Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

 

IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA E L’ADOZIONE MITE

 

Riportiamo integralmente la lettera inviata in data 7 ottobre 2005 da Donata Micucci, presidente nazionale Anfaa, al Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Carlo Azelio Ciampi, al Vice-Presidente On. Virginio Rognoni, nonché a tutti i Componenti dello stesso Consiglio.

 

Intendiamo esprimere le vivissime preoccupazioni dell’Anfaa in merito alla delibera assunta dal Consiglio Superiore della Magistratura nella seduta del 2 luglio 2003 con cui ha deciso di «prendere atto della nota in data 6 maggio 2003 del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari avente ad oggetto: “Istituzione del servizio per adozione mite”».

Nella nota citata, il Presidente Franco Occhiogrosso informava il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura che «nei giorni scorsi è stato istituito presso questo Tribunale per i minorenni il servizio per l’adozione mite, del quale nella nota allegata vengono illustrati i profili più significativi» precisando quindi che «con specifica variazione tabellare è stata anche disciplinata la distribuzione dei compiti tra i giudici. Segnalo quanto sopra a codesto On. Consiglio Superiore della Magistratura affinché  ne voglia prendere atto».

La nuova procedura, presentata dal Tribunale per i minorenni di Bari come innovativa (v. ad esempio la stessa aggettivazione di adozione “mite” che non trova riscontro nel nostro ordinamento), è ampiamente descritta nelle circolari dello stesso Tribunale per i minorenni allegate alla nota del presidente Occhiogrosso sopra citata.

Il Consiglio Superiore della Magistratura con la sua “presa d’atto”, a nostro avviso, è andato ben oltre le proprie competenze istituzionali, prendendo atto e, quindi, di fatto, autorizzando il Tribunale per i minorenni di Bari a pronunciare l’adozione cosiddetta “mite” anche nei confronti di minori non dichiarati in situazione di adottabilità, mentre l’articolo 44, lettera d) della legge n. 184/1983 e successive modifiche, consente l’adozione in casi particolari esclusivamente nei confronti dei minori «quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo».

Poiché l’affidamento preadottivo può essere disposto dai Tribunali per i minorenni solamente nei confronti dei minori dichiarati adottabili, la pronuncia dell’adozione “mite” nei riguardi dei fanciulli non dichiarati adottabili, costituisce una sicura e gravissima violazione delle norme varate dal Parlamento a tutela dei minori «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi» (articolo 8, comma 1 della legge suddetta) e non per sottrarre figli minorenni a nuclei familiari in difficoltà.

La “presa d’atto” del Consiglio Superiore della Magistratura è stata, in più sedi – a conferma di quanto segnalato – presentata e strumentalmente utilizzata come una autorizzazione ad una applicazione estensiva ed arbitraria del suddetto art. 44, lettera d). Significativo al riguardo quanto scritto nel “Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva in materia di adozione e affidamento” della Commissione parlamentare per l’infanzia, la quale, dopo aver sostenuto che «suscita particolare interesse il modello attuato dal Tribunale per i minorenni di Bari, denominato “adozione mite”», ha precisato che «la sperimentazione è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura» (cfr. “Indagini conoscitive e documentazioni legislative” n. 18, Atti parlamentari, XIV legislatura pag. 292). La stessa proposta di legge n. 5724 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione aperta e di adozione “mite” presentata dall’on. Bolognesi ed altri afferma che «la sperimentazione citata è stata posta in essere a seguito di autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura». Anche i mezzi di informazione ne danno comunicazione in questi termini: a titolo esemplificativo nell’articolo “L’affido-infinito e l’adozione mite” in Vita, del 16 settembre 2005 al riguardo si legge: «Da qui nasce la sperimentazione del tribunale barese autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura, che ha dato l’avvio a un numero significativo di “adozioni non legittimanti”» di minori «in stato di semiabbandono permanente» ma non dichiarati in stato di adottabilità in quanto non privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. Addirittura il Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, nello stesso articolo, ha dichiarato che le adozioni miti vengono pronunciate «quando la famiglia d’origine, pur essendo incapace di rispondere alle esigenze educative del proprio figlio, non lo ha del tutto abbandonato e, anzi, mantiene con lui un rapporto affettivo significativo», il che significa sottrazione illegittima di minori ai loro congiunti in difficoltà.

