Sant’Erasmo impone all’interessato di versare ben 3.630 euro (cauzione 1.500 + 71 euro x 30 giorni) e cioè quasi tutto l’importo annuo delle sue disponibilità economiche. Da notare che in base all’articolo 5 «il mancato pagamento della retta per il periodo di novanta giorni consecutivi comporta le dimissioni dell’ospite»;

e) ai sensi dell’articolo 6 la Rsa Fondazione S. Erasmo «si riserva di variare periodicamente l’importo della retta» mediante un preavviso di novanta giorni «entro i quali l’ospite e il garante potranno dichiarare se accettano la nuova retta ovvero se optano per le dimissioni». Nello stesso articolo è previsto che qualora la stessa Rsa «istituisca rette differenti per grado di non autosufficienza degli ospiti, la variazione della retta potrà avvenire anche in conseguenza di un passaggio dell’ospite a diversa classe di non autosufficienza». In questo caso «il gestore applicherà la nuova retta con preavviso di sessanta giorni, entro i quali l’ospite e il garante potranno dichiarare se accettano la nuova retta ovvero optano per le dimissioni» (5). Al riguardo stupisce che l’importo della retta alberghiera possa essere deciso unilateralmente dalle strutture private di ricovero e che nel regolamento della Rsa Fondazione S. Erasmo non si faccia alcun riferimento a disposizioni regionali, nemmeno in merito all’accertamento delle condizioni sanitarie del ricoverato in base alle quali la retta alberghiera può essere modificata. Nella premessa del regolamento in oggetto è addirittura previsto che «la misurazione del grado di non autosufficienza dell’ospite [è] effettuata dall’équipe medica della Rsa utilizzando i criteri stabiliti dalla Regione Lombardia». Anche se detta individuazione «è soggetta a controllo da parte dell’Asl», non si comprendono i motivi secondo i quali detta attività non è stata affidata dalla Regione Lombardia alle Uvg (Unità di valutazione geriatrica). Per quanto riguarda la definizione della retta giornaliera che, come abbiamo visto, può variare da 52 a 71 euro, non si capisce quali siano i criteri da osservare da parte della Rsa Fondazione S. Erasmo in modo da assicurare il rispetto della normativa nazionale (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 e articolo 54 della legge 289/2002) che impone alle Asl di corrispondere la quota sanitaria nella misura di almeno il 50% dell’intera retta;

f) analoghe considerazioni a quelle riferite ai punti precedenti valgono per le disposizioni contenute nella premessa del regolamento, secondo cui lo staff medico della Rsa Fondazione S. Erasmo «si riserva, ai fini di una più completa valutazione» di verificare la relazione medica rilasciata dal medico curante dell’ospite e «di accoglierlo in via definitiva decorsi sessanta giorni dalla data di ingresso». Ne deriva il potere della Rsa Fondazione S. Erasmo, anche in questo caso del tutto arbitrario, di imporre unilateralmente le dimissioni dell’anziano malato cronico non autosufficiente non tenendo conto che la degenza è un diritto del paziente che deve essere attuato dall’Asl e dal Comune o direttamente o tramite enti pubblici o privati convenzionati;

g) sulla stessa linea si pone l’articolo 9 del regolamento in base al quale costituiscono «causa di dimis­sioni dell’ospite e risoluzione contrattuale (…) i cambiamenti delle condizioni psicofisiche e sanitarie dell’ospite che rendano il servizio offerto inadeguato ai suoi bisogni o non più compatibile la permanenza nel contesto comunitario». In questi casi «la valutazione di sopravvenuta inadeguatezza o incompatibilità è di esclusiva pertinenza dello staff medico della Rsa»;

h) da notare che in tutti i casi di dimissioni del malato segnalati nei punti precedenti «il garante si farà carico dell’ospite assumendosi ogni relativa responsabilità di assistenza e di comunicare al gestore il luogo di trasferimento dell’ospite assumendosi gli oneri del trasporto», stabilendo addirittura che «qualora non avvenisse comunicazione le parti convengono che il luogo di trasferimento sia il domicilio del garante».


