Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004

 

 

Specchio nero

 

 

CHIESTO IL RITIRO DELLA GUIDA DELLA COMUNITà DI SANT’EGIDIO “COME RIMANERE A CASA DA ANZIANO”

 

Riportiamo il testo della lettera inviata in data 15 aprile 2004 dal Csa all’Assessore all’assistenza della Regione Piemonte, al Sindaco di Novara, alla Comunità di S. Egidio, all’Associazione di solidarietà e assistenza popolare, nonché ai Presidenti del Comitato di gestione del fondo speciale per il volontariato e dei Centri piemontesi di servizio per il volontariato.

Questo Coordinamento, che funziona dal 1970 e che raggruppa 22 organizzazioni, protesta vivamente per le notizie gravemente fuorvianti contenute nella pubblicazione predisposta dal Centro di servizio per il volontariato della Provincia di Novara, dalla Comunità di S. Egidio e dall’Associazione di solidarietà e assistenza popolare “Come rimanere a casa propria da anziani”, edita con il patrocinio del Comune di Novara.

1. È estremamente preoccupante che nella guida non sia stata inserita nemmeno una parola sul diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie, comprese quelle praticate presso ospedali e case di cura private convenzionate, la cui prima norma di legge (n. 692 del 1955) risale addirittura a quasi mezzo secolo fa e che è stata confermata dalle leggi 132/1968, 386/1974, 833/1978. In base alle suddette disposizioni, fino al 31 dicembre 2002 (per il Piemonte fino al 31 dicembre 2003) le cure dovevano essere fornite non solo senza limiti di durata, ma anche gratuitamente.

A seguito della legge 289/2002, le Aso e le Asl possono trasferire (anche se da alcuni la norma è contestata) dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale alle Rsa/Raf gli anziani colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza. In ogni caso detto trasferimento deve aver luogo a cura e spese della sanità, senza creare alcuna interruzione nella erogazione delle cure prestate. In questo senso si sono pronunciati anche i Comuni di Grugliasco e di Nichelino (Torino) nelle loro pubblicazioni recanti il titolo “Le cure sanitarie sono un diritto di tutti”.

Le dimissioni selvagge praticate dagli ospedali e da case di cura private, disposte cioè senza garantire la prosecuzione delle cure a casa del paziente o di un suo parente, costringono i congiunti, che non hanno alcun obbligo giuridico di sostituirsi alle prestazioni obbligatorie del Servizio sanitario nazionale, a ricercare una soluzione residenziale con l’esborso di 70-100 euro al giorno (quota sanitaria + quota ospedaliera) e cioè, per il periodo di 18-24 mesi, di ben 37-70 mila euro. Al riguardo, si ricorda che, come risulta dal documento “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” pubblicato nell’ottobre 2000 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica».

Questo Coordinamento, che si è sempre battuto e si batte affinché venga riconosciuto da una legge nazionale o almeno regionale il diritto esigibile alle cure domiciliari, ricorda di aver promosso insieme all’Istituto di geriatria dell’Università di Torino il servizio di ospedalizzazione a domicilio funzionante dal 1985 (i soggetti curati sono stati fino al 31 dicembre 2003 ben 7.578).

Ritiene però inaccettabile che, a causa della violazione delle leggi vigenti, i congiunti degli anziani malati cronici non autosufficienti siano costretti, oltre che a sacrificarsi sul piano personale, anche a sostenere spese, spesso rilevanti.

2. è, altresì, allarmante che nella pubblicazione in oggetto non siano state fornite notizie esatte e complete circa l’Isee. Infatti, non viene segnalato che, in base all’articolo 25 della legge 328/2000 ed ai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici:

a) dai parenti non conviventi con gli assistiti (art. 2 del testo unificato dei decreti legislativi sopra menzionati);

b) dai parenti, anche se conviventi, di ultrasessantacinquenni non autosufficienti e di assistiti con handicap in situazione di gravità (comma 2 ter dell’art. 3 del testo di cui sopra).

Risulta pertanto non conforme alle vigenti disposizioni di legge anche quanto è stato scritto nella pubblicazione in oggetto a proposito dell’Isee nel paragrafo “Sostegno economico” (pag. 36).

3. Per quanto concerne la procedura relativa all’interdizione, non è assolutamente vero che «per presentare l’istanza occorre rivolgersi al Tribunale (...) con l’assistenza obbligatoria di un legale». Infatti, se l’istanza è presentata dai servizi sociali e sanitari (che dovrebbero preoccuparsi di garantire la tutela giuridica alle persone incapaci di provvedere alla difesa morale e materiale delle loro esigenze), l’assistenza di un legale (costo 2-5 mila euro) non è affatto obbligatoria. L’istanza può, altresì, essere introdotta senza l’assistenza di un legale, qualora la Procura della Repubblica accetti la semplicissima procedura messa in atto a Torino dall’Autorità giudiziaria e dall’Utim (cfr. l’articolo di Carlo Sessano “Un’esperienza innovativa in materia di interdizione di soggetti con handicap grave e di malati di Alzheimer”, Prospettive assistenziali, n. 138, 2000) (Allegato 2).

