Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005

 

 

PROPOSTE DEL CSA IN MERITO ALLA NUOVA LEGISLATURA NAZIONALE

 

 

Com’è noto, nel 2006 verranno rinnovati la Camera dei deputati e il Senato. Per quanto riguarda le iniziative che il nuovo Parlamento dovrebbe assumere, il Csa di Torino ha predisposto le seguenti proposte volte a garantire una effettiva tutela ai soggetti deboli. Si tratta di persone che, per poter vivere in condizioni accettabili, necessitano non solo delle prestazioni dei servizi fondamentali (sanità, casa, istruzione, trasporti, ecc.), ma anche degli interventi del settore socio assistenziale (1).

 

1. Premessa

1.1. Si ritiene che per una effettiva tutela dei soggetti deboli si debba far riferimento all’articolo 117 della Costituzione che assegna allo Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

1.2. Occorre prendere atto che la legge 104/1992 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” non prevede alcun diritto esigibile, ad eccezione dei permessi lavorativi.

1.3. Nessun diritto esigibile è stato stabilito dalla legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

1.4. Ne deriva che per ottenere assistenza da parte dei Comuni che non intendono intervenire, occorre fare riferimento agli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, la cui unica prestazione prevista per i minori, i soggetti con handicap e gli anziani in gravi difficoltà psico-socio-economiche, considerati “inabili al lavoro”, è il ricovero in istituto.

1.5. È di 233,87 euro mensili (aumentabili in certi casi di euro 10,33) l’importo della pensione versata dallo Stato a coloro che, privi di altre risorse eco­nomiche, sono inabili totali e incapaci di svolgere qualsiasi attività lavorativa: si tratta, dunque, di un importo certamente insufficiente per vivere.

1.6. Ai soggetti inabili totali, che devono essere assistiti 24 ore su 24 per le funzioni fondamentali (vestirsi, alzarsi, mangiare, igiene conseguente alla loro doppia incontinenza, ecc), lo Stato eroga oltre alla suddetta pensione mensile di 233,87 euro, l’indennità di accompagnamento di 443,83 euro al mese, corrispondente a meno di 15 euro al dì, che non sono di sicuro sufficienti per pagare le persone che li assistono durante tutta la giornata.

1.7. La legge 328/2000 (cfr. il comma 5 dell’articolo 8) non ha eliminato l’attuale discriminazione in base alla quale, mentre i minori nati nel matrimonio sono assistiti in genere dai Comuni, per quelli nati al di fuori di esso la competenza è quasi sempre delle Province. Per quanto riguarda i minori e gli adulti ciechi e sordi, la Provincia è ancora competente per quelli “poveri rieducabili”, come stabilisce il regio decreto 383/1934. Infine, molto spesso, vi è incertezza circa l’ente (Comune o Provincia) che dovrebbe intervenire nei confronti dei minori già assistiti dall’Onmi. Inoltre, salvo diverso provvedimento legislativo assunto dalle Regioni, tutte le Province sono obbligate ai sensi della legge 2838/1928 ad assistere le gestanti e madri in difficoltà.

1.8. Drammatica è in tutte le Regioni la situazione degli anziani cronici non autosufficienti e delle persone colpite dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile. In violazione alle leggi vigenti (la prima è la n. 692/1955) i suddetti soggetti vengono molto spesso dimessi da ospedali e case di cura private convenzionate nonostante permanga la necessità della prosecuzione delle prestazioni sanitarie a domicilio o presso strutture residenziali sanitarie o socio-sanitarie. Le conseguenze sono sovente disastrose per gli interessati ed i loro congiunti. In particolare, si ricorda che nel documento “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, predisposto nell’ottobre 2000 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene precisato che «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica», cure che – lo ripetiamo – devono essere fornite dal Servizio sanitario nazionale.

1.9. La stragrande maggioranza dei Comuni italiani continua a pretendere, spesso sotto ricatto (o sottoscrivete l’impegno o il vostro congiunto non verrà assistito), contributi economici dai parenti, conviventi e non, di soggetti assistiti e, in particolare, di ultrasessantacinquenni non autosufficienti e di soggetti colpiti da handicap grave nonostante che dette richieste non siano ammesse dalle leggi vigenti. Infatti, in base all’articolo 25 della legge 328/2000, la verifica della condizione economica del richiedente le prestazioni sociali deve essere effettuata secondo le disposizioni dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. In base all’articolo 2 del testo unificato dei citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, risulta quanto segue:

comma 1: «la valutazione della situazione economica del richiedente è determinata con riferimento alle informazioni relative al nucleo familiare di appartenenza»;

comma 2: «Ciascun soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare»;

comma 6: «Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata».

