Prospettive assistenziali, n. 154, aprile - giugno 2006

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

 

RICHIESTE DEL GRUPPO DELL’ANFAA DI TORINO IN MERITO AGLI AFFIDI E ALLE ADOZIONI

 

Questo è il resoconto dell’incontro avuto il 28 febbraio 2006  dall’Anfaa a Torino con la Presidente del Tribunale per i minorenni Giulia De Marco e il giudice Cesare Castellani (che le subentra come reggente da metà maggio). L’incontro era stato richiesto per un confronto in merito all’affidamento familiare, con particolare riferimento alla durata, alle conclusioni degli stessi affidamenti e ai possibili  rapporti degli affidatari col bambino o ragazzo dopo l’affidamento e per considerare come gli affidatari possano essere ascoltati dai giudici in tempi compatibili con le questioni poste.

 

Ci siamo ancora confrontati all’interno dell’Anfaa dopo l’incontro avuto il 28 febbraio scorso con Lei e l’allora presidente Giulia De Marco e abbiamo ritenuto opportuno scriverLe per riprendere quanto emerso e per esporre brevemente le nostre considerazioni e proposte in merito.

1. Per quanto riguarda laffidamento familiare:

a) prendiamo atto, con favore, dell’impegno da Voi assunto di sentire gli affidatari prima di prendere nuovi provvedimenti sui minori da loro accolti e sottolineiamo ancora la necessità che gli stessi affidatari (su loro richiesta scritta) vengano sentiti dal giudice competente  in tempi compatibili con l’urgenza e la gravità delle questioni prospettate, nei casi in cui la loro valutazione della situazione del minore affidato sia divergente rispetto a quella dei servizi socio-assistenziali e sanitari (se tutto procede bene gli affidatari non chiedono di parlare con il giudice…);

b) rinnoviamo la richiesta al Tribunale di sollecitare la piena osservanza da parte dei servizi competenti dell’articolo 4, comma 2, della legge 184/1983, che prevede l’obbligo da parte loro non solo di riferire senza indugio al Tribunale per i minorenni ogni evento di particolare rilevanza, ma anche di presentare una relazione semestrale sull’andamento dell’affidamento;

c) prendiamo atto dell’impegno assunto dal Tribunale per i minorenni di indicare nel provvedimento di affidamento che, a conclusione dello stesso, vengano individuate, caso per caso, modalità di passaggio e di mantenimento dei rapporti fra il minore e la famiglia che lo ha accolto, sia quando rientra nella sua famiglia d’origine, sia quando viene inserito in un’altra famiglia affidataria o in una comunità. Riteniamo infatti – anche in base a recenti esperienze negative già segnalate al Tribunale e richiamate nel corso dell’incontro – che vada salvaguardata la continuità dei rapporti affettivi del minore e che la gestione di questa delicata fase di transizione della vita del minore (sia bambino che adolescente) non debba essere lasciata dal Tribunale alla discrezionalità dagli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari;

