PRINCIPI FONDAMENTALI E IRRINUNCIABILI

IN MATERIA DI ADOZIONE E AFFIDAMENTO FAMILIARE DI MINORI

 

 

È di nuovo in pericolo la vera finalità dell’adozione: “dare una famiglia ai minori che ne sono privi”.

 

L’assurda proposta dell’On. Mussolini

Alessandra Mussolini, Presidente della Commis­sione parlamentare bicamerale per l’infanzia, ha annunciato «il progetto di estendere a conviventi e persone singole il diritto di diventare genitori adottivi» (1) ignorando – fatto assai grave soprattutto a causa del suo ruolo istituzionale – che dall’entrata in vigore della legge sull’adozione 431/1967 ad oggi, la quantità delle domande di adozione è sempre stata notevolmente superiore al numero dei bambini adottabili. Il rapporto medio è di circa 10 a 1.

Anche per quanto riguarda l’adozione internazionale solo una parte (circa il 40%) di coloro che sono in possesso del decreto di idoneità riescono ad adottare.

Questa situazione è dovuta alla mancanza di bambini adottabili (il cui numero è in diminuzione ovunque) e all’aumento notevole delle richieste di adozione (2).

Dunque, anche sotto il profilo numerico (rapporto adottanti e bambini adottabili) la proposta dell’On. Mussolini manca di razionalità poiché è ovviamente preferibile l’inserimento di un minore presso una coppia di coniugi, possibilmente con altri figli biologici o adottati, piuttosto che con una persona sola.

Per quanto concerne l’adozione da parte di una persona singola, purtroppo prevista, anche se in base a certe condizioni, dall’articolo 44 della legge 184/1983 (3), il minore non solo non assume lo
status di figlio legittimo dell’adottante, ma non instaura alcun rapporto di parentela con i congiunti dello stesso adottante, per cui non ha nonni, zii e cugini (4).

Pertanto, i minori adottati da persone singole si trovano in una condizione giuridica nettamente svantaggiata rispetto ai fanciulli adottati da una coppia con adozione legittimante.

la proposta dell’On. Mussolini, se accolta, danneggerebbe gravemente e senza alcun motivo valido gli adottati, visto che le richieste da parte delle coppie, come abbiamo visto in precedenza, sono dieci volte superiori al numero dei bambini adottabili (5).

Inoltre, l’On. Mussolini ha proposto di estendere l’adozione ai conviventi e alle persone singole affermando che «è prioritario togliere i bambini dagli istituti», ignorando che si tratta di fanciulli non dichiarati adottabili e, salvo casi eccezionali, nemmeno dichiarabili in quanto hanno rapporti affettivi con i loro congiunti.

Per questi minori le iniziative più urgenti, da noi invocate da alcuni decenni, riguardano il riconoscimento di diritti esigibili ai genitori in condizioni di disagio socio-economico, al fine di garantire l’esigenza primaria dei minori di vivere nell’ambito del loro nucleo familiare di origine e, nei casi di impossibilità, in un nucleo affidatario (6).

 

Le proposte dell’Aibi in merito all’adozione aperta e all’affido

Sul giornale Avvenire del 16 maggio 2008, Marco Griffini, Presidente dell’Aibi (Associazione amici dei bambini), richiede l’approvazione da parte del Parlamento di norme volte a introdurre nel nostro ordinamento l’adozione aperta o mite, addirittura anche nei confronti dei minori appartenenti a nuclei familiari in gravi difficoltà ma che, come precisa lo stesso Griffini, conservano ancora «qualche legame, seppur tenue, con la famiglia d’origine».

Anche in questo caso nemmeno una parola per ricordare la priorità assoluta dei minori di crescere con i propri congiunti d’origine, priorità che, se si vuo­le veramente rispettare, esige la prestazione di aiuti concreti ai nuclei disagiati, aiuti che dovrebbero essere forniti non discrezionalmente dagli enti com­petenti in materia di casa, lavoro, sanità, istruzione, assistenza, ecc. ma quali veri e propri diritti esigibili.