Conclusioni

A nostro avviso le norme del regolamento da noi citate sono assolutamente inaccettabili in quanto non riconoscono all’anziano malato cronico non autosufficiente il diritto senza limiti di durata alle cure socio-sanitarie stabilito dalle leggi vigenti (la prima, la n. 692 risale nientemeno che al 1955!), con l’unico obbligo da parte dello stesso malato di corrispondere la quota alberghiera nell’ambito delle sue personali risorse economiche. Inoltre non è ammissibile che sul garante venga scaricato l’obbligo di versare la cauzione (6) e la quota alberghiera anche nei casi in cui il relativo importo sia superiore alle risorse del malato e che a detto soggetto la Rsa Fondazione S. Erasmo attribuisca le funzioni del Servizio sanitario nazionale, in particolare il compito di garantire personalmente la prosecuzione delle cure socio-sanitarie, qualora la Rsa Fondazione S. Erasmo abbia disposto le dimissioni.

Mentre la Regione Lombardia, le Asl ed i Comuni dovrebbero assumere i provvedimenti necessari affinché vengano rispettati le esigenze e i diritti degli anziani malati cronici non autosufficienti, estremamente limitate sono le possibilità di tutelare i pazienti qualora i congiunti abbiano accettato le dimissioni da ospedali e case di cura private convenzionate.

Come abbiamo più volte rilevato su questa rivista accettare le dimissioni significa sotto il profilo giuridico, sottrarre volontariamente il paziente dalle competenze del Servizio sanitario nazionale e altrettanto volontariamente assumere in proprio tutte le responsabilità penali, civili ed economiche relative alla prosecuzione delle cure socio-sanitarie.

In primo luogo i parenti o gli altri soggetti coinvolti nella tutela del malato dovrebbero opporsi sempre alle dimissioni qualora il paziente necessiti ancora di cure ed esse non siano praticabili a domicilio (7). Inoltre dovrebbero accettare il trasferimento alle Rsa a condizione di non essere costretti a firmare impegni illegittimi (8). Qualora la persona che rappresenta il malato accetti il trasferimento del malato nella Rsa senza condizionarlo alla non sottoscrizione del cosiddetto “contratto di ospitalità” è consigliabile che, immediatamente dopo aver ottenuto l’ammissione dell’infermo nella Rsa, invii alla direzione della struttura nonché al Direttore generale dell’Asl e al Sindaco del Comune di ultima residenza dell’infermo una raccomandata a/r di disdetta degli impegni illegittimi sottoscritti e, facendo riferimento alle disposizioni vigenti e alla legge 241/1990 (9), chieda il loro intervento per richiedere il rispetto delle norme vigenti comprese, se del caso, quelle riguardanti l’integrazione della retta.


Allegato 1

INIZIATIVE PARTICOLARMENTE NEGATIVE CONCERNENTI I SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI

E SANITARI DELLA LOMBARDIA SEGNALATE DA PROSPETTIVE ASSISTENZIALI


Prospettive assistenziali, n. 76, 1986, “La legge della Lombardia sui servizi assistenziali: un pessimo esempio”. Nell’articolo di Donata Micucci viene segnalato quanto segue:

1) nessun diritto esigibile è riconosciuto alle persone e ai nuclei familiari in condizioni di disagio;

2) la caotica attribuzione delle funzioni operative stabilite dalla legge della Lombardia n. 1/1986 non tiene in alcuna considerazione la questione fondamentale dell’unitarietà delle esigenze delle persone e dei nuclei familiari. Infatti:

a) ai Comuni singoli è attribuita la «gestione dei servizi che non abbiano complessità tecnica e gestionale e il cui bacino di utenza sia compreso nell’ambito del Comune»;

b) «deve essere riservata agli Enti responsabili dei servizi di zona la decisione relativa a ciascun tipo di intervento ad utenza sovracomunale, salve le attività informative, istruttorie e di promozione che possono essere demandate ai singoli Comuni».

