Prospettive assistenziali, n. 153, gennaio - marzo 2006

 

 

CONTRIBUZIONI ECONOMICHE ABUSIVAMENTE IMPOSTE DA COMUNI E ASL AI PARENTI DEGLI ASSISTITI

 

 

Come abbiamo più volte rilevato su questa rivista e come risulta evidente dal testo delle leggi in vigore, i Comuni e gli altri enti pubblici non possono pretendere dal 1° gennaio 2001 (1) contributi economici:

a) dai parenti non conviventi con gli assistiti (2);

b) dai congiunti conviventi qualora i beneficiari delle prestazioni siano ultrasessantacinquenni non autosufficienti o soggetti con handicap in situazione di gravità (3).

 

Sentenza della Corte costituzionale

Nella sentenza della Corte costituzionale n. 106 decisa il 7 marzo 2005 e depositata in Cancelleria il 18 dello stesso mese e anno, è stato affermato un principio estremamente importante, a nostro avviso, applicabile anche per quanto concerne i contributi economici richiesti ai parenti degli assistiti.

In effetti la sentenza ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 3 ottobre 2003, n. 15 (Anticipazione dell’assegno di mantenimento a tu­tela del minore)» per quanto concerne «la sur­rogazione legale della Provincia autonoma nel credito di mantenimento a fronte del pagamento delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla legge» succitata.

La Corte costituzionale ha argomentato la dichiarazione di illegittimità costituzionale sostenendo che, essendo la surrogazione legale «un istituto del diritto civile (…) non può dubitarsi che esso rientri nella nozione di “ordinamento civile” di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costitu­zione» (4).

Pertanto, precisa la Corte costituzionale, le relative disposizioni possono essere disciplinate esclusivamente da leggi statali.

Da notare che l’Avvocatura dello Stato aveva sostenuto l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 15/2003 perché «la tutela dei minori e la disciplina dei rapporti di famiglia, anche nei loro aspetti patrimoniali, sono sempre state considerate come una parte del diritto civile e dovrebbe essere evitata la loro “atomizzazione” a livello regionale o provinciale, atteso che esse si riferiscono a valori essenziali della persona che debbono essere uniformi su tutto il territorio nazionale».

Orbene, com’è noto, la questione dei rapporti economici fra i parenti è regolamentata dagli articoli 433 e seguenti del codice civile. Si tratta, dunque, com’è previsto nella sentenza in oggetto, di norme contenute in «un istituto di diritto civile».

Di conseguenza, mentre le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno competenza per quanto concerne i rapporti con i soggetti assistiti, le suddette istituzioni, anche dopo la legge costituzionale n. 3/2000, non hanno alcun potere legislativo o regolamentare nei confronti dei rapporti delle persone che non sono direttamente coinvolte nelle prestazioni di assistenza sociale, e quindi nemmeno con i congiunti di coloro che ricevono prestazioni sociali, salvo quelli conviventi che beneficiano pure essi degli interventi, com’è il caso, per esempio, degli aiuti domiciliari di pulizia dell’abitazione.

Da notare che nella legge 328/2000 mai si fa riferimento ai parenti degli assistiti per quanto concerne le condizioni economiche, ma solamente al richiedente (cfr. l’articolo 25 riportato alla nota 1) o agli utenti (articoli 8 e 18).

Sulla base di quanto esposto in precedenza, risulta confermata ulteriormente la nostra posizione secondo cui i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici gestori delle attività socio-assistenziali non possono pretendere contributi economici dai parenti non conviventi con gli assistiti, nonché, per quanto concerne gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti ed i soggetti con handicap grave, dai congiunti conviventi.

Ricordiamo, infine, che in materia di contributi economici, deve essere rispettato l’articolo 23 della Costituzione che prevede quanto segue: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», legge che, ovviamente deve essere approvata dal Parlamento oppure dal Governo sulla base di una delega concessa dalla Camera dei deputati e dal Senato, com’è successo con i sopra richiamati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000.

 

Imposizioni abusive

Purtroppo, sono ancora numerosi i Comuni che, sovente con il parere favorevole dei Sindacati Cgil, Cisl e Uil, pretendono contributi economici dai parenti degli assistiti, spesso con vere e proprie forme di ricatto. Infatti, se i parenti, conviventi o non, si rifiutano di sottoscrivere l’impegno a pagare, il loro congiunto non viene assistito (5).

1. Sul n. 149, 2005 di Prospettive assistenziali abbiamo segnalato l’accordo intervenuto in data 18 dicembre 2003 fra la Giunta del Comune di Pavia e le Organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil in cui è previsto l’obbligo (illegale) delle persone tenute agli alimenti al pagamento della retta del soggetto con handicap «non coperto dal reddito del ricoverato» (6).