È infatti noto che la mancanza di mezzi adeguati da parte dei nuclei familiari di origine e le attuali ca­renze dei servizi ostacolano, spesso in misura considerevole, la permanenza dei minori a casa loro.

Per poter essere rispettato concretamente l’indiscutibile principio stabilito dal primo comma dell’articolo 1 della legge 184/1983 «il minore ha diritto di essere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia», devono necessariamente essere approvate dal Parlamento norme volte ad evitare che i minori vengano sottratti ai loro genitori e/o agli altri congiunti a causa di carenze che potevano essere superate.

Leggi portatrici di diritti esigibili consentono anche ai magistrati minorili di poter verificare se, come e quando gli enti pubblici hanno risposto alle richieste di intervento presentate dai soggetti con difficoltà nell’allevare, educare ed istruire i loro figli.

 

La proposta di legge dell’On. Prestigiacomo

In data 30 aprile 2008 l’On. Prestigiacomo ha presentato alla Camera dei deputati la proposta di legge n. 690 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione e affidamento internazionali” (7).

Il contenuto, come avevamo già osservato in precedenza (8), è assolutamente negativo per i seguenti principali motivi:

– è prevista la soppressione del preventivo accertamento da parte dei Servizi sociali e dei Tribunali per i minorenni dell’idoneità degli aspiranti genitori adottivi, con l’ovvia conseguenza del possibile inserimento di minori presso famiglie non valide sotto il profilo educativo;

– viene contemplata la possibilità della precostituzione di condizioni per la sottrazione dei minori stranieri al loro nucleo familiare di appartenenza e la conseguente loro adozione in Italia da parte anche di una persona singola.

 

Le vigenti norme sull’adozione

La legge 184/1983 prevede non solo l’adozione legittimante dei minori senza famiglia, ma pure quella denominata “in casi particolari”, le cui norme sono purtroppo anche utilizzate, per la pronuncia della cosiddetta adozione mite, istituto non previsto nel nostro vigente ordinamento giuridico (9).

In primo luogo è assai inquietante che il Tribunale per i minorenni possa pronunciare l’adozione anche contro l’assenso dei genitori «ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando», dopo aver disposto il decadimento della potestà parentale e la nomina di un tutore al quale compete la prestazione del consenso. A questo proposito non si può ignorare che molto spesso le persone in gravi condizioni di disagio hanno rilevanti difficoltà nella tutela dei loro diritti e sovente non conoscono le conseguenze della perdita della potestà paren­tale.

Il Tribunale per i minorenni di Torino ha addirittura pronunciato un’adozione nei casi particolari (o mite) nonostante la madre non fosse stata dichiarata decaduta dalla potestà parentale ed avesse negato l’assenso (10).

Proprio a causa delle difficoltà psico-sociali della madre, detta sentenza, nonostante la palese violazione delle leggi vigenti (11), è diventata definitiva, per cui di fatto il minore è stato illegittimamente sottratto al nucleo d’origine e quindi anche ai congiunti della donna.

Questo fatto dimostra quali siano i pericoli che corrono i soggetti deboli in materia di adozione nei casi in cui, come quelle “in casi particolari”, possono essere pronunciate senza la preventiva dichiarazione di adottabilità, tanto più per il fatto che vengono disposte anche nei confronti dei minori che avevano con i loro genitori, come ha riconosciuto il Presi­dente del Tribunale per i minorenni di Bari, «un legame affettivo che non consente l’interruzione totale dei rapporti» (12).

