Prospettive assistenziali, n. 157, gennaio - marzo 2007

 

 

Handicap intellettivo e lavoro: una positiva esperienza di collocamento mirato

EMANUELA BUFFA (*)

 

 

 

Nel numero 154, 2006, di questa rivista, Maria Grazia Breda ha raccontato con precisione e dovizia di elementi il difficile e non ancora concluso percorso intrapreso da Marco, un ragazzo con lieve handicap intellettivo, per arrivare, come è suo diritto, ad avere un lavoro che gli consenta di sentirsi utile e pienamente inserito in questa nostra società senza dover pesare per sempre sulla sua famiglia o sul sostegno pubblico. Siamo consapevoli di quanto sia importante per chiunque l’inserimento nel mondo del lavoro, tanto più per quei ragazzi portatori di handicap che solo così possono sentirsi integrati a tutti gli effetti ed evitare quello stato di frustrazione che li pone ai margini della società. Ce lo fa capire molto bene l’esperienza di Paolo.

 

La vicenda di Paolo

Paolo ha 40 anni e un’invalidità valutata al 55% per una grave forma di lordosi e un lieve ritardo intellettivo. Il papà per ben vent’anni si è battuto perché suo figlio potesse trovare un’occupazione lavorativa. Numerosi sono stati le domande di assunzione e i solleciti inoltrati al centro per l’impiego. Paolo è stato assunto per brevi periodi in qualche cantiere di lavoro presso il proprio Comune per attività di piccola manutenzione, pulizia delle aiuole e lavori di segreteria. Tra un cantiere ed un altro si è impegnato a studiare per imparare ad usare il computer, acquisendo una sufficiente competenza per un lavoro che richiedesse precisione ed attenzione.

Finalmente l’Asl 7 ha richiesto una persona da inserire nel suo centro di calcolo per un lavoro sull’anagrafe dei pazienti. Paolo ha iniziato il suo periodo di tirocinio durato tre mesi: ha imparato a usare il programma richiesto per la mansione a cui era stato predisposto ed è stato messo alla prova per verificare le sue effettive capacità: ha passato la prova e l’Asl l’ha assunto a tempo indeterminato.

È iniziato il lavoro vero e proprio e in questo periodo è stato determinante nel suo inserimento il supporto dell’educatrice che ha seguito l’inserimento e del tutor interno dell’azienda sanitaria. Fin dai primi giorni, infatti, non sono state poche le difficoltà di relazione e con i colleghi che non sempre sono preparati ad accettare una persona che presenta qualche difficoltà, che non lavora coi loro ritmi. È stato difficile per Paolo avere con loro buoni rapporti anche perché non si sentiva né accettato né integrato nel gruppo. I problemi non sono tutti risolti, ma Paolo ama il suo lavoro, anche se talvolta si trova ad essere inattivo e cerca di trovarsi qualcosa da fare: riordina, fa fotocopie, invia fax per i suoi colleghi.

Nonostante le difficoltà incontrate, il lavoro ha segnato una vera e propria svolta nella vita di Paolo. Si sente più a suo agio con gli altri, è più tranquillo in famiglia ed ha più interessi nel tempo libero: esce con gli amici, frequenta una bocciofila della zona, coltiva l’hobby della fotografia e del computer. Prima del lavoro Paolo era apatico, senza volontà e non desiderava più neanche uscire di casa.

 

Il diritto al lavoro

Da molti anni si sta lottando perché i ragazzi con handicap intellettivo lieve vedano riconosciuto il loro diritto ad avere un lavoro che consenta loro di acquisire quella dignità di cui hanno bisogno per sentirsi utili e pienamente inseriti nella società, per non sentirsi un peso per la famiglia e non dover dipendere dal sostegno pubblico.

Ancora troppi ragazzi, ormai uomini, non hanno vi­sto riconosciuto il diritto sancito dalla legge 68/1999 che ha «come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato». Per collocamento mirato «si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione».

L’aspetto innovativo di questa legge, rispetto alla precedente normativa (legge 482/1968) è che non vengono valutate le compromissioni, le incapacità della persona che limitano l’inserimento lavorativo ma, invece, vengono evidenziate le capacità e le potenzialità che consentono al disabile di essere produttivo in un contesto lavorativo.

Oggi possiamo dire che nella sola Provincia di Torino sono stati assunti circa 4 mila persone disabili il cui handicap, però, non incideva, se non in minima parte, sulle loro capacità lavorative.

Nelle liste speciali dei centri per l’impiego rimangono coloro che hanno più difficoltà come le persone con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia e quindi sono meno accettati nel mondo del lavoro. Si dimentica che anche chi ha un handicap intellettivo è in grado di svolgere compiti adatti alle sue capacità e che ciò è confermato dall’esperienza di centinaia di assunzioni realizzate negli ultimi vent’anni nella realtà torinese e prima ancora che entrasse in vigore la legge 68/1999.

