Prospettive assistenziali, n. 158, aprile - giugno 2007

 

 

COME SI FA A VIVERE CON 242,84 EURO AL MESE?

ROBERTO TARDITI (*)

 

 

 

 

Ho già ripetuto in altre occasioni che in una società in cui l’uomo è per eccellenza soggetto pensante, attivo, produttivo, storico, anche l’uomo che ha un determinato handicap può realizzare questo modello, purché ne abbia le possibilità, e purché siano accettate modalità differenti di realizzazione. Nel concreto, questo significa trovare i modi per permettere alla persona con handicap di studiare, di lavorare, di accedere alle strutture culturali, di partecipare a pieno titolo alla vita collettiva. Questo ha iniziato ad essere possibile solo con l’eliminazione delle barriere, siano esse fisiche o culturali, attraverso un’azione dell’intera collettività, senza deresponsabilizzanti atteggiamenti di delega. Ben vengano dunque le iniziative per l’eliminazione delle barriere architettoniche, purché siano accompagnate da una reale accettazione delle persone con disabilità e da effettive pari opportunità. Una società senza barriere per tutti e in tutti i sensi.

Ma i modelli che considero tuttora maggiormente limitanti sono quelli in cui la persona con handicap figura come “soggetto astorico”, come soggetto sofferente naturale e rassegnato, come “soggetto assistito e utilizzatore di servizi” al quale non è richiesto alcun corrispettivo, come “soggetto passivo e senza alcun ruolo attivo”.

Parlo, ad esempio, del pensiero culturalmente radicato nella “gente della strada”. L’opinione comune sostiene che noi persone con handicap siamo privilegiate poiché il Comune di Torino ci darebbe la casa, la arrederebbe, ci pagherebbe l’affitto, la luce, il gas, il riscaldamento, ci metterebbe a disposizione gratuitamente il servizio taxi e pulmini attrezzati; e in più prendiamo la pensione e l’indennità d’accompagnamento, ecc. Che bella vita. Ogni volta che mi trovo coinvolto in una conversazione del genere e che rispondo esprimendo tutta la mia indignazione e spiegando come viviamo realmente, gli stessi che prima così genericamente accusavano, poco dopo, stupiti, se ne vanno per la loro strada.

È impensabile, per loro, che anche noi persone con disabilità – lavoratori e pensionati – dobbiamo seguire gli stessi iter di tutti i cittadini, dobbiamo partecipare al bando per vederci assegnato un alloggio, paghiamo le bollette, così come paghiamo i buoni per i taxi e i pulmini attrezzati al costo di biglietti di tram e autobus: nulla ci è regalato.

Sono solo, se vogliamo, note di colore sul costume sociale, ma credo che rispecchino profondamente la mentalità comune che non si è modificata nel corso del tempo. Se una persona è “diversa”, non produttiva, non “presentabile”, in poche parole non secondo la norma, o va rinchiusa, o al massimo le si può dare un poco di pietà mielosa. Difficile che le si riconosca il diritto a costruire la propria vita con gli altri.

È ormai comunemente accettata l’idea che molte persone con handicap fisico e intellettivo siano effettivamente in grado di lavorare, produrre reddito e pagare le tasse come qualunque cittadino onesto, di costruirsi così una vita indipendente e che quindi, per ovvia conseguenza, non siano assistite.

Tuttavia ben altro discorso riguarda coloro a cui sia stata accertata una totale inabilità al lavoro e che si trovino in stato di bisogno economico: queste persone fruiscono di una pensione d’inabilità, erogata per conto dello Stato dal Ministero dell’interno,  il cui livello attuale è di 242,84 euro mensili per tredici mensilità. È quest’ultimo punto che vorrei analizzare più attentamente: la pensione d’inabilità, definita assistenza economica, è concessa come fosse un obolo e non come un diritto sancito dalla nostra Costituzione.

Ogni anno sono ridefiniti, collegandoli agli indicatori dell’inflazione e del costo della vita, gli importi delle pensioni, assegni e indennità che sono erogati agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordomuti e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche. Tali ridefinizioni sono fissate dalla Direzione centrale delle prestazioni dell’Inps.

Quest’anno la pensione degli invalidi civili è aumentata di 4,77 euro, un irrisorio e misero aumento rispetto alle altre pensioni Inps.

La realtà delle persone con handicap, soprattutto quelle affette da disabilità gravi e gravissime, inabili al lavoro e con forti limitazioni dell’autonomia personale è dunque tale da non consentire nemmeno la sopravvivenza fisica, per provvedere alla quale, in più di un caso, le famiglie si vedono costrette a ricoverare in qualche istituto il proprio caro.

