Prospettive assistenziali, n. 145, gennaio-marzo 2004

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Notizie

 

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA RESPINGE LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SUGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI

 

In data 26 novembre 2003 la Giunta regionale lombarda ha bocciato la proposta di legge di iniziativa popolare (firme raccolte oltre 16 mila) “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani malati cronici non autosufficienti e di tutte le persone affette da patologie ad alto rischio invalidante”, senza discuterne i relativi articoli. Il relatore ha sostenuto che «per le cure agli anziani non autosufficienti è già tutto previsto nel Piano socio-sanitario regionale 2002/2004 e quindi la proposta di legge è inutile», nonostante che nel suddetto piano, che scade alla fine del corrente anno, nulla sia stato previsto per quanto concerne l’ospedalizzazione a domicilio, i finanziamenti conseguenti ai livelli essenziali di assistenza, le dimissioni ospedaliere protette, la territorialità delle Rsa e il loro collegamento con gli ospedali, i contributi economici che i Comuni e le Asl continuano a pretendere illegittimamente dai congiunti degli anziani ultrasessanticinquenni non autosufficienti.

 

 

TRENTADUE OSPEDALI DELLA LOMBARDIA DICONO NO AL RICOVERO URGENTE DI UNA ANZIANA DI OTTANTACINQUE ANNI

 

Per 32 volte una dottoressa del Pronto soccorso di Cantù ha ricevuto una risposta negativa dagli ospedali della Lombardia (Milano, Varese, Lecco e Como) ai quali il 5 gennaio 2004 aveva segnalato quanto segue: «Abbiamo una paziente di 85 anni in gravi condizioni. Serve un posto in rianimazione. Avete un posto libero?». La 33ª chiamata è stata rivolta ad un magistrato e il letto è saltato fuori. Dopo aver trascorso otto ore nel pronto soccorso di Cantù, la signora M.A.C. è stata finalmente trasferita presso l’ospedale di Garbagnate dove decedeva poco dopo.

Mentre restiamo in attesa di conoscere l’esito delle indagini della magistratura, non è accettabile quanto è stato comunicato (cfr. Corriere della sera del 13 gennaio 2004) in merito all’inchiesta della Regione Lombardia secondo cui «la sanità è senza colpe». Difatti, non è sufficiente affermare che la signora «non rimase mai senza cure», ma occorrerebbe sapere se le prestazioni fornite erano adeguate alle sue esigenze. Occorre tenere conto che la dottoressa del pronto soccorso di Cantù ha insistito, a nostro avviso lodevolmente, nel ricercare un posto letto in rianimazione, evidentemente perché questa era una prestazione indispensabile.

Un altro caso di malasanità lombarda (Cfr. La Stampa del 12 gennaio 2004) è stato riferito da Angiola Tremonti, sorella del Ministro Giulio: «La notte del 29 ottobre un consigliere comunale di Cantù è stato colpito da un ictus durante una seduta. Al pronto soccorso cittadino la Tac ha confermato l’ictus, ma i medici non hanno trovato un posto libero nei reparti di rianimazione degli ospedali di Como, Varese e Lecco. Ho lavorato in un pronto soccorso e anche per la Croce Rossa, non potevo restare a guardare. Ho chiesto a un consigliere amico di ascoltare in viva voce la telefonata con la rianimazione di Lecco. Al medico di guardia mi presento come la sorella di Tremonti. Il medico dice che forse alla chiamata aveva risposto erroneamente un infermiere e che il posto letto c’è!».

 

 

UTILIZZO DELLA LEGGE 241/1990 SULLA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA

 

Segnaliamo nuovamente l’estrema importanza dell’utilizzo della legge sulla trasparenza amministrativa.

1. Si ricorda che, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto all’accesso ai documenti amministrativi”, gli enti pubblici (Comuni, Comunità montane, Province, Asl, ecc.) sono obbligati a comunicare ai cittadini: le notizie relative ai procedimenti che li riguardano; il nominativo del funzionario responsabile del procedimento stesso; l’ufficio in cui è possibile prendere visione degli atti.

Allo scopo, è indispensabile che la persona interessata rivolga al responsabile dell’ente pubblico (Sindaco, Presidente della Provincia, Direttore generale dell’Asl, ecc.) istanza, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno inserendo la seguente frase: «Ai sensi e per gli effetti della legge 241/1990, lo scrivente chiede che gli venga fornita una risposta scritta, di conoscere il nominativo del funzionario incaricato del procedimento e di sapere presso quale ufficio deve rivolgersi per prendere visione degli atti». La mancata risposta da parte del responsabile dell’ente pubblico, che deve essere fornita in genere entro e non oltre 30 giorni dalla data in cui l’istanza è stata recapitata, è penalmente perseguibile.

