Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005

 

 

Editoriale

 

UN DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO CONTRARIO ALLE ESIGENZE DEI MINORI STRANIERI SENZA FAMIGLIA

Francesco Santanera

 

Dopo i tentativi di svalorizzare la vera adozione mediante l’adozione mite (1) e di rilanciare il ricovero in istituto (2), i Ministri per le pari opportunità Stefania Prestigiacomo, degli affari esteri Gianfranco Fini, dell’interno Beppe Pisanu e della giustizia Roberto castelli hanno depositato al Senato il 6 aprile 2005 il disegno di legge n. 3373 “Modifiche ed integrazioni alla disciplina in materia di adozione e affidamento internazionali” con il dichiarato obiettivo, precisato nella relazione allegata al testo, di rispondere «alle istanze di un numero sempre crescente di famiglie e persone che manifestano la propria disponibilità all’accoglienza».

Mentre è estremamente positiva sul piano sociale la consistente e motivata quantità di coppie, con o senza figli biologici, disponibili ad adottare, occorre che le istituzioni tengano conto soprattutto del numero dei minori adottabili, perché privi di sostegno morale e materiale da parte dei loro congiunti.

 

Sono troppo numerose le richieste di adozione

Come dimostrano in modo inoppugnabile i dati statistici ufficiali, solo una parte delle coppie, che presentano domanda di adozione di minori stranieri ed è in possesso del relativo decreto di idoneità, riesce ad adottare. Difatti, nel periodo 1995-2002 (non sono disponibili i dati Istat relativi al 2003 e al 2004), di fronte a 39.625 decreti di idoneità all’adozione internazionale (3), le adozioni pronunciate sono state solamente 22.581. Dunque il 43% delle coppie idonee non sono riuscite a realizzare il loro desiderio di maternità e paternità. Questa situazione è dovuta al fatto che si orientano verso i Paesi in cui vi sono minori adottabili non solo le coppie italiane, ma quelle di tutti i Paesi industrializzati. Inoltre, è in diminuzione il numero di minori stranieri adottabili a seguito della presenza di Paesi che non contemplano l’adozione, nonché a causa delle disposizioni restrittive assunte da alcuni Governi. Ad esempio, sono praticamente azzerate le adozioni di minori dalla Romania a seguito di una legge approvata dal Parlamento di Bucarest il 15 giugno 2004 (4). Occorre, altresì, considerare che sono estremamente scarse le richieste di adozione di bambini di pelle nera.

Per quanto riguarda l’adozione dei minori italiani, è ancora più rilevante il divario fra le domande di adozione ed il numero dei minori adottabili. Dal 1995 al 2002 sono state presentate complessivamente 89.079 domande di adozione nazionale, mentre nello stesso periodo quelle pronunciate sono state appena 13.027. Ammonta, pertanto, a oltre l’85% il numero delle coppie italiane a cui non è stato affidato alcun bambino.

Come denunciamo da anni, risulta evidente che rispondono solamente a esigenze de­magogiche e clientelari le misure dirette ad aumentare le richieste di adozione dei minori italiani e stranieri (5).

 

Una più adeguata selezione/preparazione degli aspiranti adottanti

Il disegno di legge governativo prevede semplificazioni procedurali che tendono «di fatto a svuotare la valutazione di idoneità, riducendola a una mera presa d’atto della “disponibilità” dichiarata dalle coppie» (6) che intendono adottare minori stranieri.

Difatti, il Tribunale per i minorenni, presa visione della certificazione prodotta dai coniugi aspiranti all’adozione (7), può senza assumere alcuna altra informazione, dichiarare l’idoneità della coppia anche per quanto concerne le sue capacità edu­cative! Solamente nei casi in cui «non ritiene di dover pronunciare immediatamente il decreto di inidoneità per manifesta carenza dei requisiti di cui all’articolo 6» (8), il Tribunale per i minorenni «sente entro trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di disponibilità, anche a mezzo di un giudice delegato, gli aspiranti genitori adottivi al fine di accertare le motivazioni per le quali hanno presentato la dichiarazione di disponibilità, nonché la loro attitudine all’adozione internazionale».

Non siamo per nulla convinti che i giudici togati e onorari (o altri esperti) siano in grado, sulla base di un colloquio, di individuare le vere e profonde motivazioni degli aspiranti adottanti, la solidità della loro personalità e la stabilità del loro rapporto coniugale, le loro capacità educative, l’accettazione dell’adozione da parte dei familiari che allacceranno rapporti di parentela con il minore e le altre condizioni che devono essere soddisfatte per garantire al bambino un valido inserimento familiare e sociale (9).

