Prospettive assistenziali, n. 159, luglio - settembre 2007

 

 

CONSIDERAZIONI IN MERITO ALLE LINEE GUIDA DELLA REGIONE PUGLIA SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE

 

 

 

In data 15 giugno 2007 il csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino ha inviato al Presidente, ai Vice-Presidenti, agli Assessori e ai Consiglieri della Regione Puglia la lettera che riproduciamo integralmente.

 

 

In merito alla deliberazione della Giunta della Regione Puglia 17 aprile 2007, n. 494 “Linee guida sull’affidamento familiare dei minori”, questo Coordinamento, che funziona ininterrottamente dal 1970, segnala quanto segue:

 

1. Pericolo della sottrazione definitiva dei minori al nucleo familiare in gravi condizioni di disagio

Si evidenziano in primo luogo i rischi derivanti dalle indicazioni contenute nel punto “5.11 – Adozione in casi particolari”, così redatto: «Qualora la prognosi sulla possibile durata dell’affido familiare vada ben oltre i tempi stabiliti e consentiti dalle vigenti norme e, qualora il minore non possa fare rientro nella propria famiglia a causa della persistente complessità e gravità della situazione, è possibile trasformare l’affidamento familiare dei minori che vivono già una situazione consolidata di affido, in “adozione in casi particolari”, utilizzando le possibilità offerte dall’ex art. 44 lettera d) della legge n. 184/1983. È, dunque, compito dei servizi sociali, socio-sanitari e della magistratura minorile monitorare le situazioni che presentano particolari condizioni di gravità ed individuare l’intervento più rispondente al superiore interesse del minore».

Premesso che le leggi vigenti consentono di prorogare gli affidamenti fino al compimento del 18° anno di età dei soggetti interessati, la delibera in oggetto indica agli amministratori locali e agli operatori il percorso da seguire non per sostenere i nuclei familiari di origine o per l’autonomo inserimento sociale dell’affidato, ma per favorire la sottrazione definitiva dei minori dai loro nuclei familiari in condizione di disagio.

Si osservi – fatto gravissimo – che detta sottrazione è prevista dal Tribunale per i minorenni di Bari anche nei casi in cui sussistano significativi rapporti affettivi tra il minore ed i suoi congiunti (genitori, fratelli e sorelle, altri parenti).

Circa l’operato del Tribunale per i minorenni di Bari si vedano gli allegati articoli di Francesco Santanera “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione” e “L’adozione mite: una iniziativa allarmante e illegittima mai autorizzata dal Con-siglio superiore della magistratura”, pubblicati sui n. 147/2004 e 154/2006 di Prospettive assistenziali.

È vero che l’adozione dei minori ai sensi della lettera d) dell’articolo 44 della legge 184/1983 non determina la rottura di rapporti giuridici del minore con la sua famiglia d’origine, ma si tratta esclusivamente dei rapporti “giuridici” in quanto i poteri parentali sono interamente assunti dagli adottanti che hanno, pertanto, la possibilità di trasferirsi in qualsiasi zona del nostro paese o in altre nazioni, rendendo impraticabili i rapporti del minore con i suoi congiunti d’origine.

D’altra parte occorre tener presente che, in base alle norme della lettera d) dell’articolo 44 della legge 184/1983, l’adozione in casi particolari potrebbe essere pronunciata esclusivamente «quando vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo» e quindi solamente quando il minore è stato dichiarato in stato di adottabilità in quanto viene accertato che è «privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio».

Più volte Prospettive assistenziali ha, finora inutilmente, segnalato che la procedura adottata dal Tribunale per i minorenni di Bari in materia di adozione mite non è conforme alle vigenti disposizioni di legge.

 

2. La Regione Puglia non prevede diritti esigibili ai nuclei familiari e alle persone in gravi condizioni di disagio

Sia nella delibera in oggetto che nella legge regionale n. 19/2006 “Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia”, non è previsto – altro fatto inquietante – alcun diritto esigibile da parte dei nuclei familiari in gravi condizioni di disagio, nemmeno per i soggetti che, se non ricevono assistenza o muoiono (bambini figli di ignoti o fanciulli in situazione di totale abbandono) o cadono nel baratro dell’emarginazione sociale.