Come se non fosse sufficiente l’assurda separazione dalle succitate funzioni (non esistono criteri oggettivi per la loro individuazione!) la legge 1/1986 prevede altresì che «le attività attribuite agli enti responsabili dei servizi di zona possono essere svolte dai Comuni singoli» e che i «servizi attribuiti ai singoli Comuni possono essere svolti dagli Enti responsabili dei servizi di zona». La già notevole confusione sul piano istituzionale e organizzativo è accentuata dalla prevista costituzione dei Comitati sociali, fra l’altro privi di poteri reali, preposti al coordinamento fra le iniziative di competenza dei Comuni e quelle attribuite agli Enti responsabili dei servizi di zona. Detti Comitati potevano addirittura «articolarsi a livello di uno o più distretti»;

3) sono previste norme volte a trasferire dalla sanità (le cui prestazioni vengono fornite sulla base di diritti esigibili da parte dei cittadini e sono quasi sempre gratuite) all’assistenza (caratterizzata dalla completa discrezionalità e dalla contribuzione da parte degli utenti) le seguenti funzioni:

- «risocializzazione dei dimessi dagli ospedali psichiatrici e dei malati di mente in genere»;

- «prevenzione, cura e riabilitazione dei tossicodipendenti»;

- «assistenza agli anziani non autosufficienti ricoverati in strutture pubbliche»;

4) strapotere assegnato alla Giunta regionale sia con grave pregiudizio dell’autonomia dei Comuni singoli e associati, sia riducendo in misura considerevole gli ambiti di partecipazione popolare;

5) attribuzione alla Giunta regionale della facoltà di concedere deroghe al vincolo di destinazione all’assistenza dei beni mobili e immobili trasferiti alla Regione a seguito dello scioglimento delle Ipab e degli enti nazionali (Onmi, Enaoli, ecc.) e degli Eca con la conseguenza di rendere praticabile la sottrazione alla fascia più bisognosa della popolazione del ricavato della vendita dei relativi beni;

n. 85, 1989. Il Movi, Movimento di volontariato italiano, denuncia i gravi maltrattamenti subiti dagli anziani ricoverati in un istituto di Milano, ad esempio «rifiutare la padella richiesta con conseguente disagio del paziente costretto a sporcare il letto», presenza nei reparti di «persone con turbe psichiatriche»; «a volte i pazienti per fare il bagno devono aspettare fino a tre mesi. Quando viene fatto spesso provoca scottature per l’acqua troppo calda»;

n. 87, 1989. Nel volume Cronicari fuorilegge della Federazione nazionale dei pensionati Cisl sono riportati i risultati delle indagini condotte in nove cronicari, fra i quali il Pio Albergo Trivulzio e l’Istituto geriatrico Redaelli di Milano da cui risulta che «otto delle nove strutture visitate sono strutture assistenziali: che ci vive paga; chi ci vive, anche se malato cronico, non ha assistenza sanitaria; chi ci vive, anche se ha bisogno di cure e di riabilitazione, non ha per sé né le une né le altre»;

n. 93, 1991. Viene riferito che il quotidiano Avvenire del 31 gennaio 1991 riporta quanto segue: «Anziani stipati e maltrattati. Arrestata una donna con l’accusa di sequestro di persona. Varese: blitz di Polizia e Guardia di Finanza alla “Domus terapica” di Cunardo e Ganna»;

n. 94, 1991. Con la delibera n. 401 del 1° ottobre 1990 la Giunta della Regione Lombardia, ignorando le leggi vigenti, ha previsto che le giornate di degenza nelle case di cura private convenzionate eccedenti la durata prefissata dalla Giunta stessa sono pagate dalla Regione solo nella misura del 50%. Ad esempio la durata massima della degenza riabilitativa pagata al 100% dalla Regione è fissata in 38 giorni; 36 per la psichiatria, 28 per la geriatria e 60 per i malati terminali (sic!);

