Prospettive assistenziali, n. 152, ottobre - dicembre 2005

 

 

ALTRE PRESE DI POSIZIONE CONTRARIE AL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO SU ADOZIONE E AFFIDO  INTERNAZIONALI

 

 

Nell’editoriale del n.150, aprile-giugno 2005 di Prospettive assistenziali, avevamo espresso i motivi in base ai quali ritenevamo che il disegno di legge n. 3373 “Modifiche ed integrazioni alla disciplina in materia di adozione e affidamento internazionali”, presentato dai Ministri Stefania Prestigiacomo, Gianfranco Fini, Beppe Pisanu e Roberto Castelli, non rispondesse alle esigenze dei minori adottabili e dei fanciulli che necessitano di vivere anche temporaneamente al di fuori del loro nucleo familiare di origine.

Quindi, nel numero successivo della nostra rivista, abbiamo riportato alcune prese di posizione (Ordine degli assistenti sociali, Coordinamento enti autorizzati per l’adozione internazionale, Associazione nazionale assistenti sociali) contrarie al suddetto disegno di legge.

Mentre scriviamo è in corso la discussione del testo del Governo  e degli emendamenti presentati dai Parlamentari, che sono molto numerosi. Le Commissioni  hanno deciso di non effettuare né indagini conoscitive né audizioni, nonostante le numerose richieste pervenute. Alle prese di posizione contrarie già segnalate, se ne sono aggiunte altre sul versante istituzionale.

1. Il Coordinamento nazionale degli Assessori alle politiche sociali  delle Regioni ha approvato in data 14 settembre 2005, nell’ambito della Commissione Politiche sociali della Conferenza Stato-Regioni, un documento in cui si denuncia che «con il disegno di legge  vengono introdotte palesi differenze fra l’adozione nazionale e l’adozione internazionale, in particolare per quanto riguarda la fase di valutazione dell’idoneità della famiglia adottiva, tracciando percorsi nettamente diversi, con garanzie diverse rispetto all’approfondimento degli aspetti psico-sociali e motivazionali della coppia. Di fatto il minore straniero non ha le stesse garanzie del minore italiano in situazione di abbandono, perché le famiglie adottive vengono valutate diversamente, con gradi di approfondimento diverso. L’obiettivo dichiarato del disegno di legge è quello di semplificare la procedura e di abbattere i tempi dei procedimenti adottivi. Va però sottolineato che il disegno di legge si propone di ridurre i tempi che la legge 476/1998 dedicava alla informazione e preparazione della coppia, fase molto importante del percorso verso l’adozione, al fine di favorire il miglior incontro tra il minore e gli aspiranti l’adozione; si sottolinea come i tempi previsti dalla normativa attuale sono spesso tempi necessari per maturare una decisione importante per la vita della famiglia e dei minori coinvolti.

«Il disegno di legge non tiene conto che invece buona parte del tempo impiegato nell’adozione è legato alla successiva fase di abbinamento, definita dal momento in cui la coppia conferisce l’incarico all’ente autorizzato e successivamente perfezionato con le autorità estere.

«L’accertamento dell’idoneità viene lasciato completamente al Tribunale per i minorenni, rinunciando a un aspetto di collaborazione tecnica e scientifica fra Tribunale per i minorenni e servizi sociosanitari che aveva caratterizzato finora la procedura adottiva, dimostrando (al livello operativo) come solo il coinvolgimento di più professionalità in sinergia tra loro possa costituire il massimo della garanzia, nell’interesse del minore, in una materia così delicata quale è il giudizio di idoneità.

«Con il disegno di legge, l’accertamento di idoneità approfondirà molto meno gli aspetti di carattere personale, motivazionale e psicologico della coppia, fondamentali, in realtà, per il buon esito dell’adozione internazionale.