Gli effetti dell’adozione nei casi particolari sono molto negativi per l’adottato rispetto a quelli previsti per l’adozione legittimante. Infatti:

a) non diventa figlio legittimo dei coniugi adottanti e non stabilisce alcun rapporto di parentela con i componenti della famiglia adottiva;

b) l’adottato non rompe i rapporti giuridici con la sua famiglia di origine anche se gli adottanti esercitano i poteri parentali nei suoi riguardi. Pertanto permangono i doveri dell’adottato maggiorenne nei confronti di tutti i suoi congiunti d’origine, compresa, ad esempio, la prestazione degli alimenti;

c) quasi sempre l’adottato deve anteporre al proprio il cognome dell’adottante. A causa del doppio cognome è facilmente individuabile come figlio adottivo;

d) il o gli adottanti possono essere persone anche molto anziane non essendo previsti limiti massimi della differenza di età fra gli adottanti e il minore;

e) il Tribunale per i minorenni può pronunciare l’adozione anche senza l’assenso dei genitori «ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando»;

f) l’adozione nei casi particolari può essere disposta anche senza che siano sentiti i fratelli, le sorelle dell’adottando, nonché gli altri congiunti del minore;

g) l’adozione può essere revocata, benché solo per gravi motivi.

Occorre tener presente che nelle registrazioni anagrafiche il minore adottato conserva tutte le indicazioni relative ai rapporti di famiglia, che saranno integrate con quelle conseguenti a tale forma di adozione; altrettanto, in sede di certificazione, sia essa d’anagrafe che di stato civile, per cui esse, quando rilasciate nei soli casi in cui sia ammessa l’indicazione della paternità/maternità (articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 1957, n. 43), indicheranno la paternità/maternità integrata dall’indicazione di “adottata/o da”.

Inoltre, nel caso di decesso dell’adottato rimasto orfano dei genitori adottivi e privo di discendenti, hanno diritto all’eredità i congiunti della famiglia di origine, esclusi solamente, ai sensi della legge 137/2005, i genitori d’origine (e non gli altri parenti) qualora essi siano stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale.

L’articolo 44 della legge 184/1983 prevede alla lettera c) (cfr. la nota 2) l’adozione in casi particolari del minore con handicap che «si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e sia orfano di padre e madre». Detta adozione può essere disposta anche per i minori non dichiarati in stato di adottabilità.

Si osservi che gli accertamenti relativi all’handicap sono attribuiti dalla legge 104/1992 alle unità sanitarie locali esclusivamente per le situazioni di gravità che rendono «necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione». Pertanto in base all’attuale normativa sull’adozione in casi particolari, l’handicap può anche essere lieve, in quanto il comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 stabilisce quanto segue: «È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione». La definizione è del tutto generica e la legge di cui sopra non attribuisce ad alcuna organizzazione il compito di certificare la presenza dell’handicap (salvo che si tratti – vedi sopra – di menomazione in situa­zione di gravità); pertanto c’è il rischio che la norma venga utilizzata anche per adottare minori con handicap lievissimi per i quali non sussistono le condizioni per la dichiarazione dello stato di adottabilità: si tratta, dunque, di un espediente che, nell’interesse preminente dei minori, dovrebbe essere eliminato.

Inoltre è assai preoccupante che le sopra citate disposizioni della lettera c) dell’articolo 44 non contengano alcun riferimento alla o alle persone non unite al minore orfano di padre e madre da vincoli di parentela che hanno provveduto e provvedono alle sue esigenze, in quanto anche in questo caso potrebbe essere adottato da altri soggetti.

Ricordiamo infine che l’adozione in casi particolari da parte del coniuge «nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge» (lettera b dell’articolo 44) può essere disposta senza il preventivo accertamento che sia privo di assistenza morale e materiale da parte del genitore al quale si intende sottrarre il figlio biologico o adottivo.

A questo riguardo si ricorda che solo l’intervento della Corte costituzionale (13) ha evitato che un fanciullo, come aveva deciso il Tribunale per i minorenni di Venezia, venisse sottratto al proprio padre, non decaduto dalla potestà parentale, e adottato dal secondo marito della madre, nel frattempo defunta.

 

PROPOSTE IN MATERIA DI ADOZIONE

 

1. La dichiarazione di adottabilità quale pilastro portante dell’adozione legittimante

da confermare, eliminando le norme che consentono le attuali scappatoie

Nei numerosi e impegnativi confronti succedutisi negli anni 1963-67, che hanno caratterizzato le iniziative dell’Anfaa (14), la dichiarazione di adottabilità era sempre stata individuata come il presupposto assolutamente imprescindibile dell’adozione.