Esclusivamente «per motivate ragioni (…) il Tribunale per i minorenni dispone, tramite gli organi della pubblica amministrazione, l’acquisizione di ulteriori elementi informativi sulle circostanze risultanti dalla documentazione allegata alla dichiarazione di disponibilità». Detti «ulteriori elementi informativi» dovrebbero essere raccolti dai servizi sociali e/o sanitari e consegnati al Tribunale per i minorenni addirittura entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda di adozione, elemento anche questo che dimostra la precisa volontà dei presentatori del disegno di legge governativo di estromettere, di fatto, i servizi sociali dalla valutazione dell’idoneità degli aspiranti adottanti (10).

 

Dichiarazioni fuorvianti del Ministro Prestigiacomo

Nell’intervista rilasciata a La Repubblica del 17 novembre 2004, il Ministro Prestigiacomo ha dichiarato che «al 97% delle coppie (che hanno presentato domanda di adozione internazionale, n.d.r.) viene concessa l’idoneità». In base alla suddetta affermazione, il Ministro sostiene che «ogni coppia è “idonea”, a meno che non ci sia la dimostrazione del contrario». Di conseguenza, ritiene inutile il difficile, delicato e importantissimo lavoro di selezione/preparazione delle coppie aspiranti all’adozione.

In primo luogo, rileviamo che, dalle analisi dei dati statistici disponibili, non risulta che l’idoneità all’adozione internazionale sia concessa dalle autorità giudiziarie minorili nella misura del 97% delle domande presentate. Emerge, invece che, come abbiamo già rilevato, che su 54.701 domande presentate dal 1995 al 2002 per l’adozione internazionale, sono stati rilasciati 39.625 decreti di idoneità. Dunque si tratta del 72,5% e non del 97%.

Se si parte dal problema reale (dare ai bambini adottabili la miglior famiglia possibile), è ovvio che dalla documentazione presentata dalle coppie, nonché dalle loro dichiarazioni, non si hanno gli elementi conoscitivi indispensabili per comprendere se i bambini verranno accolti da persone idonee o meno.

Inoltre, tenuto conto che, come abbiamo già rilevato sulla base di dati oggettivi, le richieste di adozione sono di gran lunga superiori ai minori adottabili, le iniziative dovrebbero essere rivolte non solo all’accertamento del possesso da parte della coppia di una idoneità generica, ma anche all’individuazione di quelle che offrono le maggiori garanzie di un valido inserimento familiare.

A nostro avviso, è, altresì, improponibile l’asserzione del Ministro Prestigiacomo, secondo cui, poiché «nessuno si sogna di fare un processo ad una coppia che decide di mettere al mondo un bambino», nessuna selezione/preparazione dovrebbe essere predisposta per le adozioni. È ovvio che nessuno può imporre vincoli a coloro che intendono «mettere al mondo un bambino», anche se un’attività educativa potrebbe positivamente orientare i giovani e gli adulti ad avere comportamenti rispettosi delle esigenze dei nascituri.

Per quanto riguarda le coppie che intendono adottare un bambino, le iniziative concernenti la loro selezione/preparazione non rivestono certamente, come sostiene il Ministro, le caratteristiche di un «processo» (non ci sono né imputarti, né giudici), ma dette iniziative non sono solamente indispensabili – lo ripetiamo – per individuare la miglior famiglia per quel bambino, ma sono anche necessarie per evitare future sofferenze alla coppia. Difatti, i fallimenti adottivi causano drammi e dolori agli adottati e agli adottanti, nonché agli altri congiunti (11).

Inoltre, occorre tener presente che, purtroppo abbastanza spesso, l’ambiente sociale, in primo luogo la scuola, manifesta incomprensioni nei confronti dei figli adottivi, soprattutto quelli di etnia diversa dalla nostra.

Emblematica, al riguardo, la vicenda di Antony, arrivato in Italia dall’India a otto anni, adottato da una famiglia della Toscana e suicidatosi all’età di quindici anni. Nella lettera/testamento, Antony scrive: «Da quando sono venuto al mondo non ho mai passato un momento felice fino a quando non sono entrato in famiglia V. Purtroppo questa felicità non è durata abbastanza, perché ogni volta che uscivo di casa la gente non faceva altro che insultarmi per il colore della mia pelle, per la mia altezza di 1 m. e 50 e per il mio corpo così magro e senza un briciolo di muscolo. Quindi, come potete avere intuito io mi sentivo proprio un verme fuori casa, ma quando rientravo mi sentivo il ragazzo più felice del mondo. (…) Quando sono entrato alle superiori pensavo che quei anni di scuola li avrei passati più serenamente di quelli che avevo trascorso alle medie. Invece non ho trovato che solitudine, tristezza e tanti brutti voti. A me piaceva studiare e mi piaceva andare a scuola, però da quando nessuno mi apprezzava per quello che ero la mia vita è ritornata ad essere infernale come quando ero in India» (12).

