Prospettive assistenziali, n. 162, aprile-giugno 2008

 

Editoriale

AGIRANNO IL NUOVO PARLAMENTO E IL GOVERNO PER MIGLIORARE LE ATTUALI INCIVILI CONDIZIONI DI VITA DELLE PERSONE PIù DEBOLI E BISOGNOSE?

 

 

 

Sottoponiamo all’attenzione dei Parlamentari e del Governo le nostre richieste riguardanti le problematiche più urgenti.

 

Pensioni e indennità da fame

Ancora una volta (sarà l’ultima?) segnaliamo al nuovo Parlamento e al Governo le disumane con­dizioni di vita delle migliaia di persone colpite da handicap gravemente invalidanti che ricevono dallo Stato la miserrima pensione mensile di euro 246,73 (1), nonostante non posseggano nessuna altra risorsa economica e, a causa della gravità delle loro menomazioni, non siano in grado di svolgere alcuna attività lavorativa.

Ne deriva che le condizioni di estrema indigenza di queste migliaia di persone sono state causate dai Parlamenti e Governi finora succedutisi, poiché non si può certo ignorare che con 246,73 euro al mese non si riesce a vivere.

Ai soggetti più gravi, che abbisognano di essere assistiti 24 ore al giorno in quanto totalmente non autosufficienti, incapaci di provvedere alle loro esigenze fondamentali di vita (vestirsi, comunicare, disporre della propria igiene personale, alimentarsi, ecc.), oltre alla pensione di cui sopra, viene erogato l’assegno di accompagnamento di ben 15 euro al dì.

Anche questo importo è una gravissima ed evidente causa di povertà e di emarginazione.

Alle migliaia di persone di cui sopra, non solo non sono assicurate le condizioni minimali di una esistenza accettabile, ma è violata giorno dopo giorno la loro dignità, essendo costrette ad elemosinare aiuti dal settore pubblico e dalla beneficenza privata per pagare l’affitto, acquistare le vivande e per le altre esigenze inderogabili.

ricordiamo per l’ennesima volta che non vi sono leggi dello Stato che garantiscano a detti soggetti il diritto esigibile alle prestazioni socio-assistenziali, nemmeno a quelle indispensabili per la sopravvivenza.

Pertanto ai Comuni è lasciata la piena e assoluta discrezionalità circa il sostegno socio-economico alle persone che non hanno i mezzi necessari per vivere.

Infatti, è solamente previsto che i Comuni, quale diritto esigibile (articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931), debbano provvedere al ricovero in istituto degli inabili al lavoro (minori, soggetti colpiti da handicap invalidanti, anziani) sprovvisti dei mezzi necessari per vivere (2).

Pur essendo sicuramente (e facilmente) esigibile, la stragrande maggioranza dei Comuni italiani ignora (o finge di ignorare) detto diritto, anche perché non ne viene richiesta l’attuazione da parte delle organizzazioni di tutela dei soggetti deboli.

 

Cancellare l’assurda discriminazione fra l’assistenza ai minori nati nel matrimonio e gli interventi rivolti ai fanciulli nati fuori di esso

Nonostante le pressanti richieste rivolte dal Csa alla Camera dei Deputati e al Senato, la legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” non ha modificato le disposizioni in base alle quali l’assistenza ai minori nati nel matrimonio compete ai Comuni e quella relativa ai fanciulli nati al di fuori di esso è attribuita alle Province.

Infatti il 5° comma dell’articolo 8 della sopra citata legge stabilisce che le Regioni possono disciplinare la normativa in materia (leggi 2838/1928 e 67/1993) trasferendo le funzioni assistenziali delle Province «ai Comuni» (e quindi eliminando l’attuale discriminazione) o ad altri «enti locali», confermando l’attuale incivile separazione.

Da notare che, mentre alcune Regioni hanno trasferito ai Comuni le funzioni assistenziali già svolte dalle Province, altre Regioni nulla hanno fatto, mantenendo quindi la discriminazione prevista dalle sopra citate leggi 2838/1928 e 67/1993.

 

Assicurare adeguati sostegni psico-sociali alle gestanti e alle madri in gravi difficoltà e ai loro nati, anche allo scopo di prevenire gli infanticidi e gli abbandoni tardivi

Per quanto concerne le gestanti e madri in gravi condizioni di disagio, occorre ancora far riferimento alla sopra menzionata legge 2838/1928, in base alla quale le attività di sostegno devono essere fornite dalle Province.

