Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005

 

 

Interrogativi

 

 

PER QUALI MOTIVI “TRENTA ORE PER LA VITA” FINANZIA L’ASSISTENZA DOMICILIARE SVOLTA DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO?

 

Come risulta dalla pagina pubblicitaria pubblicata su Vita del 18 giugno 2005, l’edizione dell’evento televisivo “Trenta ore per la vita”, svoltasi tra il 9 e il 16 febbraio 2004, è stata rivolta alla raccolta di fondi per la realizzazione di un progetto proposto dalla Comunità di Sant’Egidio, che ha ottenuto un finanziamento di 3 milioni 939 mila euro per l’assistenza domiciliare a favore degli anziani in gravi difficoltà di 16 città italiane, per la creazione di un centro di monitoraggio permanente delle situazioni che possono condurre gli ultrasessantacinquenni all’isolamento sociale, per la pubblicazione e diffusione della guida “Come rimanere a casa propria da anziani”, per il sostegno economico ai vecchi non in grado di sostenere i costi dei farmaci di fascia C, per l’acquisto di pulmini per il trasporto degli anziani colpiti da handicap e per l’abbattimento delle barriere architettoniche presenti nelle abitazioni dei vecchi disabili abitanti a Novara e Siena.

Ancora una volta si pone l’interrogativo: è corretta la raccolta benefica di fondi per il finanziamento di attività che i Comuni singoli e associati dovrebbero aver istituito da anni? È giusto chiedere denaro ai cittadini senza informarli che vi sono ancora Comuni che non assicurano ai loro cittadini, in particolare agli anziani, il minimo vitale economico indispensabile per vivere, che non provvedono alla rimozione delle barriere architettoniche presenti nelle loro abitazioni, che non forniscono le prestazioni alternative al loro ricovero in istituto?

Ricordiamo che i primi interventi volti a promuovere la permanenza degli anziani a casa loro risalgono agli anni ’70. Per quanto riguarda la città di Torino, la delibera programmatica in materia concernente gli aiuti economici, l’assistenza domiciliare, l’inserimento presso famiglie e persone, ecc. è stata assunta dal Consiglio comunale in data 14 settembre 1976; il servizio di trasporto a mezzo taxi dei soggetti (giovani, adulti e anziani) colpiti da handicap è stato istituito con deliberazione del 29 maggio 1979, mentre con il provvedimento del 23 novembre 1982 il Consiglio comunale di Torino ha approvato i criteri per l’esecuzione dei lavori di abbattimento delle barriere architettoniche nelle abitazioni comunali e per la concessione di contributi economici nei casi di alloggi di proprietà privata.

Inoltre, con la delibera assunta il 21 dicembre 1982, il Consiglio comunale di Torino ha approvato una integrazione al regolamento edilizio avente per oggetto “Nuove norme per l’accessibilità e la fruibilità delle costruzioni da parte delle persone fisicamente impedite”. Aggiungiamo che dal 1982 in Pie­monte vengono assegnati alloggi di nuova costruzione e appartamenti che si rendono liberi alle persone con difficoltà motorie (giovani, adulti, anziani).

Inoltre va ricordato che la legge 13/1983 ha istituito un fondo speciale per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati, le cui risorse sono ripartite tra le Regioni e da esse assegnate ai Comuni, affinché eroghino i contributi con priorità ai soggetti riconosciuti invalidi totali e con difficoltà di deambulazione. I suddetti finanziamenti sono a fondo perduto e devono essere utilizzati per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli alloggi e negli accessi condominiali. Il Fondo istituito dalla legge 13/1989 è integrato da alcune Regioni con mezzi propri. Ricordiamo, altresì, che dal 1985 funziona ininterrottamente il servizio (gratuito) di ospedalizzazione a domicilio, gestito dall’Azienda ospedaliera San Giovanni Battista della Città di Torino, che finora ha curato oltre 9mila pazienti in larga maggioranza anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

Per quanto riguarda la guida della Comunità di Sant’Egidio “Come rimanere a casa da anziano”, anch’essa oggetto di finanziamento da parte dell’organizzazione “Trenta ore per la vita”, rinnoviamo la richiesta, già avanzata dalla nostra rivista nel numero 147, 2004, del ritiro del volume in quanto:

- nulla viene detto sul diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie e socio-sanitarie senza limiti di durata;

- non sono fornite informazioni corrette sulla questione dei contributi economici posti illegalmente a carico dei congiunti degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti;

- viene erroneamente affermato che per la presentazione dell’istanza di interdizione «occorre rivolgersi al Tribunale (…) con l’assistenza obbligatoria di un legale»;

- sono inesatte le notizie concernenti le successioni e donazioni, nonché quelle relative alle iniziative consentite alle persone interdette.

