Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005

 

STRUTTURE RESIDENZIALI PER ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: IL NUOVO MODELLO DELLA REGIONE PIEMONTE


Maria Grazia Breda

 

 

Gli effetti positivi della petizione popolare

Nel numero scorso della rivista (1), ho illustrato i principali benefici ottenuti a favore degli anziani cronici non autosufficienti, ricoverati nelle strutture residenziali socio-sanitarie della Regione Piemonte (2).

Ho anche riferito che le disposizioni più favorevoli sono state conquistate proprio grazie alla tenacia delle associazioni di volontariato, organizzatesi in un apposito Comitato (3).

Certamente determinante è stata l’azione con cui si è dapprima promossa e poi portata avanti – ad oltranza – la petizione popolare (4), nata allo scopo di contrastare l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) (5). Senza dubbio le circa 45 mila firme raccolte hanno influito, perché, come abbiamo visto già nel numero scorso (6), la Dgr piemontese n. 17-15226 del 30 marzo 2005 stabilisce che il pagamento della retta di ricovero nelle strutture residenziali per anziani cronici non autosufficienti è richiesto solo all’interessato, che contribuisce in base alla propria situazione economica come previsto dalle leggi vigenti (7). Inoltre, nel caso in cui l’interessato non disponga di sufficienti redditi e beni, sono i Comuni (e non i parenti dei ricoverati) a provvedere all’integrazione della retta alberghiera.

 

Gli enti locali chiedono più risorse alla sanità

In un certo senso, questa importante conquista è stata ottenuta anche grazie alle rivendicazioni degli stessi Enti locali che, ad un certo punto, si sono trovati in difficoltà di fronte alle richieste sempre più pressanti avanzate dai cittadini anche attraverso la petizione (8). Se da un lato non potevano negare quanto era previsto dalle leggi, dall’altro erano preoccupati per le risorse che  avrebbero dovuto destinare a questo riguardo.

Alla fine hanno deciso di tentare un’azione di forza nei confronti della Regione Piemonte (andata a buon fine), perché venisse riconosciuto che l’aggravamento delle condizioni di salute degli anziani cronici non autosufficienti ricoverati era una questione squisitamente sanitaria e che i maggiori costi, che ne derivavano, dovevano essere sostenuti dal Servizio sanitario regionale e non dagli utenti.

La trattativa  non è stata né semplice, né tanto meno era scontato l’esito favorevole.  Ma la Regione alla fine ha fissato una  percentuale minore a carico degli utenti, rispetto a quanto stabilito dalla norma nazionale (9).

Tornerò ancora su questo aspetto importante, ma per ora mi preme evidenziare che, grazie alle nostre iniziative, anche gli Enti locali si sono attivati con risultati positivi non solo per gli utenti, ma anche per loro stessi.

Infatti, grazie ai maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale, è diminuito in misura consistente sia il costo delle rette alberghiere a carico degli utenti, sia l’impegno economico degli Enti locali per l’integrazione delle suddette rette, anche perché aumentano i cittadini che riescono a pagare l’intera retta di ricovero. Va, però, rilevato che molti Enti locali, non ancora soddisfatti del risultato raggiunto, premevano per continuare a far pagare, comunque, anche i familiari dei ricoverati. Anche questo tentativo è stato bloccato.

 

Enti locali e volontari alleati

Decisivo è stato lo sforzo compiuto dal Comitato, che si è speso in incontri tra le diverse componenti (sindaci, presidenti e direttori dei consorzi socio-assistenziali, rappresentanti delle organizzazioni sindacali) allo scopo di promuovere un’azione congiunta nei confronti della Regione Piemonte, volta a chiedere ulteriori risorse da destinare al nuovo capitolo di spesa dei Comuni. Sulla questione si è realizzata una alleanza tra Enti locali e volontariato che, con comunicati stampa e documenti congiunti, ha fatto sì che la Regione Piemonte stanziasse altre risorse (10), vincolate (anche su nostra precisa richiesta) al finanziamento di un fondo regionale destinato all’integrazione delle rette a carico degli Enti locali (11). Anche questo traguardo, insieme al riconoscimento che gli Enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai congiunti degli ultrasessantacinquennni non autosufficienti, segna un punto a favore del riconoscimento dei diritti degli assistiti e contribuisce a ridurre il rischio povertà delle migliaia di famiglie con congiunti anziani cronici non autosufficienti (12).

 

Il problema delle situazioni “monoreddito”

A questo proposito il Comitato, inizialmente in totale solitudine, ha anche evidenziato il rischio di esclusione sociale dei nuclei familiari monoreddito o equiparabili.

Succede, infatti, che, nel caso di ricovero del titolare dell’unico reddito da pensione, chi resta a casa (ad esempio il coniuge, il figlio disoccupato o in situazione di handicap, il fratello o parente con pensione minima) è privato dell’unica fonte di sostentamento e, sovente, non può più fare fronte a impegni di spesa precedentemente assunti (ad esempio il pagamento delle cambiali relative all’acquisto di mobili).

Queste persone precipitano in breve in uno stato di povertà e la Dgr 17/2005 prevede che si rivolgano all’assistenza fornita dai Comuni.

Oltre all’umiliazione, essi ricevono comunque molto poco, perché l’importo del minimo vitale, quando è concesso, generalmente è molto basso e quasi sempre non permette a queste persone di provvedere alle loro esigenze fondamentali di vita.

Purtroppo, per il momento dobbiamo accontentarci di essere riusciti a inserire  il problema nella Dgr 17/2005, ma la questione dovrà essere riaffrontrata con la nuova amministrazione regionale (13).

 

Riconosciuto lo “status” di malato agli anziani cronici non autosufficienti

Al di là dei pur importanti aspetti economici, che ho voluto ricordare perché presuppongono il riconoscimento della competenza sanitaria nella cura degli anziani cronici non autosufficienti, mi preme ora evidenziare altri punti qualificanti della delibera.