La suddetta legge stabilisce che «nelle Province, nelle quali lo consiglino le condizioni locali, l’assistenza del fanciullo deve, ove possibile, avere inizio  all’epoca della gestazione della madre».

Se si vogliono veramente prevenire gli infanticidi e gli abbandoni tardivi, è necessario che il Parlamento – tenuto anche conto delle notevoli carenze che continuano a verificarsi in quasi tutte le Regioni essendo abbastanza numerose le Province che non attuano le vigenti disposizioni – approvi una legge volta ad affidare ad alcuni degli attuali enti gestori dei servizi socio-assistenziali l’obbligo di fornire i necessari sostegni alle gestanti e madri in grave difficoltà.

Detta legge dovrebbe tener conto che le norme in vigore consentono giustamente alle gestanti, comprese quelle coniugate (sentenza della Corte costituzionale n. 171/1994), di riconoscere o non riconoscere i loro nati, e che la peggiore condizione dei bambini è quella di essere costretti a vivere con le persone che non li accettano.

La questione è assai importante in quanto riguarda ogni anno migliaia di donne e bambini riconosciuti e circa quattrocento neonati figli di ignoti.

Quale base della richiesta di iniziativa parlamentare potrebbero essere assunte la legge della Regione Piemonte n. 16/2006, la relativa delibera applicativa (3), nonché la proposta di legge “Interventi a favore delle gestanti e madri per garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati” presentata alla Camera dei Deputati nella scorsa legislatura dal Consiglio regionale del Piemonte e recante il n. 2230 (4).

La proposta attribuzione ad enti gestori delle attività socio-assistenziali (in totale le sedi potrebbero essere circa 40, in alternativa alle 100 Province) aumenterebbe – e di molto – l’efficacia degli interventi e ridurrebbe le spese a carico del settore pubblico.

Consentirebbe, inoltre, di superare le culle/ruote, iniziativa che non tiene conto del fatto che, per garantire prestazioni adeguate alle esigenze delle donne e dei bambini, la stragrande maggioranza dei parti avviene negli ospedali (che sono tenuti all’assoluto rispetto del segreto nei riguardi delle partorienti che non riconoscono i loro nati) e che le donne non possono uscire dai nosocomi e dalle case di cura private con il bambino non riconosciuto per depositarlo in dette culle/ruote (5).

 

Esigenze delle persone non autosufficienti

Può sembrare incredibile, ma nella nostra legislazione non c’è alcuna definizione della non autosufficienza, nemmeno nelle disposizioni relative al fondo per le non autosufficienze previsto dai commi 1264 e 1265 dell’articolo 1 della legge 296/2006. Ne deriva che le regioni e le Province autonome di Bolzano e Trento, alle quali sono stati assegnati 100 milioni per il 2007, 300 per il 2008 e 400 per il 2009, possono utilizzare detti fondi non solo con ampia discrezionalità, ma anche a favore di persone con limitata non autosufficienza.

A nostro avviso dovrebbero essere considerati non autosufficienti gli individui adulti non in grado di vivere autonomamente a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche.

Fra di essi vi sono:

a) coloro (e sono la stragrande maggioranza), la cui non autosufficienza è causata da malattie (in particolare da ictus, infarti, pluripatologie invalidanti, morbo di Alzheimer e altre forme di demenza senile). Poiché si tratta di malati, la cui caratteristica saliente è l’alternarsi delle fasi acute e croniche (6), la competenza assolutamente prioritaria è sicuramente della sanità. Infatti gli interventi dovrebbero, in particolare, essere volti alla cura delle patologie evitando o almeno limitandone l’aggravamento, nonché l’insorgere di altre infermità e assumendo le opportune iniziative per contrastare il dolore fisico e psichico. Una specifica attenzione dovrebbe essere rivolta ai pazienti che non sono in grado di esprimere le loro fondamentali esigenze: fame, sete, caldo, freddo, ecc.;

