LE CONDIZIONI INDISPENSABILI PER CONSENTIRE AI VOLONTARI DI POTER RISPONDERE CORRETTAMENTE ALLE ESIGENZE DELLE PERSONE INCAPACI DI AUTODIFENDERSI

FRANCESCO SANTANERA

 

 

Fra le molteplici situazioni che mi hanno colpito durante l’attività che svolgo dal 1962 nel campo del volontariato dei diritti, c’è il comportamento di individui che, privi delle indispensabili conoscenze di base, operano nel settore dei soggetti deboli come se fossero dei veri esperti, provocando più danni che vantaggi. In genere, sono spinti da circostanze personali o familiari o da improvvisi impulsi di solidarietà. La loro abnegazione può anche essere meritoria, ma i risultati sono quasi sempre negativi per le persone in difficoltà.

La causa per la quale agiscono è da essi stessi ritenuta giusta e quindi vincente perché, secondo il loro parere, il bene è sempre destinato a prevalere sul male. Non tengono in alcuna considerazione i rapporti di forza che intercorrono fra i gruppi dominanti (istituzioni, partiti, sindacati, centri di ricerca, mezzi di informazione di massa, ecc.), i soggetti incapaci di autodifendersi e le rarissime organizzazioni che li tutelano effettivamente.

È vero che una parte consistente di questi sprovveduti abbandona ogni impegno quando si scontra con la dura realtà dell’emarginazione, ma è altrettanto assodato che vi sono soggetti che, purtroppo, continuano imperterriti ad interessarsi di questioni senza alcuna preparazione e con conseguenze a volte devastanti per coloro che necessitano di interventi di sostegno.

La questione è preoccupante soprattutto quando si tratta di dirigenti di organizzazioni,  sorte con lo scopo dichiarato di tutelare le persone incapaci di autodifendersi perché colpite da handicap o da patologie invalidanti, che strumentalmente utilizzano la posizione raggiunta per perseguire i loro interessi personali.

 

Tenere i piedi per terra

Com’è ovvio, la prima e indispensabile condizione per svolgere una qualsiasi attività economica o sociale riguarda la corretta conoscenza della realtà esistente.

Questa valutazione è assai semplice se si sceglie il volontariato consolatorio, decidendo cioè di aiutare questo o quel nucleo familiare senza tener conto se le prestazioni fornite sono veramente utili per il beneficiario o se vengono utilizzate dalle istituzioni (Regioni, Comuni, Asl, ecc.) per continuare a non intervenire.

Ad esempio, mettere a disposizione del denaro per consentire ad alcune persone in difficoltà di poter acquistare gli alimenti necessari per vivere è certamente positivo per i soggetti aiutati, ma non modifica assolutamente le disastrose condizioni di vita delle decine di migliaia di individui che hanno l’identica mancanza di mezzi economici.

Se è certamente lodevole il comportamento dei benefattori che direttamente o indirettamente versano denaro agli inabili totali privi di adeguate risorse economiche, le stesse persone dovrebbero chiedersi se la loro generosità non venga usata dalle istituzioni che, invece di garantire una pensione che copra almeno il minimo vitale dei soggetti impossibilitati a procurarsi il necessario per la loro esistenza a causa delle menomazioni da cui sono colpiti, fingono di ignorare che con 246,73 euro mensili (questo è l’importo che lo Stato versa agli inabili totali) (1) nessuno è in grado di alimentarsi, vestirsi, pagare l’affitto o le bollette e provvedere alle altre esigenze esistenziali (2).

Viene quindi spontaneo chiedersi in base a quali reali motivi detti benefattori e le organizzazioni di appartenenza, spesso strutture molto potenti che li riuniscono, contemporaneamente alle erogazioni dei sussidi, non denuncino queste (e altre) evidenti ingiustizie sociali, né predispongono informative (volantini, opuscoli, ecc.) in merito ai diritti sanciti dalle leggi in vigore ma non rispettati dalle istituzioni, com’è il caso, ad esempio della negazione del diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer (3).

Non servono accuse generiche o sporadiche: per essere efficaci le denunce non solo devono essere circostanziate, ma occorre anche individuare in modo preciso le responsabilità istituzionali; devono essere continuamente ripresentate sia alle autorità che ai mezzi di informazione per creare una pressione dell’opinione pubblica che induca i livelli politici e/o amministrativi ad assumere concrete iniziative. Inoltre, le contestazioni devono sempre essere accompagnate da realistiche proposte alternative concernenti sia le cause che gli effetti.