Ad esempio, è assai rilevante che, per la prima volta, i ricoverati siano descritti come persone affette da patologie croniche, che necessitano di interventi sanitari e non siano più trattati solo come anziani bisognosi di semplici prestazioni di assistenza sociale. Come ho già segnalato nel primo articolo (14), il percorso è stato lungo. Per comprendere le difficoltà incontrate dal Comitato e i risultati raggiunti, anche se ancora non rispondenti appieno alle nostre richieste, è necessario soffermarci ad analizzare la situazione in cui si trovavano le cosiddette “case di riposo per anziani non autosufficienti” della Regione Piemonte nel 2003.

 

L’azione svolta dal volontariato dei diritti

La decisione della Giunta della Regione Piemonte di porre mano alla revisione della delibera n. 41-42433 del 9 gennaio 1995, che regolamentava le strutture di ricovero per anziani cronici non autosufficienti in Piemonte, è anche il risultato dei lunghi anni di attività di volontariato promozionale svolto dal Csa. I lettori conoscono l’impegno con cui ci si è adoperati in questi anni, in primo luogo, per lo sviluppo delle cure domiciliari (15) e, quando queste non sono praticabili, per evitare le dimissioni dagli ospedali o dalle case di cura private (16), in difesa del diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata sancito dalle leggi vigenti, ma sovente non rispettato nel caso di anziani cronici non autosufficienti e malati di Alzheimer (17).

Inoltre, siamo stati i primi (e gli unici) a contestare il decreto Craxi (18) che, purtroppo, ha dato il via al ricovero di questi malati in strutture assistenziali inidonee a curarli: dalle case di riposo alle case protette, per passare alle residenze assistenziali flessibili inventate dalla Regione Piemonte (19) fino alle prime Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), si è trattato sempre e solo di luoghi ideati per sistemare i malati cronici non autosufficienti al di fuori della competenza del Servizio sanitario nazionale.

Dal 1985 in poi, con questa politica, migliaia di anziani cronici non autosufficienti sono stati condannati a condizioni di vita spesso disumane.

 

I controlli dei Nas

Questa situazione è emersa in tutta la sua crudezza dall’ultima relazione dei Nas disponibile (20). In Piemonte, nel 2002, su 290 ispezioni effettuate, in 161 (e cioè nel 56% dei casi) erano state riscontrate irregolarità. Di queste ben 137 erano infrazioni di natura penale. Occorreva, dunque, che il gruppo di lavoro regionale incaricato di rivedere gli standard delle prestazioni erogate in queste strutture, prendesse atto della gravità della situazione esistente.

Pertanto, uno dei miei compiti, quale rappresentante del Comitato nel suddetto gruppo di lavoro, è consistitito inizialmente nel richiamare l’attenzione sulla relazione dei Nas, sia per sottolineare le deplorevoli carenze delle Asl in materia di vigilanza dei presidi socio-assistenziali (21), sia per dimostrare l’insufficienza degli standard che, anche se applicati sulla base delle disposizioni regionali, risultavano del tutto inadeguati in relazione ai bisogni dei ricoverati, prevalentemente anziani cronici non autosufficienti. Quindi, non solo era inaccettabile il ricovero di questi malati nelle residenze assistenziali flessibili (Raf), ma anche le Rsa dovevano essere gestite direttamente o indirettamente dalle Asl prevedendo prestazioni in misura di gran lunga maggiore rispetto agli standard in vigore.

 

Peggiorate le condizioni di salute degli anziani ricoverati

 

A sostegno delle richieste avanzate a nome del Comitato, ho poi distribuito e illustrato ai partecipanti del sopra richiamato gruppo di lavoro, il documento presentato al  seminario internazionale sulla terza età organizzato a Milano dalla Fondazione Don Gnocchi, dal Pio Albergo Trivulzio e dall’Ammini­strazione Ipab ex Eca Milano, soffermandomi in particolare sulla parte in cui si afferma che «oggi le Rsa sono divenute il luogo dove si assistono anziani che prima erano curati in ospedale (quando le degenze prolungate e i ricoveri ripetuti erano una prassi largamente condivisa). Ma una parte rilevante degli anziani non più assistibili a domicilio sono stati “filtrati” dal sistema di assistenza basato sulle badanti, per cui arrivano in Rsa solo gli anziani con un’elevata compromissione clinica e dell’autosufficienza, quelli cioè che il sistema informale a pagamento (di supporto ai tradizionali sistemi di caregiving familiare) non è più in grado di sostenere in maniera decente» (22). Questa mia insistenza sull’aspetto sanitario ha scatenato non poche reazioni contrarie, specie (ma non solo) da parte dei direttori generali e sanitari delle Asl.

Non sono certo mancati momenti anche vivaci, a volte veri e propri scontri verbali, che hanno però alla fine favorito l’avvio di un confronto più franco e oggettivo tra tutti i componenti del gruppo.

Progressivamente ci siamo così trovati concordi nel concentrare l’attenzione sulla gravità delle condizioni patologiche degli anziani ricoverati per cui da parte di tutti è stato richiesto un maggior impegno del settore sanitario.

 

Presa d’atto delle criticità

Come premessa per la costruzione del nuovo modello concernente il ricovero di anziani cronici non autosufficienti, il gruppo ha riconosciuto i seguenti elementi di criticità:

- standardizzazione delle prestazioni finora assicurate, indipendentemente dalla valutazione dei bisogni effettivi degli ospiti;

- crescita dei bisogni sanitari ed assistenziali sia degli anziani ricoverati, sia di quelli che richiedevano alle Uvg (Unità valutative geriatriche) il rilascio della certificazione di non autosufficienza;

- aumento delle richieste di ricovero di anziani gravemente non autosufficienti, a causa di patologie ad andamento cronico-degenerativo, quali le demenze;

- crescita dei livelli di insoddisfazione da parte dei famigliari dei soggetti ricoverati;

- assenza di strumenti di valutazione della qualità delle prestazioni erogate agli ospiti.

Alla luce delle risultanze, viene deciso di procedere alla revisione del modello in atto e di introdurre elementi «che consentano di assicurare agli anziani che vengono ricoverati prestazioni personalizzate e calibrate sugli effettivi bisogni sanitari ed assistenziali».

