Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004

 

 

Libri

 

PAOLO CENDON, I malati terminali e i loro diritti, Giuffrè Editore, Milano, 2003, pag. 437, euro 30,00

Paolo Cendon, con la collaborazione di Roberta Bailo, Francesco Bilotta e Paolo Cecchi, affronta il controverso e complesso problema dei malati terminali e lo esamina sia sotto gli aspetti giuridici, sia  per quanto riguarda le questioni etiche, mediche e culturali. La scelta degli Autori riguarda:

– l’analisi dei diritti che devono essere riconosciuti ai malati terminali dal punto di vista giuridico, medico, etico, filosofico e religioso;

– l’assunzione, quale metro di giudizio, del maggior bene da assicurare alle persone morenti;

– l’assunzione di regole in grado di assicurare ai malati terminali margini più o meno significativi di normalità.

Ne consegue che il primo diritto da assicurare riguarda la riduzione in tutta la misura del possibile della sofferenza. Allo scopo, occorre superare il nodo cruciale «dei riflessi eventualmente letali di un trattamento, ove ricorrano situazioni di malessere tali, per la loro gravità, da esigere risposte particolarmente intense» e sono riferite le penetranti considerazioni di M. Gallucci secondo il quale «la sofferenza non è solo il dolore, è un insieme di sensazioni negative, di sentimenti e di pensieri che fanno male, è dolore esperito come peso, minaccia, contraddizione, rispetto all’ideale della vita umana. La sofferenza può prescindere dal dolore, e non sempre vi è una proporzione tra dolore e sofferenza: vi sono situazioni in cui la consistenza obiettiva del dolore è significativa ma la sofferenza percepita è minima, mentre esistono sofferenze profonde che hanno minimo rapporto con il dolore fisico».

 

 

A.A. V.V., Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Giuffrè Editore, Milano, 2003, pag. 564, euro 40,00

Su iniziativa dell’Uneba, l’associazione che raggruppa il maggior numero di enti pubblici e privati che operano nel settore socio-assistenziale e di alcuni docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato predisposto questo volume che prende in esame i vari aspetti della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

Ad avviso di Enzo Balboni, professore ordinario di diritto amministrativo, la legge 328/2000 «è tut­t’altro che inattaccabile, o meglio non riesce a garantire compiutamente il nucleo essenziale del diritto all’assistenza. Essa, infatti, tramuta il diritto costi­tuzionale in una priorità di accesso ai servizi».

Dopo aver premesso che «l’inabile è colui il quale non può lavorare e al quale dunque la situazione personale di disagio inibisce la possibilità di guadagnare il salario sociale» e cioè «il necessario per vivere» lo stesso Balboni sostiene giustamente che il legislatore dando attuazione al primo comma dell’art. 38 della Costituzione, avrebbe dovuto riconoscere che «il contenuto minimo essenziale dell’assistenza deve consistere in un insieme di prestazioni che – considerate complessivamente – consentano all’inabile di condurre una vita libera e dignitosa, che sia almeno paragonabile e/o assimilabile a quella di un lavoratore».

Nel volume sono analizzati non solo le questioni generali della legge 328/2000 (aspetti costituzionali, ruolo dei settori pubblico e privato, ecc.), ma anche i singoli articoli. Stupisce, al riguardo, che nessuno dei 29 autori del volume abbia preso in esame il 5° comma dell’art. 8 della legge 328/2000 in base al quale le Regioni possono conservare alle Province o trasferire ad enti locali diversi dai Comuni (ad esempio Consorzi fra Comuni e Province) le competenze in materia di nati fuori del matrimonio, consentendo il tal modo la prosecuzione dell’attuale odiosa discriminazione dei suddetti minori rispetto ai fanciulli nati nel matrimonio la cui competenza ad intervenire spetta obbligatoriamente ai Comuni. Da notare che la suddetta vergognosa differenziazione è stata confermata dalla Regione Lombardia con la propria legge 27 marzo 2000 n. 18. Rileviamo, infine, che nel volume non c’è alcuna critica delle norme della legge 328/2000 in base alle quali possono essere sottratti (e in parte lo sono già stati) dall’esclusiva destinazione ai bisognosi i patrimoni delle Ipab, ex Ipab e degli enti pubblici assistenziali disciolti (ammontanti a 110-140 mila miliardi delle ex lire) ed i relativi redditi.

 

 

CRISTIANO GORI (a cura di), Il welfare nascosto – Il mercato privato dell’assistenza in Italia e in Europa, Carocci Editori, Roma, 2002, pag. 196, euro 16,30

Lo scarico alle famiglie dei compiti di cura degli anziani cronici non autosufficienti e delle persone colpite da demenza senile ha dato nel nostro Paese un notevole impulso al mercato privato dell’assistenza domiciliare.

Nell’introduzione, Cristiano Gori afferma che il motivo della crescente diffusione di detto mercato risiede nell’«invecchiamento della popolazione e la debolezza del sistema italiano di welfare, così come i cambiamenti del ruolo della famiglia, la cre­scente partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la radicata cultura della domiciliarità».

Invece che di «debolezza del sistema italiano del welfare», non occorrerebbe – finalmente – denunciare il colpevole ed illegale disimpegno del Servizio sanitario nazionale?

