Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno 2004

 

 

LA DIFESA DEL DIRITTO ALLE CURE SANITARIE DI UN’ANZIANA MALATA CRONICA NON AUTOSUFFICIENTE: UN’ALTRA positiva ESPERIENZA

 

La vicenda descritta è quella del signor U.A. e della madre (1). La signora T.B., madre di U.A. (figlio unico), viveva a Torino da sola, in quanto rimasta vedova, ed era una donna attiva ed indipendente. Nel 1997 aveva avuto problemi di salute, sottoponendosi in quell’anno ad un’operazione di gastrectomia. Ad intervento avvenuto, la signora lascia l’Ospedale e compie la sua convalescenza a casa propria. Rimane in salute fino al 2001, all’età di 89 anni, quando inizia ad accusare i primi sintomi della demenza senile. Il figlio comincia l’iter burocratico per vedere riconosciuta l’invalidità civile nel settembre del 2002.

Il 12 dicembre 2002 la signora si sottopone ad una  visita da parte del medico B. che rileva il seguente esito: «Sindrome involutiva senile di tipo Azl, con deficit delle funzioni numeriche e cognitive, confusione, disorientamento, alterazione del comportamento e della sfera percettiva. Condizione di invalidità clinica permanente, di entità da valutare in sede medico-legale». La commissione valutante dichiarerà in seguito un’invalidità pari al 100%. E fin qui potrebbe sembrare una vicenda “normale”. Ma ecco che iniziano i primi grossi problemi di salute della signora e i primi approcci del figlio con la “burocrazia sanitaria”.

Il 28 gennaio 2003, la signora subisce la rottura del femore sinistro a seguito di una caduta avvenuta in casa. Dal 2001 alla data dell’incidente bisogna segnalare che la demenza senile aveva subito una notevole progressione, limitando visibilmente le capacità cognitive della signora. Avviene il primo ricovero presso l’Ospedale Giovanni Bosco di Torino e si procede all’intervento chirurgico con l’inserimento di chiodi nella frattura che viene effettuato il 31 gennaio 2003. Un assistente sociale anticipa al signor U.A. che la riabilitazione sarebbe durata al massimo due mesi e, trascorso tale periodo, sarebbero stati i parenti a doversi occupare della signora mobilitandosi nella ricerca di case di cura oppure riportando a casa l’utente (2). 

Il figlio, quando riceve questa informazione, inizia a cercare strutture disponibili ad accettare la madre. Visita alcune case di cura private e Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) della città. Il costo delle prime strutture si aggira attorno agli 8/9 milioni di vecchie lire mensili, mentre per le Rsa si scende circa a 4/5 milioni mensili. Da segnalare che in alcune strutture il signor U.A. si sente anche chiedere di conoscere la madre prima di poter decidere se accettarla o meno. Presenta anche una domanda alla Rsa di via Botticelli, gestita dall’Asl 4 di Torino, ma la risposta che riceve è che i tempi di attesa sono lunghi (2-3 anni) per mancanza di posti. Comunque sia, la priorità per accedere alle strutture convenzionate viene data a persone non autosufficienti che sono sole.

Essendo la famiglia originaria di Locana, che si trova a circa cinquanta chilometri da Torino, il signor U.A. si rivolge anche alla casa di riposo del luogo. In questa struttura la signora non può essere accettata, in quanto la priorità del ricovero viene data alla gente del posto.

Il 5 febbraio 2003 la signora viene sottoposta ad una visita da parte dell’Unità valutativa geriatrica (Uvg) che accerta la sua situazione di non autosufficienza, condizione che le dà la possibilità di accedere, terminato il periodo di inserimento nella lista d’attesa, alle Rsa convenzionate. Il figlio è disperato in quanto non riesce a trovare una soluzione che gli permetta  di vedere la madre assistita e curata presso una Rsa ed è disponibile ad arrivare a qualsiasi compromesso, anche strettamente economico, al fine di poter risolvere la situazione.

A questo punto la storia subisce una svolta abbastanza positiva. Ancora nel periodo in cui la madre è ricoverata in ospedale, il signor U.A. incontra nelle corsie una sua conoscente che lo informa dell’esistenza del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, che interviene a tutela del diritto alle cure sanitarie anche per i soggetti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza, fornendo la consulenza necessaria a chi ne ha bisogno.

Il 20 febbraio 2003 la signora viene trasferita a cura e spese dell’Asl 4 di Torino, in una casa di cura privata convenzionata con la Regione Piemonte. Subito al figlio viene detto che la madre sarà dimessa il 1º aprile dello stesso anno. Il signor U.A. prende contatto con il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, che lo informa circa il diritto della madre alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere. A seguito di queste notizie, il signor U.A. segnala alla casa di cura che non intende accettare le dimissioni della madre e subito arrivano le prime minacce verbali da parte del direttore della casa di cura, asserendo che la stessa intraprenderà le vie legali se le dimissioni non saranno accettate dai parenti.

Arriva il momento che la casa di cura consegna al signor U.A. la lettera di dimissioni, in cui c’è scritto che la signora è lucida e in grado di intendere e volere. Bisogna precisare che la signora, che si trova ospitata presso la casa di cura per ricevere le cure riabilitative a seguito della rottura del femore, è sempre più affetta dalla demenza senile e non riesce più ad avere alcuna lucidità cognitiva.