 

La titolarità delle cure degli anziani cronici non autosufficienti “ritorna” al  Servizio sanitario nazionale

Si affronta, quindi, il problema delle misure da assumere per assicurare cure sanitarie e socio-sanitarie alle persone gravemente malate e si stabilisce pertanto di recuperare gli aspetti migliorativi introdotti da alcune delibere regionali, ottenute dopo il 1995 (grazie anche alle pressioni del Csa) e dai provvedimenti varati dalle Asl, che gestiscono direttamente Rsa (23).

Accogliendo le istanze avanzate dal Csa, molte Asl avevano recepito già con proprie deliberazioni la valenza sanitaria delle Rsa e, conseguentemente, erogavano prestazioni sanitarie e socio-sanitarie in misura maggiore rispetto agli standard organizzativi previsti dalla già citata delibera regionale n. 41-42433 del 9 gennaio 1995 (24).

Tenendo conto delle positive esperienze realizzate, nei “Principi generali” della delibera della Giunta regionale del Piemonte 17/2005 (25), viene stabilito quanto segue: «È compito del Servizio sanitario nazionale garantire le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie attraverso interventi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previsti dalla normativa vigente e riconducibili ai livelli essenziali di assistenza». Il testo prosegue confermando che «l’area delle prestazioni interessata dal presente modello (relativo all’assistenza residenziale socio-sanitaria, n.d.r.) afferisce a quest’ultima tipologia e riguarda le prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime residenziale, compresi gli interventi di sollievo erogati nel livello di assistenza “attività sanitaria e socio-sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore di anziani” (rif. Dpcm 20 novembre 2001, punto 1.C)».

 

Come risolvere il problema degli squilibri nelle prestazioni erogate

 

Come ho già segnalato nel precedente articolo, il panorama delle “case di riposo per gli anziani non autosufficienti” presenta divari enormi tra le diverse strutture di ricovero, in particolare a seconda delle realtà territoriali in cui sono situate.

Ferma restando la migliore qualità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie fornite nelle Rsa il cui funzionamento è assicurato direttamente dalle Asl, si rileva uno squilibrio enorme nelle rette alberghiere praticate dalle strutture gestite non solo da privati, ma anche da Ipab e da Comuni (26).

Al riguardo è stato rilevato che le rette più basse erano dovute sia alla carenza di adeguate cure sanitarie e socio-sanitarie, sia alle sfavorevoli condizioni contrattuali di lavoro del personale (27). Di conseguenza, a parità degli stati di malattia, gli anziani ricoverati ricevevano prestazioni molto differenti a seconda della struttura di ricovero.

Non solo: emergeva in tutta la sua drammaticità che una consistente parte delle strutture residenziali era ben lungi dall’aver rispettato gli standard delle prestazioni stabilite dalla delibera regionale in vigore (28), benché le stesse strutture fossero state autorizzate o accreditate dalla Regione Piemonte.

Con una siffatta situazione era improponibile chiedere ulteriori aumenti degli standard e diventava necessario, anche da parte delle associazioni del Comitato, rimodulare le richieste alla luce della disastrosa situazione rilevata.

Quindi, gli obiettivi primari diventano quelli di garantire il mantenimento dei positivi livelli di qualità presenti e, soprattutto, puntare ad aumentare decisamente quelli bassissimi delle strutture inidonee.

La mediazione si raggiunge con l’individuazione di un nuovo modello di struttura residenziale e con la definizione della gradualità della sua attuazione in tutto il territorio regionale.

 

Il nuovo modello

In primo luogo, si concorda nel ritenere indispensabile l’individuazione di un unico modello residenziale per la cura e l’assistenza degli anziani affetti da patologie croniche invalidanti e da non autosufficienza, nonché sulla necessità di eliminare la possibilità che questi malati siano ricoverati nelle Raf, peraltro al solo scopo di risparmiare sui costi sanitari. Non si può continuare a far finta di ignorare che molte Asl sono solite negare l’aggravamento degli ammalati ricoverati nelle Raf, pur di non concedere loro il trasferimento nelle Rsa, fatto che comporta il versamento di una quota sanitaria maggiore a carico della stessa Asl. D’altronde è anche insostenibile il continuo ricorso al pronto soccorso degli ospedali, praticato dalle strutture che non hanno al loro interno personale sanitario, ogni qualvolta si presenti un evento acuto, per le evidenti conseguenze deleterie sulla salute dell’anziano e anche per gli aggravi economici per il Servizio sanitario regionale.

 

La revisione organizzativa

A questo punto si conviene che l’attuale risposta residenziale «deve essere progressivamente riarticolata e connotata attraverso livelli di intensità e di complessità più o meno elevati a seconda delle esigenze di salute e dei bisogni assistenziali dell’utente». Ovviamente il percorso presuppone la ridefinizione degli standard esistenti, troppo rigidi e ancorati a tipologie organizzative e gestionali superate dalla realtà dei fatti. In sostanza, per la prima volta, si parla di superamento della Raf, “inventata”, lo ripetiamo ancora una volta, dalla Regione Piemonte al solo scopo di ricoverare presso una struttura dell’assistenza sociale (e quindi meno costosa) anziani malati cronici non autosufficienti.

Purtroppo, resta esclusa dal riordino la Ra, Residenza assistenziale, prevista per accogliere anziani autosufficienti, ma che, in base ad un provvedimento assunto dalla Giunta regionale, poteva (e può) continuare a provvedere anche gli anziani diventati non autosufficienti.

Il provvedimento, che apparentemente sembra favorire gli anziani, non allontanandoli dalla struttura, in realtà autorizza la prosecuzione del loro ricovero in condizioni del tutto inidonee, tenendo conto del peggioramento della loro salute. Su questo punto si dovrà riaprire il confronto con la nuova Amministrazione regionale.