b) le persone colpite gravemente sul piano intellettivo, e quindi con notevoli difficoltà a segnalare i propri bisogni vitali. Se non vi sono, come spesso avviene, patologie associate, questi soggetti necessitano di essere supportati, soprattutto al termine della scuola dell’obbligo, mediante la frequenza di appositi centri diurni (strutture indispensabili per la loro permanenza in famiglia) o tramite l’accoglienza presso comunità alloggio di 8-10 posti, essendo sempre sconsigliabile il ricovero in istituti a carattere di internato. In questi casi l’esperienza ormai ultratrentennale dimostra la validità della competenza dei servizi socio-assistenziali, mentre il settore sanitario è tenuto, come per tutti i cittadini, ad intervenire a livello preventivo e nei casi di insorgenza di malattie, oltre che per le attività di accertamento;

c) i soggetti non in grado di svolgere autonomamente funzioni essenziali. Tuttavia, essendo integre le loro capacità intellettive, sono capaci di individuare le loro necessità e di informare compiutamente le persone incaricate del loro sostegno materiale: com’è noto, gli interventi necessari sono quelli riguardanti la “Vita indipendente”. Al riguardo è molto significativa l’esperienza di Gianni Pellis «tetraplegico dal 1986 con conseguenti gravi limitazioni alla possibilità di essere autosufficiente nello svolgimento delle più essenziali funzioni della vita», che descrive la sua situazione come segue: «Molte azioni della mia giornata, come l’essere alzato e coricato, le operazioni di igiene personale, l’essere imboccato per i pasti, come l’essere accompagnato per gli spostamenti sia in casa che all’esterno, solo per indicare i più importanti bisogni primari, non trovano nessun aiuto o beneficio nemmeno dalla tecnologia più sofisticata» (7). Sulla base della legge 162/1998, il Cisap, Consorzio intercomunale per i servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco, ha predisposto un apposito progetto consentendo al signor Pellis, che viveva da solo, di lavorare presso la ditta Alenia Spazio. Il progetto di autogestione è consistito nell’erogazione da parte del Cisap di una somma di denaro (all’epoca circa 65 milioni all’anno) utilizzata dal Pellis per assumere due assistenti personali con regolare contratto di lavoro.

In sostanza, per le persone non autosufficienti, le soluzioni da individuare sulla base delle loro esigenze sono estremamente diverse fra loro. Ne consegue che differenti devono essere anche la normativa ed i finanziamenti (8).

 

Livelli essenziali di assistenza sociale

Come abbiamo segnalato in precedenza, la legislazione vigente in materia di assistenza sociale prevede come diritto esigibile esclusivamente il ricovero in istituto degli inabili al lavoro.

Vi è dunque l’urgente necessità, da noi segnalata da alcuni decenni, di una legge che stabilisca l’esigibilità del diritto prioritario alle prestazioni domiciliari delle persone che, se non vengono assistite, cadono nel baratro dell’emarginazione e quindi sono totalmente a carico della società.

Poiché a seguito della legge costituzionale n. 3/2001 lo Stato non ha più alcuna competenza in materia di assistenza sociale, ad esclusione (articolo 117 della Costituzione, comma 2, lettera m) della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», occorrerebbe innanzitutto, sia per migliorare la quasi sempre drammatica situazione dei soggetti deboli, sia per ridurre le spese del settore pubblico, che il Parlamento definisca i  Liveas (Livelli essenziali di assistenza sociale) stabilendo l’assoluta priorità degli interventi domiciliari.

Pertanto, sulla base di quanto esposto in precedenza in merito alle persone non autosufficienti, potrebbero essere inserite fra i Lea (Livelli essenziali di assistenza sanitaria) ed i Liveas le seguenti attività (9):

a) le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie domiciliari e semiresidenziali erogate alle persone affette da patologie invalidanti e da non autosufficienza permanente, in alternativa alla degenza presso le Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) e strutture analoghe;

b) gli interventi socio-assistenziali domiciliari e semiresidenziali forniti ai soggetti colpiti da handicap intellettivi con permanenti gravi limitazioni della loro autonomia, in alternativa al ricovero presso comunità alloggio e istituti;

c) le iniziative relative alla “Vita indipendente”;

d) il riconoscimento del volontariato intrafamiliare;

e) gli interventi residenziali per i soggetti nei cui confronti non sono praticabili o non più attuabili le attività di cui alle precedenti lettere a), b) e c).