Le sopra citate disposizioni (legge della Regione Puglia n. 19/2006 e delibera della Giunta regionale 494/2007) non stabiliscono nessun diritto esigibile per i cittadini e addirittura prevedono che le prestazioni sono erogate esclusivamente «nell’ambito delle risorse disponibili».

Ne deriva che i nuclei familiari in gravi condizioni di disagio sono nettamente (e ingiustamente) condizionati dalle decisioni degli amministratori dei Comuni e dei relativi operatori, sia perché quasi sempre non sono in possesso di strumenti giuridici idonei per far valere le loro esigenze, comprese quelle vitali, sia perché sono facilmente ricattabili mediante la possibile richiesta al Tribunale per i minorenni di sottrarre definitivamente i loro figli utilizzando l’articolo 44 della legge 184/1983.

 

3. La Regione Piemonte ha stabilito alcuni diritti esigibili ai soggetti in gravi difficoltà

Allo scopo di segnalare la possibilità del riconoscimento di diritti esigibili anche da parte delle Regioni, si fa presente che la legge della Regione Piemonte n. 1/2004 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento” «riconosce a ciascun cittadino il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all'articolo 18» e prevede che «contro l’eventuale motivato diniego è esperibile il ricorso per opposizione allo stesso ente competente per l’erogazione della prestazione negata» (articolo 22).

A sua volta l’articolo 18 concernente “Le prestazioni essenziali” sancisce quanto segue: «Il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali fornisce risposte omogenee sul territorio finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi: a) superamento delle carenze del reddito familiare e contrasto della povertà; b) mantenimento a domicilio delle persone e sviluppo della loro autonomia; c) soddisfacimento delle esigenze di tutela residenziale e semiresidenziale delle persone non autonome e non autosufficienti; d) sostegno e promozione dell'infanzia, della adolescenza e delle responsabilità familiari; e) tutela dei diritti del minore e della donna in difficoltà; f) piena integrazione dei soggetti disabili; g) superamento, per quanto di competenza, degli stati di disagio sociale derivanti da forme di dipendenza; h) informazione e consulenza corrette e complete alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi; i) garanzia di ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli di assistenza, secondo la legislazione vigente».

Inoltre il secondo comma dell’articolo 35 della sopra citata legge della Regione Piemonte stabilisce che «i Comuni, quali titolari delle funzioni amministrative relative alla realizzazione delle attività e degli interventi sociali, garantiscono risorse finanziarie che, affiancandosi alle risorse messe a disposizione dallo Stato, dalla Regione e dagli utenti, assicurino il raggiungimento di livelli di assistenza adeguati ai bisogni espressi dal proprio territorio».

 

4. Necessità di sostanziali modifiche della legge della Regione Puglia n. 19/2006

Se si vogliono veramente sostenere i nuclei familiari in gravi difficoltà, occorre che la legge della Regione Puglia n. 19/2006 venga modificata in modo da stabilire diritti esigibili da parte dei soggetti che hanno l’esigenza di ricevere adeguate e urgenti prestazioni socio-assistenziali per poter vivere (ad esempio, ripetiamo, minori in situazione di abbandono, nonché adulti e anziani privi della necessaria autonomia per una esistenza auto­noma).

A questo riguardo si ricorda che sono ancora vigenti (ed è assai grave che la legge regionale ne abbia ignorato l’esistenza) gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza” che, come già prevedeva il regio decreto 6535/1889, obbligano i Comuni ad assistere, purtroppo solamente tramite il ricovero, i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che non sono in grado di procurarsi autonomamente quanto necessario per vivere.

 

5. Sostegno effettivo alle famiglie di origine

Mentre, come abbiamo già ricordato per i minori dichiarati in stato di adottabilità, la legge prevede l’adozione legittimante e non quella definita “mite”, l’affidamento familiare è l’intervento più idoneo nei casi in cui non vi siano le condizioni per la dichiarazione di adottabilità ed i nuclei familiari di origine in condizioni di disagio socio-economico non possano essere aiutati in modo da essere in grado di educare i loro congiunti.

In ogni caso, l’affidamento familiare non è, non può e non deve essere previsto quale intervento volto a sottrarre i figli ai nuclei familiari in condizione di disagio.

