Prospettive assistenziali, n. 155, luglio - settembre 2006

 

 

Specchio nero

 

 

L’INSENSATO E ANTICOSTITUZIONALE PROGETTO DI LEGGE PRESENTATO AL CONSIGLIO DELLA REGIONE VENETO PER L’ISTITUZIONE DI UN FONDO SULLA NON AUTOSUFFICIENZA

 

Il  progetto di  legge  n.  131,  presentato  in data  6 marzo  2006  al  Consiglio  regionale  del  Veneto  dai consiglieri De Poli, Bazzoni, Frigo, De Boni, Cortelazzo, Zanon, Manzato, Sernagiotto, Grazia, Stival, Valdegamberi, Trento, Piccolo, Silvestrin, Pettinò, Atalmi, Tiozzo, Fontanella, Causin, Teso e Bond, è privo di ogni logica giuridica, umana e sociale.

 

Negata agli infermi cronici la condizione di malati

la proposta di legge n. 131  non riconosce ciò che è evidente e cioè che gli anziani (nonché i giovani e gli adulti) cronici non autosufficienti sono persone colpite da malattie le cui conseguenze si prolungano nel tempo e determinano non solo sofferenze spesso atroci, ma anche limitazioni notevoli alla loro autonomia a tal punto che da sole non sono in grado di soddisfare le primarie esigenze di vita.

Si tratta, dunque, di soggetti che, a causa della gravità delle loro condizioni fisiche e/o psichiche, necessitano di cure sanitarie, anche per evitare o limitare gli aggravamenti e per contrastare in tutta la misura del possibile il dolore.

 

Ignorate le vigenti leggi dello Stato

le leggi vigenti (la prima la numero 692 risale addirittura al 1955) (1) obbligano il Servizio sanitario nazionale a fornire senza limiti di durata e gratuitamente le occorrenti cure sanitarie praticate da ospedali e da case di cura private convenzionate durante la fase acuta.

Se interviene una situazione di cronicità, le disposizioni dello Stato stabiliscono che, senza alcuna interruzione, le cure devono essere garantite (cfr. l’articolo 54 della legge 289/2002) dallo stesso Servizio sanitario nazionale presso le Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) e strutture similari nei casi in cui i soggetti interessati e/o i loro congiunti non accettino di provvedere a livello domiciliare.

Anche nelle situazioni di cronicità, le cure sanitarie devono essere fornite senza limiti di durata, ma il malato deve contribuire al pagamento della quota alberghiera nei limiti delle sue personali risorse economiche, mentre nessun onere economico può essere imposto dagli enti pubblici ai congiunti, compresi quelli conviventi (2).

Di fronte a questa situazione, che assicura agli anziani cronici non autosufficienti tutti i necessari interventi, nella proposta di legge in oggetto non solo non si fa mai riferimento alle leggi dello Stato e non viene esplicitato che i destinatari degli interventi sono persone malate, ma di fatto si nega la loro condizione di infermi.

Infatti, l’articolo 2 afferma che «ai fini della presente legge è non autosufficiente la persona anziana o disabile che non può provvedere in modo autonomo alla cura della propria persona, rapportata all’età e non può mantenere una normale vita di relazione senza l’aiuto determinante di altri» (3).

Si tratta, com’è evidente, di una definizione che, mentre ignora lo stato di malattia, consente di intervenire, sottraendole alla esclusiva competenza sanitaria, anche nei confronti delle persone con gravi patologie in atto: è, infatti, sufficiente che il soggetto non possa «provvedere in modo autonomo alla cura della propria persona». Ad esempio, in base alla sopra citata definizione possono essere dirottate dalla sanità all’assistenza i soggetti in coma o colpiti da ictus che necessitano, com’è ovvio, di interventi medici altamente specializzati.

 

Conseguenze del tentativo di trasferimento delle competenze dal settore sanitario a quello assistenziale

Come abbiamo già rilevato, i cittadini hanno il diritto esigibile alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale anche nei casi in cui sia insorta una condizione di cronicità e di non autosufficienza.