Il procedimento relativo alla dichiarazione di adottabilità (articoli 314/4 della legge 431/1967 e 8 della legge 184/1983) è estremamente importante in quanto ha lo scopo di accertare se i minori sono «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi» e se «la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio».

Con la dichiarazione di adottabilità e la pronun­cia dell’adozione, il minore cessa di far parte del­l’intero nucleo familiare di appartenenza (fratelli, sorelle, nonni, zii, ecc.) ed è inserito a pieno titolo nella nuova famiglia scelta dal Tribunale per i minorenni.

Dunque la dichiarazione di adottabilità è un provvedimento determinante per il presente ed il futuro del minore, del suo nucleo d’origine e di quello adottivo.

Date le notevoli e permanenti conseguenze della dichiarazione di adottabilità, il legislatore ha giustamente previsto varie disposizioni volte:

– alla segnalazione all’autorità giudiziaria minorile dei fanciulli presumibilmente dichiarabili in stato di adottabilità;

– ad accertare l’effettiva situazione dei minori ed i loro rapporti con il nucleo familiare di origine;

– a consentire non solo ai genitori del minore, ma anche agli altri congiunti che hanno avuto rapporti significativi con lo stesso di partecipare a tutte le fasi del procedimento riguardante la dichiarazione di adottabilità, nonché di opporsi alla decisione del Tribunale per i minorenni ricorrendo alle Corti d’appello e di cassazione.

In sostanza il legislatore ha previsto articolate e valide norme per evitare l’ingiustificata sottrazione dei minori ai loro nuclei d’origine (15).

Visto che, come è stato riferito in precedenza, vi sono numerose situazioni in cui le vigenti norme sull’adozione in casi particolari sono state utilizzate in modo non conforme alle esigenze dei minori, riteniamo indispensabile che questa forma di adozione debba essere pronunciata esclusivamente nei confronti dei fanciulli dichiarati adottabili, al fine di evitare che vi siano minori che continuino ad essere sottratti ai loro genitori e agli altri congiunti.

 

2. L’adozione sia consentita esclusivamente

ai coniugi con o senza figli biologici o adottivi

Al fine di assicurare ai minori dichiarati adottabili il miglior inserimento possibile, l’adozione dovrebbe essere concessa esclusivamente ai coniugi, in quanto, in base alle vigenti leggi, è la condizione imprescindibile per consentire all’adottato di assumere lo status di figlio legittimo degli adottanti. Occorrerebbe, inoltre, nell’interesse degli stessi minori, favorire l’accoglienza presso nuclei con figli biologici o adottivi.

Infatti il minore adottato da una persona singola non può acquisire lo status di figlio legittimo, né può allacciare rapporti di parentela sia con gli altri eventuali figli biologici o adottivi sia con i congiunti del o degli adottanti.

Inoltre occorre tener conto che nel caso di separazione degli adottanti con adozione legittimante, gli alimenti devono essere forniti non solo al bambino, ma anche al coniuge a cui viene affidato il fanciullo, mentre se si verifica una interruzione della convivenza non è previsto alcun obbligo alimentare da parte né del convivente né dei suoi congiunti nei confronti dell’altro soggetto già coabitante, con conseguenze negative anche per il bambino soprattutto se affidato alla donna.

 

3. Opportuna la riduzione della differenza

massima di età fra i coniugi adottanti e il minore

Preso atto dell’attuale rapporto di dieci richieste di adozione per ciascun bambino italiano adottabile e del gran numero di domande di adozione internazionale che restano insoddisfatte a causa della mancanza di bambini adottabili, la differenza massima di età fra ciascun adottante e l’adottando non dovrebbe superare i 35 anni (16).