Premesso che il primo comma dell’articolo 438 del codice civile stabilisce che «gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere a se stesso», il Csa ritiene che per nessun motivo possano essere avanzate richieste di contribuzione economica ai parenti non conviventi con l’assistito.

Per quanto riguarda gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti ed i soggetti con handicap grave, secondo quanto previsto dal comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, gli oneri di assistenza devono essere calcolati esclusivamente sulla base delle personali risorse economiche degli assistiti, senza alcun onere per i congiunti, compresi quelli conviventi. Ad avviso del Csa, non è vero, come sostengono alcuni Comuni e Asl, che la suddetta disposizione non è in vigore. Infatti, la mancata emanazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri del decreto amministrativo diretto a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza», di cui al comma 2 ter dell’art. 3 del testo unificato dei più volte menzionati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, non può bloccare o sospendere l’applicazione delle norme sui contributi economici per i seguenti motivi:

• i decreti amministrativi non possono modificare in nulla e per nulla le disposizioni aventi valore di legge, come lo sono i decreti legislativi 109/1998 e 130/2000;

• il decreto amministrativo di cui sopra non è più necessario in quanto la legge 328/2000, approvata dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 130/2000, indica in modo dettagliato le misure dirette a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza»;

se la mancata emanazione di un decreto amministrativo potesse bloccare o sospendere una legge, significherebbe che il Presidente del Consiglio dei Ministri può limitare i poteri del Parlamento compiendo una semplice omissione.

1.10. Mentre vi sono ancora Comuni che pretendono contributi economici dai parenti di assistiti non autosufficienti, gli stessi Comuni operano in modo nettamente diverso nei casi in cui il soggetto è in grado di difendere i propri interessi. Ad esempio, le seguenti erogazioni, riguardanti anch’esse prestazioni sociali, non sono giustamente condizionate dalla situazione economica dei parenti non conviventi, compresi quelli tenuti agli alimenti:

- contributi per il pagamento dell’affitto di casa;

- assegnazione degli alloggi dell’edilizia economica e popolare;

- erogazione di sussidi economici ai disoccupati.

Ad esempio, per quanto riguarda le «persone che a causa dell’interruzione temporanea o definitiva del lavoro svolto alle dipendenze altrui, anche sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa, abbiano un indicatore di situazione economica per l’anno 2002 non superiore a euro 16 mila», la Regione Piemonte (bando del novembre 2003) ha fatto riferimento esclusivamente alla situazione economica del soggetto interessato per l’erogazione del sussidio una tantum di euro 1.600/2.000. Anche per i ticket, i servizi sanitari regionali tengono conto esclusivamente delle risorse della persona che richiede la prestazione. A loro volta, i Comuni, nel caso di mancato pagamento da parte delle famiglie in difficoltà dell’intera retta degli asili nido e delle scuole materne e delle quote relative ai soggiorni di vacanza, non si sono mai rivolti – giustamente anche in questo caso – ai parenti tenuti agli alimenti. Inoltre, allo scopo di ridurre gli oneri a carico degli utenti, compresi quelli abbienti, per la frequenza degli asili nido e delle scuole materne, i Comuni, per il calcolo degli oneri a carico dei genitori, non fanno mai riferimento al costo del servizio (come, invece, avviene per le prestazioni di assistenza degli stessi Comuni), ma a tariffe speciali, a volte ridotte anche del 60-70%. Ad esempio, di fronte ad un costo mensile di oltre 1.000 euro degli asili nido, la tariffa massima attribuita anche ai genitori estremamente ricchi non supera in genere i 350 euro.

Anche le istituzioni statali mai hanno fatto riferimento alla situazione economica dei parenti tenuti agli alimenti per quanto concerne i sussidi ai disoccupati, l’integrazione al minimo delle pensioni di invalidità, di anzianità e di vecchiaia (il cui costo totale a carico dello Stato supera i 20 miliardi di euro all’anno), nonché per l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato dei non abbienti.

Ne consegue una netta disparità fra i trattamenti rivolti alle persone incapaci di autodifendersi a cau­sa della loro non autosufficienza e gli interventi ri­guar­danti i cittadini in grado di tutelare i propri interessi.

 

2. Proposte

2.1. Aggiornamento della legge 328/2000

Tenuto conto dell’articolo 117 della Costituzione, si propone l’aggiornamento della legge 328/2000 mediante apposito provvedimento legislativo, come è stato fatto con l’articolo 54 della legge 289/2002 per i Lea, Livelli essenziali di assistenza.

Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale nei confronti di tutte le persone colpite da malattie acute o croniche, l’aggiornamento della legge 328/2000 dovrebbe essere rivolto a riconoscere il diritto esigibile alle prestazioni sociali:

a) ai soggetti che, non essendo autosufficienti, se non vengono assistiti muoiono:

• minori figli di ignoti;

• minori privi di adeguato sostegno da parte del loro nucleo d’origine con l’obbligo da parte dei Comuni singoli e associati di assicurare, se praticabili, i necessari interventi ai nuclei familiari di origine e, in caso contrario, di garantire l’inserimento presso idonee famiglie affidatarie o adottive;

• adulti non autonomi a causa di handicap invalidanti e privi di adeguato sostegno familiare con priorità per gli interventi domiciliari.

Nel suddetto provvedimento dovrebbe essere confermata la chiusura entro il 31 dicembre 2006 degli istituti di assistenza all’infanzia, prevista dalla legge 149/2001. La chiusura dovrebbe riguardare tutte le strutture aventi più di 10 posti letto, comprese quelle organizzate nei cosiddetti gruppi famiglia, sempre che la loro capienza sia superiore a quella sopra indicata. Inoltre, dovrebbe essere vietato l’accorpamento di comunità alloggio nello stesso stabile o in quelli adiacenti;

b) alle gestanti e madri in gravi difficoltà psico-socio-economiche, compreso il necessario sostegno per il loro reinserimento e per il riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati come previsto dalle leggi vigenti. Se necessario, alle suddette persone dovrebbe essere garantita anche l’accoglienza per il periodo strettamente necessario.

Il diritto esigibile agli interventi e servizi sociali potrebbe essere esteso:

• alle persone che vogliono uscire dalla schiavitù della prostituzione;

• alle persone senza fissa dimora;

• ai carcerati ed ex carcerati.

Tutte le funzioni gestionali dovrebbero essere attribuite ai Comuni eliminando in tal modo le attuali discriminazioni di cui al punto 1.7, superando le norme vigenti in materia di pubblica sicurezza di cui al punto 1.4 e risolvendo anche il problema del “Dopo di noi” che angoscia i genitori aventi figli con limitatissima o nulla autonomia.

2.2. Adeguamento della legge sull’adozione alle esigenze dei minori

Occorrerebbe che l’adozione avesse sempre natura legittimante e venisse pronunciata esclusivamente nei riguardi dei minori dichiarati adottabili. Allo scopo dovrebbe essere rivisto il vigente articolo 44 della legge 184/1983, come risulta modificata dalla legge 149/2001. Pertanto le cosiddette “adozioni miti o aperte” dovrebbero essere superate. Analoghe a quelle previste per i fanciulli italiani, dovrebbero essere le norme concernenti l’adozione dei minori stranieri.

2.3. Prestazioni sociali per le gestanti e madri in gravi difficoltà

Per le gestanti e madri, tenuto conto dell’estrema delicatezza del problema e dell’alta specializzazione degli interventi occorrenti, nonché del limitato numero di donne da assistere, sarebbe opportuno che in tutte le Regioni venisse istituito dai Comuni singoli o associati un apposito servizio (obbligatorio ai sensi dell’ancora vigente legge 2838/1928), non avente più collocazione presso tutte le Province, ma con una o più sedi regionali a seconda del numero di abitanti. Detto servizio dovrebbe avere anche il compito di prevenire gli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei bambini e gli infanticidi il cui numero è in preoccupante aumento: 12 nel 1998, 14 nel 1999, 20 nel 2000 e 63 nel 2001).

Si ricorda inoltre che sono circa 400 all’anno i minori non riconosciuti alla nascita.

2.4. Adeguamento delle pensioni di invalidità e degli assegni di accompagnamento

Un secondo aggiornamento della legge 328/2000, meno urgente di quello precedentemente proposto e molto più complesso, potrebbe riguardare:

• l’istituzione obbligatoria in tutto il territorio nazionale del “Reddito minimo di inserimento” di cui all’articolo 23 della stessa legge 328/2000;

• il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità, cecità e sordomutismo, già previsto dall’articolo 24 della citata legge 328/2000.

2.5. Affidi di minori stranieri

Si chiede l’approvazione di norme aventi valore di legge in merito agli affidi ed ai soggiorni (studio, cura, ecc.) in Italia di minori provenienti da Paesi stranieri, allo scopo di evitare in particolare l’aggiramento delle disposizioni vigenti in materia di adozione.

2.6. Persone affette da patologie invalidanti e da non autosufficienza

A partire dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 giugno 1985, utilizzato per espellere dalla competenza sanitaria le persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, sono in atto conflitti fra Asl e Comuni in merito alle prestazioni da fornire. Di conseguenza vi sono spesso ritardi anche notevoli di intervento. Inoltre sono presenti in tutto il territorio nazionale liste di attesa (anche di 18-24 mesi) per l’accesso alle Rsa (residenze sanitarie assistenziali). Durante questo periodo i malati cronici non autosufficienti sono a totale carico dei congiunti (ai quali le leggi non hanno mai affidato i compiti terapeutici attribuiti al Servizio sanitario nazionale) che devono provvedere a loro spese alle cure e assistenza con l’esborso anche di 50-70 mila euro per il citato periodo di attesa.