Allo scopo occorre prevedere sostegni effettivi e tempestivi ai nuclei familiari di origine. Detti sostegni non riguardano solo, come risulta dalla delibera in oggetto, il settore socio-assistenziale, ma anche e spesso soprattutto i settori della sanità (le carenze nel campo della prevenzione e cura dei disturbi psichici sono quasi sempre macroscopiche), della casa, dell’istruzione, dei servizi sociali in genere, nonché quello dell’occupazione.

Per quanto riguarda gli interventi socio-assistenziali, essi dovrebbero poter essere previsti come diritti esigibili, se si vuole evitare che i soggetti interessati, quasi sempre con potere contrattuale nullo, continuino a rimanere in balia della discrezionalità e del facile pretesto della mancanza di adeguate risorse economiche.

Per quanto concerne la delibera in oggetto il fondamentale presupposto degli aiuti ai nuclei d’ori-gine è spesso ignorato o espresso in modo inadeguato.

Ad esempio, nel paragrafo 2 relativo ai “Principi generali”, vi sono due affermazioni esclusivamente declamatorie: «La Regione Puglia riconosce e sostiene il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» e «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio di tale diritto» senza alcuna precisazione in merito sia alle prestazioni da fornire, sia agli enti obbligati ad intervenire.

Invece di far riferimento ai possibili aiuti da fornire ai nuclei familiari in difficoltà, la delibera in oggetto prevede addirittura che «quando il nucleo familiare non è in grado di provvedere alla crescita ed all’educazione del minore questi può essere affidato temporaneamente ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno».

Viene poi aggiunto, anche in questo caso senza ipotizzare interventi a favore del mantenimento del minore a casa sua, che ove non sia possibile l’affidamento «è consentito l’inserimento del minore in una struttura comunitaria».

È molto significativo che nel paragrafo “Il minore e la sua famiglia” venga precisato che «per realizzare un efficace intervento di affidamento familiare, realmente mirato ai bisogni evolutivi di un minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, gli operatori dei servizi sociali devono produrre una documentazione dettagliata che permetta una valutazione accurata dei suoi bisogni e una conoscenza puntuale delle caratteristiche del suo contesto familiare», senza alcun riferimento alle esigenze del nucleo d’origine e agli interventi proposti e a quelli realizzati.

Sulla base di quanto sopra riferito, non stupisce, ma indigna, che nelle conclusioni della delibera in oggetto venga affermato che «compito delle presenti linee guida è quello di proporre strategie ed interventi per consolidare ed incrementare il processo di sostegno dei minori nella propria famiglia di origine, che si concretizza attraverso l’inserimento temporaneo in una famiglia affidataria».

 

6. Negata la priorità degli affidamenti intrafamiliari

Nella delibera in oggetto non è prevista, qualora non sia effettivamente realizzabile il sostegno ai nuclei di origine o non abbiano conseguito risultati positivi gli interventi attuati, la priorità dell’affidamento intrafamiliare.

A nostro avviso, con precedenza rispetto alle altre modalità di affidamento, dovrebbe essere ricercata la possibilità di inserire il minore presso i suoi congiunti (nonni, fratelli e sorelle, zii, ecc.) di cui sia stata accertata l’idoneità educativa e la loro disponibilità a collaborare con l’ente pubblico preposto ai servizi socio-assistenziali.

Invece questa modalità di intervento viene penalizzata. Infatti nella delibera in oggetto è previsto che non verrà erogato agli affidatari alcun contributo «se i familiari che sono tenuti agli alimenti in base all’articolo 433 del Codice civile abbiano la possibilità di provvedervi».

Al riguardo occorre precisare che agli affidatari (congiunti o non parenti) non deve essere erogato alcun contributo, ma un rimborso forfetario delle spese vive sostenute.

Rifiutare di corrispondere ai congiunti del minore, non obbligati a farsene carico, né tenuti agli alimenti salvo richiesta personale avanzata dagli esercenti i poteri parentali e accertamento delle relative capacità economiche, di fatto significa non prendere in adeguata considerazione i parenti del minore, in particolare quelli con i quali ha esclusivamente stabilito significativi rapporti affettivi.

La delibera in oggetto prevede l’erogazione di un «contributo economico per situazioni nelle quali i parenti non sono in grado di provvedere alle necessità economiche del minore» solamente «entro i limiti delle disponibilità finanziarie dei bilanci propri dei Comuni e del quadro finanziario del piano sociale di zona».