 

Individuata un’unica struttura per il ricovero di anziani cronici non autosufficienti

Il nuovo modello consente «all’anziano assistito in una struttura e/o in un nucleo residenziale con un progetto di lunga assistenza a bassa intensità assistenziale ed esigenze correlate ad una situazione di moderata non autonomia nell’espletamento delle funzioni quotidiane, di poter ottenere nella medesima struttura, in caso di deterioramento del quadro di inabilità non tale da richiedere un intervento riabilitativo specifico, una prestazione assistenziale adeguata all’evoluzione del suo bisogno, attraverso un progetto a media intensità e di livello base, senza necessariamente essere spostato altrove (…). Al contrario, l’utente inserito in una struttura residenziale con un progetto ad alta intensità, qualora la sua situazione si stabilizzi, dopo un certo periodo di tempo, su livelli che richiedono un’intensità terapeutica e/o assistenziale minore, potrà ottenere l’intervento appropriato nell’ambito della stessa struttura, con un progetto a minore intensità e/o complessità, definito secondo le sue specifiche necessità».

 

Introdotte le fasce di intensità

Le prestazioni sono definite sulla base «di tre fasce assistenziali (bassa, media, alta) degli interventi da erogarsi nell’ambito delle strutture socio-sanitarie per anziani non autosufficienti. Per le fasce assistenziali media e alta l’intervento erogato può articolarsi in due livelli di complessità delle prestazioni – un livello base ed un livello più elevato – da individuare nel progetto assistenziale in relazione alla tipologia specifica di bisogno della persona inserita».

 

La valutazione del Comitato

I livelli delle prestazioni in definitiva sono cinque e, a nostro avviso, sono decisamente troppi. Abbiamo insistito – anche se da soli – fino all’ultimo perché fosse eliminata almeno la fascia più bassa, ma la Regione Piemonte ha voluto mantenere a tutti i costi lo standard di prestazioni più basso introdotto con una delle ultime delibere da noi aspramente contestata (29). In compenso, si è riusciti a ottenere che «nel caso di nuovi rapporti convenzionali da definirsi tra Asl, Ente gestore delle prestazioni socio-assistenziali e strutture socio-sanitarie interessate, i valori tariffari delle varie tipologie di intervento sono stabiliti in base ai livelli assistenziali erogati con riferimento ai tetti tariffari» indicati nella delibera 17/2005 (cfr. la tabella 1). Tale clausola, che vieta di fatto alle Asl di erogare agli enti gestori delle strutture residenziali rette inferiori a quelle fissate con la Dgr 17/2005, salvaguarda altresì i contratti di lavoro degli operatori; inoltre dovrebbe impedire, o almeno ridurre, l’attuale rilevante turnover del personale e garantire ai malati ricoverati una migliore qualità delle prestazioni erogate.

Il Comitato ha deciso di sottoscrivere l’accordo e monitorare l’avvio del nuovo modello, anche se sono previsti livelli di prestazione inferiori alle nostre richieste, perché rappresentano un miglioramento, in certi casi rilevante, rispetto alla situazione fotografata dalla relazione dei Nas citata in precedenza.

Con il nuovo modello l’anziano cronico non autosufficiente, anche se viene ricoverato con l’assegnazione di prestazioni appartenenti alla fascia più bassa, in caso di aggravamento ottiene comunque gli interventi sanitari d’urgenza e più complessi di cui ha bisogno, che devono essere assicurati dal personale medico e infermieristico, la cui presenza nella struttura deve essere in misura tale da fornire agli utenti gli interventi previsti per la fascia più alta (30). La suddivisione in fasce di intensità lascia ovviamente aperte ancora molti spazi discrezionali. Un ruolo decisivo è assegnato alle Unità di valutazione geriatrica, di cui la Dgr 17/2005 prevede il potenziamento.

 

Il ruolo dell’Unità valutativa geriatrica (Uvg)

Il nuovo modello è fondato sul progetto individualizzato attraverso il quale viene determinato il grado di bisogno di cure dell’ammalato e l’attribuzione della fascia di intensità di prestazione da cui discende il costo della retta di ricovero. È evidente quanto siano estremamente delicati questi passaggi: vedremo sicuramente in conflitto gli interessi dei gestori privati (che punteranno ad inserire i malati nelle fasce alte) e quelli delle Asl, che saranno indotti a non concedere gli aggravamenti per evitare i maggiori oneri economici.

In merito ai diritti dell’utente, rammento che sono state riconosciute sia la facoltà di farsi rappresentare all’interno della Commissione Uvg, sia la possibilità di ricorrere contro il parere stesso della suddetta commissione (31).

Tuttavia è un elemento di importanza assai rilevante la decisione di potenziare il ruolo dell’Uvg, definita come servizio proprio dell’Asl, al quale l’utente deve inoltrare le richieste di intervento. Inoltre, sono state definite con chiarezza le funzioni attribuite alle Uvg. Le principali sono:

- individuare i bisogni sanitari e assistenziali delle persone anziane, identificando le risposte più idonee al loro soddisfacimento e privilegiando, ove possibile, il loro mantenimento a domicilio;

- predisporre il progetto di intervento individualizzato;

- fornire la documentazione necessaria per l’eventuale integrazione della retta da parte del Comune o dell’Ente gestore socio-assistenziale competente;

- verificare la realizzazione dei progetti individualizzati;

- su richiesta delle Commissioni di vigilanza e/o dei Nas, effettuare valutazioni volte a definire l’eventuale non autosufficienza degli anziani ospiti  di strutture residenziali.

A mio avviso, di particolare rilevanza sarà senz’altro l’attività di monitoraggio del progetto individualizzato.

 

Il piano di assistenza individualizzato (Pai)

Nella Dgr 17/2005 la tutela dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti ricoverati è strettamente collegata al rispetto del piano di assistenza individualizzato. Infatti, viene affermato che «il Pai è redatto, in attuazione del progetto individuale definito dall’Uvg e sulla base del quadro informativo sullo stato di salute attuale dell’ospite fornito dal medico di medicina generale. La predisposizione, la verifica e l’aggiornamento del Pai avviene nell’ambito di un’équipe multidisciplinare, composta dal medico di medicina generale, dal coordinatore dell’assistenza infermieristica e/o tutelare, in stretta collaborazione con le altre professionalità operanti nella struttura (direttore sanitario, responsabili dei vari settori/reparti, fisioterapista, assistente sociale, educatore o animatore professionale). All’équipe possono partecipare le assistenti sociali che hanno seguito l’ingresso dell’ospite in struttura (…).