d) per quanto riguarda la durata degli affidamenti familiari, accogliamo con favore la vostra precisazione che il Tribunale per i minorenni – in relazione alle specifiche situazioni dei minori – può disporre più proroghe. Rinnoviamo pertanto al riguardo la richiesta che sia modificato il punto 5.3 della circolare sottoscritta anche dalla Presidente del Tribunale per i minorenni, riportata nel volume La tutela giudiziaria dei minori in Piemonte pubblicato dalla Regione Piemonte. Al punto 5.3 relativo alla durata degli affidamenti, la stessa dà infatti una interpretazione alla legge vigente troppo rigida e contraria agli interessi dei minori, che non tiene conto delle situazioni esistenti. Afferma infatti che «temporaneo è anche l’affidamento familiare disposto dai servizi o dal Tribunale per i minorenni. Esso non può superare la durata di ventiquattro mesi e il provvedimento amministrativo o giudiziario che lo dispone deve indicare la durata e quindi il termine» (articolo 4, comma 4° della legge n. 184/1983). Concordiamo, invece, anche in base alle esperienze degli affidamenti che abbiamo realizzato nel corso degli anni, con quanto previsto nella delibera della Giunta regionale “Approvazione linee d’indirizzo per lo sviluppo di una rete di servizi che garantisca livelli adeguati di intervento in materia di affidamenti familiari e di adozioni difficili di minori, in attuazione della legge 149/2001 ‘Diritto del minore ad una famiglia’ (modifica legge 184/83)” della Regione Piemonte n. 79/11035 del 2003: «Nei confronti dei minori che, per la gravità della situazione familiare, non possono dopo due anni di affidamento rientrare presso la famiglia di origine, e che non sono però in situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, l’intervento che deve comunque essere privilegiato è l’affidamento familiare che, come già detto, può avere una durata anche superiore ai due anni quando è disposto dal Tribunale per i minorenni. La nuova disciplina legislativa non pregiudica la possibilità di disporre affidamenti anche a lungo termine: fondamentale è il lavoro di coordinamento, supporto e verifica periodica del progetto di affidamento. Si ritiene necessario distinguere fra la prevedibile durata dell’affidamento, che presuppone una valutazione tempestiva e realistica della situazione familiare e dei possibili sviluppi della stessa, e la periodica revisione dell’andamento dell’affidamento da parte del Tribunale stesso sulla base della relazione semestrale del servizio sociale referente e dell’audizione-ascolto degli stessi servizi sociali e sanitari e degli affidatari, della famiglia di origine e del minore, come previsto dalla normativa citata. L’affidamento, pertanto, non cessa automaticamente alla scadenza del termine indicato nel provvedimento poiché la legge richiede una apposita decisione al riguardo, fondata sulla valutazione dell’interesse del minore. Del resto, la durata dell’affidamento prevista sin dall’inizio o nelle successive proroghe è determinata sulla base di una prognosi, cioè di una valutazione per il futuro, circa il tempo occorrente per portare a termine utilmente il programma di assistenza alla famiglia». Abbiamo avuto modo purtroppo di constatare anche nel corso di recenti incontri con famiglie affidatarie che questa interpretazione del comma 4 dell’articolo 4 della legge n. 184/1983, è stata fatta propria sovente anche dagli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari e rischia di avere ripercussioni negative sugli affidamenti in corso, creando illusioni ed aspettative da parte dei genitori d’origine degli affidati sulla data di conclusione dell’affidamento che non hanno riscontro nella realtà e disorientano gli affidatari stessi, che si chiedono come possano essere risolti in due anni le problematiche tanto complesse delle famiglie d’origine dei minori da loro accolti (1). A nostro parere, sostenere che gli affidamenti non possono durare più di due anni condiziona e, a maggior ragione, condizionerà in futuro, l’azione informativa degli stessi operatori nei confronti di quanti danno e daranno la loro disponibilità all’affidamento. Infatti, a fronte delle complessità di buona parte delle situazioni personali e familiari dei minori inseriti da anni nelle strutture residenziali (cfr. la positiva ricerca della Regione Piemonte “Tutti i bambini hanno diritto a una famiglia”) come si può sostenere che «l’affidamento non può superare la durata di ventiquattro mesi»? Se quei bambini non possono tornare a casa e non sono adottabili, li rimandano in comunità? Le nostre esperienze hanno confermato che ci sono alcuni casi in cui i genitori (o, più sovente, il genitore) non ce la fanno ad occuparsi adeguatamente dei figli, anche se i loro legami affettivi sono importanti. A queste condizioni gli affidamenti possono prolungarsi per anni, ma non devono essere confusi con le adozioni: sono situazioni che vanno periodicamente verificate per valutare l’opportunità o meno di un ritorno nella famiglia d’origine. Il mero criterio temporale non può essere assunto come parametro per decidere rientri dannosi per i bambini;

