Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004

 

 

IL COMUNE DEVE RESTITUIRE AI GENITORI LE QUOTE VERSATE PER LA FREQUENZA DEL FIGLIO DI UN CENTRO DIURNO Per handicappati gravi

 

A seguito del ricorso proposto dal signor A. M. contro il Comune S. Gervasio Bresciano, la cooperativa sociale “Il Gabbiano” e l’Asl di Brescia (quest’ultima non si è costituita in giudizio), la Sezione staccata di Brescia del Tar, Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la sentenza n. 179/2004, pubblicata il 5 marzo 2004, ha condannato «il Comune di S. Gervasio Bresciano al pagamento della quota parte della retta di frequenza al Cse, Centro socio educativo, del signor E. M., restituendo quanto già corrisposto indebitamente dalla famiglia dalla data del ricovero del disabile fino alla domanda giudiziale, oltre al pagamento delle quote ulteriori maturate e maturande». Inoltre ha dichiarato «il diritto del ricorrente ad ottenere gli interessi maturati e maturandi fino al soddisfo» ed ha condannato «il Comune resistente a corrispondere la somma di euro 2.500 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad onorari di legge».

 

I fatti

Come risulta dalla sentenza in oggetto il signor E. M., figlio del ricorrente A. M., è affetto dalla sindrome di Down, che lo ha reso «invalido con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità di assistenza continua». Sulla base di un progetto «mirato ai processi di maturazione psicologica e di integrazione sociale», frequentava il Centro socio-educativo (Cse) di Pontevico (bs) della Cooperativa sociale “Il Gabbiano”.

Con deliberazione del 28 maggio 1998 n. 50, la Giunta comunale di S. Gervasio Bresciano «aveva posto a carico della famiglia la quota di costo del Cse, rifiutandosi di sostenerla». Successivamente, in data 30 novembre 2000 il Consiglio comunale del sopra menzionato ente aveva approvato una convenzione per la delega all’Asl di Brescia «delle funzioni relative alla progettazione, analisi del bisogno, definizione dei costi ordinari e verifica della rete dei servizi socio-assistenziali e socio-assistenziali a rilievo sanitario dell’area handicap».

Dopo aver confermato la delega all’Asl nel settore handicap, il Comune di S. Gervasio Bresciano, con una nota del 10 giugno 2002 «rifiutava di stipulare le convenzioni trasmesse dall’Asl e regolanti i rapporti con gli enti gestori dei Cse, cui faceva seguito la nota della Cooperativa “Il Gabbiano” in data 12 dicembre 2002 che comunicava la dimissione del signor E. M. dal centro, dovuta alla revoca dell’adesione alla convenzione da parte del Comune».

 

Il ricorso presentato dal signor A. M.

A seguito del rifiuto del Comune e della decisione della Cooperativa sociale di non consentire più al figlio di frequentare il Cse, il signor A. M. ha proposto il ricorso al Tar, evidenziando, fra l’altro i seguenti motivi:

a) violazione degli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costi­tuzione, degli articoli 11, 5, 8 e 40 della legge quadro sull’handicap n. 104/1992 nonché di altre norme nazionale e regionali «per avere il Comune violato i principi sanciti a livello costituzionale e di legislazione ordinaria che favoriscono l’integrazione dei soggetti disabili nella vita sociale e la valorizzazione del relativo nucleo familiare, interrompendo indebitamente l’efficace inserimento del figlio del ricorrente presso una struttura pubblica a ciò dedicata»;

b) «violazione dell’art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, dell’art. 22 della legge 328/2000, dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 e 29 novembre 2001, non avendo il Comune il potere di interrompere un servizio di carattere prevalentemente sanitario»;

c) «incompetenza ed eccesso di potere per contraddittorietà, avendo il Consiglio comunale approvato la convenzione che delega all’Asl la gestione dei servizi socio-assistenziali per handicappati, mentre di seguito il Sindaco e la Giunta si sono rifiutati di darvi attuazione»;

d) «eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento, avendo il Comune eluso l’ordinanza di sospensione adottando un regolamento Isee manifestamente iniquo» (1);

e) «eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità del regolamento, il quale addosserebbe l’intera retta ad una famiglia con un reddito Isee annuo al di sotto della soglia di povertà compreso fra 9.933 e 11.285 euro»;

f) «violazione dell’art. 3, comma 2 ter del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, il quale farebbe riferimento alla situazione economica del solo assistito con conseguente illegittimità delle previsioni regolamentari» (2).