«Il Pai viene trasmesso entro cinque giorni all’Uvg ed in copia all’interessato o al familiare o al tutore; viene altresì portato a conoscenza dei parenti e dei volontari operanti nella struttura, i quali possono essere coinvolti nella sua attuazione. (…). La responsabilità dell’esecuzione operativa del Pai è in capo al direttore sanitario nelle strutture che erogano interventi nella fascia alta di intensità (…) (32).

«L’andamento del Pai è soggetto a periodiche verifiche da parte dell’équipe della struttura di valutazione del progetto individuale e  può essere richiesta anche dall’utente stesso o dal tutore con richiesta diretta all’Uvg o all’Asl di residenza e con facoltà di farsi assistere da un medico di sua fiducia e/o da un’associazione di tutela».

Come ho già evidenziato, non mancheranno i conflitti e, anche in presenza di un potenziamento a breve delle Uvg, senz’altro trascorrerà molto tempo prima che il nuovo modello funzioni e si possa procedere ad eventuali modifiche o miglioramenti attraverso il monitoraggio del tavolo regionale.

Anche per questo motivo è stato concesso un anno di tempo per gli adeguamenti. Bisogna, infatti, organizzare le tre fasce di livello indicate dal nuovo modello, che comportano, ovviamente, l’assunzione del personale necessario a garantire le prestazioni a bassa, media e alta intensità che dovranno essere erogate a regime da tutte le strutture residenziali.

 

Il monitoraggio

Consapevoli della diversificata situazione esistente, i firmatari dell’accordo hanno chiesto che venisse prevista una fase di transizione che è stata stabilita nella durata di un anno, a partire dal 1° maggio 2005, data di entrata in vigore della delibera stessa.

La fase di transizione, espressamente indicata nella relazione introduttiva della Dgr 17/2005, serve a garantire il passaggio dalla tipologia organizzativa precedente a quella individuata con il nuovo provvedimento «con la gradualità e progressione territoriale necessarie per realizzare un ottimale impatto del modello di integrazione sugli utenti, sulle famiglie e sugli Enti coinvolti nell’erogazione degli interventi».

L’attuazione progressiva del nuovo modello sarà «monitorata nell’ambito del tavolo congiunto Regione-territorio per l’applicazione dei Lea sull’area socio-sanitaria» che «prosegue la propria attività di confronto e concertazione nel triennio 2005-2007». La Giunta regionale, preso atto dei risultati della fase transitoria, adotterà entro il 30 aprile 2006, il piano di intervento per gli anni successivi «onde condurre alla realizzazione a regime del modello assistenziale».

 

L’aumento delle rette corrisponde all’aumento delle prestazioni?

Un’ampia discussione è stata rivolta alla questione dell’aumento delle rette alberghiere a carico degli utenti (33). Era un passaggio prevedibile, che è stato sempre tenuto in considerazione e che, tutto sommato, è ragionevole che venga praticato tenuto conto che è dal 1995 che le Asl non aumentavano, neppure sulla base degli incrementi Istat, la quota sanitaria di loro pertinenza, mentre erano aumentati i costi anche a seguito dei rinnovi contrattuali.

È vero che, dopo l’accordo intervenuto con la Regione Piemonte, gli utenti pagheranno di più, ma le prestazioni sarano migliori; inoltre gli importi saranno calcolati solo in base alla loro situazione economica. Nulla verrà richiesto ai loro familiari.

Spiace che, come ho già rilevato, resti ancora scarsamente tutelata la questione dei nuclei monoreddito. In ogni caso, se l’obiettivo è quello di aumentare il numero del personale sanitario e socio-sanitario perché gli ammalati siano adeguatamente curati e assistiti, è logico che aumentino i costi e, quindi, le rette.

 

Chi vigila?

Piuttosto occorrerà promuovere sinergie tra Asl, Enti locali, organizzazioni sindacali e rappresentanti degli utenti per verificare che effettivamente all’aumento dei costi corrisponda l’incremento delle prestazioni. Al riguardo ci stiamo attivando per ottenere che nella nuova delibera, che dovrà essere predisposta per la commissione di vigilanza, sia prevista non solo la rappresentanza degli utenti, ma altresì quella degli Enti locali e dell’Asl del territorio, direttamente interessati a verificare che le risorse stanziate siano ben utilizzate e, soprattutto, che le strutture private non pretendano dagli utenti pagamenti extra, non previsti dalla delibera (34).

 

Anche i Comuni devono tutelare i cittadini

Ultimo, ma forse il più importante elemento critico, è il rapporto tra Asl e Comuni singoli o associati, per quanto concerne l’attribuzione della fascia di intervento (bassa, media, alta) e degli incrementi.

Su questo punto è auspicabile che l’Anci e la Lega per le autonomie locali sostengano gli amministratori dei piccoli Comuni, perché assumano una linea politica a tutela dei loro cittadini anziani malati non autosufficienti e verifichino che le valutazioni delle Commissioni Uvg, che hanno tra i loro componenti anche operatori degli Enti locali, corrispondano alle reali esigenze dei ricoverati (35).

 

Un appello alle associazioni di volontariato

Infine, un appello alle associazioni di volontariato che operano nelle strutture che ricoverano anziani malati non autosufficienti, perché vigilino sull’attuazione della Dgr 17/2005 e, in particolare, sulla corretta effettuazione dell’imboccamento delle persone non in grado di alimentarsi autonomamente, verifichino la presenza del personale medico i cui orari devono essere indicati in modo visibile, informino i parenti e/o i tutori delle facoltà di chiedere nuove valutazioni all’Uvg per ottenere prestazioni aggiuntive per i loro cari. Anche il rispetto di queste condizioni migliora le condizioni di vita di coloro che sono ricoverati (36).