Di queste attività ci sono scarsissimi esempi nelle numerose pubblicazioni degli enti caritativi, impegnati soprattutto nella raccolta di denaro, anche se abbondano le affermazioni generiche sulle esigenze dei soggetti deboli, che spesso hanno il solo scopo di nascondere la mancata assunzione di iniziative concrete volte a far conoscere alla popolazione la realtà dell’emarginazione e le sue origini.

Questo modo di operare evita l’assunzione di comportamenti non graditi alle istituzioni le quali, in cambio,  continuano a finanziare i gruppi che non disturbano il manovratore e che spesso supportano questo o quell’amministratore anche sotto il profilo elettorale.

 

Scegliere attività efficaci non solo a livello individuale

Coloro che intendono impegnarsi in attività di volontariato veramente efficaci e non vogliono essere usati come “utili idioti” (4), non devono mai, in nessun caso, assumere acriticamente come valide le proposte delle istituzioni. Devono invece partire sempre dalle esigenze delle persone incapaci di autodifendersi e considerarle come se riguardassero loro stessi e non altri.

Se operano a rimorchio delle istituzioni ben difficilmente sono in grado, soprattutto se non hanno individuato alcun obiettivo specifico per la loro attività, di compiere scelte autonome. Si spiega così, ad esempio, l’esiguo numero delle organizzazioni che hanno compreso, nel corso della discussione parlamentare, che la legge 328/2000 di riforma dell’assistenza non conteneva alcun diritto esigibile a favore dei più deboli.

Prima di scegliere il settore operativo occorre valutare con estrema attenzione le difficoltà esistenti e il peso delle forze istituzionali e sociali in campo al fine di poter individuare gli obiettivi perseguibili con risultati positivi.

L’esperienza insegna che è consigliabile agire con prudenza e scegliere mete raggiungibili, anche allo scopo di evitare frustrazioni e, di conseguenza, le defezioni dei collaboratori più fragili.

Vi sono attività che, se perseguite con correttezza, determinano vantaggi anche rilevanti alle persone incapaci di autodifendersi e allo stesso tempo sono semplici da intraprendere e poco costose.

Vanno però selezionate, per quanto possibile, fra quelle che – fatto di estrema importanza – sono in grado di mettere in difficoltà le istituzioni (e i relativi addetti) che non rispettano le esigenze fondamentali di vita dei soggetti deboli.

Ad esempio, nel settore della difesa del diritto alle cure sanitarie degli adulti e degli anziani cronici non autosufficienti, uno dei campi dell’operatività del Csa e della Fondazione promozione sociale, sono sicuramente positivi i risultati volti ad impedire le dimissioni selvagge delle persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza da ospedali e case di cura private convenzionate (5).

Quando le Asl (Aziende sanitarie locali), e le Aso (Aziende sanitarie ospedaliere), ricevono le lettere di opposizione alle dimissioni dei soggetti colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza sono sempre costrette, senza eccezione alcuna, ad assicurare la prosecuzione delle cure sanitarie nella propria sede oppure a provvedere al trasferimento a loro cura e spese del paziente in un’altra struttura sanitaria o socio-sanitaria (Rsa - residenza sanitaria assistenziale, casa protetta, ecc.).

Per lo svolgimento di detta attività l’impegno del gruppo di volontariato è circoscritto alla consulenza per la corretta compilazione del modulo standard di opposizione alle dimissioni e per le eventuali successive informazioni richieste dai malati o dai loro congiunti.

Per quanto riguarda le spese relative all’affitto dei locali esse sono molto limitate, soprattutto se si usa come punto di riferimento la propria abitazione o spazi messi a disposizione da organizzazioni non profit.

Tuttavia dette iniziative assumono una particolare efficacia se sostenute a livello culturale e informativo per quanto concerne le esigenze delle persone malate croniche non autosufficienti ed il loro diritto prioritario alle cure domiciliari.

Altre attività, estremamente semplici, poco costose e molto valide, possono essere individuate per intraprendere interventi rivolti alle famiglie in condizioni di disagio, alla difesa delle persone con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia o con problematiche di natura psichiatrica, al miglioramento delle condizioni di vita – spesso pessime – dei soggetti ricoverati presso le Rsa o altre strutture residenziali (6). Ad esempio, potrebbero essere assunte iniziative per la creazione nelle zone sprovviste di centri diurni per gli individui con handicap intellettivo e limitata autonomia, per l’istituzione di comunità alloggio per i suddetti soggetti anche in relazione al “Dopo di noi”, all’avvio di strutture semi residenziali per malati di Alzheimer alternative al ricovero, all’opposizione alle richieste di contributi economici ai parenti degli assistiti avanzate illegalmente dagli enti pubblici.

