Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006

 

 

PRESENTATA ALLA REGIONE PIEMONTE LA PIATTAFORMA DEL CSA

 

 

Le associazioni aderenti al Csa, Coordina­mento sanità e assistenza fra i movimenti di base, secondo una metodologia di lavoro praticata da molti anni (1), hanno presentato, in data 10 ottobre 2005, alla nuova Amministrazione regionale del Piemonte (2) la piattaforma di cui riportiamo integralmente il testo.

 

Premessa: operare per la prevenzione del bisogno assistenziale

La prevenzione dal bisogno assistenziale presuppone che i settori sociali (sanità, istruzione, formazione professionale, lavoro, casa, trasporti, tempo libero, ecc.) assicurino l’accesso a tutti i cittadini, ivi compresi i soggetti che presentano difficoltà personali (persone in situazione di handicap) o sociali (mi­nori con famiglie problematiche o in difficoltà economiche, soggetti anziani con limitati redditi, ecc.).

È pertanto indispensabile che ogni Assessorato si assuma anche gli oneri in termini di risorse e personale perché siano assicurate le prestazioni anche ai soggetti in difficoltà.

Ad esempio, eventuali sussidi per la  frequenza dell’asilo nido o della scuola materna devono essere di competenza dell’Assessorato all’istruzione; i contributi economici per il sostegno all’affitto in abitazioni private spettano al settore della casa; gli aiuti alle persone disoccupate devono essere predisposti dall’Assessorato al lavoro ed essere collegati a interventi di reinserimento attraverso riqualifiche professionali; il trasporto per gli allievi della formazione professionale con handicap intellettivo deve essere assicurato da questo settore in collaborazione con il settore trasporti; gli inserimenti lavorativi dei soggetti con handicap sono di competenza del settore lavoro; le attività sportive per le persone con handicap devono essere assicurate dall’assessorato allo sport, ecc.

 

 

LE NOSTRE RICHIESTE E PROPOSTE AI SINGOLI SETTORI

 

Istruzione

o Assumere le funzioni in materia di asili nido, funzioni che non dovrebbero più essere svolte dall’assessorato regionale all’assistenza;

o promuovere l’istituzione del servizio di consulenza educativa, secondo il valido modello deliberato dal Comune di Torino;

o approvare un atto di indirizzo in merito alle competenze dei Comuni e delle Province, affinché in tutti gli ordini di scuola siano garantiti  il trasporto scolastico e l’assistenza specialistica per gli allievi in situazione di handicap grave come sancito dall’articolo 13, comma 3, della legge 104/1992;

o sostenere la prosecuzione dei percorsi educativi avviati nella scuola superiore, in particolar modo per gli allievi  con limitata autonomia in possesso di potenzialità lavorative, con il passaggio ad altri indirizzi per permettere l’acquisizione di ulteriori competenze che favoriscano la continuità dello sviluppo della persona e delle abilità finalizzate all’inserimento lavorativo;

o favorire iniziative tra scuola superiore e servizi socio-assistenziali del territorio, finalizzati al graduale inserimento nei servizi assistenziali degli allievi in situazione di comprovata gravità non avviabili al lavoro.

 

Formazione professionale

o Recepire, nel testo di riforma della legge regionale sulla formazione professionale (disegno di legge n. 68 “Disciplina del sistema di istruzione e formazione professionale in Piemonte”) l’esperienza positiva dei corsi prelavorativi. Tali corsi, rivolti a giovani con handicap intellettivo in possesso di capacità lavorative, sono idonei a soddisfare gli obblighi formativi previsti dall’articolo 68 della legge 144/1999 (obbligo formativo) e l’alternanza scuola/formazione/lavoro richiamata dalla legge 53/2003;

o potenziare i corsi Fal (formazione al lavoro)  indispensabili a quanti non siano ancora immediatamente occupabili, pur avendo già frequentato un corso prelavorativo. I corsi Fal dovrebbero essere collegati alle attività dei Centri provinciali per l’impiego perché le attività di tirocinio siano effettuate nelle aziende scoperte e che hanno obbligo di assunzione ai sensi della legge 68/1999;

o assicurare in tempo utile l’approvazione dei corsi di formazione professionale regionale perché le famiglie devono essere messe in condizione di poter scegliere la strada della formazione professionale già nel mese di gennaio. Pertanto esse devono avere  la garanzia che i corsi della formazione professionale (compresi i corsi prelavorativi) possano partire negli stessi tempi della scuola di Stato;

o aumentare le attività di orientamento  per gli allievi con handicap intellettivo in modo da evitare inutili parcheggi nell’uno o nell’altro percorso formativo.

 

Trasporto

o Dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 26, comma 1 e 2 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 e dall’art. 4 (competenze regionali) e dall’articolo 14 (disposizioni particolari) della legge 15 gennaio 1992 n. 21, al fine di garantire il diritto al trasporto, anche con mezzi di trasporto pubblici non di linea, delle persone in situazione di handicap impossibilitate all’utilizzo dei tradizionali mezzi di trasporto pubblico;

o modificare ed adeguare alla normativa suindicata il Piano regionale dei trasporti, nonché i piani provinciali  e dei bacini  di trasporto, con particolare riferimento alla istituzione di servizi di trasporto individualizzati per quei soggetti che sono impossibilitati all’uso dei tradizionali mezzi pubblici di trasporto e/o di taxi;

o rendere accessibili e fruibili alle persone con handicap fisici motori tutti i tradizionali mezzi di trasporto pubblico. La concessione di contributi regionali per l’acquisto e il rinnovo dei suddetti mezzi è subordinata e finalizzata esclusivamente all’acquisto di mezzi di trasporto privi di barriere architettoniche;

o provvedere ad attivare e finanziare buoni taxi a favore di persone con handicap fisico motorio impossibilitate all’uso dei tradizionali mezzi pubblici di trasporto, con validità su tutto il territorio regionale e per percorsi urbani, suburbani ed extraurbani, con le stesse tariffe pagate dagli altri utenti fruitori dei tradizionali mezzi di trasporto, in relazione allo stesso tipo di percorrenza, nell’attesa dell’immissione in circolazione dei tradizionali mezzi pubblici di trasporto totalmente accessibili;

o assicurare il diritto al trasporto allievi con handicap intellettivo della formazione professionale. Si chiede di individuare, di concerto con gli Assessorati ai trasporti, regionale e provinciali, le modalità da introdurre per soddisfare tale esigenza. A seconda dell’autonomia del soggetto potrebbe essere necessario:

