Prospettive assistenziali, n. 148, ottobre - dicembre 2004

 

 

ASSEGNI DI CURA PER ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: DUE DELIBERE CONTRASTANTI PER I MEDESIMI UTENTI

 

Un’altra grave conseguenza dell’integrazione socio-sanitaria, tanto decantata dalle istituzioni e spesso deleteria per gli utenti ed i loro congiunti (1): l’Asl 6 del Piemonte e il Consorzio dei servizi socio-assistenziali di Ciriè (Torino) che operano nello stesso ambito territoriale, hanno assunto due delibere non solo diverse ma anche contrastanti.

 

L’assegno di cura deliberato dall’Asl 6

Con deliberazione del 1° ottobre 2003 il Direttore generale dell’Asl 6 (Ciriè) ha approvato il regolamento per l’erogazione sperimentale degli assegni di cura agli anziani malati cronici non autosuffi-
cienti.

La base fondamentale del provvedimento è costituita dal riconoscimento che «la vigente normativa prevede la possibilità di erogare interventi di sostegno anche economico ai nuclei familiari e/o parentali che si fanno carico del mantenimento del congiunto anziano non autosufficiente nel proprio domicilio, nell’ambito di interventi specifici, che consentano di evitare l’istituzionalizzazione».

Si tratta della conferma della possibilità per le Asl di erogare prestazioni economiche, facoltà confermata anche dalla sentenza del Pretore di Torino del 1° marzo 1993 che aveva imposto all’Ussl 4 del Piemonte di continuare a versare alla signora V. P., malata psichiatrica, un sussidio terapeutico alternativo al ricovero. L’erogazione del contributo era stata sospesa dalla suddetta Ussl con il pretesto che le prestazioni economiche di sostegno potevano essere erogate solamente dai Comuni, nell’ambito delle attività socio-assistenziali (2).

 

Destinatari

Gli assegni di cura dell’Asl 6 sono rivolti (art. 2) «alle famiglie che si fanno carico di assistere un congiunto anziano non autosufficiente, di norma ultrasessantacinquenne ed avente diritto al ricovero in struttura e che si rendano disponibili ad utilizzare l’assegno di cura per remunerare prestazioni di assistenza domiciliari fornite dai  familiari, in via diretta o tramite terzi».

è molto importante rilevare che l’erogazione degli assegni di cura comporta di fatto il riconoscimento del ruolo volontaristico delle prestazioni fornite dai congiunti ai loro familiari colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza; conferma, quindi, l’obbligo del Servizio sanitario nazionale di assicurare i necessari interventi anche ai malati inguaribili.

Considerati i sopra menzionati aspetti positivi, va precisato che è del tutto inadeguato l’ammontare dell’assegno di cura.

Infatti l’art. 3 del regolamento in oggetto stabilisce che l’importo (circa 225-300 euro al mese) è «pari al 25% della quota sanitaria a carico dell’Asl per l’inserimento nelle strutture Raf o Rsa» e cioè per le residenze assistenziali flessibili (3) e per le residenze sanitarie assistenziali.

Ne deriva che, mediante l’erogazione dell’assegno di cura, l’Asl trae un rilevante vantaggio economico,  in quanto risparmia il 75% della quota che è tenuta a versare nel caso di ricovero.

A nostro avviso, l’ammontare dell’assegno di cura dovrebbe essere pari alla quota sanitaria corrisposta dalle Asl per il ricovero presso le Rsa, dedotte le eventuali somme a carico dell’Asl per gli interventi domiciliari fornite da medici e infermieri.

Altro aspetto positivo della deliberazione dell’Asl 6 riguarda la totale assenza di limiti di reddito per la concessione dell’assegno di cura. È questa la diretta conseguenza della gratuità delle prestazioni sanitarie, una conquista estremamente valida che non dovrebbe essere messa in discussione al fine di poter garantire cure idonee a tutta la popolazione, in primo luogo ai soggetti deboli (4).