Se, invece, viene fatto riferimento al settore dell’assistenza sociale come stabilisce il progetto in esame (4), i cittadini malati cronici non autosufficienti non hanno alcuna possibilità di far valere diritti concretamente azionabili per quanto concerne, ad esempio, la degenza presso Rsa o strutture similari. Le attuali liste di attesa, anche di due-tre anni, per ottenere che le Asl autorizzino il ricovero presso le suddette strutture ne sono la conferma.

 

Beneficiari del Fondo per la non autosufficienza

Il Fondo della Regione Veneto per la non autosufficienza non riguarda tutti i cittadini, ma esclusivamente «i residenti nel Veneto da almeno cinque anni continuativi».

Di conseguenza coloro che trasferiscono la loro abitazione nel Veneto, per cinque anni sono privi di ogni tutela e, quindi, se diventano non autosufficienti, devono provvedere con le proprie risorse economiche.

I beneficiari devono, inoltre, essere in regola con il versamento di un contributo obbligatorio, previsto per ogni residente maggiorenne nelle misura massima di euro 180 all’anno. La Regione ha la facoltà di aggiornare annualmente detto importo e può esentare «le persone che si trovano in una situazione economica inferiore ai limiti fissati dalla Giunta regionale».

 

Ammontare del contributo erogabile agli anziani malati cronici dal Fondo per la non autosufficienza

Il comma 1 dell’articolo 5 del progetto di legge in esame precisa che «gli importi erogabili per l’accesso alle prestazioni del Fondo non possono superare l’importo medio mensile di euro 1.350 per le prestazioni afferenti al sistema della domiciliarità e quello di 2.700 euro per l’accesso alle prestazioni di carattere residenziale».

È, altresì, disposto che «per i beneficiari delle prestazioni a carico del Fondo e che percepiscono assegni di invalidità civile, gli importi di cui al comma 1 sono ridotti dell’importo pari all’indennità percepita».

Tenuto conto che l’ammontare dell’indennità di accompagnamento erogato dallo Stato ai sensi della legge 18/1980 a tutte le persone non auto­sufficienti è di 450 euro mensili, i sopra indicati importi sono ridotti da 1.350 euro a 900 e da 2.700 a 2.250.

Inoltre, occorre tener conto che il 7° comma dell’articolo 5 del progetto 131 sancisce quanto segue: «L’indennità regionale per la non autosufficienza per le prestazioni di residenzialità è ridotta dell’importo pari al reddito annuo della persona beneficiaria delle prestazioni stesse, fatta salva la “quota personale” determinata con provvedimento della Giunta regionale» (5).

Infine (articolo 5, comma 6), poiché «l’erogazione  degli interventi e delle prestazioni a carico del Fondo decorrono dal primo giorno del mese successivo alla data del riconoscimento del diritto», sono a carico del soggetto interessato tutti gli oneri dall’insorgere della non autosufficienza alla data sopra indicata (6).

 

Condizionamenti previsti per l’individuazione e valutazione del contributo per la non autosufficienza

In primo luogo è assai preoccupante che il progetto di legge in esame non contenga alcuna disposizione volta a consentire ai cittadini di presentare ricorsi contro le decisioni assunte o prese in ritardo o non condivise per quanto concerne il diritto all’erogazione del contributo per la non autosufficienza e il relativo ammontare (7).

Inoltre, va osservato che il progetto di legge in esame attribuisce (articoli 3 e 4) alle Unità valutative multidimensionali distrettuali ogni potere riguardante l’individuazione degli interventi ritenuti necessari per gli anziani non autosufficienti (prestazioni domiciliari, degenza presso strutture semiresidenziali e residenziali, ecc.) e l’ammontare del contributo.

Anche per quanto riguarda le sopra indicate attività, nel progetto in esame non è prevista alcuna possibilità di presentare ricorsi.

Fra l’altro le Unità valutative sono composte da operatori delle Aziende sanitarie locali e dai Comuni: c’è quindi il rischio che diventino strutture con finalità e interessi unilaterali.

