Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno 2004

 

 

Interrogativi

 

 

PRESA DI POSIZIONE DEL PAPA SULLO STATO VEGETATIVO E LA DIGNITÁ DELLA PERSONA: LE SUE RACCOMANDAZIONI SARANNO ATTUATE?

 

Il Papa si è rivolto ai partecipanti del Congresso internazionale su “I trattamenti di sostegno vitale e lo stato vegetativo. Progressi scientifici e dilemmi etici”, svoltosi a Roma il 17-20 marzo 2004 (1), con queste parole: «Di fronte a un paziente in simili condizioni cliniche (in stato vegetativo, n.d.r.) non manca chi giunge a mettere in dubbio il permanere della sua stessa “qualità umana”, quasi come se l’aggettivo “vegetale” (il cui uso è ormai consolidato), simbolicamente descrittivo di uno stato clinico, potesse o dovesse essere invece riferito al malato in quanto tale, degradandone di fatto il valore e la dignità personale. In questo senso, va rilevato come il termine in parola, pur confinato nell’ambito clinico, non sia certamente il più felice in riferimento a soggetti umani.

«In opposizione  a simili tendenze di pensiero, sento il dovere di riaffermare con vigore che il valore intrinseco e la personale dignità di ogni essere umano non mutano, qualunque siano le circostanze concrete della sua vita. Un uomo, anche se gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un “vegetale” o un “animale”.

«Anche i nostri fratelli e sorelle che si trovano nella condizione clinica dello “stato vegetativo” conservano tutta intera la loro dignità umana (…). Verso queste persone, medici e operatori sanitari, società e Chiesa hanno doveri morali dai quali non possono esimersi, senza venir meno alle esigenze sia della deontologia professionale che della solidarietà umana e cristiana. L’ammalato in stato vegetativo, in attesa del recupero o della fine naturale, ha dunque diritto ad una assistenza sanitaria di base (nutrizione, idratazione, igiene, riscaldamento, ecc.), ed alla prevenzione delle complicazioni legate all’allettamento. Egli ha diritto anche ad un intervento riabilitativo mirato ed al monitoraggio dei segni clinici di eventuale ripresa.

«L’obbligo di non far mancare “le cure normali dovute all’ammalato in simili casi” comprende, infatti, anche l’impiego dell’alimentazione e idratazione. La valutazione delle probabilità, fondata sulle scarse speranze di recupero quando lo stato vegetativo si prolunga oltre un anno, non può giustificare eticamente l’abbandono o l’interruzione delle cure minimali al paziente, comprese alimentazione ed idratazione (…).

«Nessuna valutazione di costi può prevalere sul valore del fondamentale bene che si cerca di proteggere, la vita umana. Inoltre, ammettere che si possa decidere della vita dell’uomo sulla base di un riconoscimento dall’esterno della sua qualità, equivale a riconoscere che a qualsiasi soggetto possano essere attribuiti dall’esterno livelli crescenti o decrescenti di qualità della vita e quindi di dignità umana, introducendo un principio discriminatorio ed eugenetico nelle relazioni sociali (…).

«L’assistenza appropriata a questi pazienti e alle loro famiglie dovrebbe, inoltre, prevedere la presenza e la testimonianza del medico e dell’équipe assistenziale, ai quali è chiesto di far comprendere ai familiari che si è loro alleati e che si lotta con loro; anche la partecipazione del volontariato rappresenta un sostegno fondamentale per far uscire la famiglia dall’isolamento ed aiutarla a sentirsi parte preziosa e non abbandonata della trama sociale.

«In conclusione vi esorto, come persone di scienza, responsabili della dignità della professione medica, a custodire gelosamente il principio secondo cui vero compito della medicina è di guarire se possibile, aver cura sempre».

Il riconoscimento effettivo della dignità dell’essere umano «gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzionalità più alte» (per riprendere alla lettera le parole del Papa) non dovrebbe comportare come impegno ineludibile il rifiuto delle dimissioni selvagge, disposte cioè senza garantire l’indispensabile prosecuzione delle cure a domicilio (quando sono praticabili in base alle esigenze del paziente ed i congiunti o terze persone sono idonee e disponibili) o presso valide strutture residenziali?

Non compete, in primo luogo, agli operatori sanitari e sociali, nonché ai dirigenti degli ospedali e delle case di cura delle organizzazioni legate alla Chiesa cattolica pretendere dalle autorità (Ministro della salute, Regioni, Asl, ecc.) il rispetto del diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e dei pazienti colpiti da altre forme di demenza senile, diritto che nel nostro Paese è anche sancito da numerose leggi (692/1955, 132/1968, 833/1978, 289/2002)?

 

 

(1) Cfr. “Stato vegetativo e dignità della persona”, Testimoni, 30 aprile 2004.

 

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