Le prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali domiciliari e semiresidenziali di cui sopra dovrebbero essere garantite come diritti esigibili nei casi in cui siano contemporaneamente soddisfatte le seguenti condizioni:

1. non vi siano controindicazioni cliniche o di altra natura;

2. la persona interessata o chi la rappresenta sia consenziente e gli possano essere fornite a domicilio le necessarie prestazioni, comprese le cure mediche e infermieristiche, nonché, se occorrenti, quelle riabilitative;

3. il soggetto, i congiunti o i soggetti terzi che operano a livello domiciliare siano in grado di assicurare l’occorrente sostegno e siano riconosciuti idonei dagli enti erogatori delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali;

4. i costi a carico delle Asl (Aziende sanitarie locali), delle Aso (Aziende sanitarie ospedaliere) e dei Comuni non siano superiori a quelli di loro spettanza nei casi di ricovero presso strutture residenziali;

5. siano previsti gli interventi di emergenza nei casi in cui il diretto interessato, i congiunti o le persone terze non siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza o qualora insorgano esigenze del soggetto che ne impongano il ricovero presso strutture residenziali;

6. sia previsto il rimborso forfettario delle spese sostenute da coloro che provvedono alle prestazioni domiciliari, da definire sulla base di una percentuale riferita ai costi degli interventi residenziali relativi alle persone che si trovano nelle stesse condizioni;

7. siano individuati i servizi semiresidenziali occorrenti per il sostegno delle prestazioni domiciliari;

8. ferma restando la tutela per via giurisdizionale, sia stabilita la possibilità della presentazione di ricorsi, da parte degli utenti o di coloro che li rappresentano, nei confronti dei responsabili degli enti preposti all’erogazione delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali;

9. vengano assicurati al soggetto interessato i finanziamenti necessari per l’attuazione delle iniziative denominate “Vita indipendente”;

10. siano definiti i tempi e le modalità di attuazione da parte delle Regioni a statuto ordinario e speciale, nonché delle Province autonome di Bolzano e Trento;

11. vengano individuati i necessari finanziamenti.

Per quanto riguarda i minori in gravi difficoltà, la loro fondamentale esigenza di crescere in famiglia non è attualmente un diritto esigibile, anche per il fatto che gli interventi previsti dalla legge 149/2001 (quali ad esempio, il sostegno ai nuclei di origine, agli affidi, alle adozioni dei fanciulli ultradodicenni o con disabilità accertata) sono condizionati dalla disponibilità delle occorrenti risorse economiche.

È pertanto necessario che i Liveas sanciscano:

a) l’esigibilità del diritto del minore a crescere in famiglia, prioritariamente in quella d’origine oppure, a seconda delle situazioni, in un nucleo affidatario o adottivo;

b) l’individuazione delle caratteristiche essenziali delle comunità alloggio residenziali per i fanciulli nei cui confronti non sia applicabile quanto previsto al punto precedente, anche la fine di evitare la riproposizione di strutture ghettizzanti;

c) l’attivazione di una anagrafe, continuamente aggiornata, dei minori in affidamento familiare a scopo educativo e dei fanciulli inseriti presso comunità alloggio, in modo da rendere possibile la verifica dell’attuazione del diritto alla famiglia dei suddetti soggetti.

 

Altre emergenze

Fra le altre situazioni, spesso drammatiche, che dovrebbero essere affrontate con la massima celerità possibile, segnaliamo:

• la sospensione con effetto immediato della realizzazione di strutture destinate al ricovero di utenti con esigenze profondamente diverse e incompatibili (anziani cronici non autosufficienti, minori con handicap, persone dimesse dagli ex ospedali psichiatrici, ecc.);

• l’approvazione di norme dirette a riconoscere al cittadino il diritto di designare una persona che lo rappresenti, nel caso sopraggiungano infermità che lo pongano nell’assoluta impossibilità di assicurare la tutela della propria salute, fino a quando l’autorità giudiziaria provveda alla nomina del tutore o dell’amministrare di sostegno (10);

• l’applicazione delle vigenti norme (articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) in base alle quali nessun contributo economico può essere richiesto dagli enti pubblici ai parenti non conviventi con gli assistiti, nonché a quelli conviventi nei casi in cui si tratti di ultrasessantacinquenni non autosufficienti o di individui con handicap in situazione di gravità;

• l’attuazione corretta delle vigenti norme concernenti la tutela della salute mentale, garantendo i necessari finanziamenti in modo da assicurare l’effettiva presa in carico delle persone colpite da disturbi psichiatrici con la predisposizione dei piani personalizzati di intervento e l’istituzione dei necessari servizi di prevenzione e cura, dei centri diurni, dei gruppi appartamento, nonché delle comunità alloggio terapeutiche;