Fra le attività semplici e utili segnalo altresì l’opposizione alle dimissioni dai reparti ospedalieri preposti ai trattamenti sanitari obbligatori e dalle case di cura private convenzionate dei soggetti con rilevanti problemi psichiatrici, nei casi in cui i congiunti coabitanti non siano in grado di fornire le necessarie prestazioni domiciliari.

Questa iniziativa, assunta recentemente dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti della Fondazione promozione sociale, è limitata alle situazioni in cui i malati hanno comportamenti violenti nei confronti dei loro congiunti, al punto da rendere insostenibile la convivenza.

Queste opposizioni sono sempre accolte: le Asl inseriscono il paziente presso strutture residenziali, in particolare comunità alloggio terapeutiche, anche se, a causa delle perduranti scelte operative emarginanti di Regioni e di Asl, nonché della debolezza delle organizzazioni di base del settore, sono ancora numerosi i ricoveri nelle case di cura private psichiatriche o addirittura presso istituti socio-assistenziali.

Per quanto riguarda il tempo minimo necessario per gestire uno sportello informativo possono bastare anche solo 4-6 ore settimanali.

 

Il ruolo fondamentale dell’informazione

Com’è ovvio, occorre fornire alla popolazione notizie corrette, anche se le difficoltà sono considerevoli in quanto molto spesso non solo le istituzioni, ma anche i mezzi di informazione sociale, forniscono notizie false o fuorvianti (7).

 

Azioni di natura promozionale

Com’è ovvio le attività informative sono molto più efficaci se integrate da iniziative riguardanti la promozione dei diritti dei soggetti deboli.

La scelta di svolgere attività dirette alla promozione e attuazione di diritti riguardanti le esigenze fondamentali di vita delle persone incapaci di autodifendersi (minori privi del necessario sostegno familiare, soggetti con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia, anziani malati cronici non autosufficienti, individui con rilevanti problemi psichiatrici, dementi senili, ecc.) esige, a mio avviso, che l’organizzazione che intende impegnarsi in detto settore sia in grado di operare in piena autonomia rispetto alle istituzioni, compresi gli aspetti economici (8).

 

Proposte costruttive

L’esperienza dimostra che quasi sempre sono destinate al fallimento le azioni intraprese contro gli operatori, salvo – evidentemente – quando esiste una loro diretta e personale responsabilità. Non bisogna mai dimenticare che il personale dei settori pubblico e privato è tenuto ad eseguire le funzioni loro assegnate dall’ente che li ha assunti

L’efficacia sociale delle opposizioni alle dimissioni selvagge degli anziani cronici non autosufficienti è determinata dalla primaria rivendicazione del diritto alle cure sanitarie delle persone colpite da patologie inguaribili, ma pur sempre curabili e non contro singoli medici che ne dispongono le dimissioni (9). D’altra parte sono sempre più numerosi gli addetti ai servizi sanitari e socio-assistenziali che riconoscono la validità delle azioni volte all’effettivo riconoscimento del diritto dei malati non autosufficienti alle cure sanitarie e socio-sanitarie.

Siccome le persone interessate a garantire la prosecuzione delle cure, una volta risolte le que­stioni relative al loro congiunto, molto spesso si disinteressano del presente e del futuro degli altri (e di loro stessi e questo aspetto è estremamente grave in quanto espressione di una concezione miope ed egocentrica delle problematiche sociali), vi è altresì l’imprescindibile esigenza di azioni concrete volte ad ottenere provvedimenti di carattere generale.

Ad esempio le iniziative rivolte ad impedire le dimissioni di persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza hanno determinato, fatto estremamente positivo, l’assunzione da parte di alcune Asl del Piemonte della gestione diretta di Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) (10).

In questo modo non solo si è consolidata in misura notevole la posizione volta al riconoscimento del diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie dei suddetti soggetti, ma si sono realizzati, a seguito della maggiore presenza e attenzione del personale medico e infermieristico, notevoli benefici terapeutici dei degenti.