A risultare tra gli enti maggiormente inadempienti sono proprio le dieci Asl di Torino e Provincia.

Infatti alla data del 31 dicembre 2004 i numeri delle scoperture alla legge 68/1999 delle Asl della Provincia erano i seguenti: Asl 1: 50 - Asl 2: 24 - Asl 3: 53 - Asl 4: 36 - Asl 5: 72 - Asl 6: non pervenuta - Asl 7: 35 - Asl 8: 50 - Asl 9: 67 - Asl 10: 53.

Da tempo il Csa, il coordinamento di tante associazioni di cui anche la nostra fa parte, ha denunciato tale comportamento contrario innanzitutto alla legge  e non certo consono ad un ente pubblico che dovrebbe avere tra i suoi primi obiettivi quello della salute dei propri utenti. Ed è proprio partendo dalle continue e frustranti esperienze di tante famiglie, le quali aspettano da anni un lavoro per il proprio congiunto con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia, che abbiamo pensato e proposto un progetto che mettesse in pratica quel concetto di collocamento mirato che a nostro avviso è la parte più innovativa della legge 68/1999 e che secondo noi è l’unico strumento che può permettere di raggiungere l’obiettivo lavoro a chi ha determinati tipi di disabilità. A questo scopo sono stati fatti incontri specifici e mandate lettere all’Assessorato alla sanità e a quello al lavoro della Regione Piemonte, si sono tenute audizioni nelle commissioni competenti di Regione, Provincia e Comune, si è intervenuti in occasione di convegni sulla disabilità.

Un valido sostegno alla nostra causa è giunto anche dall’intervento dell’Assessore al lavoro della Provincia di Torino che ha riunito i Direttori generali delle dieci Asl di Torino e Provincia riproponendo il tema ed invitandoli ad ottemperare alla legge. Sono state quindi firmate con la Provincia le convenzioni che permettono di utilizzare il collocamento mirato (articolo 11 della legge 68/1999), soprattutto per quelle persone con handicap che necessitano di maggiori attenzioni nell’inserimento lavorativo. Sen­za tale convenzione, infatti, non sarebbe possibile attivare alcun progetto di collocamento mirato e le persone con handicap intellettivo avrebbero rischiato di rimanere ancora una volta escluse.

A seguito di tale sollecito tutte le Asl di Torino, e quasi tutte quelle della Provincia, hanno firmato la convenzione che consente sia di diluire nel tempo l’assunzione di persone disabili sia di utilizzare tutti quegli strumenti che aiutano le persone con maggiori difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro: ricerca delle mansioni più idonee, periodi di tirocinio, formazione mirata, accompagnamento e tutoraggio.

Contemporaneamente anche l’Assessore al lavoro della Regione Piemonte s’impegnava a porre il problema delle assunzioni all’attenzione della Giunta regionale perché  fosse garantito il rispetto delle quote. Contemporaneamente l’Assessore alla sanità inviava in data 24 agosto 2005 una lettera di sollecito ai Direttori generali di Asl, Aso (Aziende sanitarie ospedaliere) e Arpa (Azienda regionale per la protezione ambientale) della regione, anche in concomitanza con l’eliminazione del blocco parziale del turnover e con la riapertura delle assunzioni.

Le Asl adducevano come giustificazione la legge finanziaria che aveva decretato il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Si appellavano, poi, alla mancanza (scandalosa dopo sei anni) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che deve regolare le mansioni che, in relazione all’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche e dagli Enti pubblici non economici, non consentono l’occupazione di lavoratori disabili o la consentono in misura ridotta. Forti di tale falla le Asl hanno sempre avuto buon gioco a dichiarare l’impossibilità di ottemperare agli obblighi di legge.

A seguito di un’interrogazione presentata il 30 novembre 2004 dal gruppo consigliare Udc in Regione Piemonte, gli uffici competenti della Regione stessa hanno risposto che, nonostante la mancanza del succitato Dpcm ed in attesa di sua emanazione «i servizi per l’impiego possono avviare al lavoro presso gli enti pubblici ed in particolare le Asl le persone disabili per le quali non sono richieste mansioni tecniche specifiche e che comunque possono essere avviate al lavoro persone con invalidità che non comportano particiolari difficoltà di inserimento. Pertanto la Regione inviterà le Asl ad inserire al lavoro persone disabili per mansioni giudicate praticabili attraverso il rapporto con i servizi anche nelle more del Dpcm». È stato un altro tassello che ci ha permesso di presentare con buone probabilità di successo il nostro progetto.

