Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno 2004

 

 

Notizie

 

 

DATI ALLARMANTI SULLA sanità

Secondo i dati del 2001 forniti dal Censis (cfr. “Note e Commenti”, dicembre 2003) «il costo procapite dell’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro varia tra un minimo di 38,8 euro in Friuli-Venezia Giulia ad un massimo di 96,90 euro in Valle d’Aosta; l’assistenza distrettuale che include la guardia medica, la medicina generale, la pediatria, ecc., oscilla tra i 750,30 euro della Liguria ed i 579,60 euro della Puglia; il costo procapite dell’assistenza ospedaliera va da un picco di 864,80 euro in Valle d’Aosta ad un minimo di 593,60 in Basilicata; il dato complessivo dei livelli per residenti varia dai 1.607,20 euro della Valle d’Aosta ai 1.234,90 euro della Puglia».

 

 

LA REGIONE VENETO ANTICIPA L’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO A 5.503 INVALIDI CIVILI

Sono 5.503 gli invalidi civili del Veneto che hanno ricevuto 28.887.908 euro come anticipazione dell’indennità di accompagnamento comprensiva degli arretrati, in seguito a una specifica iniziativa della Giunta regionale. Il governo veneto, infatti, il 5 dicembre 2003 diede l’avvio in via sperimentale, tramite un protocollo d’intesa firmato con le 21 aziende Ullss e con l’Inps del Veneto, all’anticipazione dell’indennità di accompagnamento per tutti coloro che avevano presentate le pratiche entro il 30 aprile 2003 e che non erano ancora concluse entro il 31 dicembre 2003. 

(da Vita, 2 aprile 2004)

 

 

RIFLESSIONI SUL VOLONTARIATO INTESO COME BENEFICENZA

La «retorica della donazione come volontariato, ha largamente inquinato la comunicazione di massa (dai giornali alle trasmissioni televisive) facendo del volontariato stesso, una specie di slogan che, se può incrementare i fondi a disposizione delle organizzazioni umanitarie e anche la buona coscienza di chi, comprando una azalea o un cesto di arance, si sente liberato dal suo individualismo, nasconde però il rischio di una confusione di cui il volontario stesso potrebbe fare le spese. «In realtà molti dicono “volontariato” ma ognuno sembra intenderlo a modo proprio.

«I rappresentanti delle istituzioni pubbliche con diverse sfumature, non riescono a staccarsi dall’idea che il volontariato sia il nome modernizzato della secolare beneficenza che aiuta la società inadempiente a superare il disagio psicologico di convivere con la povertà dei molti rimasti fuori dal benessere comune: povertà che la stessa società genera con i suoi presupposti individualisti, quali sono appunto quelli della competizione economica selvaggia, del profitto e della ricchezza come parametro del successo individuale.

«Il volontariato inteso come beneficenza si modernizza anche nei vari modi degli spettacoli benefici e delle sponsorizzazioni umanitarie nei quali spesso si usa la parola solidarietà per catturare l’attenzione del pubblico non tanto sui problemi insoluti, quanto sui prodotti nei quali la parola viene inglobata e sui personaggi che fanno da “testimoni” e che rinunciando ad un modesto ingaggio, riescono a far dimenticare a produttori e consumatori, quanto costa (ah, quanto costa!) la loro immagine sul mercato del profitto».

(da Enrico Gastaldi, “Quando si dice volontariato”, Nuova Proposta, n. 3, 2004)

 

 

GLI AIUTI CHE NON AIUTANO

Dalla pubblicazione Messaggero Cappuccino, n. 2, 2004, riportiamo alcune preziose considerazioni di Giusy Baioni sulla questione degli aiuti ai poveri. Dopo aver accennato agli «enormi sprechi delle grosse agenzie internazionali per lo sviluppo (dalla Fao all’Unicef), i cui proventi delle offerte e delle sponsorizzazioni vengono per la maggior parte assorbiti dal mantenimento delle strutture e del personale e solo in piccola parte giungono a destinazione», l’Autrice rileva che «è giunto il momento di interrogarsi con grande onestà intellettuale: siamo poi così sicuri che agiamo per il “miglior bene”?». Secondo Baioni, occorre considerare che spesso «la mano che aiuta da una parte è la stessa che poi – inconsapevolmente – dall’altra si rende complice di un sistema che perpetua all’infinito la povertà o lo sfruttamento. (...) I danni generati da questa “cooperazione onesta” sono ben più profondi di quanto non si possa immaginare. Da un lato, infatti, innescano una dipendenza materiale ed anche e soprattutto culturale, un assistenzialismo che non fa bene a nessuno. Come se l’occidentale fosse l’unica fonte di salvezza a cui attingere e quindi poi anche da “mungere” senza preoccuparsi di trovare altre vie, di costruirsi da soli delle alternative».

In conclusione «è ovvio che gli aiuti umanitari servono, specie in contesti di emergenza (e quanti sono), ma togliamoci dalla testa una volta per tutte l’idea che siamo bravi quando andiamo ad aiutare. Non siamo bravi, non lo siamo: stiamo solo restituendo ciò che abbiamo tolto, a partire dal tempo degli schiavi e delle colonie, fino al presente delle multinazionali. E lo stiamo restituendo in minima parte e spesso senza l’umiltà necessaria».

 

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