Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005

 

 

PER UNA EFFETTIVA PROTEZIONE DEI MINORI: PROPOSTE DI MODIFICA DEL CODICE PENALE E CREAZIONE DEGLI UFFICI PROVINCIALI DI PUBBLICA TUTELA

 

 

Alfredo Carlo Moro, già Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma e dell’Associazione giudici minorili, nell’articolo “Tutela di minori, strumenti legislativi e possibilità di intervento”, pubblicato sul n. 228, novembre-dicembre 2004 della rivista La Famiglia, dopo rilevato che «malgrado l’impegno profuso negli ultimi anni ad incrementare una tutela del minore, in Italia le violenze sui minori non sono diminuite», osserva che «il nostro codice penale – che rimonta al 1942 e quindi è ancora segnato dal clima di un’epoca in cui il bambino era considerato solo “speranza d’uomo”, più che persona e solo “figlio di famiglia” più che cittadino con una sua sia pur limitata autonomia – non appare nel suo insieme armonico e soddisfacente. Esso sembra infatti – prosegue l’analisi di Alfredo Carlo Moro – più preoccupato di tutelare l’integrità fisica e il patrimonio del minore che di garantirne la compiutezza del suo sviluppo umano anche sul piano psicologico; più attento alla tutela esterna dell’immagine della famiglia che impegnato a garantire in essa rapporti interpersonali soddisfacenti».

A conferma di quanto sopra, l’Autore rileva quanto segue: «Il reato di abbandono di minore sussiste solo se con esso si pone in pericolo l’incolumità fisica del ragazzo, non prendendo in alcuna considerazione le conseguenze psichiche di un abbandono; il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare è letto principalmente come la violazione dell’obbligo di somministrare mezzi economici; il reato di abuso dei mezzi di correzione è punibile solo se ne deriva una malattia accertabile clinicamente, non se si devasta l’itinerario formativo del ragazzo; il reato di circonvenzione di incapace sussiste se qualcuno – abusando delle passioni, dei bisogni o dell’inesperienza di una persona minore – la induce a compiere atti giuridici per lui/lei matrimonialmente dannosi, ma non esiste un analogo reato per chi, usando gli stessi strumenti, induce a scelte di vita gravemente pregiudizievoli per il ragazzo/a; il reato di incesto è ancora punibile solo se ne derivi pubblico scandalo come se una così grave distorsione delle relazioni familiari potrebbe essere accettabile se rimanesse nel chiuso delle pareti domestiche e non turbasse i benpensanti».

Evidenziata l’urgenza di «una riscrittura delle norme penali a tutela della personalità minorile», Alfredo Carlo Moro segnala, altresì, la necessità di rivedere le norme penali in quanto «non convince la disposizione che consente di procedere di ufficio, e non su querela, soltanto per i reati sessuali commessi nei confronti degli infradecenni: la non infrequente corrività genitoriale in questi reati, e la impossibilità di proporre direttamente querela per il minore infraquattordicenne, rischia di lasciare senza alcuna tutela una fascia di età – tra i dieci e i quattordici anni – fortemente a rischio; è assai opportuno che sia stata estesa la tutela del minore da abusi sessuali commessi in famiglia anche nei confronti del partner del genitore affidatario: sembrerebbe però opportuno prevedere una analoga tutela anche nei confronti di parenti, pur se non conviventi, dato che non sono infrequenti gli abusi commessi da chi, pur non essendo convivente, utilizza relazioni parafamiliari; non convince la previsione del reato di corruzione di minorenni solo nel caso in cui si sia fatto assistere il minore al compimento di atti sessuali: la corruzione può avvenire anche inducendo il minore a commettere in proprio atti sessuali o somministrandogli materiale pornografico a scopo corruttivo: non è solo la visione di atti sessuali che può avere effetti devastanti per il regolare processo di sviluppo; sarebbe opportuna la previsione del reato di molestie sessuali per frenare comportamenti per esempio esibizionistici diffusi specie nei confronti di minori: il generico reato di atti osceni può non coprire tutte le ipotesi possibili (è in particolare sussistente solo se compiuto in luogo pubblico, o aperto o esposto al pubblico) e comunque prevede una pena edittale che non consente alla polizia giudiziaria di procedere all’arresto mentre ciò sarebbe opportuno nei confronti degli esibizionisti davanti alle scuole».

Inoltre, afferma che «sarebbe assai utile la previsione della misura interdittiva dell’inibizione a svolgere attività con i giovani di chi abbia posto in essere abusi sessuali: è assurdo che professori, maestri, educatori di comunità, sacerdoti condannati per delitti di violenza sessuale nei confronti di minori possano continuare o riprendere attività che li pongano in relazione diretta con soggetti deboli e potenzialmente vittime di nuovi abusi».

Molto opportunamente l’Autore mette in rilievo che «il giudice minorile non è abilitato ad intervenire nei confronti di istituzioni che pure possono porre in essere, attraverso i propri operatori, comportamenti gravemente abusanti nei confronti di minori (si pensi all’istituzione scolastica, sanitaria, assistenziale, ai mezzi di comunicazione di massa e così via). La impossibilità per il giudice di porre obblighi di fare alla pubblica amministrazione rende di fatto assai debole la tutela del minore abusato o maltrattato in istituzioni pubbliche anche perché non è prevista alcuna altra autorità in grado di imporre per esempio – a garanzia non solo della vittima attuale ma anche di tutte le altre potenziali vittime future – il trasferimento di un maestro o di un educatore di comunità abusante».