A parità di disponibilità affettive, i genitori più giovani hanno mediamente migliori capacità educative anche per la comprensione delle problematiche personali del figlio e per quelle sociali relative al suo inserimento. Il minore ha un rischio molto più limitato di diventare orfano dei due genitori prima di essere autonomo, fatto che si verifica spesso solo verso i 25-30 anni.

Inoltre, riducendo il numero dei candidati all’adozione, i Tribunali per i minorenni ed i Servizi sociali dispongono di più tempo per segnalare in modo tempestivo e documentato alle Procure per i minorenni i fanciulli in presumibile stato di adottabilità, nonché alla selezione/preparazione degli aspiranti adottanti e all’accompagnamento del nucleo familiare nel delicato periodo iniziale dell’inserimento del minore.

Occorre dunque modificare la vigente legge 184/1983 che prevede l’adozione legittimante nei casi in cui la differenza massima di età fra adottanti e adottati non supera i 45 anni, limite che può addirittura essere derogato quando uno dei coniugi lo oltrepassa di non oltre 10 anni. Inoltre, non è prevista alcuna differenza massima di età «qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore», condizione utilizzata soprattutto nelle adozioni “fai da te” e cioè nei casi in cui viene abusivamente precostituita una situazione di convivenza con un minore, anche straniero, per poi chiedere al Tribunale per i minorenni di riconoscerla sotto il profilo giuridico, come avviene anche mediante la strumentalizzazione dei soggiorni cosiddetti “solidaristici”.

È significativo, come elemento molto negativo per i minori con un handicap lievissimo che, nel caso di cui alla lettera d) del vigente articolo 44 della legge 184/1983, non vi siano limiti massimi della differenza di età fra adottante e adottando, per cui un novantenne potrebbe adottare un neonato sulla base di un semplice certificato medico che, come segnalato in precedenza, ne accerti la presenza di una minorazione del tutto insignificante.

 

4. Sostituzione dell’articolo 44 della legge 184/1983

Premesso quanto esposto in precedenza, si propone che l’attuale articolo 44 della legge 184/1983 sia sostituito dalle seguenti disposizioni:

«L’adozione legittimante può essere pronunciata, indipendentemente dai limiti di età del o degli adottanti, a favore dei minori dichiarati adottabili, da parte:

a) delle persone unite al minore da preesistente, duraturo e diretto rapporto affettivo/educativo a condizione che l’affidamento a scopo educativo sia stato disposto dal Tribunale per i minorenni o dai Servizi sociali pubblici (17);

b) del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge, esclusivamente qualora sia stato accertato con un provvedimento del Tribunale per i minorenni diventato definitivo, che il minore era privo di assistenza morale e materiale da parte dell’altro genitore e dei suoi parenti tenuti a provvedervi;

c) di coloro che hanno accolto un minore nei cui riguardi la commissione prevista dall’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ha accertato che il minore stesso è colpito da handicap in situazione di gravità».

Nei casi di cui alle precedenti lettere a) e c) si può procedere solamente qualora non sia stata reperita una famiglia disponibile all’affidamento preadottivo.

In tutte le fattispecie sopra indicate l’adozione dovrebbe poter essere disposta nei riguardi di persone, non coniugate o separate o divorziate, solamente qualora sia stata accertata l’impossibilità di adozione da parte di coniugi.

 

PROPOSTE IN MERITO ALL’AFFIDAMENTO FAMILIARE DI MINORI A SCOPO EDUCATIVO

 

Come era stato già rilevato nel volume L’affida­mento familiare di Giuseppe Andreis, Francesco San­tanera e Frida Tonizzo, edito nel 1973 dall’Am­m­inistrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali «l’affidamento intende essere una risposta ai problemi del bambino il cui nucleo familiare eccezionalmente o temporaneamente o definitivamente non è in grado di provvedere al suo allevamento, educazione, istruzione e d’altra parte la situazione non è risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia d’origine o con l’adozione a seconda dei casi».