• il riconoscimento di un onere aggiuntivo all’ente di formazione professionale per azioni di accompagnamento;

• la fornitura di tessere/pass per auto pubbliche o servizi di trasporto collettivo;

o istituire apposito capitolo di spesa per l’eliminazione delle barriere architettoniche per la progressiva totale accessibilità delle stazioni e fermate dei mezzi pubblici di trasporto;

o istituire apposito capitolo di spesa per finanziare l’acquisto di taxi accessibili che consentano l’incarrozzamento di sedie a rotelle e minibus attrezzati;

o riconoscere la validità delle tessere urbane di circolazione rilasciate in ragione dell’invalidità su tutti i percorsi suburbani o extraurbani effettuati anche da autolinee in concessione.

 

Lavoro

Come è noto la legge 68/1999 non prevede una quota obbligatoria di assunzioni di soggetti con limitata autonomia e conseguente riduzione della capacità lavorativa. Pertanto nella Regione Piemonte, secondo i dati disponibili forniti dall’Agenzia Piemonte lavoro (cfr. il documento del 27 marzo 2004), sono state avviate finora circa 9.000 persone con menomazioni lievi e capacità lavorativa piena, mentre non più di 450 risultano essere le persone con handicap intellettivo e fisico con limitata autonomia inserite in tutta la Regione. Sono quindi indispensabili azioni che spingano i Centri per l’impiego provinciali a sostenere  e promuovere prioritariamente avviamenti di questi soggetti. Ci attendiamo quindi che la Regione indirizzi  le Province affinché si possano raggiungere i seguenti obiettivi:

o rendere stabili i servizi per l’inserimento lavorativo, strumenti indispensabili per realizzare il collocamento mirato, stanziando le risorse necessarie per dotare tali servizi del personale necessario, con l’indicazione ai Centri per l’impiego che le assunzioni dovranno essere dirette e, in misura minore, mediante convenzione (con agenzie formative, Consorzi socio-assistenziali, cooperative), purché il personale sia funzionalmente dipendente dal Centro per l’impiego e con contratto di lavoro a tempo indeterminato;

o prevedere l’obbligo di avvio di almeno 2 persone con difficoltà (1 con handicap intellettivo, 1 con handicap fisico con limitata autonomia) ogni 5 avvii di persone con minorazioni lievi (sono ovviamente necessarie iniziative di tutela anche per le persone con malattia psichiatrica, ma il Csa non ha esperienza al riguardo);

o assicurare la presa in carico permanente dell’utente da parte del Centro per l’impiego e cioè fino alla definitiva assunzione, oppure fino ad escludere l’occupabilità, avendo ben presente che tale decisione comporta l’invio ai servizi socio-assistenziali competenti territorialmente e l’obbligo per questi ultimi, ai sensi della legge regionale 1/2004, di prendere in carico, a vita, i soggetti. Pertanto, è interesse di tutti adoperarsi al massimo perché sia realizzata l’assunzione quando il soggetto ha capacità lavorative spendibili nel mercato del lavoro;

o introdurre l’obbligo per il Centro per l’impiego di informare per iscritto tutti gli interessati (almeno ogni quattro mesi) dell’andamento del loro tirocinio;

o individuare un referente del progetto di inserimento lavorativo, responsabile ai sensi della legge 241/1990;

o assicurare all’utente la possibilità di ricorrere contro valutazioni o proposte del Centro per l’impiego territoriale, che ritiene non rispettose dei suoi diritti e la facoltà di farsi rappresentare da persona o associazione di sua fiducia. Tale procedura è già stata recepita nell’ambito delle delibere della Giunta regionale n. 51/2003 e n. 17/2005 (Lea). Al riguardo si segnala che sia nell’ambito dell’Uvg, Unità valutativa geriatria, che dell’uvh, unità valutativa handicap, è previsto il ricorso ad apposita Commissione regionale. In questo caso si potrebbe ipotizzare il ricorso al Comitato tecnico provinciale;

o mantenere in capo al Centro per l’impiego provinciale la titolarità del servizio di inserimento lavorativo ed il compito di verifica, selezione e scelta dei lavoratori. L’accreditamento dei servizi per l’inserimento lavorativo non deve essere una modalità per trasformare in rapporto privato, tra servizio accreditato e utente, una modalità operativa che spetta alla Provincia. Solo in questo modo è possibile assicurare il diritto al lavoro anche a chi ha più difficoltà;

o favorire l’occupazione dei soggetti a maggior rischio di esclusione sociale con le seguente azioni:

a) condizionare gli incentivi o appalti a terzi all’assunzione da parte loro di un regolamento analogo a quello deliberato il 31 marzo 2005 dalla Città di Torino per l’affidamento a terzi di servizi, che prevede la clausola di assunzione di almeno il 20% di soggetti con handicap intellettivo e fisico con limitata autonomia. Tale proposta potrebbe essere fatta ad esempio:

• alle imprese collegate con l’evento Olimpiadi, quali alberghi e ristoranti;

