Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005

 

 

PREOCCUPANTI LE AFFERMAZIONI DELL’ON. FRANCESCA MARTINI IN MERITO ALLE ASSOCIAZIONI DI TUTELA DELLE PERSONE CON HANDICAP

 

 

Riportiamo la lettera inviata in data 23 marzo 2005 dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, all’On. Francesca Martini del Gruppo parlamentare Lega Nord-Federazione padana, relatore della proposta di legge n. 5121 (Camera dei deputati) avente per oggetto “Disposizioni sulle associazioni di tutela delle persone disabili” (1). Il disegno di legge ha lo scopo di attribuire all’Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), all’Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro), all’Ens (Ente nazionale sordomuti), all’Uic (unione nazionale ciechi) e all’Unms (Unione nazionale mutilati per servizio), oltre agli attuali rilevanti contributi economici statali e regionali, l’esercizio (molto vantaggioso sotto gli aspetti egemonici e finanziari) delle funzioni di istituti di patronato e di assistenza sociale, nonché di rappresentanza di tutte le persone con handicap, compresi addirittura i soggetti che non ne condividono le finalità associative e le iniziative.

 

testo della lettera del csa

In merito alle affermazioni da Lei fatte alla Commissione “Affari sociali” della Camera dei Deputati quale relatore del provvedimento 5121 recante disposizioni sulle associazioni di tutela delle persone con handicap, questo Coordinamento, che funziona ininterrottamente dal 1970, osserva quanto segue:

1. non è assolutamente vero che le associazioni storiche dei disabili hanno, come Lei ha sostenuto nella seduta del 5 ottobre 2004 «perseguito l’obiettivo di conseguire l’attuazione di un modello di sviluppo compatibile con la dimensione umana nel quale fosse possibile coniugare mercato e Stato sociale, efficienza economica e giustizia sociale» e che è «doveroso riconoscere loro il merito di aver aperto la strada al superamento dei pregiudizi culturali sull’handicap operando al fine di garantire nel futuro sviluppo normativo a livello nazionale e a livello europeo diritti fondamentali quali pari opportunità, inclusione sociale, sviluppo compatibile, lotta alla discriminazione».

È, invece, vero che, contrapponendosi agli orientamenti volti al riconoscimento del diritto al pieno inserimento sociale dei soggetti con handicap, la Commissione permanente composta dall’Opera nazionale invalidi di guerra, dall’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, dall’Associazione nazionale vittime civili di guerra, dall’Associazione mutilati e invalidi del lavoro, dall’Unione nazionale mutilati per servizio, dalla libera Associazione mutilati e invalidi civili (quest’ultima strettamente legata all’Anmic - Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) aveva avanzato proposte dirette all’esclusione sociale dei soggetti con handicap. Infatti, come risulta dall’articolo “Criterio unitario nell’assistenza” pubblicato su I diritti dell’invalido civile, ottobre 1970, dopo aver premesso che «la generalità dei cittadini invalidi costituisce nel suo complesso un insieme nettamente distinto del popolo italiano», la suddetta Commissione aveva sostenuto la necessità di «una radicale e completa riforma di strutture nel settore degli invalidi che, prescindendo dalla causa invalidante, sia attuata differenziando chiaramente i cittadini portatori di invalidità permanenti dai cittadini sani o incidentalmente malati». Pertanto chiedeva «la delega dello Stato a un ente di diritto pubblico di ogni azione di pubblico intervento, e quindi dell’istruzione e l’addestramento professionale degli invalidi, del loro collocamento al lavoro, dell’assistenza sanitaria limitatamente agli esiti dell’invalidità permanente, di quella sociale, morale e giuridica e delle cura e di ogni altra provvidenza che possa essere a loro rivolta». Infine, la Commissione voleva che l’amministrazione di quest’ente di diritto pubblico fosse «espressione diretta ed esclusiva delle associazioni di categoria».

Ricordiamo, inoltre, la vicenda giudiziaria protrattasi dal 1965 al 1979 in cui era stato rinviato a giudizio e assolto il Presidente dell’Anmic con l’accusa di aver stipulato «con le associazioni tra gli industriali dell’Intersind e della Confindustria un accordo in base al quale, contro promessa di 550 milioni, si impegnava a fare in modo che da parte delle associazioni tra invalidi si aderisse ad interpretazioni più favorevoli ai datori di lavoro della legge sul collocamento obbligatorio al lavoro degli invalidi civili e, sostanzialmente perché il termine posto per l’entrata in vigore della legge venisse prorogato di ulteriori tre anni, impegnandosi allo scopo di non far pressione sugli uffici competenti per la copertura nelle aziende della percentuale obbligatoria di invalidi prima del decorso di tale termine» (cfr. gli articoli “Sentenza di rinvio a giudizio di dirigenti di associazioni di invalidi”, pubblicato sul n. 21, 1973 di Prospettive assistenziali e “La tutela degli invalidi e la logica dell’interesse” di M. R. Parlanti apparso su Vento Sociale, settembre 1995).