Per quali motivi etici  alle persone anziane colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza, si nega il diritto alle cure sanitarie sancito dalle leggi vigenti, la prima di esse, la n. 692, approvata dal Parlamento addirittura quasi mezzo secolo fa e precisamente nel 1955?

È singolare che nella presentazione del volume, Raffaele Minelli, segretario generale del Sindacato dei pensionati della Cgil, non faccia alcun riferimento alle leggi vigenti, in base alle quali le cure devono obbligatoriamente essere fornite dal Servizio sanitario nazionale.

Di fronte alla lapalissiana esigenza che i malati vengano curati dalla sanità, è sconcertante che il Minelli, soprattutto per l’importante ruolo che svolge, faccia riferimento alla legge quadro sull’assistenza, e ne rivendichi l’importanza asserendo che essa è stata approvata grazie alla «formidabile pressione che nella passata legislatura» è stata esercitata dai Sindacati dei pensionati.

Ma come fa ad essere soddisfatto se la legge 328/2000 è una scatola del tutto vuota, che non prevede nemmeno l’ombra di un diritto? E, infine, quali capacità professionali diverse da medici e dagli infermieri dovrebbero avere gli operatori dell’assistenza sociale per compiere diagnosi e curare gli anziani malati non autosufficienti?

 

 

AA. VV., Anziani – Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, Franco Angeli, Milano, 2002, pag. 237, euro 16,50

Il volume raccoglie i risultati di una indagine realizzata dal Dipartimento per le attività socio-integrate dell’Asl Milano 2 in collaborazione con il Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università degli studi di Milano Bicocca. È stata effettuata nel primo semestre del 2001 in un territorio comprendente 46 Comuni situati a sud-est del capoluogo lombardo, in cui vivono più di 520 mila persone.

L’impianto complessivo dell’indagine comprende tre moduli:

– le interviste ad un campione di ultrasessantenni somministrate da anziani afferenti ai Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil;

– la raccolta dei pareri espressi da Sindaci e Assessori ai servizi sociali, medici di medicina generale, assistenti sociali, parroci, operatori e volontari, nonché familiari di anziani assistiti a domicilio;

– l’analisi delle patologie da cui risultano colpite le persone anziane, soprattutto quelle a rischio di cronicizzazione e di perdita della non autosufficienza.

Nonostante le soprariportate premesse, nei capitoli riguardanti la salute degli anziani, nulla viene riferito in merito agli obblighi del Servizio sanitario nazionale concernenti la prevenzione e la cura delle malattie.

Molto significativo il fatto che, nelle domande del questionario sulla richiesta dei diversi servizi sanitari residenziali e la valutazione della loro efficacia, non siano state inserite quelle concernenti il funzionamento degli ospedali e delle case di cura. Non si comprende, pertanto, come possa essere raggiunto l’obiettivo della collana della Fondazione Bignaschi “Transizione e politiche pubbliche”, in cui è inserito il volume in oggetto, obiettivo che viene indicato in «quello di rendere disponibile sia al dibattito scientifico italiano sia agli operatori sociali interessati una serie di materiali preziosi da un lato per la sperimentazione e l’innovazione e, dall’altro, per la ricerca di “radici” e di connessioni rispetto alla propria attività quotidiana».

 

 

SERGIO TRAMMA, L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, Carocci Faber, Roma, 2003, pagg. 139, euro 15,30

Com’è noto, uno dei compiti essenziali dell’educatore è l’instaurazione di rapporti pedagogicamente validi con i soggetti in difficoltà, in particolare i minori privi di adeguato sostegno da parte dei loro genitori. Com’è giustamente evidenziato dall’Autore «la possibilità di “essere in relazione” e di “governarla” in funzione degli scopi auspicati, non può dipendere esclusivamente da una disposizione vocazionale, ma da una solida formazione di base e da costanti pratiche di aggiornamento che dotino l’educatore degli idonei strumenti disciplinari e metodologici, anche attraverso un’opera di rielaborazione e valorizzazione della propria storia formativa e delle proprie motivazioni alla professione e aspettative riposte nella professione». Inoltre, secondo il Tramma, bisogna tener presente che «il lavoro dell’educatore è relazionale non solo in rapporto ai soggetti destinatari delle azioni educative, ma anche in rapporto ad altri educatori e ad altre figure professionali». Infatti, una delle condizioni fondamentali di lavoro di tutti gli operatori sociali, compresi evidentemente gli educatori, è il lavoro di gruppo, dal quale deve scaturire per il soggetto ad essi affidato, una linea educativa conforme alle sue esigenze e coerente.

Il libro è rivolto non solo agli educatori in servizio, ma anche agli studenti che attualmente vivono, come precisa l’Autore «in un clima culturale diverso da quello che ha interessato le coorti d’educatori e studenti che le hanno precedute, un clima in cui maturano storie di vita diverse, nel quale si assiste ad un riformularsi continuo delle esperienze e delle motivazioni che spingono a  intraprendere una carriera professionale fra le più difficili, meno riconosciute, ma anche tra le più umanamente gratificanti e degne d’essere intraprese».

 

www.fondazionepromozionesociale.it