È evidente la necessità non solo di una adeguata selezione degli aspiranti adottanti in modo da evitare l’inserimento di bambini presso famiglie inidonee; è, altresì, di fondamentale importanza la loro preparazione affinché siano in grado di proteggere e aiutare il fanciullo nei confronti dell’ambiente sociale, che non sempre accetta coloro che presentano “diversità” di qualsiasi genere.

 

I fallimenti adottivi

Fin dalla sua costituzione (1962) l’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), mentre ha sempre sostenuto la connotazione naturale dell’adozione (13), ha con assoluta continuità posto in evidenza la necessità di procedere non solo ad una accurata selezione degli aspiranti adottanti, ma anche ad una loro adeguata preparazione. Infatti, da un lato sono molto numerosi i minori che, prima di essere adottati, hanno patito le nefaste conseguenze della carenza di cure familiari e dell’istituzionalizzazione, d’altro lato sono ancora presenti nella nostra cultura preconcetti che esigono una adeguata consapevolezza da parte dei genitori adottivi, in primo luogo una concezione esclusivamente biologica della filiazione, della maternità e della paternità che continua ad essere diffusa dai mezzi di comunicazione di massa e, spesso, anche dai libri scolastici (14).

Circa i fallimenti adottivi, con le inevitabili conseguenze negative soprattutto per i minori, occorre, ancora una volta, denunciare che quasi sempre sono dovuti a carenze nelle attività relative alla selezione/preparazione degli aspiranti adottanti e al carente sostegno successivo all’inserimento del minore nella sua nuova famiglia (15).

 

Violenze subite dai minori adottati

La selezione/preparazione degli aspiranti adottanti è un’esigenza imprescindibile volta non solo a consentire un idoneo inserimento familiare e sociale dei minori in stato di adottabilità, ma è anche l’intervento necessario per evitare l’adozione da parte di persone inidonee.

Ricordiamo, quale esempio di notevole gravità, i fatti che hanno portato alla condanna a dieci mesi di reclusione, inflitti in data 11 febbraio 1983 dalla 6ª Sezione penale del Tribunale di Torino a A.A. (apparteneva all’alta società del capoluogo piemontese) per i maltrattamenti patiti dal figlio adottivo di 4 anni. Gli interessati non hanno presentato ricorso alla sentenza nonostante che il marito di A.A. (noto professionista) sia stato assolto solo per insufficienza di prove dall’accusa di maltrattamenti nei confronti dello stesso minore (16). Il rinvio a giudizio era stato motivato dal fatto che «maltrattavano i figli adottivi X, all’epoca di anni 4 e Y, all’epoca di anni 8, percuotendoli e punendoli in modo disumano (e cioè, lasciandoli senza cibo per diversi giorni, rinchiudendoli nel box della doccia oppure lasciandoli nel giardino di casa anche in stagione invernale ed in ore notturne, percuotendoli con schiaffi, colpi di battipanni, cinghiate, imponendo loro per castigo restrizioni alimentari e facendoli vivere in stato di continua paura e tensione psicologica».

Purtroppo sono noti altri casi di maltrattamenti di minori allontanati da genitori adottivi inidonei e a volte anche violenti.

 

Adozione di minori stranieri in casi particolari

Il progetto di legge prevede l’adozione di minori stranieri in casi particolari (articolo 44 della legge 184/1983) e cioè:

a) «da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) «dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;

c) «quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (e sia cioè colpito da handicap in situazione di gravità, n.d.r.), e sia orfano di padre e di madre» (17).