• la modifica della legge 184/1983 in modo da renderla conforme alle esigenze dei minori, stabilendo in particolare che, allo scopo di evitare di sottrarre indebitamente fanciulli ai nuclei familiari in difficoltà, nessun minore può essere adottato se non è stato prioritariamente dichiarato in stato di adottabilità (11);

• l’istituzione degli uffici provinciali di pubblica tutela al fine di evitare che i compiti di tutore, curatore e amministratore di sostegno continuino ad essere affidati ai Comuni e alle Asl con l’inaccettabile conseguenza che detti enti svolgono le funzioni di controllori del loro operato;

• l’assegnazione alle Province, alle quali dovrebbero essere sottratte tutte le funzioni gestionali nel campo dell’assistenza sociale, dei compiti di vigilanza in materia socio-sanitaria (ad esempio accreditamento delle case di cura e delle strutture di ricovero), anche in questo caso allo scopo di evitare ogni commistione fra le funzioni di gestione (assegnate alle Asl e ai Comuni) e quelle di controllo.

 

L’asserita mancanza di risorse economiche per i più deboli

Dall’esame della documentazione storica sui servizi socio-assistenziali risulta che mai le istituzioni hanno dichiarato di avere la disponibilità di risorse sufficienti per il sostegno dei soggetti deboli.

Si tratta di un pretesto  comodissimo che viene amplificato anche dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare dai giornali che ricevono contributi di importo assai rilevante (12), di cui una parte ragguardevole non è necessaria per la sopravvivenza dei periodici, ma viene versata agli azionisti.

I finanziamenti ci sono per le Olimpiadi, i campionati (nazionali, europei e internazionali) delle più svariate attività sportive, per i teatri e per tutte le attività aventi come beneficiari coloro che non soffrono per la mancanza del necessario per vivere.

I finanziamenti dello Stato non sono destinati solo a consentire lo svolgimento delle attività di cui sopra (e di moltissime altre non certo indispensabili per la sopravvivenza delle persone), ma altresì perché possano essere erogati a calciatori, attori e altri personaggi compensi da nababbi, superiori anche a 10 milioni di euro all’anno.

Solo ultimamente è stato fatto qualche passo in avanti nella lotta contro l’evasione fiscale, ma si è ancora ben lontani da una azione decisa, soprattutto per quanto riguarda l’incasso effettivo da parte dello Stato delle somme sottratte al fisco: ricorsi, rinvii e altri espedienti consentono molto spesso agli evasori di cavarsela a buon mercato.

Si tenga conto che, secondo uno studio effettuato dallo sportello del contribuente (La Stampa dell’8 gennaio 2006) l’evasione fiscale «ha raggiunto l’astronomica cifra di 227,6 miliardi di euro all’anno, di cui solo 21 viene scoperta e solo 487 milioni viene effettivamente riscossa».

È altresì – fatto eloquente – che non sia stata finora resa obbligatoria la denuncia dei dati patrimo­-niali.

Su Prospettive assistenziali avevamo riportato il modulo utilizzato nel Cantone Ticino per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche, segnalando che era obbligatoria l’indicazione di tutti i beni posseduti: proprietà fondiarie, azioni, obbligazioni, oro e altri metalli preziosi, oggetti d’arte e di valore, ecc.

I competenti uffici svizzeri sono, pertanto, messi in grado di accertare anno per anno non solo l’ammontare dei redditi, ma anche l’evoluzione del patrimonio posseduto dai contribuenti.

Posseggono quindi le informazioni, inesistenti nella nostra dichiarazione dei redditi, per valutare se l’importo degli investimenti effettuati (ad esempio l’acquisto di un appartamento) è compatibile con il patrimonio denunciato nell’anno precedente e con i relativi redditi conseguiti (13).

 

Tolti ai poveri miliardi di euro

A seguito di una approfondita indagine compiuta dal 1880 al 1888 da una Commissione reale, vennero individuate 21.819 Ipab, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (14).

Nel 1970 il Ministro dell’interno segnala che le Ipab ancora esistenti sono solo più 9 mila e non fornisce alcuna informazione circa le quasi 13 mila istituzioni mancanti rispetto al censimento del 1880-1888.

