Libri

 

 

LUIGI LIA, ALESSANDRA LUCCHINI E MARA GARGATAGLI, Il difensore civico - Funzioni, istruttorie, interventi - Problemi e casi pratici, Giuffrè Editore, Milano, 2007, pag. 331, euro 30,00

 

Gli Autori affrontano le complesse problematiche delle competenze dei difensori civici sulla base delle loro esperienze personali maturate nell’esercizio di dette funzioni.

Come osserva Alessandro Barbetta, già difensore civico della Regione Lombardia che ricopre attualmente detto compito presso il Comune di Milano, il volume è «un contributo che esprime bene l’idea di servizio alla gente che vivono i difensori civici impegnati professionalmente, culturalmente e personalmente sul fronte della tutela extragiudiziale dei cittadini nelle autonomie locali».

In merito al ruolo della difesa civica, il Barbetta precisa che «l’istituto del difensore civico, anche nell’esperienza italiana, fa parte (…) di una cultura istituzionale che riconosce, nell’operatività quotidiana, una dignità al cittadino e alla persona prima di ogni considerazione e valutazione sull’appartenenza (religiosa, etnica, politica, sindacale, corporativa, professionale o di clan). E questa cultura, per far sì che la funzione di difensore civico sia efficace, deve essere riconosciuta e praticata da chi è investito di funzioni pubbliche, così come deve essere radicata nella consapevolezza dei cittadini. È un passaggio essenziale nella crescita della convivenza organizzata: il cittadino e la persona sono degni di considerazione prima di ogni valutazione di appartenenza o di qualsiasi connotazione di funzione».

Segnalate le tappe del percorso che ha portato alla istituzione degli uffici del difensore civico che «è ancora oggi un istituto esistente solo a livello regionale e locale presso Province, Comuni, Comunità montane e unioni di Comuni», nel volume sono precisati i compiti dei difensori civici, i requisiti per la nomina, le norme relative all’incompatibilità e all’ineleggibilità, la collocazione dell’ufficio rispetto alla struttura comunale, provinciale o regionale nonché le altre prerogative, la legittimazione  del difensore civico a costituirsi parte civile nei procedimenti penali per determinati reati consumati nei confronti di persone con handicap, i destinatari degli interventi, gli strumenti della difesa civica, le modalità di ricorso e procedimento davanti al difensore civico, la tutela dei dati personali, le modalità concernenti le istruttorie, le decisioni e le relative conseguenze.

Inoltre il volume contiene gli schemi relativi alle richieste di intervento del difensore civico. Infine sono illustrati alcuni casi pratici, ad esempio riguardanti il riconoscimento del danno per responsabilità civile della pubblica amministrazione, le contravvenzioni, i servizi scolastici (trasporti, importo della retta richiesta alle famiglie per la mensa presso una scuola materna comunale), le immissioni intollerabili di fumi, odori e rumori, nonché il diritto di accesso ad atti e documenti amministrativi.

Segnaliamo altresì il capitolo riguardante la questione dei contributi economici con particolare riferimento ai servizi per le persone con handicap grave o ultrasessantacinquenni non autosufficienti.

In appendice sono riportate le norme statali riguardanti il difensore civico, le leggi e gli statuti regionali  più significativi, nonché alcune disposizioni statutarie e regolamentari comunali e provinciali.

 

 

VIRGINIO COLMEGNA, I poveri, Editrice La Scuola, Brescia, 2007, pag. 110, euro 8,50

 

Pienamente condivisibili sono le considerazioni in merito alla condizione dei poveri esposte da Virginio Colmegna, già direttore dal 1993 al 2004 della Caritas ambrosiana, che attualmente presiede la Casa della carità di Milano.

Dopo aver premesso che «pietismo ed assistenzialismo non pagano quasi mai», anche perché «finiscono di creare, in chi domanda, una sorta di dipendenza difficile da sradicare e superare, forse più dello stesso disagio patito», Colmegna asserisce che occorre «fare un salto di logica» al fine di «arrivare a riconoscere a tal punto la dignità di persona a chi è in stato di bisogno da non concedere nulla in termini elemosinieri», il che significa «al di là dei giustificati interventi di emergenza, come la prima accoglienza, impostare percorsi di reintegrazione sociale».

Occorre, inoltre, evitare «di cedere ad un modo di essere caritatevoli che quasi utilizza gli indigenti, rischiando così di farli diventare cavie dei nostri esperimenti di bontà», anche perché «in una società massimediatica come la nostra, non è raro che il povero porti dentro di sé desideri sbagliati che è meglio non soddisfare».

Colmegna sostiene che «l’elemosina è un fatto soggettivo, dipende dalla sensibilità personale. Quindi massima libertà, non è da questo che verremo giudicati, più o meno caritatevoli o, al contrario, egoisti. Certo, pensare che gesti come questi possano servire al mendicante, al clochart o alla donna rom che chiede la carità con i bambini, ad uscire da una condizione di disagio, questo no. Dovremmo tutti interrogarci per capire che cosa provoca il fenomeno, per scoprire che a volte nasconde storie di incredibile sfruttamento».

