Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005

 

 

Specchio nero

  

 

LA SCONVOLGENTE PROPOSTA DI Anna banchero in materia di preSTAZIONI socio-assistenziali e socio-sanitarie: dai diritti reali alla loro “esigibilitÀ sostenibile”

 

Più di cento anni fa il legislatore ha sancito diritti esigibili per le prestazioni socio-assistenziali rivolte agli inabili al lavoro e cioè (regio decreto 19 novembre 1889, n. 6535) alle «persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza». Le spese di ricovero (nel 1800 non erano previsti interventi alternativi) erano a carico dei Comuni.

Le suddette norme sono inserite negli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).

Ricordiamo che, ai sensi dell’articolo 91 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, erano obbligatorie le spese sostenute dai Comuni per il «mantenimento degli inabili al lavoro» (1).

Inoltre, non si può dimenticare che è tuttora vigente la legge 2838/1928 in base alla quale vi è il riconoscimento del diritto esigibile alle prestazioni socio-assistenziali nei riguardi dei minori esposti, dei fanciulli figli di ignoti, dei ciechi e dei sordi poveri rieducabili, nonché delle gestanti, delle madri e dei minori nati fuori dal matrimonio in condizioni di disagio socio-economico (2).

Partendo dai sopra indicati diritti esigibili, coloro che operano per l’effettivo riconoscimento delle esigenze fondamentali delle persone deboli premono da anni sulle istituzioni (Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, Asl, Province, ecc.) affinché detti diritti esigibili vengano estesi a tutti i soggetti che non sono in grado di procurarsi autonomamente il necessario per vivere.

Invece, Anna Banchero, responsabile della programmazione socio-sanitaria della Regione Liguria, nell’articolo “Nuovi elementi per la definizione dei Liveas” (3), apparso sul n. 14, 1°-15 agosto 2005 di Prospettive sociali e sanitarie, sostiene che per quanto concerne il diritto alle prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie «va messo in atto il principio dell’esigibilità sostenibile collegata alle risorse finanziarie».

Mentre per molte decine di migliaia di individui in gravi difficoltà la proposta della Banchero significa un ritorno della legislazione precedente al 1889, osserviamo, come ha autorevolmente precisato Livio Pepino, Segretario nazionale di Magistratura democratica al convegno di Torino del 20 settembre 2000 «un diritto subordinato alle risorse è semplicemente un non diritto».

Per oltre due decenni (dall’entrata in vigore della legge 833/1978 alla promulgazione dell’articolo 54 della legge 289/2002 concernente i Lea (Livelli essenziali di assistenza) (4), le Regioni e le Asl hanno sistematicamente violato le leggi (692/1955, 386/1974, 833/1978) che garantivano anche agli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, il diritto esigibile alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata comprese quelle ospedaliere. Detto diritto è stato confermato, con la sola esclusione della gratuità (5) dal sopra citato articolo 54 della legge 289/2002.

Perché la Banchero propone che nei settori socio- assistenziale e socio-sanitario si passi dall’esigibilità effettiva del diritto alle cure al non diritto?

È evidente che, mentre attualmente con due semplici raccomandate ci si può opporre alle dimissioni dagli ospedali e dalle case di cura private convenzionate degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer nei casi in cui non siano garantite dalle Asl le prestazioni domiciliari o il ricovero presso le Rsa (6), se la proposta della Banchero diventasse legge dello Stato, la suddetta semplicissima e non onerosa forma di tutela della propria salute non sarebbe più praticabile tutte le volte che le istituzioni decidessero di non stanziare i fondi necessari per le cure domiciliari o per l’istituzione e gestione delle Rsa.

nel citato articolo la Banchero ricorda che, in base alla sentenza della Corte di Cassazione n. 500/1999, la pubblica amministrazione deve risarcire i danni ingiusti arrecati ai cittadini. Si tratta, com’è noto, di una procedura estremamente lunga, in genere molto costosa anche per le restrizioni esistenti nella concessione del patrocinio a carico dello Stato. Inoltre, il procedimento può essere avviato solo dopo che è stato compiuto l’atto illegittimo e quindi solo dopo che il soggetto debole ha subito le negative conseguenze della violazione delle esigenze concernenti la sua salute fisica e psichica.

Circa l’attuale carenza di risorse economiche necessarie per garantire il diritto esigibile alle cure sanitarie e socio-sanitarie, ricordiamo che questo antico pretesto viene utilizzato assai spesso quando si tratta di servizi per i soggetti più deboli.

Perché la Banchero non mette in discussione il cancro dell’evasione fiscale, visto che, come se­gnala la Repubblica del 31 marzo 2004 «gli ultimi dati riservati dell’Agenzia per le entrate sono clamorosi: alla tassazione sfuggono 200 miliardi di euro all’anno»?

Poi ci sono le agevolazioni finanziarie approvate dal Parlamento, dalle Regioni e dai Comuni per sostenere i benestanti: ad esempio l’eliminazione delle tasse concernenti le successioni e le donazioni.

Perché favorire chi possiede beni immobili e mobili e tartassare i più deboli che non hanno la possibilità di difendersi?