Ad esempio nelle Rsa gestite dalle Asl è considerevole il minor numero di pazienti trasferiti ai pronto soccorso, rispetto agli ospiti delle residenze private. In questo modo vengono anche evitati i traumi derivanti dal cambiamento della struttura di ricovero e del relativo personale.

 

Alleanze e opposizioni

L’assunzione di obiettivi concreti è anche la condizione sine qua non per ottenere l’adesione e il sostegno di altre organizzazioni e di singoli sog­-getti.

Allo scopo è indispensabile predisporre una documentazione dettagliata sulle carenze presenti e sulle finalità che si intendono conseguire, nonché sui mezzi da utilizzare (raccolta di firme, convegni, presidi, volantinaggi, ecc.).

Come ho già rilevato, ritengo sia un errore grave che potrebbe provocare danni alle iniziative di cambiamento, individuare come controparte il personale degli enti tenuti ad intervenire.

È invece necessario intervenire per ottenere l’appoggio degli operatori (o almeno di una parte di essi) e soprattutto delle organizzazioni (sindacati, ordini professionali, ecc.) che li rappresentano.

Ovviamente, sono molto positivi i confronti con il personale addetto ai servizi in quanto da essi si possono ricevere preziose informazioni sulle attività svolte e sulle eventuali relative carenze.

Inoltre, detti confronti sono utili per verificare la praticabilità delle proposte avanzate e per concordare eventuali azioni comuni.

 

Compattezza del gruppo di volontariato

Assolutamente indispensabile è la compattezza del gruppo che opera per l’effettivo riconoscimento delle esigenze e dei diritti delle persone non in grado di autotutelarsi.

È di gran lunga preferibile un gruppo coeso, composto anche da sole 3-5 persone, rispetto ad una associazione composta da centinaia di aderenti, ma con contrastanti obiettivi e metodi di intervento.

Ovviamente la compattezza del gruppo si realizza solo se tutti gli aderenti concordano sugli obiettivi a lungo, medio e breve termine, sulle scelte operative, sugli strumenti da utilizzare e, aspetto di particolare importanza, sulle alleanze da promuovere.

Di fondamentale rilievo è la trasparenza interna nei confronti di tutti i partecipanti e nei riguardi dell’esterno: istituzioni, altri movimenti aventi analoghi scopi, mezzi di informazione, persone singole.

Per il raggiungimento degli obiettivi individuati molto spesso non sono sufficienti le iniziative del gruppo che li promuove, ma è necessario l’intervento di altre persone e organizzazioni.

per ottenere risultati occorre passare da una posizione di minoranza (è ben difficile che vi siano diritti negati quando le istanze sono condivise dalla istituzioni) ad una situazione in cui le richieste presentate dai movimenti di base raccolgano i consensi della maggioranza degli amministratori del o degli enti a cui sono state indirizzate. Questo processo, come l’esperienza insegna, non si realizza agendo sugli amministratori, ma soprattutto operando per informare, sensibilizzare e raccogliere le adesioni di organizzazioni e di persone: la principale preoccupazione dei politici è la perdita dell’appoggio dei loro elettori.

 

Riconoscere concretamente la dignità dei soggetti deboli

Il riconoscimento effettivo della pari dignità di tutte le persone, comprese quelle incapaci di autodifendersi, è la base irrinunciabile del volontariato dei diritti e non si esaurisce certamente con semplici e facili affermazioni verbali o con prestazioni elemosiniere.

Se non si vuole che gli interventi siano solamente vane promesse, vi è l’evidente necessità di promuovere concretamente il diritto dei soggetti deboli al soddisfacimento delle loro fondamentali esigenze di vita.

Si pongono, dunque, anche per questi cittadini, le questioni dell’abitazione, delle cure sanitarie, del­l’istruzione, dei trasporti e degli altri interventi di natura sociale, nonché quasi sempre anche le problematiche riguardanti l’assistenza sociale.

Attualmente, a causa dell’incultura dominante, troppo spesso ai soggetti deboli vengono forniti aiuti non sulla base di diritti esigibili, ma secondo la logica della beneficenza.

Coloro che intendono operare secondo i principi del volontariato dei diritti devono tener conto delle forti differenze esistenti fra le azioni che mirano alla tutela degli interessi morali e materiali delle persone in grado di autodifendersi e le attività dirette a garantire le idonee prestazioni agli individui che, a causa di malattie o handicap gravemente invalidanti, non possono nemmeno esprimere le loro esigenze fondamentali di vita (caldo, freddo, fame, sete, ecc.).