2. In un comunicato del 23 giugno 2005, la segreteria della Cgil di Bergamo ha illustrato i motivi in base ai quali «è giusto l’accordo Cgil, Cisl, Uil e  Comune di Bergamo». Detto accordo prevede il pagamento da parte dei parenti della quota della retta di degenza degli anziani cronici non autosufficienti ricoverati presso strutture residenziali, non coperta dalle risorse economiche (redditi e beni) del malato.

Secondo i Sindacati, detto versamento, non previsto dalle leggi vigenti, è stato stabilito sulla base di «un principio di equità, ma anche un principio di solidarietà, perché è la rete della parentela ad essere responsabilizzata nella contribuzione e, dopo di questa, la collettività, per la parte che eccede il “tetto di sopportabilità”» (7).

Per motivare l’intervento economico dei parenti ricoverati presso le Rsa, nel documento della Cgil viene affermato, non tenendo in alcuna considerazione i più elementari principi giuridici, che quanto stabilito dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 «è superato perché si prevede una contribuzione al 50% da parte del Comune con rimando alla regolamentazione regionale per quanto riguarda la compartecipazione dell’utente».

È vero che l’articolo 54 della legge 289/2002 ha previsto  che gli oneri della retta praticata dalle Rsa vengano corrisposti nella misura massima del 50% da parte dell’utente/Comune (8), ma non rimanda assolutamente alle norme regionali la definizione degli oneri a carico dell’utente, né prevede alcun onere a carico dei parenti dei malati cronici.

Nel documento in oggetto i Sindacati sostengono altresì che successivamente all’emanazione dei sopra citati decreti legislativi «è intervenuta la riforma del titolo V della Costituzione; l’assistenza non è citata (tranne quella propriamente sanitaria) né tra le materie di legislazione esclusiva della Stato, né tra quelle di legislazione concorrente Stato-Regioni. È quindi materia di legislazione regionale».

Al riguardo la Cgil di Bergamo non tiene conto che nel nuovo testo della Costituzione è previsto dall’articolo 117 che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», norma che pone evidenti limiti alle Regioni, ad esempio, per quanto concerne gli oneri da attribuire agli assistiti.

In secondo luogo la Cgil di Bergamo ritiene assurdamente che le competenze regionali relative all’assistenza si estendano anche ai parenti che non beneficiano di alcuna prestazione assistenziale.

Come abbiamo già rilevato, commentando la sentenza della Corte costituzionale n. 106/2005, lo Stato non solo ha competenza esclusiva in materia di «ordinamento civile» ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, ma anche in base all’articolo 23 della stessa Costituzione. Pertanto è lo Stato, e non le Regioni, che ha competenze in merito agli eventuali oneri a carico dei parenti degli assistiti.

In ogni caso è singolare che gli accordi di Cgil, Cisl e Uil con il Comune di Bergamo e di Pavia (e probabilmente anche molti altri) siano stati stipulati prevedendo oneri per i parenti degli assistiti non previsti dalle leggi vigenti. sarebbe quindi interessante conoscere le opinioni dei loro associati una volta informati delle vigenti norme di legge.

3. Anche il Comune di Parma ha fatto finora orecchie da mercante per quanto concerne le disposizioni sui contributi economici. Infatti, continua a pretendere dai congiunti degli anziani cronici non autosufficienti, che hanno il diritto di essere ricoverati presso le Rsa, la previa sottoscrizione del modulo “Impegno al pagamento della retta prevista per l’accoglienza a tempo prolungato in una struttura protetta”.

In detto modulo è previsto che il parente «a nome e per conto del proprio congiunto Sig./ra… nato/a a… il… si impegna al pagamento degli oneri finanziari conseguenti all’ospitalità del/la medesimo/a presso la struttura protetta che saranno a totale carico proprio, degli altri familiari obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile e dell’ospite Sig./ra

«Con il presente impegno di pagamento, assunto in via solidale con l’ospite, il/la sottoscritto/a, nella qualità di cui sopra, si impegna a pagare direttamente all’ente, con le modalità e le scadenze da esso stabilite, le rette di degenza previste e determinate annualmente dall’ente stesso.

«Il/la sottoscritto/a accetta fin d’ora eventuali variazioni degli importi originariamente dovuti, conseguenti a maggiori oneri di assistenza causati da aggravamenti delle proprie condizioni di salute certificati dall’Uvg [Unità valutativa geriatria, n.d.r.] sia da trasferimenti in altre strutture dell’ente sia da variazioni della retta deliberati dall’ente stesso.