Come osserva giustamente il già citato Presidente nazionale dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia «molte perplessità suscita l’introduzione dell’adozione in casi particolari che – per detta della relazione – dovrebbe rispondere alla richiesta di quanti desiderano dare una stabilità giuridica al rapporto creatosi, in presenza di particolari condizioni, con un bambino straniero ben individuato. A prescindere dalla considerazione che già allo stato vi sono strumenti per risolvere situazioni particolari nell’interesse del minore (per esempio, le c.d. idoneità “mirate”), l’introduzione del predetto istituto, con l’esplicita finalità sopra riferita, produrrebbe un pericoloso effetto incentivante a creare situazioni di fatto in presenza delle quali richiedere poi, ed ottenere, l’adozione sia pure non legittimante. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare, in quanto andrebbe evitato che si creino le situazioni che la progettata adozione in casi particolari dovrebbe “sanare”. Esse sono in larga misura connesse alla pessima gestione dei soggiorni temporanei sui quali sarebbe, piuttosto, indispensabile intervenire una buona volta, riconoscendo che, con l’alibi umanitario di assicurare trattamenti terapeutici o permanenze climatiche favorevoli a bambini che ne hanno bisogno (così essi nacquero dopo Cernobyl), in realtà procurano ai bambini gravissime sofferenze a causa di una disumana e prolungata instabilità, con reiterati soggiorni e traumatici distacchi. Tra l’altro, tutto è gestito da associazioni private, fuori da ogni controllo. Una legge che prevedesse un istituto quale quello progettato conterrebbe una sorte di messaggio a continuare su questa linea e finirebbe per reintrodurre surrettizialmente una nuova forma di adozioni “fai da te”, forse ancor più deregolata di quella che abbiamo conosciuto in passato».

 

Affidamento temporaneo internazionale

Il disegno di legge n. 3373 prevede, inoltre, l’affidamento internazionale, e cioè «l’inserimento di un minore straniero temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, presso una famiglia o una persona, cittadini italiani o comunitari, residenti in Italia, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni di cui ha bisogno». Risulta evidente che non si tratta di un affidamento vero e proprio, per il semplice fatto che, data la distanza del nucleo affidatario rispetto all’abitazione di quello di origine, sono resi praticamente impossibili in tutti i casi i rapporti del minore con i suoi congiunti. Si pensi, ad esempio, ai bambini dell’Ucraina o a quelli colpiti dal maremoto del dicembre 2004.

In sostanza, si tratta di una iniziativa tendente a precostituire adozioni, scavalcando – fatto gravissimo – la dichiarazione di adottabilità. Con questa procedura, in concreto, si dà il via libera alla sottrazione dei minori stranieri dai loro nuclei in difficoltà. Significativa è, al riguardo la norma prevista dal 5° comma dell’articolo 15 del disegno di legge in oggetto in base al quale «il periodo di affidamento non può superare la durata di due anni ed è comunque prorogabile dal giudice tutelare, qualora la sospensione dell’affidamento impedisca al minore il completamento del ciclo scolastico in cui viene inserito».

 

Conclusioni

Non ci deve essere alcuna fretta ma, ovviamente, nessuna lungaggine burocratica per un accertamento serio delle disponibilità ad adottare i minori, siano essi italiani o stranieri. Tutto, veramente tutto il possibile deve essere fatto affinché i minori vengano accolti da coppie adottive idonee sotto il profilo personale, familiare e sociale.

Chiediamo, pertanto, che i Ministri Prestigiacomo, Fini, Pisanu e Castelli ritirino il disegno di legge n. 3373. Se ritengono valide le nostre considerazioni, potrebbero sostituirlo con una proposta rispondente alle norme della Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale, ratificata dal Parlamento italiano mediante la legge 476/1998, in cui è sancito che gli Stati devono «prevedere misure atte a garantire che le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali».

Inoltre, la nuova proposta dovrebbe riguardare sia i minori italiani che quelli stranieri, allo scopo di evitare discriminazioni di sorta anche per quel che riguarda, ad esempio, le condizioni per la concessione dell’idoneità all’adozione.

Tenuto conto che la richiesta di adozione di minori italiani e stranieri è di gran lunga superiore ai minori effettivamente adottabili, riteniamo che occorra al più presto introdurre criteri (in primo luogo la riduzione della differenza di età fra adottanti e adottandi) in modo da far diminuire il numero delle coppie che attualmente vengono illuse di poter adottare in Italia o all’estero. In questo modo si consentirebbe anche ai tribunali per i minorenni ed ai servizi sociali di svolgere i loro compiti con un maggiore approfondimento e si porrebbe termine alla illogica e costosa situazione per cui gli enti suddetti devono, per rispettare le assurde norme attualmente in
vigore, dedicare tempo prezioso alle coppie che sicuramente non potranno mai adottare a causa dell’effettiva mancanza, presente e futura, di minori adottabili.