La capacità di analizzare i propri bisogni e di individuare gli obiettivi da perseguire costituiscono la base e la forza delle organizzazioni scelte, a seconda della convenienza, da coloro che sono capaci di autotutelarsi: partiti, sindacati, associazioni di vario genere.

Evidentemente nulla di quanto sopra può essere attuato da coloro che non sono autosufficienti.

A sua volta il volontariato dei diritti opera a favore di queste persone, spesso nemmeno conosciute, senza dimenticare fra le sue finalità anche quella di assicurare condizioni di vita idonee ai propri aderenti, qualora diventassero non autosufficienti.

Tenuto conto che i congiunti delle persone incapaci di autodifendersi sono quasi sempre condizionati da necessità impellenti, ad esempio la sistemazione del loro congiunto in una struttura di ricovero, può capitare – e nei fatti succede abbastanza frequentemente – che le loro richieste siano incompatibili con quelle dell’organizzazione di volontariato. Ad esempio, anche in situazioni di indifferibile urgenza, non è ammissibile l’accettazione passiva del ricovero presso strutture del tutto inadeguate. Se non c’è alcuna altra soluzione praticabile, il consenso deve essere accompagnato da iniziative volte ad ottenere l’adeguamento delle prestazioni alle esigenze del soggetto interessato.

In conclusione i gruppi che perseguono il volontariato dei diritti devono avere forti motivazioni e la capacità di procedere con la necessaria gradualità sulla base delle forze disponibili.

 

Valutazione di risultati raggiunti

Di fondamentale importanza è la valutazione dei risultati raggiunti, effettuata – se possibile – anche con l’intervento di persone esterne all’organizza­zione.

Poiché si agisce nei confronti di soggetti incapaci di autodifendersi, occorre fare molta attenzione per evitare, anche se in perfetta buona fede, di arrecare loro danni e disagi. Inoltre è necessario non dimenticare mai che la finalità essenziale del volontariato dei diritti è rivolta all’ottenimento, a seconda delle istituzioni, di leggi nazionali o regionali, nonché di delibere di Comuni singoli o associati, di Asl e di Province, in cui siano riconosciuti diritti esigibili a favore dei soggetti deboli (11).

Ottenuti i provvedimenti occorre poi agire per la loro corretta attuazione in quanto, come si è visto, i soggetti interessati non sono in grado di provve­-dere.

 

Alcuni risultati del volontariato dei diritti

Nonostante i numerosi ostacoli spesso frapposti dalle istituzioni, importanti sono i risultati ottenuti dal volontariato dei diritti.

Ad esempio, a seguito della legge 431/1967 che è stata promossa dall’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), sono stati adottati oltre 100mila minori e i fanciulli ricoverati in istituto sono diminuiti da 310mila del 1960 agli attuali 20mila.

Alla stessa Anfaa e all’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale), si deve l’istituzione da parte della Provincia di Torino (delibera del 17 maggio 1971) del primo servizio di affidamento familiare di minori a scopo educativo, iniziativa che si è in seguito sviluppata praticamente in tutte le Regioni.

Di particolare rilievo le iniziative volte al riconoscimento del diritto senza limiti di durata alle cure sanitarie e socio-sanitarie delle persone in particolare anziane, colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, ivi compresi i soggetti affetti dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile.

Gli altri risultati (vedi l’inserimento prescolastico, scolastico, formativo e lavorativo di soggetti con handicap intellettivo; i centri diurni socio-assistenziali e le comunità alloggio per le suddette persone in alternativa agli istituti di ricovero; gli aiuti ai nuclei familiari in condizioni di disagio socio-economico; il sostegno alle gestanti e madri in difficoltà anche in relazione alla complessa questione del riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati) sono elencati nel libro Il volontariato dei diritti - Quarant’anni di esperienze nei settori della sanità e dell’assistenza, di Giuseppe D’Angelo, Anna Maria Gallo e Fran­cesco Santanera, edito dall’Utet Libreria.

 

 

 

(1) Su richiesta dell’interessato può essere erogata una integrazione mensile di euro 10,33.

(2) Su iniziativa del Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base), il Consiglio comunale di Torino ha approvato in data 21 giugno 1978 una delibera sui criteri generali di erogazione dell’assistenza  economica e sui relativi importi volti ad assicurare il minimo vitale agli inabili totali, nonché sussidi ad altre persone e nuclei familiari in gravi difficoltà. La delibera è riportata sul n. 44, 1978 di Prospettive assistenziali.