«Il/la sottoscritto/a dichiara che venendo meno all’impegno assunto, si assoggetterà, con gli altri familiari obbligati, all’applicazione della procedura coattiva prevista dalle disposizioni di legge, per consentire il recupero del credito.

«Per quanto occorrer possa, precisa che il presente impegno di pagamento viene assunto dal/la sottoscritto/a in proprio nome e per conto degli altri familiari obbligati e dell’ospite Sig./ra… quale assunzione del debito nei termini di cui sopra, in via solidale».

Da notare che, quale modalità di pressione e di ricatto, la mancata sottoscrizione dell’impegno di cui sopra determina il rifiuto del Comune di Parma a provvedere al ricovero del soggetto cronico non autosufficiente, nonostante che le leggi vigenti, compreso l’articolo 54 della legge 289/2002, assicurino agli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza il personale diritto alle cure presso le Rsa (9).

Va, inoltre, aggiunto che, richiedendo la sottoscrizione dell’impegno di cui sopra riportato, i servizi sociali del Comune di Parma impongono altresì la comunicazione dei nominativi e degli indirizzi degli obbligati al mantenimento ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, costringendo il parente sottoscrittore a violare la legge sulla riservatezza dei dati personali, infrazione che coinvolge anche gli stessi addetti del Comune di Parma, nonché i responsabili del provvedimento amministrativo concernente le modalità di corresponsione delle rette di ricovero.

4. Il Comitato dei genitori di soggetti maggiorenni con handicap intellettivo che frequentano un Centro diurno si sono rivolti al difensore civico della Provincia di Arezzo per sapere se era corretto che le quote richieste agli utenti fossero calcolate sulla base delle risorse dell’intero nucleo familiare.

Il Difensore civico, avvocato Federica Bartolini, ha risposto in data 24 novembre 2005 precisando che «l’Amministrazione non può estendere la sua valutazione al reddito familiare, ma deve far riferimento esclusivamente alla situazione economica del solo assistito», aggiungendo che la normativa vigente (leggi 104/1992 e 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) «ha carattere prescrittivo e cogente e non semplicemente programmatico».

Di conseguenza, puntualizza il Difensore civico, «il regolamento comunale nel disciplinare la materia avrebbe dovuto osservarne il contenuto».

Infine, «ciò posto, il Difensore civico richiede notizie più precise e circostanziate sull’argomento, invitando l’Amministrazione, nel frattempo, a non avviare atti ingiuntivi, né iscrizioni nei ruoli delle somme che si presumessero dovute».

Il suddetto parere, pienamente conforme alle norme vigenti, è respinto dal Sindaco di Civitella in Val di Chiana, Massimiliano Dindalini che, dopo aver ricordato che «in data 14 novembre 2003 il Consiglio comunale con atto n. 82 ha approvato, all’unanimità, il regolamento per le erogazioni degli interventi assistenziali redatto dalla zona socio-sanitaria Aretina (…) nel quale si dice che l’Isee [Indicatore della situazione economica equivalente, n.d.r.] per la compartecipazione alla spesa per strutture semiresidenziali per disabili è riferito all’intero nucleo familiare», risponde al Difensore civico sostenendo che «la normativa Isee non ha carattere, come da lei affermato, prescrittivo e cogente in senso assoluto, ma lascia liberi gli enti di effettuare una serie di scelte ritenute più consone agli obiettivi prefissati e resta incompiuta proprio con riferimento alla determinazione dell’Isee per i soggetti portatori di handicap».

Il Sindaco aggiunge che «non risulta essere stato ancora emanato il decreto di cui all’articolo 3 comma 2 ter del decreto legislativo n. 130/2000, che avrebbe dovuto fissare i limiti di applicazione della disposizione relativa al reddito di riferimento per i cittadini con disabilità grave e gli ultrasessantacinquenni».

Le affermazioni del Sindaco sono del tutto infondate in quanto nelle leggi vigenti non c’è alcuna disposizione che «lascia liberi gli enti di effettuare una serie di scelte ritenute più consone agli obiettivi prefissati».

Inoltre, il Sindaco dimentica (volutamente?) che il decreto previsto dal comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 ha lo scopo di «evidenziare la situazione economica del solo assistito» per quanto concerne i soggetti con handicap grave e gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti (10).