• alle case di cura e alle residenze sanitarie assistenziali convenzionate con l’ente pubblico (settore pulizie, servizi generali, mense);

b) impostare correttamente il lavoro di monitoraggio e verifica dell’Agenzia Piemonte Lavoro. A questo riguardo rivolgiamo l’ennesimo richiamo alla suddetta Agenzia perché, in attuazione all’articolo 1 della legge 68/1999, deve monitorare separatamente i dati che interessano le persone con handicap intellettivo e i dati che riguardano invece le persone che presentano problemi psichici (malati psichiatrici) per poter prevedere programmi e inserimenti mirati per le due differenti tipologie di soggetti e per conoscere i dati reali delle assunzioni realmente effettuate. È gravissimo che si considerino ancora sotto la definizione “handicap psichico” sia le persone con handicap intellettivo, sia le persone con malattia mentale e non si rispetti, pertanto, quanto previsto dalla legge 68/1999;

o limitare al massimo gli effetti nefasti che potrebbe avere un’applicazione acritica dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 (legge Biagi). Sulla base delle esperienze acquisite, il Csa e altre numerose associazioni hanno chiesto l’abolizione dell’articolo suddetto. Nel contempo si rammenta che l’articolo 12 della legge 68/1999 non è stato abrogato e, dunque, va in primo luogo attivato questo strumento. Inoltre, si suggerisce l’eventuale sperimentazione dell’articolo 14 esclusivamente nei confronti dei soggetti in situazione di handicap e, tra questi, limitatamente alle persone con limitata autonomia e ridotta capacità lavorativa, che hanno già espletato – senza successo – diversi percorsi di integrazione lavorativa, così come già peraltro previsto dalla delibera della Giunta regionale piemontese del 18 maggio 2004, 45/12524. La nostra preoccupazione riguarda  questo punto, sul quale chiediamo maggiori garanzie e possibilità di ricorso per l’interessato (si veda il  punto 6), perché è evidente la discrezionalità dei servizi per l’inserimento lavorativo nel determinare che effettivamente “quella persona” non ha possibilità di essere assunto. Se vengono introdotte ulteriori garanzie, a nostro avviso il percorso proposto attraverso l’articolo 14 potrebbe addirittura rivelarsi un fatto positivo, in quanto permetterebbe il collocamento, presso cooperative sociali, di persone con gravi limitazioni personali che, altrimenti, rischiano di essere emarginate a vita in circuiti assistenziali.

 

Casa

o Eliminazione delle barriere architettoniche interne alle abitazioni ed esterne (accessi agli alloggi, marciapiedi, ecc.) per tutte le nuove costruzioni, qualsiasi sia il numero dei piani costruiti e, in tutta la misura del possibile, per quanto concerne le ristrutturazioni;

o assegnazioni di alloggi distribuiti nelle comuni case di abitazione per i soggetti con handicap e per comunità alloggio di 8-10 posti al massimo, con l’attenzione necessaria a non creare ghetti;

o previsione di una commissione permanente preposta al controllo del rispetto di quanto sopra richiesto, così come stabilito dalla legge 179/1992, che fissa la percentuale di almeno il 15% di alloggi da destinare a scopi sociali;

o apertura permanente del bando (legge 22/2001) in modo da permettere l’inserimento nella lista d’attesa per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica;

o revisione delle norme per le assegnazioni ai soggetti extracomunitari, limitando i requisiti per la presentazione della domanda al possesso del permesso di soggiorno per studio e/o lavoro;

o assunzione delle iniziative occorrenti per verificare periodicamente il possesso dei requisiti da parte degli assegnatari e, ovviamente, prevedere le procedure per il loro allontanamento quando sono in grado di sostenere il pagamento di affitti nel libero mercato.

 

Cultura, sport, tempo libero

o Eliminazione delle barriere architettoniche dagli edifici pubblici e privati e dai mezzi di trasporto con l’incentivazione delle ristrutturazioni dirette alla eliminazione delle barriere architettoniche, in modo da garantire il massimo di fruibilità e di accesso anche alle persone con handicap fisici e motori;

o promozione di attività di volontariato civico d’intesa con le amministrazioni comunali e finalizzate all’accompagnamento di giovani con handicap intellettivo nelle attività di tempo libero.

 

Sanità

o Predisporre interventi per assicurare il diritto alle cure sanitarie domiciliari:

• approvazione di una legge sulla base di quella presentata nella scorsa legislatura dal Consigliere Chiezzi;

• rivedere l’Adp (assistenza domiciliare programmata) eliminando detto intervento o almeno fissando un tetto massimo rispetto all’Adi (assistenza domiciliare integrata);

• riconoscere il volontariato intrafamiliare;

• erogare assegni di cura in misura di almeno 2/3 della quota sanitaria versata dall’Asl per il ricovero in struttura residenziale;

• sviluppare l’Oad (ospedalizzazione a domicilio - Molinette) presso altri ospedali e Asl;

o prevedere un unico centro di riferimento per l’utente (Uvg) delle attuali commissioni di valutazione Uvg e Uva (unità valutativa alzheimer), con assunzione da parte dell’Uvg anche delle funzioni dell’Uva (cfr. la delibera del Direttore generale dell’Asl 5, concordata con i Consorzi dei servizi socio-assistenziali della zona), nonché di quelle dell’Uvh per i soggetti adulti e anziani affetti da patologie invalidanti e non autosufficienza;

o garantire la continuità terapeutica:

• informazione scritta ai cittadini da parte delle Asl (diritto alla continuità delle cure sanitarie e prestazioni previste dalla delibera Giunta regionale 72/2004, durata e modalità dei ricoveri in casa di cura convenzionata come previsto dalla delibera Giunta regionale 34/2000, importi delle rette di ricovero in Rsa/Raf ai sensi della delibera Giunta regionale 17/2005);

• necessità di un valido e costante monitoraggio delle somme stanziate e finalizzate all’abbattimento delle liste d’attesa per il ricovero in strutture residenziali socio-sanitarie e all’incentivazione delle cure domiciliari;

• abrogazione della delibera Giunta regionale 33/2000, che autorizza il mantenimento presso le Ra, residenze assistenziali per autosufficienti degli anziani diventati cronici e non autosufficienti. Come è emerso dalla relazione dei Nas, presentata al convegno dell’Assessorato all’assistenza della Regione Piemonte il l9 giugno 2003, si tratta di una prassi che ha conseguenze devastanti per gli ammalati che restano in strutture assolutamente non idonee a soddisfare le esigenze di cura di cui necessitano;