Non comprendiamo quindi per quali motivi “Trenta ore per la vita” finanzi servizi che i Comuni dovevano mettere in atto da molti anni. Non c’è il rischio di premiare gli enti inadempienti?

Occorre, altresì, tener presente che mediante le prestazioni domiciliari i Comuni conseguono rilevanti risparmi rispetto al pagamento delle spese di ricovero, oneri che sono obbligatori per gli enti locali per l’assistenza dei soggetti in gravi condizioni di disagio: minori, adulti, soggetti con handicap e anziani.

 

 

PERCHÈ UN RITARDO DI CINQUE ANNI PER IL BANDO DELLE PROTESI ORTOPEDICHE DIFETTOSE?

 

Nelle pagine de La Stampa del 17 marzo 2005 viene riportata l’ennesima declinazione di malasanità. Leggiamo infatti che «migliaia di protesi ortopediche sono state bandite dal Ministero della salute» perché «rese difettose da un processo di sterilizzazione che anziché “pulirle” le indeboliva».

La scoperta è stata fatta dagli ortopedici dell’ospedale Cto di Torino (che già dal 1991 avevano riscontrato che molte protesi da loro impiantate avevano una durata inferiore alle previsioni) e confermata nei laboratori della Facoltà di chimica dell’Università della stessa città. Tale scoperta aveva prodotto negli anni almeno tre pubblicazioni su riviste del settore. Nonostante ciò, le protesi a rischio hanno continuato ad essere utilizzate. Solo recentemente il Ministro della salute in una circolare raccomanda «di non utilizzare protesi sterilizzate a raggi gamma in presenza di ossigeno».

Com’è possibile che non si sia intervenuto per tempo? Non ci sono responsabilità da accertare o il ritardo riscontrato rientra negli standard tollerabili per ciò che attiene le cose italiane?

Leggiamo su La Stampa che il Ministero «non ritiene necessario un monitoraggio» dei pazienti con le suddette protesi impiantate, invitando però gli ospedali a tenere alta la guardia. Ciò nonostante che numerosi pazienti siano già stati costretti a farsi rioperare per la sostituzione di tali protesi difettose. Si tratta di ottimismo? O piuttosto di un ottimismo di comodo per non spendere in onerosi controlli?

 

 

«SCIENZIATI CORROTTI DALLE MULTINAZIONALI DEL FUMO»?

 

È questa l’accusa avanzata da uno studio uscito nel mese di gennaio sulla prestigiosa rivista medica Lancet e rilanciata nel titolo de La Stampa del 15 gennaio 2005 (che però non usa punti interrogativi). Lo abbiamo preso in prestito per palesare anche i nostri timori che si sostanziano in fatti e dati via via che si legge l’articolo in questione. Nello studio si accusano le multinazionali del tabacco di aver tentato di screditare le ricerche che hanno stabilito un nesso causale tra il benzopirene presente nel fumo delle sigarette e le mutazioni del gene p53, mutazioni che in un’altissima percentuale sono presenti nei tumori umani.

Come scritto da La Stampa riprendendo dall’articolo di Lancet: «l’industria ha appoggiato “fino al 2001” alcuni studi che mettevano in dubbio queste conclusioni clamorose. Due di essi in particolare “sono stati intrapresi da scienziati legati ad aziende produttrici di tabacco e pubblicati su una rivista scientifica il cui direttore aveva rapporti non dichiarati con l’industria del tabacco”».

L’allarme è condiviso da eminenti scienziati del settore medico, tra cui il professor Glantz, della University of California di San Francisco, che mette in guardia sui possibili conflitti d’interesse: «Le università e gli altri ricercatori biomedici dovrebbero smetterla di prendere soldi dall’industria del tabacco per minimizzare».

Che garanzie abbiamo noi consumatori che fatti simili non si replichino anche in Italia? E, visto il precedente delle multinazionali del tabacco, siamo tutelati sufficientemente nella nostra salute?

Il nostro pensiero, in primo luogo, si rivolge agli organismi geneticamente modificati.

 

www.fondazionepromozionesociale.it