«L’adozione internazionale è una forma di solidarietà che ha significato e importanza soprattutto per quei bambini che non trovano nel loro Paese risposta alla loro situazione di abbandono. Sempre più gli Stati esteri tendono giustamente a favorire forme di accoglienza all’interno dei loro confini. La disponibilità dei bambini da adottare tende quindi ad essere di bambini grandicelli o portatori di patologie altrimenti difficilmente curabili nello Stato di provenienza. Sono situazioni che in relazione all’età dei bambini e alle loro difficoltà richiedono particolare preparazione e approfondimento e sottolineano la validità di una approfondita valutazione della coppia. Con il disegno di legge, per alcuni aspetti la valutazione di idoneità si ferma di fatto all’acquisizione della disponibilità. Si può dire che l’accento passa dall’interesse del minore al preteso diritto degli adulti ad avere comunque un figlio».

Il Coordinamento degli Assessori regionali alle politiche sociali rileva inoltre che «se il disegno di legge introduce (art. 3 e 4) alcuni aspetti di maggiore responsabilizzazione e controllo degli enti  autorizzati, nel rapporto con la Cai [Commissione per l’adozione internazionale, n.d.r.] e con le coppie (aspetti apprezzabili), altro aspetto che lo rende particolarmente debole è l’idea di attribuire alla Cai stessa la funzione di concordare, con l’autorità straniera, l’abbinamento e la successiva decisione di procedere all’adozione del minore, ruolo che nella normativa in vigore viene affidato all’ente autorizzato. Gli enti autorizzati hanno una presenza diffusa e capillare in molti Stati e questo facilita la riduzione dei tempi legati all’abbinamento; probabilmente
l’idea di riversare sulla Cai tutte le pratiche di adozione internazionale andrebbe in senso opposto all’obiettivo dichiarato di ridurre i tempi.

«Si evidenzia il possibile rischio che la Com­missione si trovi ingolfata in funzioni ed attività che possono essere svolte adeguatamente da altri soggetti (come per altro avviene con la vigente normativa) distogliendo la propria attenzione e le proprie energie da aspetti fondanti per il miglioramento dell’adozione internazionale quali le relazioni con i paesi di provenienza. La determinazione di accordi specifici, la realizzazione di protocolli di intesa e quant’altro necessario al miglioramento delle vigenti procedure adottive, nell’interesse dei minori e degli aspiranti genitori adottivi sono fondamentali nella riduzione dei tempi di attesa e del corretto svolgimento delle pratiche di adozione, anche nell’ottica della semplificazione del procedimento.

«Con riferimento ai compiti che il disegno di legge affida alla Cai, all’estromissione dei servizi sociali e sanitari locali, si legge nel disegno di legge una visione centralistica ed accentratrice, che ben poco riconosce l’importanza di un coinvolgimento della dimensione locale con la quale la famiglia e il minore si confrontano quotidianamente».

Sul nuovo istituto dell’affidamento internazionale introdotto dal disegno di legge governativo, il Coordinamento ha espresso altresì la preoccupazione «che tale forma di affido possa diventare nei fatti una forma di adozione mascherata, cui possono ricorrere single e coppie che non hanno ricevuto il decreto di idoneità all’adozione. Le perplessità si pongono su più piani: un piano è relativo alla difficoltà di reinserimento del minore nel Paese di origine dopo aver vissuto per un consistente periodo di tempo (due anni, rinnovabili) in Italia. Non viene data indicazione dell’età dei minori stranieri che si possono affidare, né si specifica nel dettaglio quali possono essere i progetti che giustificano la loro presenza. Fra le altre cose, anche in questo caso viene messo in forte discussione il ruolo del servizio socio sanitario, che  nella normativa attualmente in vigore per l’affidamento familiare nazionale, è “responsabile del programma di assistenza”, “vigila” durante l’affidamento, relaziona semestralmente “sull’andamento del programma  di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza”, assumendo un ruolo fondamentale di garanzia nei confronti del minore e delle possibilità di un effettivo rientro in famiglia. Nel disegno di legge i servizi socio-assistenziali degli enti locali sono relegati a non meglio precisati aspetti di vigilanza senza nessuna forma di intervento nella valutazione della coppia (lasciata al Giudice tutelare) e negli aspetti fondamentali di definizione del progetto (obiettivi, tempi di attuazione, rapporto con la famiglia di origine, realizzazione di un progetto educativo con la famiglia affidataria), anche in questo caso con una palese differenziazione rispetto all’affidamento nazionale».