n. 120, 1997. In violazione alla normativa in vigore, il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la legge 11 luglio 1997 n. 31, in cui è prevista «la facoltà del Comune di rivalersi nei confronti dei soggetti tenuti agli alimenti» nel caso di insufficienza del reddito da parte dell’utente;

n. 124, 1998. Luca, di anni 25, in coma vigile post-traumatico, dimesso dal Fatebenefratelli e dall’ospedale di Garbagnate è ricoverato presso il Pio Albergo Trivulzio nel reparto dove sono degenti gli anziani cronici non autosufficienti;

n. 125, 1999. Il 25 gennaio 1999 il Tribunale di Milano ha condannato a 13 anni di reclusione un educatore che, secondo le testimonianze raccolte dall’autorità giudiziaria, durante la sua attività avrebbe violentato 11 ragazzi, alcuni dei quali ancora bambini. Nonostante la gravità della vicenda le istituzioni lombarde non hanno assunto alcuna ini­ziativa per una preventiva valutazione della personalità degli operatori preposti all’assistenza residenziale degli utenti incapaci di autodifendersi;

n. 136, 2001. Dall’attività di controllo eseguite dai Nas nei confronti degli istituti di ricovero per anziani emerge che, su 124 strutture della Lombardia prese in esame, nei confronti di ben 54 sono state accertate irregolarità penali e/o amministrative con l’inoltro di tre proposte di chiusura. Sullo stesso numero di Prospettive assistenziali viene segnalato che il Corriere della sera del 26 settembre 2001 ha reso noto che l’Asl della Provincia di Bergamo ha comunicato al signor S. F. il divieto di ingresso al centro diurno del figlio di 18 anni, non autosufficiente, a seguito del rifiuto di S. F. di provvedere al versamento, non previsto dalla legge, del contributo di 300 euro richiesto dalla stessa Asl;

n. 137, 2002. Per frequentare i centri diurni della Lombardia i malati di Alzheimer devono corrispondere una retta giornaliera che va dalle 32 alle 60 mila lire, mentre ai congiunti che li accolgono a casa le Asl ed i Comuni non erogano alcuna somma;

n. 139, 2002. Sulla base della delibera assunta il 1° settembre 2000, il direttore generale dell’Asl di Bergamo chiede ai genitori di un soggetto ricoverato in quanto gravemente malato (ritardo mentale medio-grave, epilessia farmaco resistente, disturbi del comportamento auto ed etero aggressivo, scoliosi ad andamento evolutivo) un contributo economico di importo assai rilevante sulla base della estemporanea definizione dei «casi a cavaliere», riguardanti i soggetti colpiti sia da handicap invalidante che da gravissime turbe psichiatriche;

n. 142, 2003. L’ospedale di Legnano, Milano, vuole dimettere il signor Q. G., nonostante la gravità delle condizioni di salute (decadimento cognitivo di media gravità, broncopneunopatia cronica ostruttiva, diabete mellito, vasculopatia arteriosa periferica, cirrosi epatica degenerata in cancrocirrosi). Di fronte all’opposizione dei due figli, che beneficiano della consulenza del Comitato di difesa dei diritti degli assistiti di Torino, l’Asl della Provincia di Milano e l’ospedale esercitano una lunga serie di pressioni e si rivolgono anche al Giudice tutelare per la nomina di un amministratore provvisorio del malato. Inoltre il direttore sanitario e quello amministrativo scrivono ai figli che il padre «pur essendo stato riconosciuto non in grado di svolgere autonomamente gli atti della vita quotidiana dall’Unità valutazione geriatrica» dovrebbe essere dimesso in quanto «non ci sono patologie acute in atto tali da giustificare l’ospedalizzazione». Li informano altresì che gli oneri della degenza sono a carico del malato avvero «qualora lo stesso dovesse risultare in stato di bisogno o comunque non in grado di provvedere al proprio mantenimento, da coloro che sono tenuti per legge agli obblighi alimentari».