 

Violata la Costituzione

A tutela dei cittadini, l’articolo 23 della Costituzione recita quanto segue: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Com’è ovvio, deve trattarsi di legge dello Stato.

Ne deriva che le regioni, in assenza di disposizioni approvate dal Parlamento, non possono imporre alcun contributo economico alla generalità dei cittadini.

Possono solamente, ai sensi dell’articolo 25 della legge 328/2000 e rispettando quanto previsto dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, stabilire norme riguardanti la compartecipazione economica degli utenti dei servizi assistenziali.

Risulta pertanto non veritiera l’affermazione contenuta nella relazione del progetto di legge in esame secondo cui «le modifiche del titolo V della Costituzione rendono possibile una gestione regionale del Fondo per la non autosufficienza» almeno per quanto concerne l’imposizione a tutti i cittadini del Veneto del versamento di denaro al suddetto Fondo.

 

Una drammatica testimonianza

In merito alle questioni degli anziani cronici non autosufficienti, riportiamo nuovamente la testimonianza della signora Maria Mattiello, abitante in Provincia di Vicenza, già pubblicata sul n. 139, 2002 di questa rivista: «Dopo tre anni e mezzo trascorsi su una sedia a rotelle, assistita da me, che per tutto questo periodo ho chiesto il part-time, e dall’unico mio fratello sordomuto dalla nascita, mia mamma è stata colpita da “probabile ictus”, quindi ricoverata urgentemente  in ospedale. Qui  le è stata negata una Tac perché non serve (forse perché anziana?). Angosciata per questa indicibile situazione, ho chiesto il trasferimento in altro ospedale per conoscerne le reali condizioni di salute; il responso, dopo la Tac, è di atrofia cerebrale diffusa da sofferenza ischemica in assenza di sicure lesioni focali. Non è stato quindi riscontrato il probabile ictus che avrebbe colpito la parte destra, come ipotizzato per 40 giorni dal primo ospedale.

«Risultato: non parla, non deglutisce, non ha alcun stimolo visivo, dell’udito o del tatto, viene nutrita con sondino naso-gastrico, porta il catetere e viene necessariamente aspirata. Già dopo otto giorni dal ricovero sono invitata a trovami una struttura assistenziale naturalmente a pagamento. Qui è incominciato l’iter più doloroso di tutta la vicenda. Non essendoci posti disponibili, mi sento fare dal Responsabile Area Anziani questa allucinante proposta: io, come figlia, esulando dal fatto che devo pur lavorare mezza giornata per procurarmi il minimo sostentamento (non ho altre fonti di reddito) avrei dovuto recarmi dalla capo-sala della geriatria per farmi insegnare l’uso del sondino naso-gastrico, la pulizia del catetere, le posture, ecc. ecc… e portarmi provvisoriamente a casa la mamma. Le uniche parole solidali e di incoraggiamento mi sono arrivate dall’allora Ministro della sanità, prof. Umberto Veronesi.

«Al primo posto che si rende libero, la mamma viene trasferita in una struttura assistenziale priva della presenza infermieristica notturna, pur ospitando malati cronici in gravi condizioni di salute. Trascorrono ben 15 mesi e la situazione va sempre più aggravandosi fino all’ennesimo attacco che la porta in ospedale il 10 gennaio 2002. Dopo 8 ore di sosta forzata al pronto soccorso, poiché non ci sono posti liberi in medicina o geriatria, né in questo ospedale né in quelli del comprensorio dell’Ulss, obietto che mia madre ha il diritto di morire dignitosamente in un letto e che non accetto venga trasferita da una città all’altra come un pacco postale. Chiedo se in tutto l’ospedale non rimane un posto libero (forse negli altri reparti i pazienti non sono assistiti da medici?) altrimenti avrei optato per il rientro nella struttura assistenziale. Poco dopo arriva il via per il ricovero nel reparto di chirurgia sia di mia mamma sia di un’altra signora nelle medesime condizioni. La sera successiva vengono entrambe trasferite nel reparto geriatria e, dopo 4 giorni di straziante agonia, la mamma cessa il suo calvario» (8).