2. In data 21 ottobre 2005 l’Assessore al Welfare e politiche per il lavoro della Regione Piemonte, On. Angela Migliasso, ha inviato al Presidente e ai Componenti della Commissione giustizia e a quella speciale in materia di infanzia e minori del Senato la seguente lettera: «Questa Amministrazione intende esporre forti perplessità e dissenso in merito ad alcuni articoli del disegno di legge n. 3373 “Modifiche e integrazioni alla disciplina in materia di adozioni e affidamento internazionali” che, a seguito della decisione delle due Commissioni riunite, è stato assunto come testo base per la presentazione degli emendamenti.

«Gli Assessori alle politiche sociali delle Regioni si sono espressi con un documento approvato in data 14 settembre 2005 nell’ambito della Commissione politiche sociali della Conferenza Stato-Regioni.

«Lo sforzo delle Regioni, dei Comuni e degli enti che si sono occupati di adozioni in questi anni è stato quello di promuovere nel territorio la cultura dell’adozione, nel superiore interesse del minore, nei termini di accoglienza e di accompagnamento della coppia aspirante all’adozione e del nucleo familiare in tutte le fasi dell’iter adottivo, in uno spirito di collaborazione fra i vari soggetti.

«Una modifica di tale modello operativo esporrebbe i bambini ad un rischio maggiore, quello del fallimento adottivo, con tutte le ripercussioni derivanti sul piano sociale, psicologico, economico sia del minore sia della famiglia adottiva successivamente al loro ingresso in Italia.

«La legge 476/1998, dopo la prima fase di riorganizzazione dei servizi e di avvio, richiede una attenta ed approfondita analisi per capire quali possono essere le modifiche da apportare nel rispetto delle convenzioni internazionali e nell’ottica del migliore interesse del bambino.

«Rinnovo pertanto la richiesta di audizione con riferimento alla discussione del disegno legislativo in oggetto in materia di adozione internazionale, anche in qualità di rappresentante dell’unica Regione italiana che ad oggi ha istituito un servizio pubblico ai sensi dell’articolo 39 bis della legge 184/1983 (come modificata dalla legge n. 476/1997) e che può mettere a disposizione l’esperienza acquisita.

«Si ritiene tale audizione fondamentale, in quanto occasione per assumere un utile ed unico contributo alla discussione in un ambito, quale quello delle adozioni internazionali, così complesso non solo in ra­gione della delicatezza della materia ma anche in ra­gione dei diversi soggetti coinvolti nell’iter adottivo».

3. Con un documento sul tema degli affidamenti internazionali inviato ai Senatori delle Commissioni giustizia e speciale infanzia, la presidenza e la segreteria del Cnsa (Coordinamento nazionale servizi affidi), che fanno rispettivamente capo ai Comuni di Torino e di Genova, sono intervenuti nel dibattito in corso ponendo l’accento sul fatto che «l’affido familiare, secondo quanto indicato dalle leggi 184/1983 e 149/2001, è finalizzato a garantire ad un bambino/ragazzo una vita familiare nel tempo in cui la propria non è in grado di assicurargli adeguata attenzione e cura del suo sviluppo. In altre parole, quando non siano risultati sufficienti gli interventi di sostegno ed aiuto disposti nei confronti del nucleo d’appartenenza, si risponde alla temporanea non adeguata capacità genitoriale offrendo, attraverso l’esperienza dell’affido familiare, un supporto al minore e alla sua famiglia, ma garantendo il mantenimento della relazione affettiva fra di loro. Tramite l’affido familiare si assicura, quindi, al minore quel sistema di cura parentale e di relazioni psico-affettive necessarie per la sua crescita e, nello stesso tempo, si accordano alla famiglia d’origine il tempo ed il sostegno necessari al recupero di adeguate capacità genitoriali.