Da notare che la vicenda, iniziatasi con la richiesta di dimissioni avanzata il 27 febbraio 2002, si conclude il 29 novembre dello stesso anno con il trasferimento del malato, a cura e spese della sanità e con l’accettazione del versamento della quota alberghiera nell’ambito delle risorse economiche del malato, senza alcun onere per i congiunti;

n. 143, 2003. In base ai controlli effettuati dai Nas risulta che le ispezioni effettuate agli istituti di ricovero di anziani della Lombardia sono state 218 nel 2001 e 181 nel 2002, con l’individuazione rispettivamente di 98 e 110 strutture irregolari e con l’accertamento di complessive 111 infrazioni penali, 87 amministrative, nonché di 10 penali e amministrative. Nello stesso numero di Prospettive assistenziali sono state segnalate le richieste illegali di contributi economici avanzate dal Comune di Como;

n. 144, 2003. Si ricorda che la Regione Lom­bardia, dopo aver eliminato con la proposta di legge n. 1 del 5 gennaio 2000 la vergognosa discriminazione fra l’assistenza ai minori nati nel o fuori del matrimonio, l’ha reintrodotta mediante la legge 27 marzo 2000, n. 18 assegnando alle Province le funzioni relative alle prestazioni per i fanciulli nati fuori del matrimonio, mentre venivano confermate quelle dei Comuni nei confronti dei nati nel matrimonio;

n. 147, 2004. La Sezione di Brescia del Tar della Lombardia (sentenza n. 179/2004) ha condannato il Comune di S. Gervasio Bresciano «al pagamento della quota parte di frequenza al Cse, Centro socio-educativo, del signor E. M., restituendo quanto già corrisposto indebitamente dalla famiglia». Le condizioni di E. M. erano di «invalido con totale e permanente invalidità lavorativa e con necessità di assistenza continua»;

n. 149, 2005. Sono esposti i motivi in base ai quali l’accordo fra il Comune di Pavia ed i sindacati Cgil, Cisl e Uil sui contributi economici viola le leggi vigenti. A seguito di detto accordo la Giunta comunale di Pavia ha approvato una delibera in data 18 dicembre 2003 che ha indebitamente sottratto rilevanti somme di denaro ai cittadini;

n. 150, 2005. È riportata la nota redatta dalla signora Chiara Iacono che denuncia un gravissimo episodio di malasanità accaduto il 27 gennaio 2005 alla sua nonna novantunenne ricoverata in una clinica di Milano «buttata su una barella, completamente nuda, coperta solo in parte da un lenzuolo, in una stanzina dove tutti noi indossavamo il cappotto per il freddo, in quanto quell’ala della clinica è in ristrutturazione e molte aperture sono senza finestre». Mentre il personale aveva detto che non c’erano posti letto disponibili «dopo molte rimostranze e discussioni verso la mezzanotte il posto letto è stato trovato in ortopedia». Dopo essere stata allontanata dalla stanza, due persone hanno proceduto al prelievo del sangue. Al rientro la signora Chiara Iacono ha visto che «il letto, le lenzuola e il pavimento erano sporchi di sangue e le braccia della nonna erano piene di lividi». Dimessa al mattino, la nonna è deceduta nel pomeriggio;

n. 151, 2006. Contiene un articolo di commento della legge della Regione Lombardia n. 34/2004 “Politiche regionali per i minori” in cui ne vengono evidenziate le carenze, la principale delle quali è l’assenza completa di diritti esigibili da parte dei nuclei familiari in difficoltà. Inoltre la legge prevede assurdamente il trasferimento a tutti i Comuni, compresi quelli con un numero limitato di abitanti e quindi di risorse, delle funzioni delle Province in materia di assistenza alle gestanti e madri in condizioni di disagio, rendendo impraticabile il loro diritto al se­greto del parto. A conferma della impraticabilità della legge 34/2004, le Province continuano ad esercitare le funzioni relative alle gestanti e madri;