Ne consegue che la «lotta alla povertà e lotta per lo sviluppo sono due facce della stessa medaglia».

D’altra parte «non c’è carità nemmeno senza giustizia e senza pace».

Pertanto «dobbiamo garantire condizioni minime a tutti, perché poi ciascuno abbia chances, opportunità, competenze. Nei fatti si tratta di garantire il diritto alla salute, alla casa, al lavoro».

A questo punto Virginio Colmegna asserisce che «spesso si ha una concezione rivendicativa di tali diritti, in una logica di conflitto», mentre a suo avviso i diritti «riposano in una cultura della dignità della persona e della responsabilità».

Non si comprende, quindi, quali debbano essere le iniziative da intraprendere nei casi in cui, coma capita tutti i giorni, le istituzioni violino la dignità delle persone in difficoltà.

Si pensi, al riguardo, alla pensione da fame (euro 250 al mese) erogata alle persone con handicap gravemente invalidante, prive di risorse economiche e non in grado di svolgere alcuna attività lavorativa, alla continua negazione del diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie senza limiti di durata, alla mancanza, da parte di quasi tutti i Comuni, di adeguati sostegni ai nuclei familiari in difficoltà.

Perché in questi casi non è eticamente e giuridicamente doveroso rivendicare diritti negati?

Purtroppo i gruppi cattolici, compresi quelli aventi un fortissimo potere contrattuale come le Caritas, si fermano quasi sempre all’enunciazione del diritto e non intervengono quando essi vengono violati.

È vero che, come sostiene Colmegna «la vera difesa dei diritti consiste in una promozione della responsabilità sociale», ma è altrettanto vero, a nostro avviso, che, nei casi in cui vengono negati i diritti fondamentali delle persone e dei nuclei familiari (compresi quelli indicati dallo stesso Colmegna: salute, casa e lavoro), non è accettabile la presentazione di semplici richieste verbali o scritte.

Occorre, invece, passare a rivendicazioni anche forti, purché eticamente e giuridicamente corrette come presidi e volantinaggi, nonché – occorrendo – anche ricorrendo alla magistratura penale, iniziative che – lo sottolineiamo nuovamente – non vengono quasi mai messe in atto dai gruppi cattolici.

Nel settore dell’assistenza prevalgono, infatti, le iniziative di natura consolatoria che spesso consentono alle istituzioni di continuare nell’emarginazione della fascia più debole della popolazione.

Anche sulla base delle esperienze, le prime risalgono al 1963, delle organizzazioni aderenti al Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, la rivendicazione di diritti fondamentali e la denuncia motivata pubblica e continua delle inaccettabili condizioni di vita delle persone e di nuclei familiari in gravi difficoltà, sono l’unico mezzo per ottenere dalle istituzioni la presa di coscienza delle ingiustizie praticate e dei necessari provvedimenti da assumere.

Le stesse esperienze confermano che questa è la strada da percorrere per vincere la sordità delle istituzioni e per ottenere risultati concreti a favore di tutte le persone nei cui riguardi la legge ha riconosciuto anche un solo diritto esigibile.

Ad esempio, il riconoscimento del diritto alla famiglia dei minori privi di sostegno morale e materiale da parte del loro nucleo di origine, ha consentito finora a oltre 100mila soggetti di uscire definitivamente dalla totale mancanza di risorse economiche e affettive.

Un’altra iniziativa, a nostro avviso assolutamente indispensabile, di cui purtroppo non c’è alcun cenno nel libro in oggetto, riguarda l’informazione alla popolazione dei diritti previsti dalle leggi vigenti, ad esempio quelli riguardanti le cure sanitarie senza limiti di durata dei giovani, degli adulti e degli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, il cui mancato rispetto continua a creare estese condizioni di povertà economica.

Anche in questo caso non si comprende per quali motivi le numerose pubblicazioni cattoliche (ad esempio Caritas italiana, Famiglia cristiana, Il Messaggero) non forniscano le notizie che consentirebbero alle decine di migliaia di persone in difficoltà e ai loro congiunti di superare gli ostacoli frapposti dalle istituzioni anche per quanto riguarda le conseguenze, spesso rilevantissime, di natura finanziaria sui nuclei familiari.

A questo riguardo ricordiamo che finora sono state inascoltate le richieste avanzate da Prospettive assistenziali alla Caritas (cfr. i n. 153 e 154 , 2006 e 158, 2007) di predisporre una informativa sul diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie dei malati di Alzheimer e degli anziani cronici non autosufficienti, in modo da renderne edotti le sedi periferiche (alcune centinaia) e gli attivisti (alcune migliaia).

Una corretta informazione è estremamente importante, tenuto conto che, come aveva precisato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale in un documento ufficiale dell’ottobre 2000 «nel corso del 1999, due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da malattia cronica».