Al momento dell’approvazione della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza, il loro numero scende a 4.200. Anche in questo caso nessuna spiegazione sugli enti “spariti nel nulla”.

Ma non basta. Invece di stanziare fondi aggiuntivi per le persone più bisognose, la suddetta legge consente che non vengano più destinati esclusivamente ai poveri i patrimoni di numerose Ipab (15), il cui valore complessivo è stato calcolato nel 2000 in 107-140 mila miliardi delle ex lire (16).

Fra gli innumerevoli esempi di detta sottrazione di patrimoni, ricordiamo la vicenda dell’Opera pia Barolo di Torino, i cui considerevoli beni (numerosi stabili in Torino, tre milioni di metri quadrati di terreni, titoli per 26 milioni 483 mila ex lire) sono stati ceduti a titolo assolutamente gratuito ad un ente privato, proprio in applicazione della citata legge 328/2000.

Inoltre occorre rilevare che detto regalo è stato fatto senza che la legge 328/2000 abbia previsto misure volte a verificare se i patrimoni regalati e le relative rendite vengano destinati ai poveri, com’era stabilito dalla normativa sulle Ipab del 1890.

 

43 milioni sottratti ai poveri dal Comune di Torino

Fra i vari espedienti messi in atto per sottrarre ai poveri i beni ad essi destinati, c’è quello concretizzato dal Comune di Torino, descritto in questo numero nella rubrica “Specchio nero”.

 

Una legge per la tutela dei beni delle ex Ipab

Di fronte allo scandalo delle enormi risorse delle ex Ipab sottratte ai poveri (il cui valore attuale è di molte centinaia di milioni di euro), il Parlamento dovrebbe emanare una legge volta a verificare l’effettiva destinazione alle persone in situazione di bisogno sia dei patrimoni immobiliari e mobiliari regalati ai privati, sia degli altri beni trasferiti alle Regioni e agli enti locali a seguito dello scioglimento degli enti nazionali e locali di assistenza (Onmi, Enaoli, Eca, Onpi, ecc.).

 

Considerazioni finali

In ogni caso è assai inquietante il pretesto della mancanza di risorse economiche da destinarsi ai più bisognosi (ricordiamo nuovamente che le persone con un handicap grave dovrebbero vivere con la pensione di euro 246,73), quando la precedente maggioranza di centro sinistra e quella attuale di centro destra hanno deciso la riduzione e poi l’abolizione dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili) sulla prima casa reperendo senza alcuna difficoltà i 4-5 miliardi di euro occorrenti.

Pure preoccupante è la mancata assunzione del provvedimento a costo zero, da noi richiesto da anni, per la soppressione delle norme discriminanti in materia di assistenza ai minori nati nel o fuori del matrimonio.

Per quanto riguarda la promozione delle prestazioni domiciliari è noto che l’onere economico a carico dello Stato è certamente inferiore al costo del ricovero in istituti.

 

 

 

(1) Se richiesta, può essere erogata una integrazione mensile di euro 10,33.

(2) Da notare che il regio decreto 773/1931 stabiliva e stabilisce tuttora che gli enti pubblici non possono imporre alcun contributo economico o di altro genere ai parenti tenuti agli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, in quanto detti alimenti potevano e possono essere richiesti esclusivamente dalla persona in situazione di bisogno o dal suo tutore o curatore o amministratore di sostegno.

(3) Cfr. l’articolo “Approvata dalla Regione Piemonte una valida legge per il sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio”, Prospettive assistenziali, n. 154, 2006 e “Prestazioni per le gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico”, Ibidem, n. 158, 2007.

(4) Si vedano altresì: la proposta di legge n. 1754 “Riordino delle norme riguardanti il sostegno alle gestanti e madri in condizioni di disagio socio-economico e disposizioni volte a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati”, presentata alla Camera dei Deputati il 3 ottobre 2006 dalle On.li Zanotti e Nichi, Ibidem, n. 156, 2006, nonché la sintesi pubblicata sul n. 153 bis, 2006, del convegno nazionale “Il diritto di tutti i bambini fin dalla nascita alla famiglia e la prevenzione dell’abbandono”, svoltosi a Torino il 21 ottobre 2005.

(5) Cfr. l’articolo “Due iniziative illogiche: il Sermig di Torino e il Movimento per la vita di Asti vorrebbero installare culle/ruote di medioevale memoria”, Ibidem, n. 161, 2008.