 

 

 

Tabella 1

 

Fasce assistenziali                                 Retta complessiva                  Quota sanitaria             Quota alberghiera

Alta intensità con incremento               98,00                          56,50                      41,50

Alta intensità                                       90,00                          48,50                      41,50

Media intensità con incremento            83,00                          41,50                      41,50

Media intensità                                    73,00                          36,50                      36,50

Bassa intensità                                    68,00                          34,00                      34,00

 

 

 

 

(1) Cfr. Maria Grazia Breda, “I livelli essenziali di assistenza sanitaria: i positivi risultati raggiunti dal volontariato dei diritti nella vertenza con la Regione Piemonte”, Prospettive assistenziali, n. 150, 2005.

(2) Mi riferisco ai contenuti della delibera della Giunta regionale del Piemonte (Dgr) del 30 marzo 2005, n. 17-15226 “Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti. Modifiche e integrazioni alla Dgr n. 51-11389 del 23 dicembre 2003”, Bollettino ufficiale della regione Piemonte, n. 14 del 7 aprile 2005. Nella delibera suddetta non sono compresi i malati di Alzheimer o di altre forme di demenza senile, perché è stata richiesta – e ottenuta – dalle associazioni di volontariato una trattativa specifica con la Regione Piemonte, non ancora conclusa. Cfr. “Presentata alla Regione Piemonte una piattaforma sulle esigenze e diritti dei malati di Alzheimer”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.

(3) Il Comitato è stato costituito dall’Avo (Associazione volontari ospedalieri), Sea (Servizio emergenza anziani), Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali), Cpd (Consulta per le persone in difficoltà), Diapsi (Difesa ammalati psichici), Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base), Aima (Associazione italiana malati di Alzheimer), Gruppi di volontariato vincenziano, Società di S. Vincenzo de Paoli. All’iniziativa hanno aderito anche i Forum del volontariato e del terzo settore.

(4) I contenuti della petizione popolare sono riportati nell’editoriale di Prospettive assistenziali, n. 138, 2002.

(5) I livelli essenziali di assistenza (Lea) riguardano i servizi e gli interventi che il sistema sanitario nazionale deve assicurare ai propri cittadini e, per quanto ci interessa, concernono le prestazioni afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria. Sono entrati in vigore con l’articolo 54 della legge 289/2002, che ha trasformato in legge le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 29 novembre 2001, la cui natura era invece solo amministrativa. La sua attuazione non era quindi obbligatoria per le Regioni. I Lea non sono nuovi diritti, ma il tentativo, purtroppo riuscito, di addebitare agli utenti e agli enti locali costi economici e responsabilità di cura che competevano interamente al Servizio sanitario nazionale. Sarebbero stati assai gravosi i costi posti a carico degli utenti e/o dei Comuni, se la Regione Piemonte avesse applicato immediatamente le percentuali previste dal provvedimento nazionale. A titolo di esempio si veda la tabella n. 1, “Costi delle prestazioni e oneri a carico degli utenti”, Prospettive assistenziali, n. 150, 2005, pag. 20.

(6) Vedere la nota 1.

(7) Con la petizione popolare si chiedeva  al Presidente della Regione Piemonte, ai Sindaci dei Comuni piemontesi e ai Direttori generali delle Asl il rispetto di quanto contenuto nell’art. 25 della legge 328/2000 e nei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000.

(8) Non si deve dimenticare che i contenuti della petizione popolare riprendevano quanto il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, richiedeva da anni.

(9) In base all’articolo 54 della legge 289/2002 il Servizio sanitario regionale deve concorrere al pagamento delle rette di ricovero presso le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) nella misura di almeno il 50% dell’importo totale. Con la deliberazione della Giunta regionale del Piemonte del 30 marzo 2005, n. 17-15226 è previsto che la percentuale della quota sanitaria raggiunga anche il 57,75% del costo totale della retta per i pazienti più gravi.

(10) La Giunta della Regione Piemonte è stata sollecitata a stanziare maggiori fondi anche dai presidi organizzati dal Comitato promotore della petizione popolare che ha manifestato tutti i lunedì mattina e tutti i giovedì pomeriggio davanti alla sede della Giunta regionale del Piemonte nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2004 con cartelli, striscioni, megafono, volantini e raccolta di firme. Un’altra manifestazione è stata indetta il 14 febbraio 2005 dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, a ridosso delle elezioni amministrative, alla quale hanno aderito anche le associazioni degli Enti locali.

(11) Il Fondo specifico per l’integrazione delle rette si richiama al “Fondo per non autosufficienti” previsto dall’articolo 15 della legge 328/2000. La nostra posizione, al riguardo, è sempre stata critica, perché tutte le proposte all’ordine del giorno proponevano il fondo solo come sostegno alle prestazioni erogate dai Comuni e avvallavano pertanto il trasferimento illegale degli anziani malati cronici dal settore sanitario a quello assistenziale in modo da ridurre i costi sanitari. Nel caso della Regione Piemonte, il fondo si inserisce in un percorso corretto perché è confermata la titolarità delle prestazioni in capo al Servizio sanitario regionale e si prevedono risorse aggiuntive per permettere agli Enti locali di assicurare l’integrazione delle rette di ricovero dei cittadini non abbienti.

(12) Ricordiamo che nel 1999, secondo i dati forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, riportati in un documento dell’ottobre 2000, erano scese sotto la soglia della povertà oltre due milioni di famiglie italiane impegnate nell’assistenza e cura a proprie spese di congiunti malati e non autosufficienti. Per quanto riguarda il Piemonte, una ricerca effettuata dalla Caritas ha rilevato che la presenza di un anziano malato cronico determina spesso condizione di povertà dei suoi familiari.

(13) Il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, per risolvere un caso che si era presentato nei suoi uffici, ha inoltrato in data 15 novembre 2002 all’Assessore all’assistenza del Comune di Torino la seguente bozza di delibera, finora non accolta: «Nei casi in cui la persona anziana ricoverata presso Rsa/Raf o analoghe strutture gestite dal Comune di Torino o da enti pubblici e privati debba sostenere spese relative al mantenimento del coniuge o di altri soggetti privi di adeguati mezzi economici, la quota relativa alla retta alberghiera è ridotta dell’importo concernente il mantenimento del o dei soggetti di cui sopra, calcolato nella misura della pensione minima Inps per i pensionati ultrasettantenni.