 

Una validissima definizione giuridica e sociale del centro diurno

Nella sentenza della Sezione di brescia del Tar della Lombardia viene acutamente precisato che «il Centro socio-educativo è una struttura socio-assistenziale a rilievo sanitario, destinata ad accogliere soggetti con disabilità tali da comportare una notevole compromissione dell’autonomia delle funzioni elementari (…) e unire alla crescita evolutiva dei soggetti nella prospettiva di una loro progressiva e costante socializzazione e di uno sviluppo ovvero del mantenimento della loro capacità residua, ed integra nel contempo una struttura d’appoggio alla vita familiare, fatta di spazi educativi e ricreativi diversificati, necessaria per consentire alla famiglia di mantenere al suo interno il disabile. Si tratta pertanto di una attività riconducibile alla categoria del servizio pubblico, inteso come attività di erogazione di servizi fondamentali (art. 38, commi 1, 3 e 4 della Costituzione), indirizzata istituzionalmente ed in via diretta al soddisfacimento di bisogni collettivi e sottoposta, per ragioni di interesse pubblico, ad indirizzi e controlli dell’autorità amministrativa: le posizioni giuridiche dei privati sono qualificabili come diritti soggettivi, elevati al rango di diritti fondamentali alla salute ex art. 32 della Costituzione, come tali appartenenti alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva» (3).

 

La decisone della Sezione di Brescia del Tar della Lombardia

Preso atto che «con deliberazione consiliare in data 30 novembre 2000, seguita da formale sottoscrizione, il Comune ha approvato la convenzione che delegava all’Asl le funzioni di progettazione, analisi del bisogno, definizione dei costi ordinari e verifica delle rette dei servizi socio-assistenziali e socio-assistenziali a rilievo sanitario dell’area dell’handicap per il triennio 2001-2003» e che «tale determinazione, assunta dall’organo collegiale immediatamente rappresentativo della popolazione locale, è stata confermata con l’approvazione del piano socio-assistenziale 2002», nella sentenza viene puntualizzato che «la decisione espressa dal Consiglio comunale ha vincolato l’ente pubblico» per cui «il Sindaco non poteva sottrarsi all’obbligo di sottoscrivere una convenzione già approvata dall’organo competente».

Di conseguenza, la Sezione di Brescia del Tar della Lombardia ha condannato il Comune di S. Gervasio Bresciano come abbiamo già riferito.

 

 

(1) Con ordinanza del 23 settembre 2003, n. 810, la Sezione di Brescia del Tar della Lombardia aveva accolto la richiesta presentata dal signor A. M. per la sospensione del provvedimento di espulsione del figlio dalla frequenza del Cse. Com’è noto l’Isee, indicatore della situazione economica equivalente (più comunemente denominato “redditometro”) è stato previsto dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000.

(2) Ai sensi del comma 2 ter dell’articolo 3 del testo unificato dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, «per le prestazioni sociali agevolate assicurate» a soggetti con handicap permanente grave nonché ai soggetti ultrassessantacinquenni non autosufficienti, si deve fare riferimento alla «situazione economica del solo assistito». È importante rilevare che nella sentenza in oggetto, la Sezione di Brescia del Tar della Lombardia considera pienamente attuabili le norme sopra citate. È una ulteriore ed autorevole conferma che la mancata emanazione del decreto amministrativo previsto nello stesso comma 2 ter «al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» nulla toglie alla piena vigenza delle disposizioni in questione.

(3) In base alle considerazioni sopra riportate, la Sezione di Brescia del Tar della Lombardia ha, altresì, respinto la richiesta del Comune secondo cui l’impugnazione non poteva essere accolta in quanto presentata oltre il termine dei 60 giorni, affermando che «le posizioni giuridiche a contenuto patrimoniale affermate dal ricorrente, riconosciute direttamente dalla legge, sono dunque tutelabili non entro il termine breve di decadenza, bensì nel termine ordinario di prescrizione decennale».

 

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