Per superare questa situazione si propone:

a) l’attribuzione al Servizio sanitario nazionale delle decisioni, fermo restando:

- l’attuale obbligo dei ricoverati di contribuire alle spese sulla base delle loro risorse personali;

- l’intervento dei Comuni singoli e associati per le prestazioni sociali da considerare sempre come integrative di quelle sanitarie, non sostitutive e non concorrenziali;

b) la definizione di criteri obbligatori da parte del Servizio sanitario nazionale e dei Comuni, tali da garantire ai cittadini «i diritti civili e sociali» previsti dall’articolo 117 della Costituzione.

2.7. Obbligatorietà delle cure sanitarie domiciliari

Sarebbe opportuno inserire tra i «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il ter­ritorio nazionale» anche l’obbligatorietà delle pre­stazioni sanitarie domiciliari nei casi in cui siano contemporaneamente soddisfatte le seguenti con­dizioni:

• non vi siano controindicazioni cliniche o di altra natura;

• il malato non sia dissenziente e gli possano essere fornite a domicilio le necessarie cure mediche, infermieristiche e, se occorrenti, riabilitative;

• i congiunti o altri soggetti siano disponibili ad assicurare il necessario sostegno domiciliare e siano riconosciuti idonei dall’Asl di competenza territoriale;

vengano previsti gli interventi di emergenza sia nel caso che i soggetti di cui al punto precedente non siano più in grado di prestare gli interventi di loro competenza, sia per l’insorgere di esigenze del paziente che ne impongano il ricovero presso idonee strutture sanitarie;

• i costi a carico dell’Asl non siano superiori a quelli di loro spettanza nel caso di degenza presso ospedali, case di cura private convenzionate o presso residenze sanitarie assistenziali.

2.8. Riconoscimento del volontariato intrafamiliare

Approvazione di una legge nazionale per il riconoscimento del volontariato intrafamiliare svolto dai congiunti che accolgono soggetti maggiorenni non autonomi a causa della gravità del loro handicap oppure persone affette da malattie invalidanti e da non autosufficienza, con l’obbligo da parte dei Comuni per i soggetti con handicap o delle Asl per gli individui malati della corresponsione forfettaria di una somma diretta a rimborsare le spese vive sostenute (affitto, pagamento di terze persone che collaborano per l’assistenza, ecc.). Si fa presente che le Asl versano da 30 a 40 euro al giorno alle Rsa per il ricovero di persone colpite da patologie croniche, mentre le rette a carico dei Comuni per l’accoglienza di soggetti con handicap presso comunità alloggio superano in genere  i 100 euro al dì.

Il riconoscimento del volontariato intrafamiliare dovrebbe  comportare anche il diritto alle informazioni e alla partecipazione agli atti delle Asl e dei Comuni che li riguardano, com’è previsto per le organizzazioni di volontariato. Si segnala che il Consorzio fra i Comuni di Collegno e Grugliasco (Cisap) ha riconosciuto con un provvedimento del 6 novembre 2003 il volontariato intrafamiliare concernente i soggetti con handicap, dopo averne sperimentato la validità, accertato i vantaggi per gli utenti ed i loro congiunti e verificato i notevoli risparmi economici realizzati dal Consorzio.

2.9. Contributi economici

Nell’ambito dei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», si chiede l’assunzione delle necessarie iniziative affinché vengano rispettate dalle Regioni, dai Comuni e dalle Asl le norme sancite dall’articolo 25 della legge 328/2000 e dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 (cfr. il punto 1.9). Al riguardo sarebbe sufficiente (al fine di eliminare gli alibi utilizzati da Regioni, Province, Comuni e Asl per non attuare le vigenti disposizioni) l’emanazione del decreto amministrativo previsto dal comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei due citati decreti legislativi con l’indicazione delle misure volte a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» oppure l’invio di una semplice circolare per precisare che il suddetto decreto amministrativo non è necessario in quanto nella legge 328/2000, approvata dopo i decreti legislativi in oggetto, ci sono tutte le disposizioni occorrenti per «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza».

Allo scopo di facilitare i cittadini e di semplificare gli aspetti burocratici, si chiede che la dichiarazione Isee possa essere sostituita dall’autocertificazione.

 

 

(1) Le considerazioni relative alle contribuzioni sono state tratte dall’articolo inserito in questo numero “Un importante convegno sui contributi economici richiesti ai parenti degli anziani cronici non autosufficienti”.

 

 

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