4. Circa l’interdizione non è nemmeno vero che «dopo che è avvenuta l’interdizione quella persona (...) non può svolgere da sola atti di disposizione patrimoniale», in quanto i contratti possono essere stipulati esclusivamente dal tutore. Nella pubblicazione in oggetto non viene precisato che il giudice tutelare può attribuire la tutela anche all’ospizio in cui la persona è ricoverata nonché all’ente (Comune, ecc.) che lo assiste.

5. è fuorviante l’indicazione contenuta a pagina 24 di “anziani fragili”. Per quale motivo coloro che hanno predisposto la pubblicazione in oggetto non scrivono a chiare lettere che salvo casi del tutto eccezionali non si tratta di anziani “fragili”, ma di persone colpite da malattie invalidanti (cancro, demenza, pluripatologie, ecc.) che non solo provocano spesso gravi sofferenze ma anche condizioni di non autosufficienza? Ben diversa è la situazione di un anziano malato cronico non autosufficiente
(ad esempio demente), rispetto ad un soggetto che ha difficoltà ma è in grado di comprendere quello che fa.

Mentre è ovvio che va favorita la permanenza a casa loro dei soggetti autosufficienti (la delibera di base del Comune di Torino del 14 settembre 1976, ancora in vigore, è stata predisposta e promossa da questo Coordinamento), costituisce abbandono, anche sotto il profilo penale, non provvedere 24 ore al giorno e per tutti i giorni dell’anno agli anziani soli (nonché agli adulti) colpiti da demenza senile o da altre malattie che rendono la persona incapace di programmare il proprio presente. Sarebbe stato pertanto necessario che la pubblicazione avesse trattato la questione anziani tenendo conto delle esigenze dei soggetti autosufficienti e delle necessità (molto diverse) delle persone malate e alterdipendenti.

6. Sono inesatte anche le informazioni, contenute nella pubblicazione in oggetto, concernenti le imposte sulle successioni e sulle donazioni. Infatti, non è stata presa in alcuna considerazione la legge 18 ottobre 2001 n. 383 che ha abolito le imposte di successione ed ha modificato quella relativa alle donazioni.

Ciò premesso e considerato, questo Coordina­mento chiede che:

- la pubblicazione venga ritirata;

- non vengano affidati altri incarichi ad organiz­zazioni che non sono in grado di fornire notizie corrette.

 

IL COMUNE DI GROTTAMMARE CONTRO LE ESIGENZE DI SOGGETTI CON HANDICAP

 

Con una nota del 24 luglio 2004, il Comune di Grottammare (Ascoli Piceno) ha informato i congiunti dei soggetti con handicap che, a causa dei tagli e diminuzioni delle risorse statali stabiliti dalla finanziaria 2004, agli uffici dello stesso Comune preposti all’assistenza dei soggetti con handicap «sono state ridotte le risorse assegnate per il 2004 del 3% rispetto agli stanziamenti iniziali». Di conseguenza i suddetti uffici hanno deciso di «procedere ad una riduzione delle ore assegnate a ciascun utente». Pertanto «rispetto alle ore inizialmente assegnate per il servizio pari a 13,50 le saranno assegnate n. 8,00 a partire dal 9 agosto 2004».

Di fronte ad una riduzione del 3% delle risorse, la diminuzione che colpisce i soggetti con handicap è di ben il 40%. In sostanza, il Comune di Grottammare applica la scure nei confronti dei soggetti con handicap, trascurando – fatto gravissimo – di considerare le esigenze dei suoi cittadini più bisognosi di prestazioni sociali. Inoltre, non tiene in alcuna considerazione il fatto che, mentre il Comune è tenuto ad assistere i soggetti con handicap (articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931), i congiunti non hanno alcun obbligo di legge.

Tenendo a casa loro i figli con handicap, i genitori svolgono un ruolo di volontariato intrafamiliare che dovrebbe essere sostenuto come fa il Consorzio dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (To) (1).

In ogni caso l’intervento minimo dei Comuni nei confronti delle persone ultradiciottenni gravi e quindi non inseribili in attività di formazione professionale (corsi prelavorativi, ecc.) dovrebbe essere la messa a disposizione di centri diurni aperti almeno 40 ore settimanali. Queste strutture – com’è ormai comprovato da esperienze ultradecennali – sono assolutamente indispensabili per evitare i ricoveri, favorire l’autonomia dei suddetti soggetti e fornire un aiuto concreto ai familiari che li accolgono.

Da notare che, per evitare di ridurre le prestazioni, il Comune di Grottammare avrebbe potuto (e potrebbe ancora adesso) ridurre le spese nei settori che hanno nulla o scarsa incidenza sociale, o aumentare di qualche centesimo l’Ici, Imposta comunale sugli immobili, la cui aliquota è attualmente del 6,25 per mille, mentre è ridotta al 4,00 per mille nei casi di abitazione principale da parte del proprietario o di parenti e di affini fino al 1° grado.

Un altro esempio di ente che non rispetta le esigenze dei più deboli, mentre è benevolo con i possidenti.

 

 

(1) Cfr. Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Prospettive assistenziali, n. 144, 2003.

 

www.fondazionepromozionesociale.it