• porre fine alla incongruità dei ricoveri in case di cura private convenzionate di anziani cronici non autosufficienti e destinare le risorse alle Asl per la creazione nell’ambito delle Rsa di posti letto per la deospedalizzazione protetta;

o dare attuazione agli atti deliberativi mancanti per l’applicazione dei Lea (Dgr 17/2005):

• approvazione al più presto di un atto deliberativo per l’assunzione a totale carico delle Asl dell’erogazione dei farmaci di fascia C per gli utenti ricoverati nelle Rsa-Raf e del trasporto in ambulanza degli utenti ricoverati secondo le modalità indicate nella delibera Giunta regionale 17/2005, che indicava la data del 1° luglio 2005 per la messa a punto della delibera suddetta; si rammenta che tale disposizione è quanto mai urgente perché le somme richieste ingiustamente ai ricoverati per l’acquisto dei farmaci non coperti attualmente dal prontuario farmaceutico arrivano anche a 150-200 euro mensili;

• definizione di una corretta normativa riguardante la determinazione della compartecipazione degli utenti al pagamento delle prestazioni sociali, allo scopo di rendere omogenei nel territorio piemontese i regolamenti di Comuni e Consorzi socio-assistenziali. Tale provvedimento dovrà comunque rispettare appieno quanto previsto dall’art. 25 della legge 328/2000 e dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Si rammenta che sono state depositate alla Presidenza della Giunta regionale precedente circa 45 mila firme raccolte mediante una petizione promossa dalle Associazioni Avo (assistenza volontari ospedalieri), Sea (servizio emergenza anziani), Consulta per le persone in difficoltà, Csa (comitato per la difesa dei diritti degli assistiti), Diapsi (difesa ammalati psichici), Società San Vincenzo de Paoli, Gruppi di volontariato vincenziano, Auser, Asso­ciazione Alzheimer Piemonte, Utim (Unione tutela insufficienti mentali). L’obiettivo era, tra l’altro, quello di ottenere dagli Enti locali il pieno rispetto delle norme vigenti in materia di contribuzioni economiche. La Dgr l7/2005 ha finalmente riconosciuto che la compartecipazione alla retta di ricovero spetta all’utente o al Comune, qualora la situazione economica dell’interessato non sia sufficiente e che nulla deve essere richiesto ai familiari dei ricoverati;

• delibera in materia di vigilanza delle strutture di ricovero, che preveda anche rappresentanti delle associazioni di volontariato, delle organizzazione sindacali e degli enti locali;

o garantire nell’ambito delle strutture residenziali (Rsa) i livelli di intensità delle prestazioni sanitarie occorrenti per curare adeguatamente anche i malati in fase terminale o in coma apallico. Siamo contrari a “hospice” o creazione di nuovi servizi che, oltre a parcellizzare personale e risorse, possono privilegiare una categoria di malati (ad esempio quelli di cancro) mentre ne emarginano altre (anziani cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer, ecc.);

o mantenere la titolarità del Servizio sanitario regionale per i malati di Alzheimer e delle demenze similari, con oneri totalmente a carico del Servizio sanitario regionale dei centri diurni, compresi mensa e trasporto e quindi:

• creare almeno un centro diurno in base al rapporto con la popolazione e quindi un centro ogni 50 mila abitanti, la cui capienza massima non deve superare i 20/25 posti, con un’apertura di almeno 40 ore settimanali. Nessun onere deve essere posto a carico dell’ammalato o dei congiunti. Vanno escluse anche richieste per pasti e trasporti. Inoltre, la presenza di problemi comportamentali, anche disturbanti, o il rifiuto del paziente non ne devono precludere l’ammissione: in questi casi si può instaurare una terapia specifica durante la visita dell’inserimento, che viene fatto gradualmente e con la presenza di un familiare, e prevedendo attività diversificate in base alle necessità del paziente;

• accorpare le commissioni Uva con le Uvg, al fine di evitare sprechi di risorse e ridurre i disagi per gli utenti;

• garantire ai malati di Alzheimer o con altre demenze similari, ricoverati nelle strutture residenziali socio-sanitarie, la fascia di livello di prestazioni più alta, con incremento, e ogni ulteriore prestazione aggiuntiva in caso di certificazione di gravità da parte della commissione Uvg, fissando la quota alberghiera a carico dell’utente comunque non oltre i limiti indicati per la fascia più alta della Dgr 17/2005;

o assunzione da parte del Servizio sanitario regionale della  titolarità delle prestazioni da erogare ai malati psichiatrici anche nella fase cosiddetta di bassa intensità, ivi compresi gli oneri relativi alla ne­cessità di interventi economici (assegni terapeutici);

o prendere in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle Asl, della cura e organizzazione di servizi per i soggetti che presentano prevalenti problemi sanitari (ivi comprese forme di psicosi) associate ad insufficienza mentale. Si segnala al riguardo l’esempio positivo della residenza socio-sanitaria gestita dall’Asl 3 di Torino, in corso Svizzera 140, che risponde alle esigenze della Città di Torino e dei Comuni della prima cintura. È necessario ora programmare strutture analoghe nelle altre Province in misura di almeno una struttura ogni 4-5 Asl;

o è altresì necessario attivare al più presto anche centri diurni a gestione sanitaria, per la stessa tipologia di soggetti affetti da psicosi prevalentemente associata ad insufficienza mentale. Queste persone, che le famiglie desiderano continuare ad accogliere a casa loro, il più a lungo possibile, al termine della scuola dell’obbligo non possono essere inserite – come succede – nei centri diurni assistenziali predisposti per i soggetti affetti da insufficienza mentale in situazione di gravità e  non avviabili al lavoro. Non si tratta di voler “ghettizzare” chi è affetto anche da gravi forme di psicosi, come più volte ci è stato strumentalmente risposto in questi anni, ma al contrario di realizzare dei servizi mirati alle loro esigenze, profondamente diverse e, spesso, incompatibili, con chi ha un handicap di natura intellettiva. Chiediamo che per i soggetti affetti da psicosi (oltre che da insufficienza mentale) il personale sia anche in possesso di professionalità sanitarie in grado di governare crisi che, come è già capitato, possono essere violente con ripercussioni gravi sia per gli altri utenti, che per lo stesso personale;