 

Il collocamento mirato

L’obiettivo da perseguire è quello indicato dalla legge 68/1999: il collocamento mirato, cioè la ricerca di un posto dove la persona con handicap veda valorizzate le sue capacità e le sue potenzialità, in modo da diventare una risorsa per l’azienda che lo assume e non un peso. I dati che bisogna mettere in relazione fra di loro sono le esigenze di chi assume con le capacità di chi è assunto. È importante quindi un lavoro preliminare che segue una metodologia utilizzata, per esempio, nel progetto “MoSil” a cura del Comune di Torino alla fine degli anni ’90 e che consiste in colloqui e questionari appositamente preparati e validificati sia ai responsabili delle aziende sia alle persone candidate. Con questi strumenti si arriva a definire il profilo del candidato adatto ad una data mansione. Tale metodologia viene di volta in volta adattata alle particolari esigenze delle aziende coinvolte e, nel caso in questione, è stata soprattutto utilizzata la parte di valutazione dei candidati in quanto le esigenze  delle singole Asl sono emerse subito in maniera molto chiara.

 

Le azioni intraprese

Nel mese di gennaio 2005  abbiamo inviato il progetto denominato Col.Mir.Asl Piemonte ad alcune Asl della Provincia di Torino chiedendo un incontro individuale di presentazione.

L’Asl 7 di Chivasso è stata la prima a dare la sua disponibilità ad aderire al progetto. L’allora direttore generale, Carlo Tabasso, anche su sollecitazione dell’assessore alle politiche sociali del comune di San Mauro, grazie al quale avevamo attuato un’iniziativa pubblica di sensibilizzazione sui temi dell’handicap in quella zona, ha voluto personalmente visionare il progetto e darci le prime indicazioni sulle mansioni a loro necessarie. Sono stati i successivi contatti con i funzionari amministrativi, con il responsabile del personale e con i referenti dei servizi, che hanno permesso di predisporre un piano di interventi (ricerca delle persone idonee, predisposizione del progetto individualizzato, firma della convenzione con la Provincia, modalità del tirocinio, tempistica) che permettesse di giungere in tempi brevi all’assunzione a tempo indeterminato di tre persone.

Agli incontri per la messa a punto del progetto individualizzato erano sempre presenti: la responsabile del progetto Col.Mir.Asl nonché rappresentanti delle associazioni Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) e Aias (Associazione italiana assistenza spastici), la referente della cooperativa sociale Eta Beta, titolare del “Progetto per attività di integrazione lavorativa di persone con disabilità” approvato dalla Provincia di Torino, un consulente formatore per la selezione delle persone da inserire e per l’analisi dei fabbisogni aziendali.

In modo analogo si è proceduto con le altre due Asl che hanno dato la loro disponibilità a collaborare: la Asl 3 ci ha contattato dopo aver ricevuto la nostra lettera, la Asl 4 a seguito dell’audizione avuta presso l’apposita commissione comunale interassessorile che si occupa dei temi della disabilità in cui erano state convocate tutte le Asl della città di Torino. In molti casi abbiamo rilevato la disponibilità ad assumere personale disabile, ma che avessero competenze molto elevate e quindi fosse in grado di garantire piena produttività: medici, infermieri specializzati, personale amministrativo di alto livello. Tutte figure, queste, che non richiedono certo progetti di collocamento mirato o sostegni di alcun tipo e che sono quasi certamente già occupate. Ab­biamo cercato di far capire loro che la scommessa era proprio quella di inserire al lavoro le categorie più problematiche ritagliando loro mansioni lavorative idonee. Ci siamo riusciti solo in alcuni casi.

 

I soggetti attuatori: loro storia e ruolo nel progetto

Due parole per conoscere meglio i soggetti che hanno promosso ed attuato il progetto.

L’Ulces è iscritta al Registro del volontariato della Regione Piemonte con decreto del Presidente della Giunta regionale 1° giugno 1993 n. 2075. È stata riconosciuta anche come ente morale con decreto ministeriale 19 settembre 1997 ed è registrata presso la Prefettura di Torino con il n. 1390. Svolge un’attività di volontariato promozionale e non gestisce alcun servizio. Si autofinanzia con le quote sociali, le oblazioni ed i diritti di autore relativi alla pubblicazione di testi delle collane pubblicate con le case editrici Utet libreria e Rosenberg & Sellier di Torino. Non ha dipendenti e l’attività è svolta gratuitamente dai volontari. Aderisce dal 1970 al Csa (Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base). Si occupa di difendere i diritti delle persone non in grado di autotutelarsi da sole come le persone con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia, gli anziani malati cronici non autosufficienti ed i minori privi di sostegno familiare.