(3) Cfr. la nota n. 7. Una iniziativa informativa molto positiva è stata assunta in Piemonte con la pubblicazione dell’opuscolo “Tutti hanno diritto alle cure sanitarie compresi anziani malati cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer, malati psichiatrici, handicappati con gravi patologie”, da parte delle seguenti organizzazioni: Alzheimer Piemonte, Auser, Avo (Associazione volontari ospedalieri), Cpd (Consulta per le persone in difficoltà), Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra le famiglie di base), Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti della Fondazione promozione sociale, Diapsi (Difesa ammalati psichici), Gvv (Gruppo volontariato vincenziano), Sea Italia (Servizio emergenza anziani), Società di S. Vincenzo de’ Paoli, Utim (Unione tutela insufficienti mentali).

(4) Si vedano le autocritiche di Vinicio Albanesi, responsabile della Comunità di Capodarco, una delle organizzazioni sociali più affermate nel nostro Paese, e di Giacomo Panizza, Coordinatore della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, contenute nell’articolo “Per non essere ‘utili idioti’”, pubblicato su Il Regno attualità, n. 12, 2007 e su Alogon, n. 74, 2007. Un commento è apparso su Prospettive assistenziali, n. 162, 2008 nell’articolo “Istruttivi ripensamenti sul ruolo del volontariato e le funzioni della cooperazione”.

(5) Il Csa e la Fondazione promozione sociale considerano selvagge le dimissioni disposte da ospedali e case di cura private convenzionate nei riguardi delle persone affette da malattie acute o croniche e da non autosufficienza, senza che sia garantita l’indispensabile prosecuzione delle prestazioni a domicilio o presso strutture residenziali. Va tenuto conto che ai congiunti, compresi quelli conviventi con il malato, non può essere imposta l’esecuzione di interventi attribuiti dalle leggi vigenti ai settori della sanità e dell’assistenza. Per promuovere le cure domiciliari è indispensabile che le Asl ed i Comuni riconoscano il volontariato intrafamiliare, fornendo a coloro che accudiscono i malati i necessari sostegni ed agli infermi le dovute prestazioni. Si osservi che accettare le dimissioni imposte da ospedali e case di cura private convenzionate significa, sotto il profilo giuridico, assumere volontariamente a proprio carico tutte le responsabilità civili, penali ed economiche relative alle esigenze del malato non autosufficiente. Se colui che ha accettato le dimissioni provvede al ricovero presso una struttura è obbligato a corrispondere l’intera retta (quota sanitaria e retta alberghiera) fino a quando (a volte anche dopo 2-3 anni) non interviene l’Asl. Per il suddetto periodo l’esborso può arrivare a 80-120 mila euro. Il volontariato intrafamiliare dovrebbe essere riconosciuto anche in merito alle prestazioni socio-assistenziali, ad esempio quelle concernenti i soggetti con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia. Al riguardo si veda l’articolo di Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Prospettive assistenziali, n. 144, 2003.

(6) Si vedano i seguenti articoli pubblicati su Prospettive assistenziali: “Comunicato stampa dei Nas sui controlli eseguiti in campo nazionale alle strutture ricettive per anziani”, n. 136, 2001; “Secondo comunicato stampa sulle strutture per anziani: gravi infrazioni penali e amministrative”, n. 139, 2002; E. Brugnone, “Fatti illeciti in strutture ricettive per anziani e abbandono di ricoverati non autosufficienti: considerazioni sui due ultimi comunicati stampa dei Nas”, n. 140, 2002; “Controlli effettuati dai Nas sulle strutture residenziali per anziani: altre allarmanti infrazioni penali e amministrative, n. 143, 2003; “Quarta indagine dei Nas sulle strutture ricettive per anziani: accertate altre gravi irregolarità”, n. 145, 2004; “Scoperto dai Nas un altro istituto lager”, n. 151, 2005; “Scoperte altre strutture socio-sanitarie lager”, n. 152, 2005; “Firenze: inammissibili carenze riscontrate nelle Rsa” e “Roma: chiuso dai carabinieri un altro ospizio abusivo”, n. 153, 2006; “Scoperto un altro istituto ghetto per anziani”, n. 157, 2007; E. Brugnone, “Abbandono e maltrattamenti in strutture di ricovero per anziani: quale legge penale?”, n. 159, 2007; “Altri gravi maltrattamenti inflitti a ricoverati incapaci di autodifendersi”, n. 160, 2007. Per quanto concerne i minori si veda su Prospettive assistenziali l’articolo “Agghiaccianti violenze subite dai minori assistiti presso due comunità di Torino”, n. 149, 2003 e  “Ancora violenze sugli assistiti anche per la mancanza di misure adeguate preventive”, n. 159, 2007.