o realizzare comunità alloggio a totale carico del Servizio sanitario regionale per minori con problemi psichiatrici. Una comunità sanitaria dovrebbe essere in primo luogo realizzata a Torino, collegata ad una struttura ospedaliera di neuropsichiatria infantile al fine di evitare il ripetersi di ricoveri di minori nei repartini psichiatrici previsti per gli adulti. Sono in ogni caso necessarie almeno altre due comunità alloggio da realizzarsi in altre aree della Regione, anche per impedire il ripetersi di quanto accaduto nelle comunità alloggio socio-assistenziali per minori Peter Pan e Trilli di Torino dove, a causa dell’assenza di strutture sanitarie idonee, erano stati impropriamente ricoverati minori con problemi psichiatrici insieme a soggetti con problemi di natura assistenziale. Si veda l’articolo allegato “Ag­ghiaccianti violenze subite dai minori assistiti presso due comunità di Torino”, pubblicato in Prospettive assistenziali, n. 149, 2005;

o garantire l’assunzione da parte delle Asl di persone in situazione di handicap, ivi compresi gli handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, ai sensi della legge .68/1999, con l’adozione di procedure analoghe a quelle adottate dal Comune di Torino per l’esternalizzazione di servizi alle cooperative sociali, mediante il regolamento approvato il 31 marzo 2005. Si rammenta che sono assai gravi le inadempienze delle Asl e che la mancanza di lavoro produce inevitabilmente una ricaduta di questi soggetti nell’area assistenziale, con oneri a carico della collettività a vita. Si ritiene pertanto che questo problema debba essere inserito nella programmazione socio-sanitaria;

o sospendere i lavori in corso per la realizzazione di strutture di ricovero destinate a più categorie di soggetti (anziani malati cronici non autosufficienti, minori cerebrolesi, dimessi dagli ospedali psichiatrici, handicappati intellettivi in situazione di gravità) e ridefinizione dell’unica tipologia di utenza a cui devono essere destinate (solo anziani non autosufficienti, solo malati psichiatrici, solo handicappati intellettivi, ecc.);

o dare indicazioni alle Uvg e Uvh delle Asl perché segnalino all’autorità giudiziaria competente, quando nel corso delle valutazioni riscontrino la necessità di misure di protezione (nomina del tutore o del curatore o dell’amministrazione di sostegno o di quello provvisorio) delle persone prive in tutto o in parte di autonomia per effetto di infermità, che si trovino nell’impossibilità o nell’incapacità di provvedere ai propri interessi;

o assicurare la continuità della presa in carico sanitaria oltre il 18° anno di età, alle  persone in situazione di handicap, mediante un collegamento efficace fra i Servizi di Neuropsichiatria infantile ed i Servizi di Igiene Mentale o altri servizi di cura e riabilitazione che possano supportare la prosecuzione dei progetti di vita nella scuola superiore, nei centri socio terapeutici, nella formazione professionale o nel mondo del lavoro.

 

Assistenza

o Interventi ritenuti indispensabili per le persone in situazione di handicap non avviabili al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni intellettive e/o fisiche.

Ai sensi dell’articolo 22, comma 3, della legge regionale 1/2004 i soggetti che rientrano nella definizione suddetta hanno priorità di accesso alle prestazioni socio-sanitarie che gli Enti locali, titolari delle suddette prestazioni, devono assicurare secondo quanto disposto dal successivo articolo 23. In specifico si chiede cha la Regione si adoperi per:

3 riconoscere il volontariato intrafamiliare. Le Asl e gli enti gestori socio-assistenziali, in base all’obbligo previsto dalla legge regionale 1/2004 per le attività a rilievo socio-sanitario, dovrebbero erogare congiuntamente un contributo forfetario mensile al familiare che continua a farsi carico di un suo congiunto ultradiciottenne in situazione di particolare gravità, quale rimborso degli oneri maggiori sostenuti. In questo modo, mentre assicurano il mantenimento a domicilio il più a lungo possibile di queste persone, con indubbi vantaggi per gli interessati, si realizza altresì per gli enti sopra indicati un risparmio economico rispetto al ricovero dello stesso soggetto. Si veda la positiva delibera adottata il 6 novembre 2003 dal Cisap, Consorzio intercomunale servizi alla persona di Collegno e Grugliasco (Torino);

3 garantire il diritto alla frequenza del centro diurno assistenziale. Ai sensi dell’articolo 22 della legge regionale 1/2004 e della Dgr 51/2003 che, secondo l’articolo 23 della suddetta legge deve essere stabilito sulla base del  bisogno dell’interessato e del suo nucleo familiare, senza il quale non potrebbe continuare a restare a domicilio. Si chiede pertanto di inserire nel piano socio-sanitario l’obbligo per Asl ed enti gestori di programmare i servizi in misura di almeno un centro diurno ogni 30 mila abitanti, con il diritto per gli utenti di chiedere l’erogazione di attività per almeno otto ore al giorno per cinque giorni alla  settimana;

3 programmare e finanziare comunità alloggio. Le strutture devono avere al massimo 8 posti letto (e 2 di sollievo o pronto intervento) con obbligo alle Asl di stanziare i finanziamenti necessari, secondo quanto stabilito dalla Dgr 51/2003 (Lea) e ai Comuni secondo i principi fissati dall’articolo 35 della legge regionale 1/2004. I finanziamenti regionali, aggiuntivi, dovrebbero essere previsti esclusivamente per le strutture di proprietà comunale, al fine di evitare situazioni di monopolio da parte dei privati, mentre ovviamente la gestione potrà essere affidata dai Comuni anche a soggetti privati. Al riguardo si chiede l’attivazione di un gruppo di lavoro con rappresentanti dell’utenza per la revisione della legge regionale 43/1997 e delle Dgr 34 e 230/1997. Lo stesso gruppo dovrebbe, altresì, riesaminare e aggiornare parte della Dgr 38/1992, in particolare per quanto concerne la definizione di casa, Raf e bagno assistito. La richiesta è determinata dalla necessità di recepire le innovazioni introdotte dalle leggi e delibere emanate successivamente agli atti suddetti.