Il signor U.A., sempre assistito dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, invia quindi tre lettere raccomandate a/r aventi lo stesso testo (3): una al Direttore generale dell’Asl 4 (di competenza, in base alla residenza della madre), una al Direttore sanitario della casa di cura convenzionata nonché un’altra, per conoscenza, al Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti.

Dal ricevimento della lettera raccomandata a/r, il signor U.A. non riceve altre minacce (né verbali, né scritte) e la signora rimane ricoverata presso la casa di cura per altri due mesi (per un totale di quasi quattro mesi).

Nel periodo di degenza presso la casa di cura, ed esattamente il 19 giugno 2003, la signora subisce la frattura del femore destro a seguito di una caduta. Viene quindi trasferita nuovamente all’Ospedale Giovanni Bosco dove sarà operata il 25 giugno 2003.

Il signor U.A. ci tiene a precisare che, al di là dei problemi avuti con la direzione della casa, l’assistenza offerta dal personale medico e infermieristico è sempre stata valida e soprattutto il trattamento della madre è stato umano.

Anche in questo periodo il figlio non rimane impassibile e si rimette alla ricerca di strutture (anche private) che possano assicurare alla madre, sempre meno autosufficiente e assolutamente non in grado di vivere da sola, una degenza a lungo termine. Ma le risposte che riceve sono esattamente le stesse che gli erano state date in precedenza.

Il 23 luglio 2003 l’Ospedale Giovanni Bosco dimette la signora che viene trasferita, allo scopo che le vengano fornite le necessarie prestazioni riabilitative, presso una casa di cura convenzionata con la Regione Piemonte situata nelle vicinanze di Torino.

Ma l’ingresso della signora presso questa struttura non è certo dei più ospitali. Il medico di turno, leggendo la lettera di dimissioni della prima casa di cura (avvenute in seguito alla rottura del femore), si stupisce che la signora sia stata ospitata per un periodo di quattro mesi e non di due e dichiara al signor U.A. che presso di loro potrà stare solo per quaranta giorni o al massimo due mesi, asserendo che trascorso tale periodo saranno i familiari a doversi occupare della signora. In quel momento, il signor U.A. accetta per il semplice fatto che non ha altre alternative e quindi è disponibile a qualsiasi soluzione purché la madre venga curata e riabilitata.

Si deve precisare che dall’ultimo ricovero presso l’Ospedale Giovanni Bosco e il trasferimento presso la seconda casa di cura, la signora ha avuto un ulteriore peggioramento delle capacità mentali. 

Il 26 agosto 2003 la signora dev’essere trasferita in un ospedale per un intervento chirurgico, perché non collaborava più alla richiesta di aprire la bocca per essere alimentata. L’ambulanza per il trasferimento è a pagamento e saranno i parenti (in questo caso il figlio) a dover saldare il conto.

Avvenute le dimissioni da parte dell’ospedale, la signora rientra nella seconda casa di cura. Il signor U.A. ci tiene a sottolineare che le cure che riceve la madre presso la seconda casa di cura sono ineccepibili e il personale è disponibile (la signora è sempre pulita e il personale, in assenza dei familiari, presta tutte le attenzioni necessarie anche per quanto riguarda l’alimentazione).

Si arriva al 30 agosto, data in cui il signor U.A. riceve la telefonata della casa di cura che lo informa del fatto che per il 12 settembre sono state previste le dimissioni della madre.

Da questo momento iniziano anche a presentarsi altri problemi di salute quali: insufficienza renale, respiratoria e circolatoria. Vista la situazione clinica della signora, i medici decidono di non dimetterla più, come era stato riferito al figlio, ma di continuare a impartire le cure necessarie. Il 15 settembre 2003 avviene, presso la suddetta casa di cura, il decesso della signora, che aveva 91 anni.

 

 

 

(1) Sulle esperienze di difesa del diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti, si vedano su Prospettive assistenziali i seguenti articoli: “Per curare l’anziana madre malata cronica non bastano l’affetto e il denaro delle figlie”, n. 117, 1997; “La drammatica esperienza del figlio di un’anziana malata cronica non autosufficiente”, n. 119, 1997; A. Ronga, “La difesa del diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie. La vicenda di mia madre”, n. 139, 2002; M. Mattiello, “L’allucinante vicenda di mia madre”, n. 140, 2002; G. Grisotti, “Le drammatiche vicende di nonna Emma”, n. 141, 2003; “Ottenuto il rispetto del diritto alle cure sanitarie di un anziano cronico non autosufficiente”, n. 142, 2003; “Respinto il tentativo dell’Asl 5 del Piemonte di non garantire la prosecuzione delle cure sanitarie ad anziana malata cronica non autosufficiente”, n. 143, 2003.

(2) Si tratta di informazioni non veritiere in quanto le leggi vigenti garantiscono il diritto alle cure sanitarie anche agli anziani colpiti da demenza senile.

(3) Il testo della lettera è riportato nel sito www.fondazionepromozionesociale.it

 

www.fondazionepromozionesociale.it