e) a proposito di affidamenti a lungo termine, non riteniamo corretto e chiediamo quindi che venga cancellato quanto scritto nella circolare sopra citata pubblicata nel volume La tutela giudiziaria dei minori in Piemonte, al punto 12.3, ultimo paragrafo, che riportiamo: «Ci sono degli affidamenti familiari che in concreto diventano stabili con il trascorrere del tempo. Quando il bambino si è radicato in una nuova famiglia, senza possibilità di ritorno in quella di origine, i servizi dovrebbero fare presente agli affidatari la possibilità di richiedere un’adozione in casi particolari a mente dell’articolo 44, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184». Al riguardo vorremmo nuovamente precisare che l’Anfaa concorda sull’applicazione della terza e quarta ipotesi prevista dall’articolo 44 della legge 184/1983 e successive modifiche, come soluzione “residuale” nei casi in cui, dichiarata l’adottabilità di un minore, non si riescano a trovare coniugi, in possesso dei requisiti previsti per l’adozione legittimante, disposti ad adottarlo. Ma quando un minore è dichiarato adottabile, in quanto privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, è l’adozione legittimante che deve essere disposta, nell’interesse del minore e della stessa famiglia adottiva. Sarebbe contrario all’interesse del minore utilizzare l’adozione “nei casi particolari” al posto di quella legittimante quando è in stato di adottabilità, in quanto priva l’adottato dello status di figlio legittimo con tutte le conseguenze, non solo giuridiche, che questo comporta. Proporre l’adozione “nei casi particolari” come soluzione per regolarizzare gli affidi a lungo termine è soluzione inaccettabile e fuorviante: se il minore non si trova in stato di adottabilità non è corretto ricorrere ad adozioni più o meno “miti”, anche nei casi di affidamento a lungo termine. Questo, anche e soprattutto, per tutelare i diritti della famiglia d’origine, che non deve essere espropriata del suo ruolo genitoriale, anche se per svolgerlo adeguatamente deve contare sull’aiuto di un’altra famiglia, oltre che dei servizi sociali. Inoltre, riteniamo che tale provvedimento potrebbe fortemente incrinare e comunque condizionare i rapporti tra le due famiglie con una ricaduta negativa anche sul minore;

f) rinnoviamo le preoccupazioni espresse nel corso dell’incontro sullo scarso sviluppo dell’affidamento e sulla necessità di impegnarsi tutti – nell’ambito delle proprie competenze – per il suo rilancio, sollecitando anche gli Enti gestori a concretizzare quanto disposto dalla legge regionale n. 1/2004 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento” che prevede:

• il diritto dei soggetti alle prestazioni e servizi da parte degli Enti gestori di cui all’art. 22, comma 3;

la obbligatorietà della gestione in forma associata degli interventi da parte degli Enti gestori (art. 9, comma 5);

la obbligatorietà dell’istituzione, prevista dall’art. 18, nell’ambito delle prestazioni essenziali, dei servizi di assistenza economica e domiciliare, dei servizi per l’affidamento e l’adozione.

Precisiamo inoltre che la sopra citata delibera della Giunta regionale n. 79/11035 “Approvazione linee di indirizzo per lo sviluppo di una rete di servizi che garantisca livelli adeguati di intervento in materia di affidamenti familiari e di adozioni difficili di minori, in attuazione della legge 149/2001 ‘Diritto del minore ad una famiglia’ (modifica legge n. 184/83)” è precedente alla suddetta legge 1/2004.

Al riguardo l’Anfaa ha richiesto all’assessore al Welfare della Regione Piemonte un quadro aggiornato dei provvedimenti (delibere, ecc.) assunti dagli Enti gestori per recepire (e rendere operanti) le disposizioni suddette.