Si ritiene che sia altresì indispensabile:

• prevedere almeno una comunità alloggio ogni 30 mila abitanti, non accorpata ad altre strutture o nuclei e con le caratteristiche organizzative indicate dalla Dgr 42/2002;

• assicurare agli utenti handicappati intellettivi delle strutture residenziali socio-assistenziali le cure domiciliari da parte delle Asl del territorio di competenza, secondo quanto stabilito dalla Dgr 51/2003 e cioè in base alla valutazione personale del bisogno del singolo soggetto. Per le comunità alloggio pertanto le prestazioni sanitarie (mediche, fisioterapiche, infermieristiche) devono essere assicurate dall’Asl di pertinenza della struttura e non dall’ente gestore sia esso privato o pubblico;

• programmare e finanziare gruppi appartamento per soggetti con minorazione e parziale autonomia secondo i fabbisogni evidenziati dai piani di zona;

• richiamare l’obbligo per le Asl e gli enti gestori alle disposizioni relative all’Uvh introdotte dalla Dgr 51/2003;

3 sviluppare le iniziative domiciliari alternative al ricovero di soggetti con minorazioni permanenti e grave limitazione dell’autonomia personale. Si chiede di destinare le risorse provenienti dalla legge 104/1992 e dalla legge 162/1998 solo per gli interventi destinati alle persone con handicap permanente e grave limitazione dell’autonomia personale, che vivono a domicilio e che necessitano di servizi di aiuto alla persona e/o di assistenza domiciliare senza i quali dovrebbero ricorrere al ricovero in istituto. Le risorse che derivano dalle suddette leggi potrebbero anche essere utilizzate per promuovere il riconoscimento di servizi assistenziali gestiti direttamente dalla persona disabile o dai suoi familiari quali il volontariato intrafamiliare di cui al precedente punto 5 e i progetti per la “vita indipendente”. Gli interventi attualmente finanziati con queste risorse (progetto Ali, Osservatorio, varie attività di cultura, tempo libero, assistenza scolastica, inserimento lavorativo...) dovranno essere trasferite ai rispettivi assessorati di competenza e non essere più finanziati dall’assessorato all’assistenza;

3 istituire gli uffici di pubblica tutela. Si chiede l’attuazione di quanto previsto dalla legge regionale 1/2004 circa l’istituzione degli uffici di pubblica tutela in capo alle Province (che devono preventivamente trasferire tutte le residue funzioni assistenziali ai Comuni). L’ufficio di pubblica tutela dovrebbe avere i seguenti compiti:

a) esercizio delle funzioni di tutore, curatore, amministrazione di sostegno, amministratore provvisorio, assegnate dall’autorità giudiziaria;

b) prestazioni della consulenza sulle funzioni di cui alla precedente lettera a) alle persone ed alle organizzazioni che ne facciano richiesta;

c) promozione del volontariato singolo od organizzato al fine di incentivare la personalizzazione delle funzioni di cui alla precedente lettera a).

Le Province dovrebbero svolgere le funzioni di cui al precedente comma 1 mediante proprio personale e avvalendosi del volontariato. La Regione Piemonte dovrebbe promuovere il trasferimento dai Comuni alle Province delle tutele e delle curatele, nonché delle funzioni di amministratore di sostegno provvisorio, al fine di porre termine all’attuale situazione caratterizzata dallo svolgimento contemporaneo da parte dei Comuni delle funzioni di ente gestore e di ente controllore del proprio operato;

o azioni per la tutela del diritto dei minori a crescere in famiglia, anzitutto nel loro nucleo d’origine e, quando non è possibile, in una affidataria o adottiva, secondo le situazioni (v. priorità di intervento previste dalle leggi  328/2000 e  184/1983):

1. Predisporre un piano straordinario (“tutti in famiglia, nessuno in istituto”) collegato al superamento del ricovero in istituto dei minori previsto dalla legge  entro il 31 dicembre 2006.

Dalla ricerca “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia” è emerso che nelle strutture residenziali per minori (istituti, comunità, case famiglia, ecc.) del Piemonte erano ricoverati al 31 dicembre 2002 ben 1.289 minori, di cui 296 della fascia di età 0-5 anni, 221 dai 6 ai 10, 225 dagli 11 ai 13 e 547 dai 14 ai 18 anni. Anche per le carenze dei servizi, il ricovero dura spesso anche diversi anni. Il suddetto piano straordinario dovrebbe prevedere:

3 il recepimento da parte degli Enti gestori (con specifici atti deliberativi che devono prevedere anche il personale occorrente ed il  finanziamento dei servizi suddetti) delle competenze loro attribuite  dalla legge regionale 1/2004 che ha stabilito:

a) il diritto dei minori «specie se in condizioni di disagio familiare» ad accedere «prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali»;

b) la obbligatorietà della gestione in forma associata da parte degli Enti gestori e della istituzione da parte degli stessi, nell’ambito delle prestazioni essenziali, dei servizi di assistenza economica e domiciliare, dei servizi per l’affidamento familiare e per l’adozione, nonché di quelli relativi all’accreditamento e alla vigilanza sulle strutture residenziali;