Infine, Alfredo Carlo Moro propone l’istituzione del Difensore civico per i minori con il compito di «intervenire tempestivamente in settori in cui oggi manca o è puramente formale una tutela dei mi­nori».

L’Autore constata «con grande rammarico che nel dibattito parlamentare aperto su questo tema va prendendo corpo una figura di difensore nazionale dell’infanzia del tutto inadeguata e per molti versi inutile se non addirittura dannosa».

Difatti, si va delineando «un organo da una parte confusivo, perché duplica funzioni già affidate ad altri organi già esistenti (…), e dall’altro inefficace, perché è francamente impensabile che un organo nazionale possa effettivamente vigilare sulle duemila strutture di ricovero di minori che esistono dalle Alpi alla Sicilia ed è assolutamente velleitario pensare che un organo centralizzato possa intervenire in rappresentanza del soggetto in età evolutiva nelle migliaia di procedimenti civili che concernono i minori (…). Oltretutto gli vengono attribuite una infinità di funzioni senza avere le strutture per adempierle: è veramente singolare – precisa Moro – che si preveda che quest’organo sia indipendente dal potere politico nella nomina ma poi debba avvalersi sul territorio delle antiche prefetture e delle autorità di polizia ovviamente alle dirette dipendenze del Governo».

 

Gli uffici provinciali di pubblica tutela

Fermo restando la nostra piena adesione alle proposte di Alfredo Carlo Moro rivolte all’adeguamento delle leggi penali alle esigenze di tutela dei minori, in alternativa al difensore civico, continuiamo a ritenere valida la costituzione degli uffici provinciali di pubblica tutela.

La nostra richiesta di istituzione di detti uffici tiene conto della necessità di difendere i diritti non solo dei minori in difficoltà, ma anche degli adulti e degli anziani incapaci di provvedervi autonomamente.

D’altra parte occorre che detta protezione non subisca interruzioni al raggiungimento della maggiore età, nei frequenti casi in cui il soggetto, ad esempio perché colpito da handicap intellettivo, deve continuare ad essere tutelato dopo il 18° anno di età.

Infatti, qualora detta funzione venisse esercitata da un difensore civico per i minori, come richiesto da Alfredo Carlo Moro, le sue funzioni cesserebbero inevitabilmente al compimento del diciottesimo anno di età dei soggetti posti sotto la sua giurisdizione.

Come è già evidenziato (1), a detti uffici dovrebbero essere attribuiti i seguenti compiti:

a) esercizio delle funzioni di tutore, curatore, amministratore di sostegno, amministratore provvisorio assegnate dall’autorità giudiziaria;

b) prestazioni della consulenza sulle funzioni di cui alla precedente lettera a) alle persone ed alle organizzazioni che ne facciano richiesta;

c) promozione del volontariato singolo od or­ganizzato al fine di incentivare la personalizza-zione delle funzioni di cui alla precedente lettera a) (2).

Con la creazione degli uffici provinciali di pubblica tutela, potrebbe essere posto termine all’attuale situazione giustamente definita da Alfredo Carlo Moro «burocratizzazione della funzione tutelare” essendo tutt’altro che infrequente la nomina, come tutore di molti bambini allontanati dalla propria famiglia, del Sindaco del Comune. Ciò da una parte rende di fatto impossibile una tutela personalizzata (il Sindaco, che può essere nominato tutore di centinaia di ragazzi, non ne può seguire in realtà alcuno) e dall’altra vanifica una esigenza di tutela di soggetti particolarmente a rischio, attribuendo allo stesso la figura di controllore e di controllato (il Sindaco è contemporaneamente erogatore di assistenza, ma anche rappresentante di chi usufruendo di essa può vedere conculcati i suoi fondamentali interessi)».

In merito alle nostre proposte, ricordiamo che l’articolo 5 della legge della Regione Piemonte n. 1/2004, mentre sottrae alle Province la gestione delle residue competenze assistenziali concernenti i minori, le gestanti e neonati, i ciechi ed i sordi, attribuisce alle stesse la «istituzione, con le modalità e secondo i criteri stabiliti dalla Giunta regionale, informata la competente commissione consiliare, dell’ufficio provinciale di pubblica tutela, con compiti di supporto a favore dei soggetti ai quali è conferito dall’autorità giudiziaria l’esercizio delle funzioni al tutore» (3).

 

 

(1) Cfr. “Proposta di legge n. 3801 (On. Novelli - Camera dei deputati) per l’istituzione degli uffici di pubblica tutela e il trasferimento delle funzioni assistenziali dalle Province ai Comuni”, Prospettive assistenziali, n. 120, 1997.

(2) Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali. Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria.

(3) Cfr. Giuseppe D’Angelo, “La nuova legge regionale piemontese sull’assistenza”, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004.

 

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