n. 153, 2006. L’accordo intervenuto fra il Co­mune di Bergamo ed i sindacati Cgil, Cisl e Uil in merito ai contributi economici prevede obblighi da par­te dei parenti degli assistiti in contrasto con quanto stabilito dalle leggi vigenti. Viene inoltre se­gnalato che il Comune di Marcallo con Casone in provincia di Milano ha deciso di installare la culla (ruota degli esposti), preoccupante ritorno al medioevo, che non tiene in alcuna considerazione l’esigenza della donna e dei neonati di usufruire dei servizi sanitari gratuiti disponibili presso gli ospedali e le case di cura private convenzionate che garantiscono adeguate prestazioni sanitarie e il segreto del parto;

n. 154, 2006. Un ragazzino di dodici anni viene cacciato dalla scuola perché rifiuta gli psicofarmaci. È riammesso a scuola dopo l’intervento del Tribunale di Milano. Purtroppo in Lombardia è presente un altro caso analogo: B. C. di dodici anni, non frequenta la scuola da oltre quattro anni;

n. 156, 2006. Il Movimento diritti consumatori di Pavia segnala al Garante per la riservatezza dati personali che il Comune pretende di conoscere dati personali e la situazione economica dei congiunti degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti e dei soggetti con handicap in situazione di gravità. Il Garante, in data 22 settembre 2006, ha indirizzato una nota al Comune di Pavia ricordando che i succitati dati non possono essere richiesti. Ci risulta che il Comune di Pavia continua a non tener conto delle prescrizioni impartite dal Garante;

n. 159, 2007. Per essere curato il signor A. B. è stato costretto a sottoscrivere un contratto privato e di essere iscritto fra i soci della Cooperativa Vitaresidence e a sottostare a vari obblighi previsti da nessuna legge. Sull’argomento Prospettive assistenziali ha posto alcuni interrogativi all’Asl Milano 3 senza ricevere risposte di sorta, nonostante l’evidente contrasto fra le imposizioni subite dal signor A. B. ed i diritti sanciti dalle leggi vigenti;

n. 161, 2008. L’articolo “L’Assessore ai servizi sociali di Pavia consiglia il ricovero a un magistrato con handicap” riguarda la sorprendente risposta ricevuta dal giudice Lorenzo Pernetti alla richiesta di ottenere un appartamento idoneo alle sue esigenze. Nello stesso numero viene segnalato il minaccioso comportamento del direttore generale del Pio Albergo Trivulzio di Milano che, alla raccomandata inviata da A. M. in cui veniva richiesta o la prosecuzione delle cure del proprio padre gravemente malato e non autosufficiente o il trasferimento presso altra struttura sanitaria o socio-sanitaria, rispondeva il 30 luglio 2007 affermando che «non sussistendo più le condizioni utili a giustificare il ricovero in struttura riabilitativa, laddove il giorno 20 agosto il signor A. M. dovesse trovarsi ancora ricoverato presso la nostra struttura e sulla base della richiesta già avanzata, il protrarsi della degenza comporterebbe l’emissione di fattura nei suoi confronti per il riconoscimento di una retta variabile in funzione della disponibilità dei posti letto (da euro 70,61, euro 73,46 oppure euro 82,64 giornalieri)». Il direttore aggiungeva che «il protrarsi di tale ipotesi comporterà la contestuale attuazione – da parte della nostra struttura – della procedura prevista dalla normativa vigente per i casi di abbandono di incapace». In relazione alla minaccia dell’inesistente comportamento omissivo della figlia, il Csa in data 12 ottobre 2007 ha scritto al Direttore generale del Pio Albergo Trivulzio evidenziando da un lato gli obblighi del Servizio sanitario nazionale e ricordando che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 89/2005, ha stabilito che «ai fini del delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento sia verso il soggetto passivo sia verso altri, idoneo a incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere, mediante tale intimidazione, che il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa».