È, invece, estremamente negativa la norma in base alla quale l’assegno di cura non viene concesso al momento dell’insorgere della malattia invalidante e della non autosufficienza, ma solamente quando gli utenti in lista d’attesa per l’accesso alle Rsa/Raf hanno «maturato il diritto all’inserimento presso dette strutture» e cioè dopo anche 18-24 mesi. Durante questo lungo periodo, nei casi di impossibilità da parte dei congiunti di fornire le cure a domicilio, gli anziani malati cronici ed i loro congiunti sono costretti a versare, per il ricovero presso le suddette strutture, da 70 a 110 euro al giorno e cioè complessivamente 35-70 mila euro.

In sostanza, l’Asl ha un enorme vantaggio economico ad allungare le liste di attesa: una situazione immorale e incivile anche per quanto concerne l’erogazione dell’assegno di cura.

 

Un contributo economico molto discutibile

La delibera dell’Asl 6 prevede, altresì, il versamento di un contributo economico, anch’esso denominato assegno di cura «per l’inserimento, a spese dell’anziano, in una Raf o Rsa non convenzionata con l’Asl, soprattutto se l’anziano è già degente».

Nella delibera è, altresì, precisato che nei casi sopra indicati «l’erogazione dell’assegno di cura comporta la cancellazione dell’utente dalle liste di attesa per l’inserimento in struttura Raf o Rsa».

Anche questo contributo è versato solo quando gli utenti hanno maturato il diritto all’inserimento presso le Rsa/Raf e cioè dopo che l’anziano malato cronico ed i suoi congiunti hanno versato le cifre da capogiro in precedenza indicate (35-70 mila euro) per le spese di ricovero comprendenti sia la quota alberghiera che quella sanitaria.

Da notare che abbastanza sovente capita che, a causa della lontananza dei congiunti dalla residenza dell’anziano cronico non autosufficiente, l’Asl non accetti di versare la quota sanitaria alla Rsa/Raf in cui il vecchio malato cronico è ricoverato dai suoi congiunti in modo da potergli prestare il loro sostegno morale e materiale e, nello stesso tempo, controllare quotidianamente l’adeguatezza delle prestazioni fornite.

Si tratta di una situazione che la dice lunga sul rispetto dei legami familiari da parte delle Asl; anche la Regione Piemonte, a cui compete fornire le necessarie direttive, non fa nulla per favorire la vicinanza della sede del ricovero con quella dell’abitazione dei congiunti che si impegnano di seguirlo.

Infatti, la quota sanitaria viene versata dalle Asl solamente alle strutture scelte dalle stesse Asl, anche se la loro ubicazione è difficilmente raggiungibile dai familiari.

 

La diversa posizione del Cis sugli assegni di cura

 

Successivamente al citato provvedimento del Direttore generale dell’Asl 6, assunta – come abbiamo visto – in data 1° ottobre 2003, il Consorzio intercomunale dei servizi socio-assistenziali con sede in Ciriè (che raggruppa 18 Comuni del territorio di competenza dell’Asl) ha deliberato in data 30 ottobre 2003 criteri molto diversi in merito all’assegno di cura.

Infatti, il contributo non è erogato esclusivamente previo accertamento delle condizioni di malattia e di non autosufficienza dell’anziano curato a domicilio, ma viene, altresì, presa in considerazione la sua situazione economica, che viene calcolata secondo le norme concernenti l’Isee, Indicatore della situazione economica equivalente (redditometro) e cioè sulla base dei redditi e dei beni mobili e immobili dell’anziano, con la sola avvertenza che non si tiene conto del valore della casa di abitazione se inferiore a 51.650 euro (100 milioni delle vecchie lire).

Il valore dell’Isee determinato dall’Inps, viene integrato, come prevede il provvedimento del Consorzio, in base all’importo della pensione di invalidità civile e, nella misura del 50%, dell’indennità di accompagnamento.

Per la determinazione dell’importo massimo versato dal Consorzio, si procede come previsto dalla seguente tabella:

 

            Valore Isee (integrato)                       Importo massimo

                                                                      dell’assegno di cura

 

fino a euro 9.000                                  euro   400

da euro    9.001 a euro   10.000               »     375

 »    »     10.001 »    »     11.000              »     350

 »    »     11.001 »    »     12.000              »     325

 »    »     12.001 »    »     13.000              »     300

 »    »     13.001 »    »     14.000              »     275

 »    »     14.001 »    »     15.000              »     250

 »    »     15.001 »    »     16.000              »     225

 »    »     16.001 »    »     17.000              »     200

 »    »     17.001 »    »     18.000              »     175

 »    »     18.001 »    »     20.000              »     150

oltre euro 20.000                                    »     zero

 

Per l’erogazione, inoltre, è prevista una complessa scala di priorità. In ogni caso, l’ammontare dei contributi erogati è molto misero ed ha sostanzialmente lo scopo - analogo a quello dell’Asl 6 - di consentire consistenti risparmi al Consorzio.