Dunque, fin dalle prime iniziative di promozione dell’affidamento familiare a scopo educativo, iniziative intraprese dal 1967 dall’Anfaa e dall’Ulces, era evidente la necessità che l’affido fosse organizzato tenendo conto che le esigenze del minore e della sua famiglia di origine potevano essere eccezionali o conseguenti a un evento imprevisto (ad esempio il ricovero ospedaliero del genitore non coniugato o vedovo o separato senza alcun sostegno parentale o amicale) o ad una situazione temporanea (com’è il caso di difficoltà risolvibili mediante aiuti psico-sociali al nucleo familiare di origine) o a fatti tali da non consentire né il ritorno del minore a casa sua né la dichiarazione di adottabilità (com’è il caso, ad esempio, di un genitore solo con un grave handicap invalidante, ricoverato in una struttura residenziale, che ha avuto ed ha significativi rapporti affettivi con il figlio).

Per quanto riguarda i minori nei cui confronti è stata avanzata la richiesta di apertura del provvedimento di adottabilità, si ritiene, inoltre, prioritaria la scelta degli affidatari fra coniugi aventi i requisiti previsti per l’adozione legittimante al fine di consentire la permanenza del minore nello stesso nucleo qualora, come non di rado avviene, sia successivamente dichiarato in stato di adottabilità.

Inoltre si conferma la validità della norma vigente (articolo 2 della legge 184/1983) in base alla quale devono essere favoriti gli affidamenti a scopo educativo alle famiglie «con figli minori».

 

Proposte di modifica della legge 184/1983

A. Premesso quanto sopra esposto si propone la soppressione della parola «temporaneamente» dal primo comma dell’articolo 2 della legge 184/1983 (18), nonché l’inserimento nello stesso comma della seguente integrazione: «Gli affidatari devono essere prioritariamente scelti fra i coniugi in possesso dei requisiti previsti per l’adozione legittimante».

B. In materia di affidamento familiare di minori a scopo educativo, occorrerebbe che venisse previsto che il servizio sociale, al quale è attualmente «attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informato il giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni» (articolo 4 della legge 184/1983), fosse anche tenuto a «fornire al giudice tutelare, al Tribunale per i minorenni e ai nuclei di origine e affidatario copia del piano di intervento previsto per il sostegno del minore, del suo nucleo d’origine e di quello affidatario e i risultati raggiunti», in modo da consentire al Tribunale per i minorenni e ai nuclei d’origine e affidatario di poter verificare se e quali interventi sono stati disposti ed effettuati.

C. Come è stato segnalato in precedenza gli affidamenti familiari possono avere una durata anche prolungata, a volte imprecisabile nel progetto predisposto al momento dell’avvio. Pertanto dovrebbero essere soppresse dall’articolo 4 della legge 184/1983 le parole in base alle quali l’affidamento «non può superare la durata di ventiquattro mesi», mentre dovrebbe essere previsto che può terminare anche «con il raggiungimento della maggiore età dell’affidato, ferma restando la possibilità del servizio sociale locale di garantire la prosecuzione delle prestazioni sociali nell’interesse preminente dell’affidato stesso qualora questi non abbia acquisito una sufficiente autonomia economica e sociale» (19).

D. Occorrerebbe stabilire l’obbligo dei Comuni di prevedere «progetti individualizzati al fine di intraprendere percorsi di autonomia per quei giovani in affidamento familiare che hanno raggiunto la maggiore età (…) e che non possono rientrare presso la loro famiglia» (20) al fine di mettere in atto quanto necessario per il loro autonomo inserimento so­ciale.

E. Preso – purtroppo – atto che vi sono Comuni che non provvedono al rimborso delle spese vive sostenute dagli affidatari o che ne stabiliscono l’importo sulla base delle risorse economiche degli affidatari, occorrerebbe che fra le norme della legge 184/1983 venisse inserita la seguente disposizione: «Il servizio sociale locale corrisponde agli affidatari un rimborso forfetario delle spese vive da essi sostenute, il cui importo è definito in relazione alle condizioni del minore».