Il tempo risparmiato potrebbe essere molto utilmente utilizzato per promuovere e sostenere le adozioni difficili e cioè quelle concernenti minori grandicelli o malati o colpiti da handicap.

 

 

 

 

(1) Cfr. Francesco Santanera, “L’adozione mite: come svalorizzare la vera adozione”, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004.

(2) Il Sen. Girfatti ha presentato al Senato in data 30 ottobre 2001 il disegno di legge n. 791 volto ad eliminare il termine del 31 dicembre 2006 posto dalla legge 149/2001 per la chiusura degli istituti di ricovero dei fanciulli, nonché a dare a queste strutture «la possibilità di continuare nell’opera educativa intrapresa». Cfr. “Inaccettabile il disegno di legge che vuole mantenere in vita gli istituti per i minori”, Ibidem, n. 139, 2002. A nostro avviso, a partire dal 1° gennaio 2007 dovrebbero essere ammesse solamente le comunità alloggio di 8-10 posti non accorpate fra loro per i bambini ed i ragazzi nei cui confronti non sono attuabili, a seconda delle situazioni, né gli interventi di sostegno al loro nucleo familiare di origine, né l’affidamento a scopo educativo, né l’adozione. Ricordiamo, inoltre, la proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati il 13 maggio 2004 (primo firmatario l’on. Marco Zacchera) in cui viene addirittura prevista l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del «diritto di adottare» da parte di tutte le famiglie, diritto assurdo non solo per motivi etici (è il bambino privo di assistenza morale e materiale da parte dei suoi genitori e dei suoi congiunti che ha diritto alla famiglia), ma anche per il fatto che non vi è né in Italia né all’estero un numero sufficiente di bambini adottabili. Cfr. “La singolare proposta di legge dell’on. Zacchera sull’adozione”, Ibidem, n. 149, 2005.

(3) Nel suddetto periodo le domande di adozione di minori stranieri sono state 54.701.

(4) Cfr. “Bloccate le adozioni internazionali in Romania. Una scelta ‘dalla parte dei bambini’?, Notiziario Anfaa, n. 2, 2004.

(5) Argomentazioni analoghe a quelle sopra riportate sono state espresse su Prospettive assistenziali in occasione del dibattito parlamentare che aveva portato, purtroppo, all’approvazione della legge 149/2001. Si vedano al riguardo gli articoli: “Le vigenti norme sull’adozione sono molto valide, ma il Parlamento vuole cambiarle” e “L’adozione di minori italiani e stranieri: le concezioni sulla filiazione, sulla maternità e sulla paternità e le preoccupanti iniziative del Parlamento”, n. 123, 1998; “Le inquietanti proposte del Senato sull’adozione e sull’affido” e “ Testo unificato proposto al Senato per la riforma dell’adozione e dell’affido”, n. 126, 1999; “Perché in materia di adozione abbiamo difeso e difendiamo l’interesse preminente dei minori senza famiglia”, n. 127, 1999; “Le domande di adozione sono troppo numerose. I Ministri Fassino e Turco: aumentiamole”, n. 130, 2000; “La controriforma dell’adozione proposta dalla Commissione infanzia del Senato”, n. 131, 2000; Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, “Strumentalizzati dal Senato i bambini senza famiglia: sono prevalse le pretese degli adulti”, n. 132, 2000; “La nuova legge sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti di diritti ai minori oggetto delle pretese egoistiche degli adulti” e «Testo aggiornato della legge 184/1983 “Diritto del minore ad una famiglia”», n. 133, 2001; Donata Micucci, “Altre considerazioni sulla nuova legge relativa all’adozione e all’affidamento familiare”, n. 134, 2001.

(6) Cfr. il documento “Osservazioni sulle proposte di modifica della legge 476/1998” predisposto in data 21 aprile 2005 da Pasquale Andria, presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia e del Tribunale per i minorenni di Potenza. Una posizione nettamente contraria al disegno di legge governativo è stata assunta anche da Franca Dente, presidente dell’Associazione nazionale assistenti sociali con lettera prot. 189/05 inviata al Ministro Prestigiacomo.

(7) La documentazione comprende la «relazione, sottoscritta da entrambi i coniugi, relativa alla propria condizione familiare, con particolare riferimento all’attività lavorativa e alle condizioni di accoglienza che intendono offrire al minore». In sostanza, si tratta di una vera e propria autocertificazione volta ad attestare l’idoneità della coppia all’adozione.

(8) I requisiti riguardano, fra l’altro, la durata del matrimonio e della convivenza e la capacità di educare, istruire e mantenere i minori.