Il Sindaco di Civitella in Val di Chiana, invece di applicare la legge e, ad esempio, di aumentare di qualche centesimo l’Ici (Imposta comunale sugli immobili) minaccia di impedire la frequenza del centro diurno affermando che «se vi sarà, da parte dei genitori dei ragazzi frequentanti i centri per disabili, un rifiuto a sostenere le spese relative agli importi richiesti, ci vedremo costretti a non rinnovare le convenzioni in atto, per l’anno 2006, con le strutture per problematiche di carattere economico», scordando anche in questo caso che i Comuni sono obbligati fin dal regio decreto 773/1931 (articoli 154 e 155) ad assistere i soggetti con handicap inabili al lavoro. Se rispettasse le leggi e le esigenze dei soggetti con handicap, il Comune dovrebbe riconoscere l’as­sunzione, da parte dei congiunti del ruolo, alta­-mente sociale, concernente il volontariato intrafamiliare (11), assunzione che determina altresì con­sistenti risparmi da parte dell’ente locale che, altrimenti, sarebbe costretto a provvedere al loro ricovero, senza alcun onere economico per iparenti.

Il Comune di Bologna ha inviato una ingiunzione di pagamento allo zio materno di una persona colpita da gravissimo handicap invalidante (100%) frequentante da circa vent’anni un centro diurno, il cui importo della pensione è di appena 244,20 euro, mentre la misera indennità di accompagnamento (che non costituisce reddito) è di euro 443,83.

L’ingiunzione di pagamento è una misura estremamente vessatoria in quanto o si provvede al versamento del denaro richiesto (nel caso in esame euro 196,48 al mese, per cui l’utente dovrebbe vivere con meno di 3 euro al giorno) (12) oppure si deve avviare (com’è successo nel caso in esame) una causa civile assumendone tutti i conseguenti oneri a partire dalla parcella del legale.

 

Conclusioni

È assai allarmante che vi siano ancora numerosi Comuni che continuano ad ignorare le leggi e impongono, a volte con il ricatto, oneri economici abusivi ai congiunti di persone con handicap grave o di ultrasessantacinquenni colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

È altrettanto preoccupante che i Sindacati Cgil, Cisl e Uil, invece di tutelare i diritti degli utenti, stipulino accordi in cui sono previsti oneri per i congiunti.

Da parte nostra ci impegniamo a proseguire la nostra azione di tutela della legalità e dei diritti dei cittadini incapaci di autodifendersi, grazie anche all’aiuto fornitoci dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) e dalla Fondazione Promozione sociale.

 

 

 

(1) È, all’incirca, la data di entrata in vigore della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza, il cui articolo 25 è così redatto: «Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130». A seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni sopra citate, sono state abrogate le discutibili norme sulle contribuzioni economiche previste dalla legge 1580/1931.

(2) In base all’articolo 2 del testo unificato dei citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, risulta quanto segue:

- comma 1: «la valutazione della situazione economica del richiedente è determinata con riferimento alle informazioni relative al nucleo familiare di appartenenza»;

- comma 2: «Ciascun soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare»;

- comma 6: «Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata».

Premesso che il primo comma dell’articolo 438 del codice civile stabilisce che «gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere a se stesso», ne deriva che per nessun motivo possono essere avanzate richieste di rivalsa ai parenti non conviventi con l’assistito.

(3) Il comma 2 ter dell’articolo 3 del decreto legislativo 109/1998, come risulta modificato dal decreto legislativo 130/2000 stabilisce quanto segue: «limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria, erogate a domicilio o in ambito residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’aricolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito (…)». Occorre precisare che non è assolutamente vero, come sostengono alcuni, che i decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 non sono in vigore. Infatti, la mancata emanazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri del decreto amministrativo diretto a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza», di cui al testo sopra riportato, non può bloccare o sospendere l’applicazione delle norme sui contributi economici per i seguenti motivi:

• i decreti amministrativi non possono modificare in nulla e per nulla le disposizioni aventi valore di legge, come lo sono i decreti legislativi 109/1998 e 130/2000;

• il decreto amministrativo di cui sopra non è più necessario in quanto la legge 328/2000 indica in modo dettagliato le misure dirette a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza»;

se la mancata emanazione di un decreto amministrativo potesse bloccare o sospendere una legge, significherebbe che il Presidente del Consiglio dei Ministri può limitare i poteri del Parlamento compiendo una semplice omissione.

(4) Il secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione stabilisce quanto segue: «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) l) giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa».