«Inoltre, la quota relativa alla retta alberghiera è ridotta dell’importo delle spese a carico della persona anziana ricoverata concernenti:

- l’affitto dell’alloggio occupato dalla stessa prima del ricovero e attualmente utilizzato dal coniuge o da altri congiunti;

- gli oneri relativi al riscaldamento dell’appartamento di cui sopra e alle spese condominiali;

- il rimborso di prestiti, mutui e altre analoghe obbligazioni, previa esibizione della relativa documentazione.

Si precisa, infine, che per il calcolo della quota alberghiera a carico delle persone anziane ricoverate presso Rsa/Raf e analoghe strutture non si tiene conto del patrimonio immobiliare rappresentato dalla prima casa di proprietà del ricoverato o di comproprietà dello stesso con il coniuge o altri congiunti».

(14) Vedi la nota 1.

(15) L’ultima iniziativa assunta al riguardo è la presentazione di una proposta di legge al Consiglio regionale piemontese, affinché sia sancito il diritto alle cure sanitarie domiciliari nei casi in cui siano contemporaneamente soddisfatte le seguenti condizioni:

- non vi siano controindicazioni cliniche o di altra natura;

- il malato sia consenziente e gli possano essere fornite a domicilio le necessarie cure mediche, infermieristiche e, se occorrenti, riabilitative;

- i congiunti o altri soggetti siano disponibili ad assicurare il necessario sostegno domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’Asl di competenza territoriale;

- vengano previsti gli interventi di emergenza sia nel caso che i soggetti di cui al punto precedente non siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza, sia per l’insorgere di esigenze del paziente che ne impongono il ricovero presso idonee strutture sanitarie;

- i costi a carico delle Asl non siano superiori a quelli di loro spettanza nel caso di degenza presso ospedali o case di cura private convenzionate.

Cfr. l’articolo “Cure sanitarie domiciliari: una proposta di legge presentata alla Regione Piemonte”, Prospettive assistenziali, n. 142, 2003. Per un approfondimento sul tema si vedano inoltre gli ultimi articoli pubblicati sulla stessa rivista: A. Barone, A. Cella, E. Palummeri, “La spedalizzazione territoriale a Genova, sperimentazione di una nuova forma di cure domiciliari”, n. 136, 2001; AA.VV, “L’ospedalizzazione a domicilio: un servizio ‘ponte’ tra ospedale e territorio”, n. 141, 2003.

(16) A titolo esemplificativo si veda l’articolo “La difesa del diritto alle cure sanitarie di un’anziana malata cronica non autosufficiente: un’altra positiva esperienza”, Ibidem, n. 146, 2004.

(17) Cfr. l’opuscolo “Tutti hanno diritto alle cure sanitarie compresi anziani malati cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer, malati psichiatrici, handicappati con gravi patologie”. L’opuscolo è consultabile sul sito www.fondazionepromozionesociale.it oppure si può richiedere alla Fondazione promozione sociale, via Artisti 36, 10124 Torino (tel. 011-812.44.69, fax 011/812.25.95, e-mail: info@fondazionepromozionesociale.it).

(18) Si tratta del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) dell’8 agosto 1985 “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Province autonome in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre 1978 n. 833”. A seguito del suddetto decreto amministrativo, le Regioni hanno disposto il trasferimento (illegale) degli anziani cronici non autosufficienti, dei dementi senili e dei pazienti psichiatrici dal settore sanitario a quello dei servizi sociali. Cfr. l’editoriale “Un decreto per l’emarginazione di massa dei più deboli”, Ibidem, n. 72, 1985.

(19) La Raf, residenza assistenziale flessibile, regolamentata dalla deliberazione della Giunta regionale del 29 giugno 1992, n. 38-16335, è stata ideata dalla Regione Piemonte allo scopo di autorizzare il ricovero di anziani malati non autosufficienti in residenze assistenziali previste per gli anziani autonomi. Ovviamente, gli interventi sanitari  e le prestazioni di assistenza erogate erano e sono del tutto inadeguate per soddisfare i bisogni di cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti.

(20) Cfr. l’articolo “Controlli effettuati dai Nas sulle strutture residenziali per anziani: altre allarmanti infrazioni penali e amministrative”, Ibidem, n. 143, 2003. Sullo stesso argomento si vedano anche gli articoli: “Comunicato stampa dei Nas sui controlli eseguiti in campo nazionale alle strutture ricettive per anziani”, Ibidem, n. 136, 2001; “Secondo comunicato stampa dei Nas sulle strutture ricettive per anziani: nuove gravi infrazioni penali e amministrative”, Ibidem, n. 139, 2002; Elena Brugnone, “Fatti illeciti in strutture ricettive per anziani e abbandono di ricoverati non autosufficienti: considerazioni sui due ultimi comunicati stampa dei Nas”, Ibidem, n. 140, 2002.

(21) Cfr. l’articolo “Sono deplorevolmente scarsi i controlli svolti dalle Asl piemontesi nei riguardi dei presidi socio-assistenziali”, Ibidem, n. 141, 2003.

(22) Si consulti il sito www.dongnocchi.it/html/interv03/interv 047.htm

(23) Cfr. “Regolamento di due Rsa gestite dall’Asl 2 di Torino”, Prospettive assistenziali, n. 139, luglio-settembre 2002; “Regola­mento della Rsa gestita dall’Asl 4 di Torino”, Ibidem, n. 142, 2003; “Regolamento e progetto di gestione della Rsa ‘Latour’ dell’Asl 8 del Piemonte: una struttura a valenza prevalentemente sanitaria di cura e di accoglienza”, Ibidem, n. 146, 2004.

(24) La delibera della Giunta regionale del Piemonte del 9 gennaio 1995 n. 41-42433 definiva i parametri gestionali per le residenze sanitarie assistenziali e per le residenze assistenziali flessibili.

(25) Cfr. la nota 1.