F. Infine si ravvisa l’opportunità di evitare in tutta la misura del possibile la rottura dei rapporti instaurati dal minore dichiarato adottabile con il nucleo familiare che l’ha accolto, per cui occorrerebbe che la legge 184/1983 comprendesse un nuovo articolo che potrebbe essere così redatto: «Qualora il minore affidato sia dichiarato adottabile deve essere prioritariamente considerata dal tribunale per i minorenni la disponibilità all’adozione degli affidatari; in caso di impossibilità da parte loro va assicurato il passaggio graduale all’altra famiglia, nonché l’eventuale mantenimento dei rapporti del minore con gli affidatari».

 

 

(1) Cfr. La Stampa del 28 luglio 2008.

(2) A causa del disinteresse delle istituzioni (Regioni, Comuni e Tribunali per i minorenni) ci sono difficoltà a reperire coppie adottive (e spesso anche affidatarie) per i minori grandicelli con gravi malattie e/o handicap. Cfr. l’articolo “Sono 191 i minori dichiarati adottabili e dimenticati dalle istituzioni”, Prospettive assistenziali, n. 162, 2008.

(3) L’articolo 44 della legge 184/1983 sancisce quanto segue:

«1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7 [e cioè anche nei casi in cui non sia stata pronunciata la dichiarazione di adottabilità, n.d.r.]:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;

c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

«2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.

«3. Nei casi di cui alle lettere a), c) e d) del comma 1, l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

«4. Nei casi di cui alla lettera a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare».

(4) In base alle vigenti norme, la parentela si acquisisce soltanto a seguito del matrimonio. Ne deriva, ad esempio, che sotto il profilo giuridico i minori nati dalle stesse persone conviventi non sono fratelli fra di loro e non hanno nonni, zii e cugini.

(5) La proposta dell’On. Mussolini è stata duramente criticata da Monsignor Elio Sgreccia, Presidente emerito della pontificia Accademia della vita, secondo cui «la adozioni a single e coppie di fatto violano il diritto naturale e sono il cavallo di Troia per consentire ai gay di adottare bambini» (La Stampa del 28 luglio 2008), nonché dell’On. Carlo Giovanardi, Sottosegretario alla famiglia, che ha precisato quanto segue: «l’anno scorso sono stati adottati (cioè sono entrati fisicamente in Italia con i nuovi papà e mamma) 3.428 bambini», aggiungendo che le richieste inevase sono oltre 10mila e che «i Paesi stranieri diventano sempre più attenti a concedere in adozione i loro bambini». Da segnalare anche il comunicato stampa dell’Anfaa del 31 luglio 2008.

(6) L’On. Mussolini sostiene altresì la necessità, pienamente condivisibile, di dichiarare «guerra agli istituti lager» e si è impegnata a denunciare «che cosa accade in alcuni degli istituti che ospitano bambini abbandonati o orfani» tenuto conto che «alcune volte sono dei veri e propri lager dove i bambini subiscono anche violenze fisiche e psichiche». Se la Presidente della Commissione parlamentare bicamerale per l’infanzia conosce queste situazioni, che cosa aspetta a presentare i relativi esposti penali alla magistratura? Afferma inoltre che sono ancora attivi 53 istituti di ricovero di minori. Poiché in base alla legge 149/2001 tutti gli istituti dovevano essere chiusi o riconvertiti entro e non oltre il 31 dicembre 2006, anche in questo caso perché non segnala questi casi all’autorità giudiziaria?

(7) Identica proposta era stata presentata dall’On. Stefania Prestigiacomo il 6 aprile 2005 con il n. 3373 come Ministro per le pari opportunità e il 25 maggio 2006 con il n. 911.