(5) Si tratta di una deplorevole violenza anche nei confronti dell’assistito che l’ente pubblico rifiuta di assistere nonostante che le leggi vigenti (si veda per ultimo l’articolo 54 della legge 289/2002 sui Lea, Livelli essenziali di assistenza) prevedano diritti esigibili in materia di prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Da notare che, se sottoscrivono una impegnativa con un ente pubblico o privato che gestisce strutture residenziali, i parenti sono costretti a corrispondere somme, spesso non indifferenti (in certi casi 60-70mila euro per un ricovero della durata di due anni), non perché obbligati dalle leggi, ma per il fatto di aver assunto un obbligo di natura contrattuale. Si può ovviare al ricatto sottoscrivendo l’impegnativa imposta dal Comune (al fine di ottenere la prestazione, ad esempio il ricovero presso una Rsa, Residenza sanitaria assistenziale) e inviando la relativa disdetta appena ottenuta la prestazione. La disdetta non è praticabile se l’impegnativa è stata sottoscritta a favore di Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) o di enti privati.

(6) Ricordiamo che in data 15 novembre 2002 l’Assessore ai servizi sociali della Regione Marche ha affermato che i suoi uffici hanno «più volte espresso parere circa l’applicazione del decreto legislativo 130/2000, ribadendo che il calcolo del reddito vada effettuato in modo individuale, e non del nucleo familiare, per i portatori di disabilità e per gli ultrasessantacinquenni» ed ha aggiunto che «anche per quanto riguarda la compartecipazione dei familiari, si è precisato che, in base all’articolo 433 del codice civile, questa deve essere richiesta solo dall’interessato e non direttamente dall’ente erogante il servizio» (cfr. Prospettive assistenziali, n. 152, 2005, pag. 8). Segnaliamo, inoltre, che la Direzione generale del diritto alla salute e delle politiche sociali della Regione Toscana, nella nota del 15 dicembre 2005, prot. 125/32935/10.02 ha scritto quanto segue: «Il riferimento che richiama le previsioni del codice civile in materia di “tenuti agli alimenti” è sicuramente inapplicabile nei regolamenti per i servizi residenziali e di cura agli anziani. In effetti in passato era consuetudine introdurre nei regolamenti dei Comuni e delle Asl, in particolare per quanto riguardava l’inserimento di soggetti in strutture residenziali, il riferimento alla determinazione della retta sulla base del reddito calcolato sui “tenuti agli alimenti” ai sensi delle previsioni del codice civile (articolo 438 e seguenti). Numerose sentenze anche della Corte di Cassazione hanno ritenuto illegittima questa previsione sia perché le richieste al mantenimento possono essere avanzate solo dall’assistito, sia perché un altro soggetto, anche se pubblico, non può sostituirsi al Giudice nella determinazione della contribuzione. Infine, bisogna ricordare cha la legge regionale 41/2005, in coerenza con la legge 328/2000, all’articolo 47 prevede come il concorso degli utenti ai costi delle prestazioni è stabilito a seguito della valutazione della situazione economica del richiedente, effettuata con lo strumento dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130».

(7) È sperabile che detti principi di equità e di solidarietà, a cui fanno appello Cgil, Cisl e Uil per il ricovero degli anziani affetti da malattie croniche, non vengano invocati dagli stessi Sindacati per le «prestazioni di tipo riabilitativo che necessitano di trattamenti prolungati» com’era ipotizzato nella proposta di legge di iniziativa popolare redatta nel 1993 dal Dipartimento alle politiche sociali della Cgil nazionale. Cfr. “Una irragionevole e controproducente proposta di legge dei Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil sulla non autosufficienza”, Prospettive assistenziali, n. 152, 2005.

(8) La delibera della Giunta della Regione Piemonte n. 17/2005 stabilisce che la retta delle Rsa è corrisposta nella misura del 54% da parte del Servizio sanitario regionale, mentre il 46% è a carico dell’utente, ma solamente nel limite delle sue personali risorse economiche.

(9) Avendo le leggi sanzionato il diritto esigibile al soggetto malato cronico non autosufficiente alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale, è evidente che la sua attuazione non può per nessun motivo essere condizionata dal comportamento dei congiunti.

(10) In merito all’applicabilità dei sopraccitati decreti legislativi anche in assenza del decreto a cui fa riferimento il Sindaco di Civitella in Val di Chiana, abbiamo già esposto le nostre considerazioni nella nota 3.

(11) Cfr. Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolazione definitiva”, Prospettive assistenziali n. 144, 2003. Il principio del volontariato intrafamiliare è stato riconosciuto anche dal Consiglio comunale di Torino con la delibera del 26 settembre 2005 avente per oggetto “Riordino delle prestazioni sociali e sociosanitarie”.

(12) Da notare che in base alle citate leggi vigenti, il Comune di Bologna non solo deve far riferimento esclusivamente alla situazione economica personale dell’assistito, ma non può nemmeno considerare uno zio fra le persone che sono tenute agli alimenti.

 

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