In base ai sopra esposti dati incontrovertibili, è estremamente preoccupante che l’On. Francesca Martini avanzi affermazioni che capovolgono la realtà dei fatti al fine di attribuire alle suddette
associazioni ancora altri poteri, soprattutto di natura economica, superiori a quelli attuali. A questo proposito non si può ignorare che dette associazioni ricevono attualmente dallo Stato ben 516.456,00 euro all’anno;

2. l’On. Francesca Martini nello stesso intervento effettuato alla Camera dei deputati il 5 ottobre 2004 si scaglia contro le organizzazioni che operano per la promozione sociale dei soggetti con handicap, senza tenere in alcuna considerazione il fatto che esse, fondate sul volontariato gratuito e senza ricevere per legge alcun contributo dallo Stato, sono sorte proprio per contrastare le iniziative emarginanti (v. il punto 1).

La relatrice, anzi, ne denigra gli scopi e le finalità asserendo, senza però confermare le sue dichiarazioni con alcun documento, che sarebbero «troppo spesso ben poco radicate sul territorio e di scarsa rappresentatività» e addirittura che avrebbero «in qualche modo generato una enorme confusione che ha contribuito ad alimentare notevoli problematiche nell’individuazione da parte delle istituzioni degli interlocutori con i quali mettere a punto gli interventi e le strategie da intraprendere e perseguire a livello nazionale»;

3. ci pare di poter affermare che l’On. Francesca Martini non sa (o non vuol sapere) che le istanze avanzate, a partire dagli anni ’70 dalle associazioni che hanno «generato una enorme confusione» erano e sono semplicemente quelle, facilmente comprensibili, di richiedere che le persone con handicap potessero utilizzare, come tutti i cittadini, i servizi fondamentali della sanità, dell’istruzione, della casa, dei trasporti e degli altri settori di interesse sociale. Inoltre, veniva richiesto che anche ai soggetti con handicap venissero fornite, occorrendo, le necessarie prestazioni socio-assistenziali.

Certamente questa elementare richiesta è di segno nettamente opposto a quella avanzata dalle associazioni lodate dall’On. Francesca Martini che pretendevano una organizzazione sociale partendo dall’assurdo e incivile assunto secondo cui, come abbiamo riferito in precedenza, «la generalità dei cittadini invalidi costituisse nel suo complesso un insieme nettamente distinto del popolo italiano»;

4. in verità, contrariamente a quanto ha affermato l’On. Francesca Martini, l’istituzione di associazioni di tutela dei soggetti con handicap non finalizzate alla creazione di centri di potere clientelare ed elettorale, è un dato estremamente positivo in quanto è la dimostrazione di una presa di coscienza da parte dei soggetti interessati e dei loro congiunti in merito alle esigenze e ai diritti da ottenere e a quelli da conquistare.

È, altresì, estremamente importante per noi sottolineare che la creazione di organizzazioni di interesse locale dimostra che vengono sempre in misura maggiore assunte iniziative a diretto contatto con gli enti tenuti a fornire i servizi più richiesti (scuola, sanità, casa, trasporti, assistenza, ecc.);

5. ricordiamo all’On. Francesca Martini che la presenza di tecnici, delegati dalle associazioni storiche dei soggetti con handicap, nelle commissioni preposte all’accertamento dell’invalidità non ha certo evitato il proliferare dei falsi invalidi. A questo proposito riportiamo la prima parte della lettera inviata il 29 agosto 1994 dal Gruppo nazionale “Handicappati e società” ai Ministri Costa, Guidi, Maroni e Mastella in cui veniva segnalato quanto segue: «In merito alla questione sollevata in questi giorni sugli abusi relativi alle pensioni di invalidità e alla piaga dei cosiddetti “falsi invalidi” tutti hanno scordato che vi sono organizzazioni che hanno favorito (e favoriscono) questa grave forma di truffa nei confronti dello Stato e dei veri handicappati»;

6. nella relazione dell’On. Francesca Martini non si fa cenno alcuno all’abuso che dura da quasi trent’anni, e cioè dall’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977, praticato dalle Asl che trasmettono alle Associazioni di invalidi (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, Ente nazionale sordomuti, Unione italiana ciechi, ecc.) i nominativi delle persone che si rivolgono alle Commissioni preposte per l’accertamento dell’invalidità. L’illegalità, che riguarda anche la violazione delle norme sulla riservatezza dei dati personali, viene spesso utilizzata per ottenere adesioni e relative quote associative.

 

 

(1) Le lettera riportata riprende in parte le considerazioni svolte nell’articolo “Una iniziativa parlamentare antidemocratica e clientelare a favore di cinque associazioni di tutela degli handicappati”, apparso sul n. 147, 2004 di Prospettive assistenziali.

 

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