(6) Cfr. l’articolo “Ottimo documento del Ministero della salute sugli anziani non autosufficienti”, Ibidem, n. 159, 2007.

(7) Cfr. l’articolo di Gianni Pellis “L’assistenza personale autogestita: una realtà innovativa per le persone con handicap fisico molto grave”, Ibidem, n. 137, 2002.

(8) Tenuto conto dell’alternarsi delle fasi acute e croniche dei soggetti colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, appare necessario che i finanziamenti per la cura di detti malati siano compresi fra quelli destinati al fondo del servizio sanitario nazionale, mentre appositi stanziamenti dovrebbero essere destinati ai Comuni per le attività (in realtà abbastanza secondarie) di loro competenza. Si vedano, ad esempio, l’articolo di Mauro Perino “Per una corretta ridefinizione del ruolo del settore socio-assistenziale”, Prospettive assistenziali, n. 154, 2006, nonché l’editoriale del n. 161, 2008 “Cure socio-sanitarie domiciliari: una positiva svolta a favore degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer”.

(9) Si tratta di una rielaborazione della “Bozza di proposta di legge sui livelli essenziali di assistenza sociale concernenti le persone non autosufficienti” del 15 gennaio 2008 consegnata all’allora Ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero.

(10) Nella scorsa legislatura i Senatori Salvi e Caruso hanno presentato in data 29 settembre 2006 il disegno di legge n. 1050 “Modifica al Codice civile in materia di tutela temporanea della salute dei soggetti impossibilitati a provvedervi personalmente”, riportato sul n. 156, 2006 di Prospettive assistenziali. L’iniziativa, approvata in sede referente della Commissione Giustizia del Senato il 23 ottobre 2007 (cfr. il n. 160, 2007), è decaduta a seguito dello scioglimento delle Camere. alla Camera dei Deputati era stata presentata il 30 ottobre 2006 dall’On. Zanotti una proposta di legge identica alla n. 1050.

(11) Cfr. i seguenti articoli di Francesco Santanera pubblicati su Prospettive assistenziali: “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione”, n. 147, 2004; “Commissione parlamentare sull’infanzia: proposte inidonee in materia di affidi professionali e di intermediazione”, n. 149, 2005; “Un disegno di legge del Governo contrario alle esigenze dei minori stranieri senza famiglia”, n. 150, 2005; “Ordinanza della Corte costituzionale in merito all’adozione di minori stranieri da parte di persone singole”, n. 151, 2005; “Le drammatiche conseguenze dell’adozione ‘fai da te’: un monito per il nuovo Parlamento”, n. 153, 2006; “L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima, mai autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura”, n. 154, 2006; “Gravemente inadeguate le proposte di legge presentate al Parlamento in materia di adozione e di affidamento di minori a scopo educativo”, n. 156, 2006; “L’affidamento familiare a scopo educativo: le condizioni per non sottrarre indebitamente i minori dai loro nuclei di origine”, n. 157, 2007. Si veda, inoltre, l’articolo di Luigi Fardiga “Adozione aperta? Sì o no?”, n. 161, 2008.

(12) Secondo quanto riferito da La Settimana dei Grilli cuneesi del 6 aprile 2008, Il Corriere della Sera riceve dallo Stato a titolo di contributo a fondo perduto 23 milioni di euro, il Sole - 24 ore 19, L’Espresso -  la Repubblica 16, L’Avvenire 10, L’Unità 9, La Stampa 7, Conquiste del lavoro 6,5, Libero 5,5, La Padania 4,5, Il Giornale 4,5 e Il Manifesto 4,4. Seguono altri finanziamenti anche consistenti a numerosi giornali e riviste (Corriere di Saluzzo, Famiglia cristiana, Famiglia oggi, Vita pastorale, ecc.).

(13) Cfr. “ Come viene fatta la dichiarazione dei redditi e dei beni in Svizzera”, Prospettive assistenziali, n. 118, 1997.

(14) Già allora erano frequenti gli abusi e la Commissione reale denuncia «le rendite colossali che si spendevano senza una vera pratica utilità per la popolazione sofferente».

(15) Ai sensi della legge 6972/1890 le Ipab devono «prestare assistenza ai poveri»; i loro beni immobili e mobili ed i relativi proventi sono vincolati a detto scopo e non possono essere utilizzati per qualsiasi altra finalità.

(16) Cfr. Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria.

 

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