Così anche l’indennità d’accompagnamento ha avuto un miserevole aumento (6,83 euro), portando il livello attuale a 457,66 euro mensili. Va ricordato che questa indennità dovrebbe permettere a molte persone con handicap grave di uscire dall’isolamento e dall’emarginazione, per vivere insieme agli altri cittadini e non essere ricoverati.

Ripeto il concetto: l’indennità di accompagnamento viene erogata alle persone impossibilitate di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e/o bisognose di un’assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

Pertanto l’assegno di accompagnamento non è una pensione, ma un’indennità prevista per compensare le maggiori spese che le persone con handicap sostengono rispetto ai cittadini non colpiti da minorazioni.

Ma ecco che nella realtà, per coloro che “vivono” della propria pensione, l’indennità d’accompagnamento – autonoma rispetto alla pensione stessa o al salario/stipendio e finalizzata all’inserimento sociale – finisce per essere nulla più che un’indispensabile integrazione al reddito. E questo perché l’importo mensile della pensione (ripeto euro 242,84) che dovrebbe costituire il reddito-base e consentire di far fronte alle esigenze e alle spese della vita quotidiana è a questo scopo assolutamente insufficiente. Questa è anche la situazione mia e di Piero (come me prima istituzionalizzato e poi, ormai da 25 anni, deistituzionalizzato) (1): per noi che abbiamo scelto di vivere una vita indipendente pur essendo inabili al lavoro, e che fruiamo di una pensione d’invalidità, l’indennità d’accompagnamento è necessariamente utilizzata per integrare la pensione, con la quale è impossibile vivere una vita dignitosa. E di conseguenza, per noi, l’indennità d’accompagnamento non ha mai avuto in concreto la funzione per la quale è prevista, quella di un rimborso spese agli accompagnatori che prestano l’assistenza come condizione indispensabile per realizzare la vita indipendente delle persone con disabilità grave.

Può essere utile leggere alcuni dati sui redditi della cosiddetta “famiglia normale-media” per vedere come questa categoria sia al suo interno molto diversificata, come ad esempio la ricerca Istat che, a fine anno 2006, ha reso pubblico il risultato delle indagini su alcuni quotidiani. Riportano i dati sul costo della vita in riferimento al reddito delle famiglie italiane con uno stipendio medio di 1.800 euro. Ma ecco un primo confronto e una disparità: tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, gli autonomi sono più ricchi rispetto ai dipendenti. Poi c’è il divario di reddito nord-sud. In settentrione una famiglia con cinque membri “vale” 56 mila euro annui, in meridione 32 mila.

I quotidiani hanno scritto che le famiglie italiane sono sempre più povere dimenticando deliberatamente il reddito irrisorio di quei nuclei familiari con congiunti affetti da handicap gravi e gravissimi con limitazioni dell’autonomia personale.

È importante segnalare come sono utilizzate le risorse pubbliche che consentirebbero – se non fossero sprecate – di incrementare servizi assistenziali e sanitari sul territorio nazionale oltre che aumentare le pensioni minime destinate a persone inabili al lavoro.

Della mancanza di risorse da destinare a questi ultimi nulla si dice. Ma è vero che mancano? E che cosa si fa di quelle esistenti?

 

15 settembre 2006, “La Stampa”: Stipendi esagerati

Gli europarlamentari italiani hanno uno stipendio annuo di euro 149.215, primi in un’ideale classifica europea. Nel Comune di Taranto alcuni dirigenti comunali si assegnavano stipendi di oltre 20 mila euro al mese mentre erano ancora vive le polemiche sulla liquidazione d’oro, oltre 7milioni, all’ex amministratore delegato delle ferrovie.

 

17 ottobre 2006, “La Stampa”: Cinema festival internazionale Roma - bilancio totale di 13 mi­lioni di euro

400 mila euro stanziati per “imprevisti”, 300 mila euro di spese per internet, più di 1 milione di euro perché gli ospiti di Cinema festival internazionale di Roma non abbiano sorprese, 1 milione per ospitare i divi, 2 milioni di contributi pubblici.

 

2 novembre 2006, “La Stampa”: Baby pensio-­nati

La magistratura ha riconosciuto il diritto di lasciare il lavoro a 102 lavoratori della regione Sicilia: sono in pensione con 25 anni di anzianità.

 

12 novembre, “La Stampa”: La famiglia del medico tutta spesata

Giro di affari miliardario come tecnica di marketing delle case farmaceutiche. In cambio di prescrizioni ripetute di un certo farmaco, i medici fanno viaggi e vacanze a spese di famose case di farmaci, con giri al casinò e benefit d’ogni tipo, hostess comprese. Un altro sistema è quello di sponsorizzare libri scritti da medici, testi che nessun editore scientifico si sognerebbe di pubblicare.