2. Venendo ora all’adozione, cui si è fatto cenno nello stesso incontro, concordiamo anche noi sulla necessità di una riflessione approfondita, che veda coinvolta anche la Procura per i minorenni, sui presupposti giuridici dello stato di adottabilità dei minori, anche per riportare l’attenzione di tutti, compresi gli operatori dei servizi, sulla necessità di segnalare tempestivamente le situazioni dei minori, tenuto anche conto della futura entrata in vigore del “giusto” processo e del nuovo procedimento di adottabilità al 1° luglio 2006. I tempi dei procedimenti sono attualmente molto lunghi e rischiano di danneggiare i bambini coinvolti: è inaccettabile che la valutazione delle competenze genitoriali dei genitori di un minore si protragga per anni, costringendolo, nel frattempo,  a restare in comunità. È necessario un maggior raccordo fra magistratura minorile e servizi sociali interessati. 

Proponiamo su questi punti un confronto ulteriore, secondo modalità da concordare.

Per quanto riguarda le adozioni “difficili”, rinnoviamo la richiesta che il Tribunale per i minorenni:

1) precisi nei provvedimenti relativi all’adozione dei minori italiani e stranieri ultradodicenni o con handicap accertato che agli adottanti sono estese le provvidenze previste dall’articolo 6, comma 8 della legge n. 184/1983 e dalle leggi e delibere della Regione Piemonte in merito;

2) indichi i servizi incaricati di supportare il nucleo adottivo (analogamente a quanto previsto per l’affidamento dalla legge n. 184/1983), i quali devono riferire in merito, con scadenza da definire, al Tribunale per i minorenni, che sentirà anche i genitori adottivi e, in relazione all’età, il minore.

Rinnoviamo inoltre la richiesta che vengano segnalate all’Anfaa dal Tribunale per i minorenni le situazioni dei minori dichiarati adottabili, per i quali non è ancora stato possibile realizzare un inserimento in famiglia: segnaliamo nuovamente la disponibilità dell’Anfaa a collaborare, organizzando iniziative specifiche in merito.

 

 

PRESA DI POSIZIONE A FAVORE DELL’AFFIDO DEI BIMBI PICCOLISSIMI

 

Il 10 aprile 2006 si è riunito a Pistoia Ubi Minor, il coordinamento toscano delle associazioni, cui aderiscono anche le Sezioni locali dell’Anfaa, che promuovono l’affidamento familiare, l’adozione e, più in generale, tutte le iniziative possibili a sostegno dei minori in difficoltà. All’ordine del giorno è stata posta la discussione sull’affidamento di bambini molto piccoli, urgentemente sollecitata dalla notizia del bimbo nato cinque mesi fa in Versilia, rimasto in ospedale nonostante la disponibilità ad accoglierlo temporaneamente offerta da varie famiglie che già collaborano a progetti per neonati in altre Regioni d’Italia. Tutti gli appelli sono stati ignorati e il bimbo è stato recentemente avviato all’Istituto degli Innocenti.

La legge 149/2001 sostiene al titolo 1 il «diritto del minore alla propria famiglia» e, al titolo 2, afferma che «il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e di aiuto… è affidato ad una famiglia… Ove non sia possibile tale affidamento, é consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato...».

Ubi Minor chiede con forza a tutte le istituzioni preposte se in questo caso la legge sia stata applicata.

Nel corso della discussione sono state inoltre espresse gravi perplessità sulle affermazioni diffuse circa la pericolosità dell’affidamento di bambini molto piccoli. Sulla questione il coordinamento si attiverà affinché la discussione sia ampia, documentata e veda il confronto con diverse realtà italiane nelle quali l’esperienza pluriennale conferma che questo è invece possibile e doveroso ed ha risultati positivi documentati.

 

 

(1) Ricordiamo anche che la ricerca nazionale condotta dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze sugli affidamenti censiti al 31 dicembre1998 ha evidenziato che il 32,8% degli affidi era in corso da più di due anni e che il 42% degli affidamenti si sono conclusi con il rientro del minore nella famiglia d’origine.

 

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