(8) Cfr. l’editoriale “Un disegno di legge del Governo contrario alle esigenze dei minori stranieri senza famiglia”, Prospettive assistenziali, n. 150, 2005 e l’articolo “Gravemente inadeguate le proposte di legge presentate al Parlamento in materia di adozione e di affidamento di minori a scopo educativo”, Ibidem, n. 156, 2006. Posizioni nettamente contrarie ai contenuti della proposta di legge dell’On. Prestigiacomo erano stati espressi dall’Ordine degli assistenti sociali, dall’Associazione nazionale assistenti sociali e dal Coordinamento degli enti autorizzati per l’adozione internazionale, come segnalato dall’articolo “Prese di posizione contrarie al disegno di legge del Governo su adozione e affido internazionale”, Ibidem, 151, 2005.

(9) Le motivazioni della nostra netta opposizione all’adozione mite sono precisate nei seguenti articoli: Francesco Santanera, “L’adozione mite: come valorizzare la vera adozione”, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004; “Chiesto il ritiro delle proposte di legge n. 5724 e 5725 sulle adozioni aperte e miti e sull’affidamento familiare internazionale”, n. 152, 2005; Francesco Santanera, “L’adozione mite: un’iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura”, n. 154, 2006 e “Gravemente inadeguate le proposte di legge presentate al Parlamento in materia di adozione e di affidamento di minori a scopo educativo”, n. 156, 2006; “L’adozione mite: una inquietante iniziativa del Presidente della Corte di appello di Bari”, n. 158, 2007.

(10) Cfr. Francesco Santanera, “Preoccupante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino sull’adozione nei casi particolari”, Ibidem, n. 162, 2008.

(11) Il vigente articolo 46 della legge 184/1983 stabilisce quanto segue:

«1. Per l’adozione è necessario l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando.

«2. Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma il tribunale sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la potestà o dal coniuge, se convivente, dell’adottando. Parimenti il Tribunale può pronunciare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo». Da notare che le norme citate non fanno alcun riferimento agli altri congiunti del minore (fratelli, sorelle, nonni, zii, ecc.).

(12) Cfr. Franco Occhiogrosso, “L’adozione mite due anni dopo”, Minorigiustizia, n. 3, 2003.

(13) Cfr. in questo numero l’articolo “La Corte costituzionale respinge l’utilizzo dell’adozione in casi particolari finalizzata alla sottrazione di un minore al proprio genitore”.

(14) A partire dalla sua costituzione (1965) l’Unione per la promozione dei diritti dei minori, ora Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, ha svolto un ruolo molto attivo per l’approvazione delle nuove norme sull’adozione.

(15) In merito alle carenze relative al nuovo procedimento concernente la dichiarazione di adottabilità, si veda in questo numero il “Notiziario dell’Anfaa”.

(16) La rilevazione statistica dell’età degli aspiranti genitori adottivi e dei minori adottabili, a nostro avviso, confermerebbe che, anche con la riduzione a 35 anni della differenza massima di età, vi è un numero di istanze largamente sufficiente a garantire l’adozione a tutti i fanciulli adottabili.

(17) La nostra proposta non prevede l’adozione in casi particolari da parte dei parenti fino al sesto grado dei minori, non dichiarati adottabili, orfani di padre e di madre.

(18) L’articolo 2 della legge 184/1983 è attualmente così re­datto:

«1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui agli ha bisogno.

«2. Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1 è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.

«3. In caso di necessità e urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3.

«4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in una comunità di tipo familiare caratterizzata da organizzazioni e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.

«5. Le Regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei mede­simi».

(19) In attesa di una adeguata legge nazionale sull’affidamento familiare, le Regioni ed i Comuni dovrebbero approvare norme per rendere obbligatorie le succitate prestazioni.

(20) Cfr. “Guida del Comune di Torino all’affidamento familiare”, Prospettive assistenziali, n. 145, 2004. Ricordiamo che il Comune di Torino ha stabilito che detti progetti devono «concludersi non oltre il compimento del venticinquesimo anno di età del giovane» ed ha previsto l’erogazione agli affidatari di un contributo di euro 5.164,57 da utilizzare per il pagamento della cauzione dell’alloggio in cui andrà ad abitare il giovane, l’acquisto dei mobili e le altre esigenze.