L’Aias ha una lunga storia soprattutto nella tutela delle persone con handicap fisici. Ha sedi su tutto il territorio nazionale dove gestisce anche servizi di riabilitazione in convenzione col servizio pubblico. La sezione di Torino non gestisce alcun servizio ma si occupa della promozione dei diritti delle persone disabili, sia con handicap fisico che intellettivo. È un ente con personalità giuridica autonoma.

Eta Beta è una Cooperativa sociale che da anni svolge attività di formazione, orientamento e inserimento lavorativo di persone con disabilità in collaborazione con il Comune di Torino, Divisione lavoro servizio disabili e con il servizio Passpartout del Comune di Torino. Attraverso il Consorzio Sinapsi, cui aderisce, partecipa al progetto “Il Lato” della Provincia di Torino, un progetto di tutoraggio e inserimenti lavorativi per disabili; attraverso il Consorzio Sinapsi partecipa alla gestione del “Match” per l’incontro domanda/offerta di lavoro, servizio di valutazione dei soggetti disabili iscritti al collocamento per la Provincia di Torino. Dopo anni di esperienza nei progetti inerenti persone con svantaggio sociale ha consolidato al suo interno specifiche profes­sio­na­lità nella formazione, nell’orientamento, nell’inserimento lavorativo e tutoraggio anche delle persone con handicap. Eta Beta svolge la propria attività imprenditoriale nel campo dei servizi informatici ed occupa oggi 60 persone tra soci lavoratori e dipendenti di cui il 40% sono persone svantag­giate.

Il ruolo delle due associazioni di volontariato è stato sia promozionale che di controllo: promozionale nel senso che sono state parte attiva nell’invio del materiale informativo, nell’organizzare incontri con i re­sponsabili, nell’informare circa le caratteristiche del­le persone che sarebbero state inserite. Hanno inoltre svolto un costante monitoraggio e controllo af­­­finché tutte le procedure fossero rispettate, la scelta dei candidati trasparente, la formazione sufficiente a permettere alle persone prescelte di svolgere al meglio i compiti loro assegnati e di comportarsi in maniera adeguata al loro ruolo, l’ambiente di lavoro accogliente e idoneo a far star bene le persone inserite.

La gestione amministrativa del progetto (compilazione della modulistica, rendicontazione alla Pro­vincia, rapporti con i centri per l’impiego e con i re­sponsabili delle Asl) e la fase vera e propria di inserimento (selezione e scelta dei candidati, colloqui orientativi, rinforzo di competenze in aula, formazione in situazione e monitoraggio dell’inserimento, ulteriori interventi di sostegno nei confronti di colleghi, dei famigliari e delle stesse persone, qualora necessari) sono state tutte mansioni di competenza della cooperativa che li ha svolti con professionalità e attenzione, intervenendo prontamente ogni qualvolta si sono presentati momenti di difficoltà.

Obiettivo primario era l’assunzione della persona (anche perché se non si raggiungeva non ci sarebbe stato il riconoscimento economico del lavoro svolto) e quindi l’impegno profuso era molto maggiore di quello che normalmente viene messo in campo nel caso di tirocini non finalizzati all’assunzione o borse lavoro assistenziali.

 

Progetti di sostegno e di integrazione lavorativa

Come ben spiegato nell’articolo “Handicap: riflessioni sul lavoro in rete dei servizi per l’inserimento lavorativo” a firma di Maria Grazia Breda sul n. 153, 2006, di questa rivista, l’attuale rete dei servizi, che dovrebbero provvedere al collocamento mirato nella Provincia di Torino, non brilla per efficienza, efficacia e risultati ottenuti. Ciò che manca soprattutto è la regia tra i vari attori della rete che in assenza di regole e responsabilità precise lavorano in modo scoordinato e quindi non produttivo. A nostro avviso, sarebbe di fondamentale importanza che avessero come base il centro per l’impiego e che da essi dipendessero funzionalmente. Adducendo come motivazione l’impossibilità di assumere nuovo personale (neanche chi va in pensione verrà forse più sostituito!) o di stabilizzare chi già opera sul territorio, la Provincia di Torino ha messo a bando i servizi di accompagnamento e di inserimento lavorativo erogando contributi dal Fondo regionale per l’occupazione dei disabili a cooperative sociali e loro consorzi, a organizzazioni di volontariato e ad altri soggetti che manifestano, attraverso una convenzione con la provincia stessa, l’intenzione di avviare progetti di inserimenti lavorativi finalizzati all’assunzione in aziende pubbliche o private.

Il primo bando è stato emanato nel 2004 ed è finito nel mese di giugno  2006, data di inizio del secondo bando che terminerà entro il 31 dicembre 2007.