(26) Sulle rette alberghiere è stato registrato un divario che spaziava da un minimo di 28 euro ad un massimo di 55 euro al giorno.

(27) Le strutture che praticano le rette più basse sovente applicano contratti di lavoro non sottoscritti dai Sindacati Cgil, Cisl e Uil. Pertanto sono praticati stipendi inferiori ai contratti collettivi nazionali del settore; inoltre, in particolare, può essere esclusa la quattordicesima mensilità ed essere retribuita solo in misura parziale l’assenza per malattia.

(28) Vedi la  nota 25.

(29) Mi riferisco alla Dgr 46/2003 che consente l’istituzione nelle Raf di prestazioni sanitarie di bassa intensità.

(30) Il modello entra a regime nel 2006 e tutte le strutture dovranno prevedere per quella data l’erogazione delle tre fasce di intensità comprensive degli incrementi stabiliti per le fasce media e alta.

(31)  La Dgr 17/2005 prevede che «rispetto alla valutazione effettuata a livello locale (Uvg dell’Asl di residenza o struttura ospitante), l’interessato, se ne ha la capacità, o il famigliare o il tutore o l’amministratore di sostegno, può avvalersi, in sede valutativa o comunque prima che le commissioni si siano formalmente espresse, della perizia di propri esperti e/o farsi rappresentare da un’associazione di categoria e/o di volontariato che opera a difesa dei diritti delle persone anziane.

«La Commissione centrale per le rivalutazioni cliniche di cui alla Dgr n. 74-28035 del 2 agosto 1999, integrata con le figure professionali in possesso di specifica competenza sull’area degli anziani, da individuarsi con apposito provvedimento regionale, costituisce il livello di riferimento e di garanzia in ordine alle eventuali controversie che dovessero insorgere fra i diversi soggetti (Asl, soggetti gestori socio-assistenziali, gestori dei presidi residenziali o relativi organismi rappresentativi, utenti/famigliari/tutori/associazioni rappresentative) in merito alle valutazioni e rivalutazioni espresse a livello locale».

(32)  Nelle altre strutture socio-sanitarie tale responsabilità operativa è in capo al coordinatore delle attività infermieristiche, o laddove non sia presente la figura di coordinamento infermieristico, al coordinatore delle attività di assistenza tutelare alla persona.

(33) Su questo punto, proprio negli ultimi mesi di trattativa, quando già incombevano le elezioni amministrative e ogni decisione era viziata dal clima elettorale, le organizzazioni sindacali hanno chiesto alla Regione Piemonte di fissare per tutti gli utenti un’unica retta alberghiera, quella della fascia più bassa. Di per sé la richiesta era condivisibile anche da parte nostra, benché, per quanto ci riguarda, con la petizione non avevamo posto limiti in questo ambito. Tuttavia, con il documento del 16 settembre 2002, il Comitato aveva avanzato la stessa richiesta alla Regione, sostenendo allora – come adesso il sindacato – che l’aggravamento degli anziani e il conseguente passaggio alle fasce di intensità più elevate, era dovuto al peggioramento delle condizioni di malattia e che pertanto gli oneri maggiori dovevano essere imputati al Servizio sanitario regionale. Il Comitato non era contrario in linea di principio alle tesi del sindacato, ma ha ritenuto sbagliati i tempi in cui veniva posta una questione così complessa. Ci siamo anche chiesti perché il sindacato non aveva sostenuto tre anni prima la nostra proposta e si impuntava ora, quando ormai non c’era più spazio per una  trattativa con la Regione il cui mandato era ormai agli sgoccioli.

(34) A mio avviso è fondamentale che si giunga ad ottenere che tutte le pratiche amministrative, ivi compresa l’accettazione del ricovero e la firma del contratto, siano effettuate presso l’Uvg, purché il cittadino abbia come interlocutore l’ente pubblico e non la struttura privata. Su questo punto rinvio all’articolo di Francesco Santanera, “L’accreditamento delle strutture residenziali: una procedura utilizzabile anche per negare diritti agli utenti”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004. Si veda, altresì, l’articolo “L’integrazione delle rette di ricovero assistenziale: un altro imbroglio”, Ibidem, n. 142, 2003.

(35) A questo proposito, ad esempio, è inquietante quanto è emerso nel convegno del 22 luglio 2005 promosso dal sindacato dei pensionati Spi Cgil, a Cuneo. Guglielmo Piovano, responsabile Spi Cgil, nella sua relazione introduttiva afferma: «Nelle case di riposo dell’Asl 16 di Mondovì-Ceva il costo complessivo della retta (quota sanitaria + quota sociale) è sui 60-64 euro giornalieri, nelle Asl 15 e 17 il costo medio  per un posto Rsa è sui 90 euro/giorno. (…) Riguardo alla determinazione delle rette nella fase transitoria a partire dal 1° maggio 2005, le Asl della Provincia si comportano nei modi più disparati:

- l’Asl 17 pare interpreti correttamente quanto disposto nella delibera. Aumenta di 7 euro gli importi della retta in vigore al 31 dicembre 2003 e quindi ripartisce 50% e 50% per le Raf e 46% e 54% per le Rsa osservando i tetti massimi di 70 euro per le Raf e gli 86 euro per le Rsa;

- l’Asl 15 invece, ha “saltato” letteralmente la fase transitoria, non ha tenuto conto delle rette in vigore al 31 dicembre 2003, ed ha determinato l’importo partendo dalle rette attualmente in vigore che avevano subito aumenti spropositati nel corso del 2004 con decorrenza retroattiva dal 1° gennaio;

- l’Asl 16 applicherebbe normalmente la delibera senza pro­blemi;

- l’Asl 18, in accordo con i Consorzi e gli Enti gestori delle strutture, per l’anno in corso non intenderebbe fare alcun aumento».

(36) Le altre parti significative della Dgr 17/2005 (che cosa comprende la retta alberghiera, le prestazioni assicurate dal Servizio sanitario regionale, ecc.) sono descritte nell’articolo citato nella nota 1.

 

www.fondazionepromozionesociale.it