 

 

ROMANIA: BIMBI ABBANDONATI A LORO STESSI E MESSI ALL’ASTA

 

Con questo titolo, l’articolo di Michaela Jordache, apparso su Avvenire del 15 giugno 2006, segnala la drammatica situazione dei bambini senza famiglia della Romania.

Secondo i dati forniti dall’Autorità romena per la protezione e tutela del bambino, dall’Unicef e da Save The Children e ripresi nell’articolo in oggetto, sono quasi 33 mila i bambini romeni ricoverati negli istituti pubblici (27.363) e in quelli privati (5.488).

Restano ricoverati nonostante che, come precisa l’Autrice, «famiglie pronte ad adottare ce ne sono tante. A partire dalle coppie locali, che la legge del 2005 – varata con la raccomandazione dell’Unione europea – favorisce rispetto a potenziali genitori stranieri».

Michaela Jordache evidenzia che «per questi ultimi, adottare un bambino romeno è assai improbabile. Le richieste di adozione sono 2.000, mentre i bambini “adottabili” sono soltanto 800».

Nonostante che la legge del 2005 abbia lo scopo di tutelare il diritto alla famiglia dei bambini che ne sono privi, l’Autrice denuncia un allarmante fenomeno che «non è più tabù, dal momento che anche Theodora Berti, Segretario di Stato, ne parla pubblicamente».

Secondo il suddetto Segretario di Stato «vi sono voci che un bambino abbandonato nella clinica di maternità o nei reparti di pediatria si può comprare tra 4 mila e 10 mila euro».

Lo scenario sarebbe il seguente: le donne vanno nelle maternità delle grandi città come Bucarest, Oradea, Jasi, Cluj o Costanza; dichiarano di non aver documenti; danno alla luce il bambino e il giorno dopo spariscono senza lasciare alcuna traccia.

Ne conseguirebbe che i bambini, privi di certificato di nascita, di nome e, soprattutto, del codice numerico personale, diventano facili prede.

La giornalista evidenzia un comportamento molto significativo: «Per evitare di farseli sottrarre, il dottor Bogdan Jansen, Direttore dell’ospedale Caritas della capitale, ammette di tenere i neonati “sotto chiave”» e aggiunge: «In mancanza di coordinamento tra le diverse istituzioni – la polizia, gli uffici per la protezione dei minori e le strutture sanitarie – ai bambini non vengono rilasciati documenti. Non possono quindi essere affidati agli assistenti sociali e restano nei nosocomi, che però non ricevono fondi per il loro mantenimento» il cui costo è di quasi 3 mila euro all’anno per ciascun bambino.

L’aspetto più allarmante, puntualizza Michaela Jordache, riguarda il presente e il futuro dei neonati. Infatti «nello stesso reparto, come in molti altri, piccoli anche di 6 mesi crescono nei lettini».

Ne consegue che «giovani coppie, esasperate dall’attesa e dall’eccessiva burocrazia delle adozioni, spesso scelgono la via più rapida, ma illegale. Con la complicità della madre, per una somma di denaro, l’aspirante genitore si dichiara padre naturale, mentre la moglie accetta di adottare il bam­bino».

Per quanto riguarda le adozioni internazionali di bambini romeni, con una legge del 2005 «la Romania le ha di fatto rese impossibili se non nel caso di aspiranti genitori che abbiano almeno una lontana parentela con il bambino».

 

 

 

(1) Si vedano, altresì, l’articolo 29 della legge 132/1968 (le Regioni devono programmare i posti letto tenendo conto delle esigenze dei malati “acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti”) e la legge 833/1978 in cui è stabilito che il Servizio sanitario nazionale deve garantire a tutti i cittadini le cure qualunque siano “le cause, la fenomenologia e la durata” delle malattie. Cfr. Francesco Santanera e Maria Grazia Breda, Come difendere i diritti degli anziani malati, Utet Libreria.