 

Alcune nostre considerazioni

come osservavamo all’inizio, siamo di fronte ad un fatto molto grave, conseguenza diretta della cosiddetta integrazione socio-sanitaria che, ancora una volta, è caratterizzata dal conflitto fra Comuni (associati in questo caso) e Asl.

Visto che si tratta di persone malate, le competenze di intervento dovrebbero essere assegnate esclusivamente al Servizio sanitario nazionale. In casi predeterminati per tutto il territorio nazionale (livelli essenziali di assistenza) potrebbero essere previsti a livello nazionale ticket sanitari a carico dell’utenza, ad esempio per la degenza presso le Rsa/Raf.

In questo modo verrebbe tolta ogni incombenza ai Comuni che, per quanto riguarda le Rsa, svolgono solamente funzioni concernenti il pagamento della quota alberghiera, attività che qualsiasi persona in possesso della licenza della scuola media inferiore è in grado di svolgere. Inoltre, la caratteristica di detti compiti non è sociale, ma semplicemente ragionieristica.

Per quanto riguarda gli assegni di cura, essi dovrebbero essere erogati esclusivamente sulla base della presenza di una malattia invalidante e della non autosufficienza; non dovrebbero essere limitati in base alla situazione economica del malato e dei suoi congiunti (come avviene per tutte le prestazioni sanitarie, salvo ticket) e non dovrebbe avere nessun carattere speculativo a favore delle Asl.

Pertanto, l’importo dovrebbe essere definito assumendo come livello di riferimento quello medio relativo ai costi del ricovero per persone aventi analoghe patologie.

Le sostanziali differenze di impostazione dell’Asl 6 e del Consorzio confermano l’assurdità dell’affermazione, fatta da numerosi politici e da molti operatori, secondo cui non importa se la prestazione è di competenza della sanità o dell’assistenza. Infatti, come abbiamo visto, i criteri di accesso sono estremamente diversi per quanto concerne la presa in considerazione delle condizioni economiche.

Un’ultima osservazione: è assolutamente necessario e urgente che gli enti pubblici (la sanità per le persone malate, i Comuni per i soggetti da assistere) riconoscano tramite apposito provvedimento (come ha lodevolmente fatto il Consorzio di Collegno e Grugliasco, Cisap) il ruolo di fondamentale importanza del volontariato intrafamiliare (5).

 

 

 

 

(1) Cfr. “Le inaccettabili iniziative concernenti gli adulti non autosufficienti colpiti da patologie invalidanti e le disastrose conseguenze dell’integrazione socio-sanitaria: occorre ripartire dalle esigenze e dai diritti”, Prospettive assistenziali, n. 139, 2002 e “Un’altra conseguenza negativa dell’integrazione socio-sanitaria: due controparti per un centro diurno”, Ibidem, n. 144, 2003.

(2) La causa era stata promossa e sostenuta dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti: Cfr. l’articolo “Sussidi terapeutici per malati psichici: causa vinta contro l’Ussl Torino IV”, Ibidem, n. 102, 1993.

(3) Le Raf sono strutture residenziali per anziani cronici non autosufficienti aventi le stesse caratteristiche strutturali delle Rsa, ma con una minore intensità delle prestazioni sanitarie. In realtà i ricoverati presso le Raf sono in tutto e per tutto assimilabili ai degenti presso le Rsa. Da anni il Csa ha chiesto la riconversione delle Raf in Rsa in modo che vengano assicurate prestazioni idonee a tutti i ricoverati.

(4) A nostro avviso questo principio non esclude la possibilità della messa a carico del malato lungodegente della quota alberghiera nei limiti dei suoi redditi personali, così come viene praticato per i ticket.

(5) Cfr. Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Prospettive assistenziali, n. 144, 2003.

 

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