Numerose sono le incognite:

• non c’è la certezza che in ogni realtà della Provincia ci siano cooperative che s’impegnino in questa attività: dai primi dati forniti dalla Provincia, infatti, i progetti per cui è stato richiesto il contributo provengono nella maggior parte dei casi da enti operanti nella città di Torino e non sono molti;

• non esiste alcun vincolo di promuovere l’assunzione di una quota di persone con handicap intellettivo o fisico grave ed i progetti che si propongono di inserire queste persone non sono molti;

• terminato il progetto con l’assunzione della persona, nessuno ha il compito di monitorare tale inserimento e di intervenire qualora sorgessero problemi.

In mancanza però di alternative, abbiamo deciso di tentare questa strada e di impegnarci a fondo per tentare di dare una risposta lavorativa soprattutto a chi di risposte ne ha sempre avute poche. Per l’attuazione del nostro progetto abbiamo quindi aderito al bando della Provincia di Torino “Progetti di sostegno e di integrazione lavorativa di persone con disabilità” che mette a disposizione di chi fa progetti di inserimento lavorativo mirato ad elevata complessità contributi presi dal fondo regionale disabili per azioni di: screening e approfondimento, rimotivazione e formazione breve finalizzata alla mansione da svolgere, tirocini formativi e orientativi, tutoraggio e supporto all’inserimento lavorativo. I contributi vengono erogati solo ad avvenuta assunzione, possibilmente con contratti a tempo indeterminato.

 

Le richieste delle Asl

È stato messo in chiaro che il progetto riguardava l’assunzione di persone con maggiori difficoltà di collocamento a causa del proprio handicap (intellettivo o fisico con limitata autonomia) e le richieste delle Asl, che hanno dato la loro disponibilità, si sono indirizzate subito verso mansioni che non richiedessero alte professionalità ma almeno buone capacità relazionali, attenzione, precisione nell’esecuzione dei compiti e un minimo di autonomia.

Solo nel caso di una Asl la richiesta è stata categorica: le persone da inserire non dovevano avere un handicap intellettivo (se non molto lieve) in quanto le esperienze precedenti erano state negative: numerose persone, infatti, con questa tipologia di handicap erano già state assunte in tempi precedenti quando ancora non vi era attenzione a collocarle in maniera idonea e a formarle adeguatamente e questo ha creato problemi tali da rifiutare di ripetere l’esperienza. La mansione richiesta da questa Asl, d’altronde, è di carattere amministrativo e quindi adatta ad una persona con handicap fisico, eventualmente su sedia a rotelle, essendo la struttura in cui dovrà lavorare priva di barriere architettoniche.

Nelle altre Asl si è cercata una mediazione: accanto all’assunzione di alcune persone con handicap intellettivo idonee a svolgere lavori relativamente semplici, la cooperativa si è impegnata a ricercare anche persone con altre tipologie di handicap da inserire in ruoli più qualificati: così nell’Asl 7, accanto a Paolo (handicap fisico e intellettivo col 55% di invalidità), che lavora all’inserimento dati presso il centro informatico, e Biagio (handicap intellettivo col 46% di invalidità), assunto come fattorino dalla cooperativa che ha l’appalto di questo servizio nell’Asl, vi è Giuseppe (handicap fisico col 75 % di invalidità), che lavora come impiegato presso l’ufficio personale.

All’Asl 3 Enrico (handicap intellettivo col 76 % di invalidità) e Francesco (handicap fisico grave in sedia a rotelle) hanno finalmente un lavoro adatto a loro, che li gratifica grandemente ed in cui, a detta degli stessi referenti, sono bravissimi: danno le informazioni in due diversi poliambulatorii cittadini indirizzando le persone negli uffici e negli ambulatori giusti, informando circa prenotazioni e orari di visita, consegnando referti. Enrico, che non ha problemi deambulatori, fa funzionare il servoscala per permettere alle persone con disabilità fisica di raggiungere gli ambulatori. Infine Daniela (handicap fisico col 52%) è addetta allo sportello delle prenotazioni delle visite specialistiche.

La collaborazione con una di queste Asl, in particolare, si è stabilizzata ed ampliata: una delle preoccupazioni che maggiormente rileviamo, in chi deve assumere personale con handicap, è il timore di dover inserire persone non in grado di svolgere appieno i loro compiti o addirittura di dover essere loro stessi accuditi in quanto non in grado di reggere un percorso lavorativo. Ci troviamo a dover pagare, in molte realtà, lo scotto degli inserimenti effettuati negli anni scorsi, quando ancora non si parlava di collocamento mirato, ma si avviavano le persone con chiamata numerica, senza adeguata formazione, tutoraggio e soprattutto non in grado di svolgere le mansioni loro assegnate. Sono convinta che questo non succeda quasi più. Purtroppo, però, si è consolidato un vissuto che vede ancora questi soggetti non come risorse ma come peso, come individui da assistere e non come persone che hanno dei limiti, ma anche delle potenzialità che vale la pena di far emergere, di valorizzare ed utilizzare a tutto vantaggio loro e della collettività.

