Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005

 

 

UNA DISCUTIBILE E INOPPORTUNA SANATORIA A FAVORE DELLE STRUTTURE RESIDENZIALI DEL COTTOLENGO

 

 

Da moltissimi anni, a livello scientifico ed operativo, sono state rilevate le gravissime conseguenze negative derivanti dalla concentrazione dei soggetti con handicap (o aventi altre difficoltà) nella stessa struttura di ricovero.

Infatti, l’allontanamento dal loro contesto di vita comporta uno sfilacciamento, a volte anche la perdita totale, dei legami familiari ed amicali, soprattutto nei casi in cui la distanza fra l’ambiente di provenienza e la struttura non consenta regolari incontri almeno settimanali. Il trasferimento della persona dalla sua residenza ad un ambiente lontano (prassi che il giurista Carlo Alfredo Moro ha definito “deportazione assistenziale”) causa una pericolosa deresponsabilizzazione della società di appartenenza, che coinvolge non solo le forze politiche ma anche quelle sociali, nonché i vari servizi: scuola, sanità, casa, assistenza, ecc. Inoltre, com’è stato ampiamente dimostrato da molto tempo, l’istituzionalizzazione determina sfavorevoli condizioni di vita dei ricoverati, nonostante il lodevole impegno umano e professionale degli operatori. Quanto sopra è confermato dalle testimonianze di Roberto e Piero, che sono stati ricoverati al Cottolengo di Torino il primo per 35 anni e il secondo per 24 (1).

Ciò premesso, desta sconcerto l’approvazione da parte della Giunta della Regione Piemonte della delibera del 23 febbraio 2004, n. 60 - 11842 in cui viene autorizzata la prosecuzione del funzionamento del Cottolengo di Torino, nonostante la sua riconosciuta «dimensione rilevante» (la cui capacità ricettiva è di ben 600 persone fra anziani e soggetti con handicap). Da notare che, in base al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2001, n. 308, che «fissa i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale di cui alla legge 328 del 2000», la ricettività massima è stabilita in «120 posti letto organizzati in nuclei fino a 30 ospiti nelle strutture per anziani” e nel “massimo 20 posti letto nelle strutture per disabili». Per l’approvazione della deroga, la Giunta regionale si è riferita al discutibile articolo 37 della legge regionale n. 1/2004, che «attribuisce alla Giunta regionale la facoltà di individuare uno specifico regime in ordine ai tempi e alle modalità di adeguamento delle strutture esistenti gestite da soggetti senza fini di lucro, caratterizzate da una dimensione rilevante, da modalità organizzative adeguate ad una ottimale risposta ai bisogni di particolari tipologie di utenza e comprovate dal ruolo storico che tali soggetti hanno svolto nel tempo». A parere nostro, l’articolo 37 non è solo discutibile, ma anche illegittimo in quanto né la legge 328/2000 di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali, né il citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 308/2001 consentono alle Regioni di autorizzare strutture non rispondenti ai requisiti minimi del decreto stesso. Da notare che l’articolo 1 del decreto 308/2001 stabilisce che «ai sensi dell’articolo 11, comma 2 della legge 328 del 2000, le Regioni recepiscono e integrano, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi fissati dal presente decreto». Ora, è di palmare evidenza che le parole recepiscono e integrano” non possono assumere il significato di “violano” i requisiti minimi stabiliti dal decreto 308/2001, da noi riportati in precedenza.

Ma vi sono altri due aspetti ancora più inquietanti. In primo luogo la delibera regionale, che autorizza la prosecuzione dell’attività del Cottolengo, non stabilisce alcun termine per la gestione provvisoria, che potrebbe pertanto prolungarsi anche indefinitamente. In secondo luogo, dalla delibera relativa alla concessione dell’autorizzazione che consente al Cottolengo di proseguire la propria attività, non viene precisato se sono stati effettuati gli accertamenti per verificare «il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, prevenzione incendi, igiene e sicurezza e l’applicazione dei contratti di lavoro e dei relativi accordi integrativi» che le strutture devono obbligatoriamente possedere ai sensi dell’articolo 5 del già più volte citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 308/2001.

 

Conclusioni

È estremamente grave che il Cottolengo, che trasmette incessantemente all’opinione pubblica una visione sempre molto rassicurante della propria attività, non sia riuscito ad assicurare almeno il livello minimo dei requisiti strutturali previsti dalla legge. Infine, considerato l’enorme patrimonio del Cottolengo (secondo alcuni superiore a mezzo miliardo di euro, mille miliardi delle ex lire), resta inspiegabile la mancata realizzazione di comunità alloggio di tipo familiare (8-10 posti al massimo) create dove vivono i soggetti con handicap privi di sostegno familiare.

 

 

(1) Cfr. Emilia De Rienzo - Claudia De Figueiredo, Anni senza vita al Cottolengo - Il racconto e le proposte di due ex ricoverati, Rosenberg & Sellier. Si veda inoltre il volume di Nunzia Coppedè, Al di là dei girasoli, Edizioni Sensibili alle foglie, in cui l’Autrice descrive le sofferenze patite a causa dell’internamento in vari istituti, fra cui il Cottolengo di Roma.

 

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