L’Anfaa ricorda che l’applicazione del suddetto art. 44, lettera d), è stato prevista dal legislatore unicamente come forma residuale, per quei limitati casi in cui per un minore dichiarato adottabile, in quanto privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, non sia possibile l’inserimento in una famiglia adottiva avente i requisiti previsti per l’adozione legittimante.

Quando esiste uno stato di adottabilità accertato sarebbe pericoloso utilizzare l’adozione in casi speciali al posto di quella legittimante, in quanto priva l’adottato dello status di figlio legittimo con tutte le conseguenze non solo giuridiche, che ciò comporta. Ricorrere all’adozione “mite” in questi casi significa ridare fiato ai legami di sangue, significa misconoscere il fondamentale ruolo educativo della famiglia adottiva e riconoscere una valenza formativo-affettiva a genitori d’origine che pur hanno lasciato il minore privo di ogni sostegno morale e materiale.

È questo un altro duro colpo all’adozione intesa come genitorialità e filiazione vera e completa. Illuminante al proposito è quanto scritto da Franco Occhiogrosso in un suo articolo sull’adozione mite: «L’adozione mite si pone nella prospettiva di superare, sia pur parzialmente, la filosofia di fondo che presiede all’adozione legittimante ed alla sua prospettiva di intendere l’adozione come “seconda nascita” del minore con cancellazione di ogni riferimento al suo passato».

Secondo l’Anfaa l’adozione rappresenta per il minore, in accertato stato di adottabilità, sì una “seconda nascita”, che non cancella però la sua prima nascita e i suoi eventuali ricordi legati alla sua storia, ma non ne mantiene alcun legame giuridico.

D’altra parte è altrettanto pericoloso, a nostro avviso, ricorrere all’adozione nei casi particolari, quando il minore non versa in situazione di privazione di assistenza materiale e morale da parte dei suoi genitori. In questo caso lo strumento corretto da utilizzare per rispondere alle esigenze affettive di un bambino e di un ragazzo che ha una famiglia in difficoltà, è l’affidamento familiare. Il Tribunale per i minorenni di Bari la propone invece come modalità da utilizzare nei casi di affidamenti a lungo termine. A nostro avviso questa è una soluzione inaccettabile e fuorviante.

Se il minore non si trova in stato di adottabilità, non è certamente corretto ricorrere ad adozioni più o meno miti, anche nei casi di affidamenti a lungo termine. Questo anche e soprattutto per tutelare i diritti della famiglia di origine, che non deve essere espropriata del suo ruolo genitoriale, anche se per svolgerlo deve contare sull’aiuto di un’altra famiglia e degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari.

Se passasse il concetto che gli affidamenti a lungo termine (che sono la stragrande maggioranza degli affidamenti in corso) si possono trasformare in adozioni, anche se “miti”, i genitori in difficoltà si sentirebbero traditi e, ancor meno di oggi, sarebbero disponibili all’affidamento, temendo di perdere i figli.

Non troviamo accettabile neppure la prassi, avviata sempre dal Tribunale per i minorenni di Bari, che prevede la possibilità per gli aspiranti genitori adottivi di presentare la doppia domanda per l’adozione legittimante e per quella “mite”. Le famiglie che hanno fatto domanda di adozione possono maturare una disponibilità all’affidamento e diventare – ed è quello che l’esperienza di tante famiglie Anfaa insegna – famiglie affidatarie, ma è necessario un lungo e diverso percorso di elaborazione delle proprie motivazioni prima di essere in grado di accogliere un bambino in affidamento familiare, affidamento che implica necessariamente rapporti con la sua famiglia d’origine.

Richiamiamo infine l’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura sugli innumerevoli e gravi abusi verificatesi negli anni 1967-1983, periodo in cui coesistevano l’adozione speciale legittimante e l’adozione ordinaria, le cui finalità e strutture corrispondevano sostanzialmente alle norme previste per l’adozione mite.

Alla luce di quanto brevemente esposto (ulteriore contributo all’approfondimento è l’articolo “L’ado­zione mite: come svalorizzare la vera adozione” a firma di Francesco Santanera pubblicato sulla rivista Prospettive assistenziali, che alleghiamo), l’Anfaa chiede che il Consiglio Superiore della Magistratura si pronunci nuovamente in merito – rettificando quanto a suo tempo deliberato – nell’ambito delle sue funzioni, funzioni che peraltro non contemplano la facoltà di autorizzare interpretazioni giuridiche innovative della normativa esistente.

 

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