La collaborazione che abbiamo offerto con questo progetto ha permesso di far capire quanto sono importanti i servizi di supporto soprattutto nella prima fase di analisi delle necessità aziendali e nella conseguente selezione dei candidati più idonei: se questa fase viene eseguita correttamente anche l’inserimento non presenterà grandi problemi. Ma se si inserisce una persona senza aver prima valutato bene la sua compatibilità con ciò che sarà chiamata a fare, quasi sicuramente si andrà incontro ad un fallimento. Gli esiti negativi possono comunque avvenire anche se le premesse sono ottime. Quando subentrano dei problemi l’importante, a mio avviso, è accorgersene per tempo, tentare il più possibile di intervenire con azioni di supporto e di rinforzo per non soccombere alla prima difficoltà ma poi avere anche il coraggio di interrompere l’inserimento qualora la non compatibilità permanesse. Qualche volta basta cambiare ufficio, colleghi o mansione e tutto va per il meglio. La flessibilità in questi casi è fondamentale.

Ciò è avvenuto anche nel nostro progetto: in qualche caso è stato sufficiente l’intervento dell’operatore che seguiva il caso e minime azioni di sostegno; in un altro caso si è dovuti intervenire sostituendo la persona con altra più idonea.

L’azienda ha dimostrato di apprezzare la tempestività degli interventi e la professionalità degli operatori: ha capito di non essere sola a dover gestire problematiche che non aveva voglia o competenza per gestirle autonomamente e ci ha premiati affidandoci il compito di inserire altre persone.

 

Come sono state scelte le persone e quale percorso hanno fatto?

Anche le Asl coinvolte nel progetto, così come qualsiasi altra azienda che lo desideri, hanno firmato con la Provincia la convenzione in base all’articolo 11 della legge 68/1999 che permette di accedere ad alcune agevolazioni e di procedere all’assunzione graduale di personale con handicap.

In ogni convenzione quadro le aziende sanitarie hanno concordato con la Provincia il numero di assunzioni che intendevano fare in un ben determinato lasso di tempo.

Dopo un’analisi attenta delle mansioni richieste si è provveduto ad estrarre dalla banca dati della cooperativa e dell’associazione i nominativi delle persone con il profilo professionale che maggiormente si avvicinava a quello richiesto. In alcuni casi i nominativi in nostro possesso sono stati sufficienti per rispondere alle esigenze dell’azienda, in altri casi abbiamo fatto ricorso agli elenchi del centro per l’impiego di riferimento che ha di buon grado collaborato, anche perché gli utenti in attesa di un lavoro sono sempre tanti mentre le opportunità non sono purtroppo molte.

Le persone sono state scelte innanzitutto in base alla tipologia del loro handicap: ogniqualvolta infatti il ruolo lavorativo poteva essere ricoperto da per­sone con un handicap intellettivo queste avevano la pre­cedenza. Tra tutte le persone selezionate, poi, si cer­cavano quelle che avessero le caratteristiche più idonee dal punto di vista della professionalità e, a parità di profilo professionale, veniva scelta quella con maggiore anzianità di iscrizione al collocamento.

Qualora le mansioni avessero richiesto competenze troppo elevate per essere svolte da una persona con handicap intellettivo, anche se lieve, si è passati ad inserire persone con altri handicap premiando ancora una volta coloro che avevano disabilità più elevate (ad esempio un ragazzo non deambulante) e più lunga anzianità di iscrizione al collocamento.

Le persone individuate venivano accompagnate dal tutor a colloquio col referente dell’azienda e se il colloquio risultava soddisfacente si procedeva con l’inserimento, tramite tirocinio, nel posto prescelto.

L’inizio del tirocinio veniva comunicato al centro per l’impiego di competenza con apposita modulistica in cui veniva siglata la convenzione tra il centro per l’impiego, il datore di lavoro, il tirocinante e l’agenzia di supporto e venivano esplicitati il piano formativo, le mansioni da svolgere, l’orario, le modalità di svolgimento del tirocinio, il nome del referente aziendale ed infine la volontà, da parte dell’azienda, di procedere con l’assunzione al termine del tirocinio se questo avesse dato buon esito.