(1) Le nostre osservazioni riguardano esclusivamente i rapporti della Rsa Fondazione Sant’Erasmo con gli anziani cronici non autosufficienti che beneficiano della quota sanitaria versata dalle Asl e non gli utenti che si rivolgono all’ente come privati e che, di conseguenza, devono corrispondere l’intera retta e cioè la quota alberghiera e quella sanitaria.

(2) La questione riguarda ovviamente tutte le strutture socio-sanitarie della Lombardia.

(3) Nell’ordinanza del Tar della Lombardia, Sezione di Brescia n. 836/2008 del 26 novembre 2008, depositata in Segreteria il 28 dello stesso mese, viene rilevato che «appare dubbia anche la prassi di far sottoscrivere ai familiari dell’assistito un impegno al pagamento dell’intera retta al momento dell’ammissione nella Residenza sanitario-assistenziale per disabili (v. Tar Brescia 22 settembre 2008 n. 1102)». Per quanto riguarda i rapporti fra i ricoverati ed i Comuni la sopra citata sentenza del Tar di Brescia n. 1102/2008 «osserva che i Comuni non possono esimersi dall’obbligo di pagamento della retta richiamando gli impegni assunti dai parenti o dal tutore dell’ospite verso le strutture ospitanti. In effetti i Comuni non possono essere considerati beneficiari di tali contratti di garanzia, che le strutture ospitanti predispongono nel proprio esclusivo interesse. Oltretutto si tratta di contratti di cui sarebbe necessario verificare in concreto la validità, da un lato perché sono motivati dalla necessità di assicurare il ricovero (e quindi sottoscritti in una situazione di debolezza o soggezione contrattuale) e dall’altro perché potrebbero comportare l’assunzione di obblighi che superano la quota di compartecipazione dei cittadini a questo tipo di spese». Sulla questione si vedano altresì i seguenti articoli di Prospettive assistenziali “L’integrazione delle rette di ricovero assistenziale da parte degli Enti pubblici: un altro imbroglio”, n. 142, 2003 e Francesco Santanera, “L’accredi­ta­mento delle strutture residenziali: una procedura utilizzabile anche per negare diritti agli utenti”, n. 148, 2004.

(4) L’anziano cronico non autosufficiente, avendo diritto alle cure socio-sanitarie, non è tenuto a stipulare nessun accordo con la struttura scelta dall’Asl del Comune per l’attuazione dei compiti ad essi assegnati dalla legge. L’utente (o chi lo rappresenta) può essere obbligato a stipulare accordi con l’ente gestore solamente in merito alle prestazioni facoltative.

(5) Le rette alberghiere giornaliere deliberate dal Consiglio di amministrazione della Rsa Fondazione S. Erasmo sono le seguenti: ospite nucleo protetto euro 71,00, ospite totalmente non autosufficiente euro 61,00, ospite parzialmente autosufficiente euro 52,00.

(6) A nostro avviso la richiesta della cauzione non è giustificata, anche perché responsabile della corresponsione della quota alberghiera è il Comune di residenza del malato al momento del ricovero. Secondo noi può essere ammesso l’impegno scritto del garante di versare l’importo della quota alberghiera spettante al malato sulla base delle personali risorse economiche dello stesso malato.

(7) Ricordiamo che le cure domiciliari, pur essendo l’intervento quasi sempre più idoneo per gli adulti e anziani non autosufficienti, non possono essere imposte. Circa la nostra posizione sulla questione si veda, ad esempio, l’editoriale del n. 161 di Prospettive assistenziali “Cure socio-sanitarie domiciliari: una positiva svolta a favore degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer”.

(8) Vi sono positive esperienze in merito.

(9) La legge 241/1990 obbliga i responsabili degli enti pubblici a rispondere alle richieste dei cittadini entro 90 giorni e a comunicare il nominativo del funzionario incaricato dell’espletamento dell’istanza.