3 la revisione della Dgr 79/11035 del 2003 «Approvazione linee di indirizzo per lo sviluppo di una rete di servizi che garantisce livelli adeguati di intervento in materia di affidamenti familiari e di adozioni difficili di minori, in attuazione della legge 149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”» (mo­difica della legge 184/1983). La suddetta delibera è stata approvata prima della legge n. 1/2004 e deve pertanto essere modificata per rendere obbligatori per gli Enti gestori gli interventi diretti alla promozione e realizzazione degli affidi e al sostegno degli affidamenti “a rischio giuridico di adozione” e delle adozioni, in particolare quelle “difficili”, riguardanti minori grandicelli, portatori di handicap o malati;

3 la verifica della sperimentazione sugli affidamenti “professionali” prevista dalla Dgr 78/11034 del 17 novembre 2003, su cui il Csa ha espresso in più sedi parere contrario, in quanto svalorizza lo stesso ruolo svolto invece dalla famiglia affidataria come attività di volontariato;

3 il potenziamento degli interventi di sostegno alle famiglie di origine e agli affidamenti da parte dei servizi socio-sanitari;

3 la revisione della Dgr 41/12003 del 15 marzo 2004 “Tipologia, requisiti  strutturali e gestionali delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori” per quanto riguarda in particolare i seguenti punti:

a) gli standard delle comunità educative. Si propone di:

• prevedere non più di una comunità per stabile e per ognuna non più di 6 minori (cui possono essere aggiunti due posti di pronto intervento);

• precisare in modo idoneo i criteri di ammissione e dimissione dei minori; ridurre le tipologie di comunità, superando la divisione fra comunità “di pronta accoglienza” e quelle “educative”;

• aumentare di almeno due gli educatori turnanti in quanto la previsione di cinque non consente la compresenza nei momenti significativi della vita dei minori ospitati;

b) gli standard delle case-famiglia. Si propone di definirla come una struttura costituita da un normale alloggio o da una abitazione mono o pluri familiare, gestita da un nucleo familiare stabile – coadiuvato da personale adeguato – in cui siano inseriti non più di quattro minori per assicurare loro l’attenzione e le cure di cui necessitano. Se nel nucleo sono presenti figli, il numero complessivo non deve superare il numero di sei. In base alla delibera, invece, a una coppia (di cui un componente può svolgere un’attività lavorativa all’esterno) possono essere affidati fino a sei minori. A questi vanno aggiunti gli eventuali figli della coppia fino ad un massimo di otto minori, numero peraltro derogabile per «i casi di fratellanza per i quali è ragionevole non dividere né rinunciare all’inserimento…»;

c) gli standard delle comunità madre/bambino. Si propone di:

• ridurre il numero degli ospiti dagli attuali 16 a 8;

• prevedere comunità distinte per le gestanti che hanno deciso per il non riconoscimento  del loro nato o sono ancora incerte da quelle per le madri con bambini in cui potrebbero essere inserite anche le partorienti che hanno già deciso in merito al riconoscimento;

d) la documentazione sul minore accolto nella struttura residenziale. Si propone di prevedere una cartella per ogni minore contenente la documentazione socio-sanitaria, la scheda riassuntiva della situazione personale e familiare del minore, i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria nei confronti dei componenti del suo nucleo familiare, ecc… richiamando quanto previsto anche dalla delibera n. 124/18354 del 23 aprile 1997;

e) la sospensione dell’attività delle strutture che non rispondono ai parametri definiti dalla succitata delibera e che hanno deciso di non proseguire la loro attività. Vanno previste condizioni più restrittive: è inaccettabile che possano comunque operare fino al 31 dicembre 2006;

3 monitoraggio continuativo dei minori ricoverati, avviato anni fa dalla Regione Piemonte, per fornire agli Enti gestori degli interventi assistenziali, alle Autorità giudiziarie minorili e – rispettando le disposizioni sulla riservatezza – alle associazioni impegnate in questo settore i dati aggiornati (almeno tre volte nell’anno) sulle situazioni dei minori inseriti nelle strutture in modo da poter anche attivare tempestivamente progetti “mirati” diretti alla loro dimissione e alla prevenzione di nuovi inserimenti. La rilevazione periodica sui minori presenti nelle strutture socio-assistenziali e sanitarie da parte della Regione Piemonte dovrebbe essere concordata con la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, cui sono state attribuite dalla legge 149/2001 (che ha modificato la 184/1983) specifiche competenze di vigilanza sui minori ricoverati (articolo 9, commi 2 e 3). Questo monitoraggio dovrebbe riguardare anche i minori affidati;

3 indicazione agli enti gestori perché siano organizzati progetti finalizzati all’autonomia dei minori che, diventati maggiorenni, non possono rientrare nella famiglia d’origine e non  sono però ancora pronti per un inserimento sociale autonomo. Previa attenta valutazione dei singoli casi, andrebbe prospettata non solo la possibilità di permanenza nelle comunità oltre il diciottesimo anno di età, ma dovrebbe essere prevista anche la possibilità di convivenze “guidate” in normali appartamenti, reperiti ad esempio nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica;

2. assicurare la necessaria assistenza alle gestanti con gravi difficoltà e la tutela del diritto alla segretezza del parto. Al riguardo è urgente l’approvazione di una legge regionale che, in attuazione a quanto previsto dall’articolo 58 della legge 1/2004, disponga che le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri in condizione di disagio individuale, familiare e sociale, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati, e gli interventi a favore delle madri già assistite come gestanti e dei neonati nei primi sessanta giorni di vita, siano obbligatoriamente gestite dagli enti gestori (2 oppure 3 per tutto il Piemonte) individuati dalla Giunta regionale fra i Comuni singoli o associati, sentita la competente Commissione consiliare. Gli interventi suddetti vanno forniti su semplice richiesta della donna interessata e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica.