(7) Partendo dal 1° gennaio 2000, su Prospettive assistenziali, che pur non svolge alcuna attività sistematica volta a ricercare le notizie omesse, fuorvianti o false per quanto riguarda le esigenze fondamentali di vita ed i diritti della fascia più debole della popolazione, è imponente il numero degli articoli pubblicati in materia. Sono i seguenti: “I Sindacati dei pensionati si agitano, ma non vogliono capire che gli anziani cronici non autosufficienti sono persone malate” e “Indagini fuorvianti sugli anziani cronici non autosufficienti”, n. 129, 2000; “I diritti negati: l’inquietante manuale della Federazione Alzheimer Italia”, “Perché la Comunità di Capodarco continua a diffondere notizie false?”, “Il Tribunale per i diritti del malato dimentica nuovamente le esigenze degli anziani cronici non autosufficienti” e “La Federazione dei pensionati Cisl continua a ignorare le esigenze e i diritti degli anziani cronici non autosufficienti”, n. 130, 2000; “Abbondano le notizie false sul testo di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali”, n. 131, 2000; “Il professore della grande riforma sociale non sa” e “Riforma dell’assistenza: un altro esperto vede diritti che non ci sono”, n. 132, 2000; “Regioni, Asl e Comuni violano da anni i diritti degli anziani malati cronici, ma il Segretario generale della Uil pensionati attacca il Csa”, n. 133, 2001; “Il Governo Amato ha diffuso notizie fuorvianti sulla legge 328/2000 ed ha predisposto un Piano sociale mistificatorio”, “Perché i parenti dei malati di Alzheimer non sono informati dall’Università cattolica del Sacro Cuore sui diritti dei loro congiunti?”, n. 134, 2001; “La Presidente nazionale dell’Anffas ed i diritti inesistenti” e “Assente l’informazione sul diritto dei malati di Alzheimer alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata”, n. 135, 2001; “Perché l’Adiconsum non affronta la questione del diritto alla salute degli anziani cronici non autosufficienti?”, “L’Auser non rivendica il diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti”, n. 136, 2001: “Perché Italia Caritas non sostiene il diritto degli anziani malati non autosufficienti alle cure sanitarie?” n. 137, 2002; “Alzheimer: perché non sono segnalate le omissioni del Servizio sanitario nazionale?”, n. 139, 2002; “Perché si continua a sostenere che la legge 328/2000 prevede diritti esigibili?” e “Perché l’esperta di Animazione sociale fornisce notizie inesatte sulla legge 328/2000?”, n. 140, 2002; “Per quali motivi le Acli non difendono l’attuale diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti?”, “Secondo l’esperto Ds in welfare il rischio della non autosufficienza vent’anni fa non esisteva” e “Guida alla malattia di Parkinson”, n. 141, 2003; “Perché si tace sul diritto alle cure sanitarie dei malati di Alzheimer?” e “ Il Sindacato Pensionati Cgil continua ad ignorare i gravissimi problemi degli anziani cronici non autosufficienti”, n. 142, 2003; “È vero, come sostiene l’Università cattolica del Sacro Cuore, che la Regione Lombardia aiuta le famiglie con anziani malati cronici?”, n. 143, 2003; “Per quali motivi si ignorano gli obblighi del Servizio sanitario nazionale nei riguardi degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer?”, “ Germania: le false informazioni sugli anziani creano odio sociale” e “Gravi omissioni e notizie fuorvianti in un documento della Camera dei Deputati sulle persone non autosufficienti”, n. 144, 2003; “Le assurde posizioni sui contributi economici assunte dal Ministro della salute, dai Difensori civici di Ferrara e di Verona, nonché dalla rivista Forum” e “Le Associazioni Alzheimer assegnano ai congiunti dei malati oneri inesistenti”, n. 145, 2004; “L’Associazione Vidas continua a fornire notizie fuorvianti”, n. 146, 2004; “Chiesto il ritiro della guida della Comunità di Sant’Egidio ‘Come rimanere a casa da anziano’” e “Solo parziale la memoria della Federazione dei pensionati Cisl”, n. 147, 2004; “Agiscono correttamente gli operatori che non segnalano agli utenti i diritti?” e “L’On. Pier Ferdinando Casini non risponde in merito alle notizie fuorvianti del Servizio studi della Camera dei Deputati sugli