«Obiettivo principale è quindi, ove possibile, il rientro del minore nella sua famiglia: secondo l’indicazione della legge, pertanto, i vincoli affettivi positivi tra minore e famiglia d’origine vengono non solo preservati, ma anzi sollecitati, supportando e sostenendo i rapporti fra il bambino/ragazzo e la sua famiglia. Gli affidatari hanno perciò anche il compito di essere facilitatori e mediatori nella relazione del minore con i suoi genitori biologici e di operare a favore del ritorno del bambino con loro. L’affido comporta, inoltre, da parte dei Servizi sociali, la preparazione ed il supporto alla famiglia affidataria, la preparazione ed il coinvolgimento della famiglia d’origine, sostenuta nel suo percorso di “recupero”, nonché l’informazione ed il coinvolgimento del minore (ovviamente calibrato secondo l’età e la situazione personale)».

Il Cnsa precisa, quindi, che l’affidamento internazionale, così come configurato nel disegno di legge governativo n. 3373 «anche se nella denominazione rimanda all’esperienza dell’affido familiare, si discosta, nella prassi, da tale servizio, proprio per alcune caratteristiche precipue:

- un’adeguata tutela del minore richiede di evitare bruschi mutamenti di situazione relazionale, ma non è possibile garantire effettivamente il mantenimento della relazione fra il minore e la sua famiglia ed il suo contesto sociale e culturale, se le distanze tra la residenza di questa e quella della famiglia accogliente sono notevoli, addirittura sono in Stati diversi;

- la prevista possibilità di un affido anche per tutto il periodo di studi, cioè per diversi anni, nonché di adozione del minore dopo due anni se la famiglia d’origine, che nel frattempo è rimasta nel proprio Paese, accetta tale proposta (e non è indicato come e da chi è supportata nel percorso di recupero dai problemi che hanno motivato l’allontanamento del minore), rischiano addirittura di diventare un atto “punitivo” nei confronti di quest’ultima e, in questi casi, tale accoglienza può diventare, nei fatti, un canale che permette di superare la normativa vigente in materia di adozione».

Il Cnsa rileva infine che:

«a) le possibilità di ingresso e di permesso di soggiorno per motivi di studio e per cure mediche, anche in situazioni di emergenza, sono già sufficientemente previste e normate dalla legislazione vigente;

«b) la criminalità è sempre interessata ed abile a sfruttare ogni possibile canale che consenta di dar seguito ai propri interessi nel massimo della legalità: occorre quindi porre la massima attenzione per evitare di offrire involontariamente aperture a situazioni di sfruttamento (minori stranieri non accompagnati, …);

«c) occorre rispettare i parametri e le modalità previsti dalla normativa sull’adozione: è quindi necessario evitare, in ogni caso, che le accoglienze temporanee di minori stranieri siano rivolte a minori in stato d’abbandono ed adottabilità, così come non va prevista la possibilità di adottare i minori al termine di tale accoglienza, perché questo significherebbe uno snaturamento dell’intervento e comunque il superamento dei percorsi di valutazione e preparazione previsti per l’adozione;

«d) l’accoglienza di un minore di un altro nucleo familiare in difficoltà, e tanto più quella di uno proveniente da un altro Paese, richiede non soltanto disponibilità, sensibilità e l’esercizio delle “consuete” capacità genitoriali, ma anche il saper adeguatamente affrontare e gestire l’esperienza e le problematicità che inevitabilmente possono sorgere. Questi minori, infatti, devono accettare e coesistere con una doppia appartenenza e, nello specifico, superare differenze anche notevoli di cultura, mentalità, vita quotidiana. Occorre allora sia prevista, come per l’affido familiare e l’adozione, una fase di valutazione delle famiglie che si propongono per tale forma d’accoglienza ed il successivo supporto da parte degli operatori dei servizi che, con strumenti adeguati, accompagnino le famiglie e i minori nel loro percorso: ciò a tutela del minore e della famiglia accogliente;

«e) è opportuno, infine, nella eventuale predisposizione di una nuova proposta legislativa, identificare una più adeguata denominazione per esperienze di questo tipo, quale “Soggiorni climatici di minori stranieri”, per non generare confusione rimandando ad uno strumento profondamente diverso qual è l’affido familiare».

Il suddetto documento è stato anche sottoscritto dalle Associazioni: Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), Cam (Centro ausiliario minorile), Cnca (Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza), Co.re.mi-Fvg  (Coordina­mento regionale tutela minori del Friuli Venezia Giulia) e Coordinamento degli organismi del privato sociale operanti a Roma in campo di affido.

 

 

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