Premesso che, ai sensi del decreto legislativo 196/2003 sulla riservatezza dei dati personali, i Comuni e gli altri enti pubblici non possono assumere informazioni circa le risorse economiche dei cittadini che non richiedono prestazioni assistenziali e perciò non è nemmeno consentito richiedere notizie circa la situazione finanziaria dei parenti disponibili all’affidamento di un loro congiunto, la limitazione del contributo alle «disponibilità finanziarie dei Comuni» può essere il facile espediente per non corrisponderli.

Da notare che la regione Puglia avrebbe dovuto da anni dare attuazione al 4° comma dell’articolo 80 della legge 184/1983 che sancisce quanto segue: «Le Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l'idoneità all'accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche».

 

7. Affidamento degli ultradiciottenni

Nella delibera in oggetto è previsto che «l’affidamento familiare di ultradiciottenni si riferisce esclusivamente a prosecuzione di affidamenti iniziati in età minorile, e la cui durata non può superare il compimento del 25° anno di età, qualora sia necessario terminare un progetto in atto oppure l’affidato non possa rientrare nella propria famiglia e non sia ancora in grado di condurre una vita indipendente».

Ne consegue che, superato il 25° anno di età, il soggetto è abbandonato a se stesso!

Visto che la Regione Puglia non prevede alcun diritto esigibile da parte della persona in gravi difficoltà, comprese quelle con limitata o nulla autonomia, a quale futuro sono destinati i minori già in affidamento che hanno superato il 25° anno di età e non sono in grado di «condurre una vita autonoma»?

Premesso che al raggiungimento della maggiore età gli affidati dovrebbero poter scegliere autonomamente il loro futuro, se gli affidatari non continueranno ad accoglierli a loro spese, si dovrà chiedere all’autorità di pubblica sicurezza di obbligare il Comune a provvedere al loro ricovero ai sensi dei già richiamati articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931?

A questo proposito ricordiamo che da molti anni il Comune di Torino eroga ai soggetti in affidamento, aventi un’età compresa tra i 18 e i 25 anni che non possono rientrare nella loro famiglia d’origine, un contributo massimo di euro 5164,57 da utilizzare per consentire la loro vita autonoma e cioè per il pagamento della cauzione dell’alloggio in cui andranno ad abitare, l’acquisto dei mobili e per le altre esigenze. (Cfr. “Guida del Comune di Torino all’affidamento familiare”, Prospettive assistenziali, n. 145, 2004).

Inoltre, il Comune di Torino da oltre trent’anni ha deliberato in merito all’inserimento presso famiglie e persone di adulti con handicap e di anziani con limitata o nulla autonomia. La delibera, approvata dal Consiglio comunale di Torino il 14 settembre 1976, era stata promossa e predisposta da questo Coordinamento.

 

8. Conclusioni

Se la Regione Puglia intende rispettare le esigenze dei minori in difficoltà e dei loro nuclei familiari, ad avviso del Csa occorrerebbe che:

- il Consiglio regionale procedesse alla modifica della legge regionale n. 19/2006 introducendo norme che stabiliscano diritti esigibili a favore dei soggetti in condizione di grave disagio socio-economico e riconoscano la priorità degli interventi volti ad assicurare la permanenza, per quanto possibile, dei minori (e degli altri cittadini in difficoltà) presso i loro nuclei d’origine;

- la Giunta regionale dovrebbe riconsiderare la propria delibera n. 494/2007 anche sulla base delle osservazioni sopra riportate.

 

9. Disdetta del protocollo sull’adozione mite

Il Csa chiede inoltre che le Autorità regionali e locali intervengano al più presto per disdire il “Protocollo d’intesa per il percorso dell’adozione mite tra Tribunale per i minorenni di Bari e Procura della Repubblica per i minorenni di Bari, Comune e Provincia di Bari, aperto alla sottoscrizione di altri Enti locali territoriali” recante la data del 14 giugno 2006.

Al riguardo si unisce l’articolo “L’adozione mite: una inquietante iniziativa del Presidente della Corte d’appello di Bari” pubblicato sul n. 158, 2007 di Prospettive assistenziali.

Restiamo a disposizione e porgiamo cordiali sa­luti.

 

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