(9) La questione della selezione/preparazione degli aspiranti adottanti è stata affrontata dall’Anfaa prima ancora dell’approvazione della legge 431/1967. Si vedano, ad esempio, gli atti del convegno “Infanzia senza focolare e nuovi orientamenti dell’adozione”, svoltosi a Torino il 7 giugno 1964, in cui sono contenute la relazione di Zaira Bianchi e Giuseppina Galli sul tema “Problemi e proposte del Servizio sociale nel settore delle adozioni” e quella di Rosa Talentino del Servizio sociale internazionale della Croce rossa italiana che, in particolare, ha illustrato lo “Schema e studio delle famiglie adottive”. Si veda, inoltre, l’articolo di Maria Attisani, Problemi psicologici e sociali dell’adozione, in La Rivista di Servizio sociale, n. 4, 1964. Di particolare rilievo la pubblicazione sui numeri 7 e 8, 1967 della rivista Maternità e infanzia della traduzione, curata dall’Anfaa, dello studio apparso su Informations sociales, n. 11 del 1958, elaborato da Michel Soulè e da Janine Noel con la collaborazione di Françoise Bouchard. All’epoca, Michel Soulè era responsabile del centro di orientamento medico-psicologico dell’Aiuto sociale all’infanzia del Dipartimento della Senna. Il lavoro suddetto, insieme con la presentazione di Patrizia Taccani, era stato raccolto nel fascicolo “La selezione dei genitori adottivi”, stampato in duemila copie e inviato a tutti i servizi che si occupavano di adozione, nonché ai Tribunali per i minorenni e alle relative Procure.

(10) Le vigenti norme (comma 4 e 5 dell’articolo 29 bis della legge 184/1983), che il disegno di legge governativo intende modificare, stabiliscono quanto segue:

«4. I servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli o associati, anche avvalendosi per quanto di competenza delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, svolgono le seguenti attività:

a) informazione sull’adozione internazionale e sulle relative procedure, sugli enti autorizzati e sulle altre forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà, anche in collaborazione con gli enti autorizzati di cui all’articolo 39-ter;

b) preparazione degli aspiranti all’adozione, anche in collaborazione con i predetti enti;

c) acquisizione di elementi sulla situazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sul loro ambiente sociale, sulle motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazionale, sulle loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di accogliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del Tribunale per i minorenni della loro idoneità all’adozione.

«5. I servizi trasmettono al Tribunale per i minorenni, in esito all’attività svolta, una relazione completa di tutti gli elementi indicati al comma 4, entro i quattro mesi successivi alla trasmissione della dichiarazione di disponibilità».

(11) Si veda, ad esempio, il decreto del Tribunale per i minorenni de L’Aquila del 24 agosto 2004 in cui, tenuto conto che «il rapporto tra i genitori d’affetto ed una sedicenne colombiana ritualmente adottata, cinque anni prima, da una coppia di cittadini italiani sia irreversibilmente naufragato (…) e non sussista né un motivo di annullamento dell’adozione, né la possibilità di ricorrere alla sua revoca, va confermato senza alcun indugio, stante l’assoluta e certa improseguibilità della convivenza, il ricovero immediato della minore, a spese dei suoi genitori, in un istituto (…)».

(12) Cfr. “Il suicidio/testamento di Antony”, Prospettive assistenziali, n. 140, 2002.

(13) Cfr. in questo numero l’articolo di Emilia De Rienzo, “L’adozione nei regni animale e vegetale”.

(14) Cfr. Maria Teresa Pedrocco Biancardi, “L’ombra lunga del pregiudizio sull’accoglienza familiare”, Prospettive assistenziali, n. 134, 2001

(15) Cfr. Gabriella Cappellaro, “Considerazioni sui fallimenti adottivi”, Ibidem, n. 148, 2004, nonché il volume di Jolanda Galli e Francesco Viero, Fallimenti adottivi, Armando Editore.

(16) Cfr. “Sentenza di condanna per maltrattamenti in famiglia”, Ibidem, n. 63, 1963.

(17) Occorre tener conto anche del reale pericolo che, in sede di discussione parlamentare l’adozione in casi particolari venga estesa al comma d) dello stesso articolo 44 in cui è prevista che essa possa essere disposta «quando vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo», norma che, purtroppo, viene considerata applicabile da alcuni tribunali per i minorenni anche per i fanciulli nei cui confronti non è stata pronunciata la preventiva dichiarazione di adottabilità.

 

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