anziani cronici non autosufficienti”, n. 148, 2004; “Le riviste specializzate e gli operatori socio-sanitari  non dovrebbero fornire corrette informazioni in merito ai doveri/diritti dei cittadini?”, n. 149, 2005; “Perché il Forum permanente del terzo settore ignora le esigenze delle persone anziane e dei soggetti con handicap?”, n. 150, 2005; “Perché la Caritas non provvede a diffondere notizie sul diritto dei malati cronici alle cure sanitarie e socio-sanitarie?” e “Diritto alle cure sanitarie: la Uil fornisce informazioni errate” n. 151, 2005; “Una irragionevole e controproducente proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil sulla non autosufficienza” e “ Perché la Caritas continua a non diffondere notizie sul diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie e socio-sanitarie?”, n. 152, 2005; “Inquietante comportamento della Caritas italiana sul diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti”, “Per quali motivi l’istituto di ricovero per minori viene ora chiamato casa famiglia?”, “Gli ingannevoli presupposti della proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil sulla non autosufficienza”, e “Cittadinanzattiva nega i vigenti diritti degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie residenziali e inventa obblighi economici a carico dei loro congiunti”, n. 153, 2006; F. Santanera “L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura”, “Gli espedienti del Comune di Verona per aggirare le leggi vigenti in materia di contribuzioni economiche” e “ I trucchi messi in atto da enti pubblici per non curare le persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, nonché per pretendere contributi economici non dovuti”, n. 154, 2006; “Fuorvianti le valutazioni e le proposte contenute nel volume La riforma dell’assistenza ai non autosufficienti”, “Il ‘Dopo di noi’: la Fondazione Zancan e Salvatore Nocera forniscono notizie errate”, “La Fish ignora le vigenti disposizioni di legge sui contributi economici”, n. 156, 2006; “Perché la Comunità Papa Giovanni XXIII vanta iniziative non sue?”, “Le Asl e i Comuni continuano a violare le leggi e a creare povertà”, n. 157, 2007; “Per quali motivi la Caritas continua a non segnalare il diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie?”, n. 158, 2007; “Per quali motivi l’Isvap e il Censis non riconoscono la condizione di malati agli anziani non autosufficienti?”, n. 159, 2007; “Perché il Difensore civico della Regione Friuli Venezia Giulia sostiene che i parenti devono contribuire alle spese di ricovero degli anziani non autosufficienti?”, “La Conferenza Stato-Regione-Autonomie locali deve essere considerata un super Parlamento?” e “ Anche il Cnel e la Fondazione della Città della salute Nord-Ovest di Firenze ignorano le disposizioni vigenti in merito al ‘dopo di noi’ ”, n. 160, 2007.

(8) In base alle esperienze vissute (e sofferte) non si può contare su sostegni economici da parte né delle Regioni, dei Comuni, delle Province e degli altri enti pubblici, né dei Centri di servizio per il volontariato. Questi ultimi sono quasi tutti intimamente legati alle istituzioni. Ne consegue che se il gruppo di volontariato assume iniziative nei riguardi delle istituzioni per il rispetto dei diritti dei soggetti deboli, non vi sono speranze per l’approvazione e il finanziamento dei relativi progetti. Resta aperta solo la possibilità di usufruire da parte dei suddetti centri di servizio di consulenze riguardanti gli aspetti amministrativo-burocratici.

(9) Nella lettera di opposizione sono, infatti, richiamate le leggi che assicurano il diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti.

(10) Quasi sempre le Asl affidano a cooperative le funzioni riguardanti le prestazioni generali e, a volte, anche quelle infermieristiche. In ogni caso è di fondamentale importanza che le Asl assicurino direttamente – come avviene – la direzione sanitaria e amministrativa delle strutture.

(11) Utili informazioni sono contenute nel volume A scuola di diritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia socio-sanitaria, di Roberto Carapelle, Giuseppe D’Angelo e Francesco Santanera, edito dall’Utet Libreria.