I tirocini hanno avuto una durata media di tre mesi durante i quali è stata erogata da parte dell’azienda una borsa lavoro di importo di circa 300 euro: l’Asl non ne ha potuto chiedere il rimborso alla Regione trattandosi di Ente pubblico, mentre per altre aziende o cooperative ciò è stato possibile sia per le persone con un handicap intellettivo (indipendentemente dalla percentuale d’invalidità), sia per quelle con minorazione fisica con invalidità superiore al 67% (1).

Al termine del periodo di tirocinio tutte le persone sono state assunte con contratto a tempo indeterminato, dopo aver superato anche il periodo di prova.

 

Uno sguardo sulle persone inserite

Ho iniziato parlando di una storia vera, vorrei concludere con altre. La testimonianza è molto utile per capire, per passare dall’astrazione al concreto, dalla generalizzazione all’individuo. Credo che questi giovani e non più giovani rappresentino bene le centinaia di persone che per anni restano iscritte nelle liste speciali dei centri per l’impiego aspettando un lavoro che purtroppo non sempre arriverà. Loro ce l’hanno fatta e noi vorremmo che le loro storie fossero di stimolo per altri giovani e le loro famiglie a non rassegnarsi ma a continuare a lottare e chiedere a gran voce che il loro diritto ad avere un lavoro venga tutelato.

 

Storia di Enrico

Di lui qualcuno del centro per l’impiego aveva detto: «certo che è difficile trovargli un lavoro. Le imprese chiedono anche una bella presenza e lui non è proprio bello». Se poi oltre a non essere bello uno ha anche un handicap intellettivo e una lieve spasticità alle mani ed una percentuale di invalidità del 76%, cosa deve fare? Rinchiudersi in casa e non farsi più vedere? Enrico e la sua famiglia non lo hanno fatto e sono stati premiati. Erano sempre presenti quando si faceva una manifestazione, era iscritto a tutti i possibili corsi di formazione, aveva alle spalle un curriculum di tirocini e di esperienze di lavoro mai concretizzatesi con un’assunzione, ha fatto un’esperienza di alcuni mesi in Spagna con un progetto europeo riservato alle persone con disabilità fisica (ma lui è stato accettato lo stesso, nonostante l’handicap intellettivo), aveva svolto molte ore di lavoro come volontario a piegare volantini e spedire lettere in associazione. Dopo tanto tempo passato a casa ad accudire la madre spesso malata, finalmente all’età di 32 anni Enrico ha potuto realizzare il suo sogno: avere un lavoro in cui impegnarsi, in cui far vedere cosa è capace di fare. Un lavoro che gli ha permesso di essere indipendente economicamente dalla famiglia e soprattutto gli ha permesso di uscire di casa la mattina e stare a contatto con la gente, colleghi o pazienti che si recano nel poliambulatorio dell’Asl, con i quali si relaziona perfettamente e dai quali è molto apprezzato per la puntualità, la costante presenza e la disponibilità ad aiutare chiunque e a collaborare affinché tutto proceda bene. L’Asl è diventata quasi la sua seconda casa e nulla può tenerlo lontano dal suo lavoro: quest’estate ha anche accettato di ampliare il suo orario per sostituire i colleghi in ferie.

Le sue mansioni consistono nel dare informazioni ai pazienti che devono effettuare visite nel poliambulatorio indirizzandoli nelle varie stanze di visita e informandoli sugli orari di visita dei vari medici o delle varie commissioni, nell’aiutare le persone in sedia a rotelle a utilizzare il servoscala, consegnare i referti a coloro che vengono a ritirarli. Questa è una delle ultime mansioni che gli sono state affidate e che espleta con grande attenzione e rigore facendo attenzione a non sbagliare e rifiutandosi di consegnare i referti in mancanza del diretto interessato o della delega al ritiro.

L’inserimento di Enrico è stato preceduto da un periodo di rinforzo di competenze con particolare attenzione alla gestione dell’ansia, delle emozioni, della rabbia soprattutto, perché  la mancanza di controllo in determinate situazioni in passato aveva crea­to problemi. Evidentemente Enrico ha fatto te­soro degli sbagli del passato e tutto è andato bene.

L’ambiente è in questi casi molto importante ed Enrico è stato fortunato perché ha incontrato colleghi e superiori attenti e sempre disponibili ad aiutarlo e a dargli fiducia.

 

Storia di Biagio

Biagio è un ragazzo adottivo, con una famiglia che ha saputo cogliere i segnali del suo disagio già nella scuola ma che l’ha aiutato a superarli con supporti educativi specialistici, ma soprattutto spingendolo  ad un percorso di vita che fosse di massima autonomia e di normalità.