 

 

PROCEDURE PER L’ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI

 

Si chiede che il piano socio-sanitario indichi i criteri ai quali Asl ed Enti locali devono attenersi in caso di esternalizzazione dei servizi affinché siano rispettati i diritti degli utenti, quasi sempre non in grado di difendersi e/o di esprimere i propri bisogni. In base alla nostra esperienza è necessario che siano previste le seguenti condizioni:

a) obbligo per le Asl e per gli enti gestori di garantire la titolarità delle prestazioni e, quindi, la responsabilità diretta nei confronti degli utenti. Deve essere vietata ogni forma di contratto sottoscritto direttamente tra strutture private convenzionate e utenti, salvo i casi in cui l’utente intenda usufruire privatamente delle prestazioni delle Asl e dei Comuni;

b) inserimento nelle convenzioni e/o nelle disposizioni per l’accreditamento delle strutture (da parte degli Enti gestori pubblici che affidano la gestione dei servizi socio-assistenziali ad organizzazioni del privato sociale, comprese le cooperative sociali) di clausole a tutela delle esigenze dell’utenza. Ad esempio, dovrebbero essere precisati non solo il numero e la qualifica degli operatori, ma anche l’obbligo da parte dell’ente gestore (cooperative, ecc.) di fornire mensilmente fotocopia del libro di matricola, del libro paga, delle fatture riguardanti gli operatori a rapporto professionale, nonché le fotocopie delle attestazioni relative al titolo di studio del personale addetto. Inoltre, al fine di limitare al massimo l’alto turnover degli operatori, tenuto altresì conto delle numerose tipologie di contratto di lavoro esistenti, si chiede che la Regione regolamenti gli appalti e gli accreditamenti dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali almeno secondo i criteri stabiliti nell’accordo siglato tra Regione, Enti locali, sindacato, enti gestori privati e associazioni degli utenti (tavolo dei Lea). La Dgr 17/2005, che ha recepito tale accordo, prevede infatti una quota base minima, fissata dalla Regione, a cui devono obbligatoriamente attenersi le Asl, perché siano garantite le prestazioni indispensabili agli utenti e rispettati i contratti collettivi di lavoro delle sigle sindacali maggiormente rappresentative;

c) obbligo, inserito nel contratto ente pubblico-ente gestore, dell’esposizione in ogni reparto di degenza o di altra attività di un tabellone indicante per ciascun turno di lavoro la quantità del personale addetto e le relative qualifiche;

d) acquisizione, da parte dell’Ente locale che accredita, di tutti i posti disponibili, specialmente nel caso di comunità alloggio di minori e di soggetti con handicap intellettivo. In ogni caso l’Ente locale dovrebbe essere responsabile degli eventuali inserimenti effettuati da altri enti gestori affinché gli utenti inseriti abbiano caratteristiche compatibili con quelle degli altri ospiti. Al riguardo riteniamo che debba essere abrogato l’art. 29 della legge regionale 1/2004 che, pretendendo la disponibilità dei posti letto, senza assicurare nel contempo la loro copertura totale, non assicura l’entrata delle risorse indispensabili al gestore e, conseguentemente, incita il settore privato ad operare contro gli interessi degli utenti inserendo soggetti tra loro anche non compatibili. Non deve più accadere che siano ricoverati nella stessa comunità alloggio soggetti con handicap intellettivo e soggetti affetti da psicosi; oppure di minori con problemi socio-assistenziali e minori con problemi psichiatrici, al solo scopo di assicurare la copertura di tutti i posti letto disponibili;

e) obbligo di rapporti scritti da parte degli operatori dei servizi territoriali con il personale responsabile delle strutture di ricovero per quanto concerne gli aspetti più importanti da definire;

f) idonee forme di vigilanza, ivi compresa quella delle associazioni degli utenti sull’esempio della positiva delibera del Comune di Torino del febbraio 1983, oltre a controlli anche straordinari, non programmati e tanto meno preannunciati nelle strutture di ricovero;

g) autorizzazione da parte dell’Ente locale per l’ingresso di nuovi utenti, al fine di garantire la compatibilità tra gli stessi e, soprattutto, il rispetto dei loro diritti;

h) mantenimento in capo all’ente pubblico di almeno il 50% della gestione diretta delle strutture al fine di assicurare il confronto qualità/prezzo delle prestazioni e provvedere a calmierare i prezzi del settore privato;

i) continuità educativa in caso di cambio di gestione, ma anche valutazione dell’idoneità del personale ad operare con persone non in grado di difendersi. Allo scopo di prevenire maltrattamenti e/o abusi nei confronti degli utenti,  tutto il personale operante nelle strutture assistenziali pubbliche e/o convenzionate a diretto contatto con le persone non in grado di difendersi, dovrebbe essere in possesso di una certificazione attestante che non presenta controindicazioni, per le caratteristiche della sua personalità, allo svolgimento delle proprie mansioni. Gli Enti gestori dovrebbero individuare un centro scientificamente valido (d’intesa con le organizzazioni sindacali ed i rappresentanti dell’utenza), cui conferire questo incarico.

 

 

(1) Cfr. Prospettive assistenziali: “Piattaforma sul problema della riabilitazione”, n. 49, 1980; “Piattaforma sui problemi degli handicappati”, n. 63, 1983; “Piattaforme presentate dal Csa e altre iniziative contro l’emarginazione”, n. 73, 1986; “Piattaforme presentate dal Csa alla Regione Piemonte, al Comune e alla Provincia di Torino, alle Ussl cittadine e al Provveditorato agli studi”, n. 93, 1991; “Piattaforma presentata dal Csa alla Giunta della Regione Piemonte”, n. 113, 1996; “Piattaforma presentata alla Regione Piemonte dal Csa”, n. 135, 2001; “Piattaforma presentata dal Csa al Comune di Torino”, n. 138, 2002; “Presentata alla Provincia di Torino la piattaforma del Csa”, n. 148, 2004.

(2) La lettera è stata inoltrata a Mercedes Bresso, Presidente della Giunta regionale del Piemonte, a Davide Gariglio, Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, ai Capigruppo del Consiglio regionale del Piemonte e per conoscenza agli assessori della Giunta regionale del Piemonte.

 

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