(2) Si ricorda che in base alle leggi vigenti (articolo 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, il malato ultrasessantacinquenne deve provvedere al pagamento della quota alberghiera di ricovero presso Rsa e strutture similari (il cui ammontare non può essere superiore al 50% della retta totale) sulla base delle proprie risorse personali tenendo conto degli eventuali obblighi familiari (ad esempio mantenimento del coniuge) e sociali (ad esempio pagamento delle rate del mutuo stipulato precedentemente al ricovero). Molto spesso queste disposizioni non vengono rispettate dai Comuni, compresi quelli del Veneto.

(3) Per quanto concerne i soggetti privi di autonomia a causa di handicap, ricordiamo ancora una volta che i Comuni sono obbligati ad assisterli ai sensi degli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931. Detto decreto riprende le disposizioni sancite dal regio decreto 6535/1889 che attribuiva ai Comuni il compito di assistere gli inabili al lavoro proficuo e cioè «le persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza». Cfr. Massimo Dogliotti, “I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà…«pericolosi per l’ordine pubblico» hanno ancora diritto ad essere assistiti dai Comuni”, Prospettive assistenziali, n. 135, 2001. Anche ai sensi dei sopra citati articoli 154 e 155 gli enti pubblici non possono imporre contributi economici ai congiunti dell’assistito, compresi quelli conviventi.

(4) L’articolo 1 del progetto di legge 131 precisa che l’istituzione del Fondo regionale per la non autosufficienza ha lo scopo «di ampliare ed implementare il sistema regionale di assistenza sociale». È omesso ogni richiamo alle vigenti norme che obbligano il Servizio sanitario nazionale a fornire le necessarie prestazioni anche alle persone anziane colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza. L’ultimo comma dell’articolo 3 del progetto di legge in esame precisa solamente che «non sono a carico del Fondo le prestazioni sanitarie, così come determinate dalla Giunta regionale in applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, allegato 1C». Anche la recente deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 464 del 28 febbraio 2006 non fa alcun riferimento alle leggi dello Stato che sanciscono il diritto esigibile alle cure sanitarie e socio-sanitarie citate in precedenza in questo articolo.

(5) La sopra riportata disposizione non tiene conto della situazione dei nuclei familiari in cui l’unico reddito è percepito da un solo componente. Ne deriva che spesso gli altri membri del nucleo familiare (in genere le donne, nonché gli altri soggetti a carico) rischiano di restare senza risorse economiche indispensabili per vivere.

(6) Si tenga presente che la sopra riportata disposizione non riguarda solo l’erogazione del contributo economico, ma anche tutti gli altri interventi concernenti il Fondo per la non autosufficienza.

(7) Poiché il contribuito economico viene erogato nell’ambito delle attività di competenza del settore assistenziale, riteniamo che alle disposizioni del progetto in esame non siano applicabili le vigenti norme che consentono ai cittadini di presentare osservazioni o opposizioni in materia di sanità. Infatti, la seconda parte del 5 comma dell’articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 stabilisce quanto segue: «Al fine di garantire la tutela del cittadino avverso gli atti o comportamenti con i quali si nega o si limita la fruibilità delle prestazioni di assistenza sanitaria, sono ammesse osservazioni, opposizioni, denunce o reclami in via amministrativa, redatti in carta semplice, da presentarsi entro quindici giorni dal momento in cui l’interessato abbia avuto conoscenza dell’atto o comportamento contro cui intende osservare od opporsi, da parte dell’interessato, dei suoi parenti o affini, degli organismi di volontariato o di tutela dei diritti accreditati presso la Regione competente, al direttore generale dell’Unità sanitaria locale o dell’azienda che decide in via definitiva o comunque provvede entro quindici giorni, sentito, il direttore sanitario. La presentazione delle anzidette osservazioni ed opposizioni non impedisce ne preclude la proposizione di impegnative in via giurisdizionale». la possibilità di presentare le osservazioni e le opposizioni di cui sopra e un altro elemento che depone a favore della scelta della competenza del Servizio sanitario nazionale in merito alle prestazioni per le persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

(8) Una testimonianza più dettagliata predisposta dalla stessa signora Maria Mattiello è riportata nell’articolo “L’allucinante vicenda di mia madre”, Prospettive assistenziali, n. 140, 2002.

 

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