Il problema di Biagio a scuola era la dislessia e la difficoltà di concentrazione oltre ad un lieve ritardo intellettivo (ha il 46% di invalidità), ma ciò non gli ha impedito di frequentare una scuola per operatori di comunità raggiungendo anche il diploma. È riuscito anche a prendere la patente ed è stata proprio questa sua specificità a renderlo idoneo a ricoprire il ruolo di fattorino e autista di cui un ospedale della cintura di Torino necessitava: l’assunzione è stata effettuata dalla cooperativa che ha l’appalto di questo servizio ed ora Biagio dopo un periodo di tre mesi di tirocinio è stato assunto a tempo indeterminato con un orario part time dal lunedì al venerdì.

Nel periodo di tirocinio è stato affiancato ad un autista più anziano che ha provveduto a fargli la formazione in situazione facendosi accompagnare nei percorsi di consegna sul territorio finché non è stato in grado di muoversi autonomamente. In questo caso l’ente di supporto al collocamento mirato  ha svolto prevalentemente un ruolo di sostegno amministrativo alla cooperativa che l’ha assunto ed ha effettuato col ragazzo un breve percorso di rinforzo di competenze di base oltre che di monitoraggio dell’inserimento.

Il ragazzo è contento del suo lavoro anche perché risponde in pieno al suo desiderio di avere un lavoro non routinario e soprattutto non sedentario, chiuso in un ufficio. La sua mansione consiste nel consegnare provette di sangue o altro materiale da analizzare presso ospedali della città di Torino e di Ivrea partendo dalla sua sede presso l’ospedale di Chivasso nell’hinterland torinese. Fino a qualche mese fa aveva anche il compito di accompagnare pazienti che dovevano fare la dialisi presso l’ospedale di Ivrea e riportarli al proprio domicilio. Poi il servizio è stato sospeso con grande suo dispiacere perché era un lavoro che gli piaceva molto e gli permetteva di entrare in contatto con molte persone. La consegna di materiale, al contrario, la fa da solo.

Prima di essere assunto Biagio aveva cercato da solo dei lavori che però duravano sempre poco tem­po e soprattutto non erano seguiti da nessun tipo di sostegno: come commesso non andava d’accordo col padrone del negozio che gli dava troppe incombenze e lui non riusciva a svolgerle in breve tempo, presso la fabbrica di un amico ha lavorato su una macchina per la produzione di silicone ma alla fine del contratto a tempo determinato non è stato più riconfermato e lo stesso per quanto riguarda il tirocinio come magazziniere presso una ditta di vini che il Sil (Servizio di inserimento lavorativo) che lo aveva in carico gli ha offerto. Dopo ogni insuccesso lo scon­forto aumentava anche perché in molti casi non veniva data la motivazione e non si sapeva se la col­pa era del ragazzo che non era adeguato alla mansione o se era l’azienda che aveva cambiato idea.

Questo modo di operare non aiuta certo a capire le potenzialità delle persone e provvedere in caso di necessità ad eventuali rinforzi di competenze negli ambiti carenti. Tra un lavoro e l’altro c’erano lunghi periodi in cui non faceva nulla. Ora Biagio è un ragazzo realizzato che però non smette di tenersi aggiornato su eventuali possibilità di altri lavori che gli permettano di migliorare la sua posizione e gli diano una maggiore certezza per il suo futuro.

 

Conclusioni

Per concludere, ci piacerebbe che la lettura di queste storie fosse di stimolo anche per le imprese e le aiutasse a fare un salto di qualità nel valutare queste persone: vorremmo che le imprese smettessero di pensare che la persona con handicap rappresenta sempre e solo un peso e un mancato profitto. Do­vrebbero invece imparare a valutare correttamente e a valorizzare le capacità di queste persone e non dimenticare gli obblighi sociali che anche l’impresa dovrebbe avere nei confronti della società di cui fa parte. Il permettere a queste persone di ave­re una vita lavorativa piena dovrebbe essere uno degli obiettivi di responsabilità sociale a cui nessuna im­pre­sa, pubblica o privata che sia, dovrebbe sottrarsi.

Ci piacerebbe infine che leggendo queste storie anche coloro che devono programmare e preventivare fondi e servizi atti a combattere la disoccupazione riservassero un’attenzione particolare a chi ha più difficoltà di altri ad inserirsi nel mondo del lavoro: occorre vedere le cose con più lungimiranza di quanto non si è fatto finora e valutare se, oltre l’aspetto morale, non ci sia alla fine anche un tornaconto economico  per tutta la società nel permettere a queste persone di mantenersi col proprio lavoro.

 

 

(*) Coordinatrice del Ggl (Gruppo genitori per il diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo). E-mail:
emanuela.buffa@tiscali.it.

(1) I criteri per l’accesso ai rimborsi delle aziende private sono fissati dalla legge della Regione Piemonte 29 agosto 2000, n. 51 “Fondo regionale per l’occupazione dei disabili”.

 

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