Ci sono, altresì, gli sprechi da eliminare. A questo proposito nell’articolo “A Roma le spese allegre delle Regioni: sedi prestigiose, auto blu e corsi di aggiornamento” apparso su La Stampa del 1° agosto 2005 viene segnalato che la sede romana della Regione Liguria è «ospitata in un palazzo storico del centro che costava già alla fine del 2003 oltre 100 mila euro di affitto per 380 metri quadrati» e cioè oltre 530 mila ex lire al giorno!

 

 

diritto alle cure sanitarie: la uil fornisce informazioni errate

 

In base alle leggi vigenti, il Servizio sanitario nazionale è obbligato a curare le persone malate, prescindendo dall’età, dal tipo di patologia, dal carattere acuto o cronico della malattia, dalla guaribilità o meno del paziente. Quindi anche gli anziani cronici non autosufficienti e i malati di Alzheimer.

Si assiste spesso, invece, a strutture sanitarie che inducono pazienti alle dimissioni, una volta superata la fase acuta della malattia o constatata l’inguaribilità, facendo pressioni sui parenti, quasi sempre all’oscuro dei propri diritti, e mettendoli di fronte alla prospettiva di dimissioni incombenti e inevitabili per il proprio congiunto. Dunque è consuetudine di molti operatori sanitari lasciare intendere ai congiunti del malato che uno stato d’inguaribilità significa che la responsabilità delle cure ricade sulle loro spalle.

In realtà i congiunti del ricoverato non sono giuridicamente tenuti a sostituirsi al Servizio sanitario nazionale svolgendo le attività che gli competono. I degenti, o se non in grado i loro parenti, possono dunque opporsi alle dimissioni (7) se permane lo stato di malattia acuto o cronico con o senza autosufficienza.

Non è quindi corretto affermare, come si può leggere nel sito web (8) del sindacato Uil, che quando «il primario dispone le dimissioni del paziente, questo anche se non è d’accordo, è costretto a lasciare l’ospedale».

Un’affermazione destituita di fondamento e tanto più grave se inserita nel sito di un importante sindacato che in quanto tale dovrebbe difendere e farsi garante dei lavoratori e dei pensionati, soprattutto se in stato di necessità causata da una malattia.

Sullo stesso sito si legge, stavolta a proposito delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), che «nel caso in cui l’anziano abbia un reddito insufficiente è previsto l’intervento dei familiari o del Comune di residenza». Cosa anche questa non vera. Come ripetiamo da molto tempo le leggi ad oggi in vigore non consentono agli enti pubblici di pretendere contributi economici:

1. dai congiunti non conviventi, al momento della richiesta della prestazione sociale, con gli assistiti aventi più di 18 anni;

2. dai parenti, anche se conviventi, dei soggetti maggiorenni con handicap in situazione di gravità e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti.

È, altresì, noto che la quota sanitaria delle Rsa è a carico dell’Asl, mentre la quota alberghiera, che deve comunque non essere superiore al 50% del totale della retta, deve essere versata dall’assistito se in condizioni di farvi fronte. In caso contrario è a carico parziale o totale del Comune che non potrà mai rivalersi sui congiunti.

Inoltre è molto sorprendente che, nello stesso sito della Uil, a proposito dell’assistenza domiciliare integrata, venga inventato di sana pianta quanto segue: «Per garantire una adeguata assistenza l’Adi prevede almeno la presenza di un assistente domiciliare ogni 10 anziani; di un infermiere ogni 14 pazienti anziani assistiti; di un terapista della riabilitazione ogni 50» e che «ogni utente ha diritto a 140 ore annue di assistenza di tipo socio-assistenziale (aiuto domestico, pulizia della persona e così via); 100 ore annue di assistenza infermieristica; 50 ore annue di assistenza riabilitativa; 50 accessi dal medico di medicina generale; 8 consulenze l’anno di carattere medico specialistico o psicologico; più altri servizi, secondo la necessità (assistenza religiosa, podologo)».

 

 

 

(1) Purtroppo l’obbligatorietà delle spese di cui sopra è stata abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3.

(2) Le competenze socio-assistenziali, attribuite alle Province dalla legge 2838/1928, sono richiamate nel 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali.

(3) Con il termine “Liveas” si intendono i livelli essenziali di assistenza sociale, previsti dalla legge 328/2000, ma finora mai definiti.

(4) Con il termine “Lea” si intendono i livelli essenziali di assistenza operanti nei settori sanitario e socio-sanitario.

(5) Com’è noto gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti sono tenuti a contribuire al pagamento della retta alberghiera delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) esclusivamente sulla base delle personali risorse economiche.

(6) Confermiamo ancora una volta che, a seguito dell’opposizione alle dimissioni, gli anziani cronici non autosufficienti, i malati di Alzheimer e i soggetti colpiti da altre forme di demenza senile non vengono mai dimessi, salvo accettazione da parte del soggetto interessato o dei suoi congiunti, e continuano ad essere curati dal servizio sanitario nazionale negli ospedali, nelle case di cura private convenzionate oppure presso le Rsa.

(7)  Cfr. gli articoli 41 della legge 12 febbraio 1968 n. 132, n. 4 della legge 23 ottobre 1985 n. 595 e n. 14 del decreto legislativo 30 dicembre1992 n. 502.

(8) www.ital-uil.it/vadesani

 

www.fondazionepromozionesociale.it