 

14 novembre, “Corriere della Sera”: I rimborsi elettorali

Chi da anni teorizza la necessità che la società si faccia carico di mantenere i partiti, quale strumento di democrazia, deve ammettere che la deriva fa spavento. Un esempio per tutti. Il partito dei pensionati. Nella campagna per le ultime europee investì 16.435 euro e ottenne un rimborso centottanta volte più alto: quasi tre milioni di euro.

 

20 novembre, “La Stampa”: Portaborse

Lievita il conto della politica. Ci costano 4 miliardi di euro all’anno i quasi 428 mila consulenti e portaborse degli eletti. E i contributi pubblici ai partiti sono aumentati in misura del 968% in un decennio.

 

2 dicembre 2006, “La Stampa”: Emendamenti

La manovra della Finanziaria cambia: non ci sarà il contributo (di solidarietà) del 3% a carico delle pensioni sopra i 5 mila euro mensili, le pensioni d’oro.

 

6 dicembre, “La Stampa”: Liquidazioni

Otto grandi gruppi pubblici nel mirino della magistratura: Alitalia, Ferrovie, Enel, Eni, Poste, ecc.; stipendi d’oro e super liquidazioni dei loro massimi dirigenti. Nel passaggio dall’Enel all’Eni Paolo Scaroni ha intascato 9 milioni e mezzo di euro; Cimoli 6,7 al momento di lasciare le Ferrovie nel 2004 per passare ad Alitalia. L’ex presidente delle Ferrovie Elio Catania, per lasciare la guida del gruppo, ha spuntato una liquidazione di quasi 7 milioni, nonostante i conti delle Ferrovie nel 2006 chiudessero con perdite vicino ai 2 miliardi di euro.

 

13 dicembre 2006, “La Stampa”; Una strada di carta

106 chilometri, da Candela a Poggio Imperiale, in Puglia. Il progetto, approvato nel 1980, battezzò l’arteria “Strada Regionale numero 1”: 291 miliardi di lire. I lavori cominciarono nel 1985 e ora, dopo 21 anni, siamo quasi al punto di partenza: sono stati completati 23 km, uno all’anno. 100 miliardi di lire spesi, finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno.

Ci sono altri cantieri perenni. Un esempio: in provincia di Reggio Calabria il cantiere per la diga sul Metramo è aperto da 30 anni; dal progetto doveva essere 104 metri di profondità e sembra invece una pozzanghera. Secondo la Corte dei Conti, la diga è costata 819 miliardi di lire, in preventivo ce n’erano 15.

 

Non ci sono parole adatte per esprimere sdegno di fronte a un siffatto spreco di denaro pubblico, mentre un gruppo sociale – quello dei disabili gravi, ad esempio – è messo in continuo stato d’indigenza. Nei fatti, si continua a ribadire quella cultura che a parole tutti considerano appartenente a un tempo non più nostro: che relega ai margini della società, tenuta anche “fisicamente” a distanza, quella parte di umanità “improduttiva” e “diversa” che è stata spesso identificata come qualcosa di negativo, di cui aver paura, verso cui provare fastidio, imbarazzo, talvolta pena.

Lo Stato, invece di rimuovere le cause dell’emarginazione e prevenire il disagio, fornendo risposte concrete ed adeguate ai bisogni sul piano sanitario-assistenziale, economico, culturale, abitativo, ambientale, relazionale delle persone svantaggiate e indifese; invece di garantire il riconoscimento e la tutela degli inviolabili diritti dell’uomo (articolo 2 della Costituzione) e dell’eguale dignità dei cittadini (articolo 3) crea, di fatto, nuove forme di emarginazione mettendo colpevolmente molti cittadini svantaggiati e indifesi in condizioni di povertà.

Per questo mi rivolgo nuovamente al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riprendendo, ancora una volta, una delle sue affermazioni, riportata sul notiziario quindicinale HPress News, il 15 giugno 2006: «Non parliamo di quanto diffusi rimangano gli ostacoli da superare per persone disabili in ogni settore della vita sociale, e come debbano considerarsi irrisori gli importi delle pensioni di invalidità».

Mi aspetto che questo tema sia ripreso dal Presidente della Repubblica (attendo fiducioso una sua risposta alla mia lettera personalmente inviatagli il 6 ottobre 2006) che già da Senatore si era dimostrato sensibile al riguardo, evidentemente consapevole di quanto questo punto sia centrale per una vita degna di essere vissuta.

 

 

 

(*) Presidente dell’Associazione “Mai più istituti di assistenza”.

(1) Cfr. E. De Rienzo e C. De Figueiredo, Anni senza vita al Cottolengo - Il racconto e le proposte di due ex ricoverati, Rosenberg & Sellier, Torino.

 

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