2. Si segnala, altresì, che la legge 241/1990 stabilisce che: «Al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi». Ai sensi dello stesso articolo: «È considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa». Il diritto di accesso è previsto «nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi». Infine, si ricorda che «il diritto di accesso si esercita mediante esame di estrazione di copia dei documenti amministrativi». Mentre l’esame è gratuito, il rilascio della copia «è subordinato soltanto al rimborso del costo d riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e visura».

 

 

LE ASSOCIAZIONI ALZHEIMER ASSEGNANO AI CONGIUNTI DEI MALATI ONERI INESISTENTI

 

L’associazione Alzheimer Italia ha pubblicato nelle scorse settimane la seconda edizione del “Manuale per prendersi cura del malato di Alzheimer”. Dobbiamo nuovamente rilevare la presenza delle indicazioni gravemente fuorvianti già da noi segnalate (1). Inspiegabilmente non sono indicate le iniziative, peraltro assai semplici (2), che i congiunti dei malati possono mettere in atto al fine di evitare le dimissioni dagli ospedali e dalle case di cura private convenzionate nei casi in cui per qualsiasi motivo non siano praticabili le cure domiciliari o non sia garantito il trasferimento diretto del paziente in un’altra struttura sanitaria o in una Rsa.

Nel capitolo “Doveri di assistenza familiare” sono ripetute le ingannevoli affermazioni già espresse nella precedente edizione. Infatti, viene assurdamente sostenuto che «se vi è una grave patologia invalidante come la malattia di Alzheimer, l’osservanza del dovere di assistenza familiare scaturante dalla norma penale appena citata (l’art. 570  del codice penale, n.d.r.) implica la necessità che il familiare obbligato (agli alimenti, n.d.r.) contribuisca alle spese per le cure mediche e per l’assistenza, nonché che si assicuri, a mezzo di costanti rapporti personali, dell’effettivo stato di bisogno materiale e morale del familiare: ciò anche se quest’ultimo ricevesse comunque un’assistenza da altro familiare o da terzi».

È, invece, arcinoto che, come d’altronde è precisato in un altro capitolo dello stesso manuale, che le cure sanitarie devono essere fornite gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.

È, altresì, risaputo che i congiunti delle persone malate, comprese quelle conviventi, non hanno alcun obbligo giuridico di svolgere le funzioni che le leggi vigenti hanno attribuito al Servizio sanitario nazionale. Che si tratti di un intervento chirurgico o della cura di qualsiasi patologia, la competenza è della sanità e non dei congiunti.

È ovvio che vanno favorite le cure domiciliari, ma la loro attuazione non costituisce un obbligo dei parenti dei malati: si tratta, infatti, di una attività - particolarmente lodevole - di volontariato intrafamiliare. Osserviamo, infine, che anche in questa edizione nulla viene segnalato in merito alle procedure gratuite relative all’interdizione ed alla conseguente nomina del tutore, procedure in atto da molti anni che consentono risparmi consistenti (anche di 3-4 mila euro) alle famiglie già duramente colpite dalla presenza di un congiunto malato (3).

 

 

AUMENTARE LE PENSIONI DEI BENESTANTI?

 

Migliaia di coltivatori diretti hanno partecipato a Roma il 25 novembre 2003 alla manifestazione organizzata dalla Conferenza italiana agricoltori per chiedere che la loro pensione di vecchiaia di 402,12 euro al mese (per 13 mesi) venga aumentata in quanto, come riferito da La Stampa del 23 novembre 2003, l’importo è «al di sotto della stessa soglia di povertà fissata in 488 euro mensili» (per 12 mesi).

Ancora una volta il problema dell’integrazione delle pensioni a livello del minimo necessario per vivere viene presentato indipendentemente dai beni mobili ed immobili di proprietà. Si tratta – com’è evidente – di una posizione non avente nessuna giustificazione di natura sociale.

Non abbiamo dubbi di sorta sulla necessità dell’erogazione di pensioni e delle eventuali integrazioni nei casi in cui il loro importo sia insufficiente ad assicurare condizioni accettabili di vita. Ma proprio per il raggiungimento del suddetto obiettivo, tenuto conto che le risorse pubbliche non sono illimitate, continuiamo a ritenere che gli aiuti socio-economici debbano essere forniti esclusivamente alle persone ed ai nuclei familiari in condizioni di bisogno. Per l’integrazione al minimo delle pensioni Inps, come abbiamo segnalato più volte su Prospettive assistenziali, lo Stato spende oltre 22 miliardi di euro all’anno.

Ancora una volta, lo ripetiamo, si tratta di una provvidenza giusta per coloro che non dispongono di altre risorse; è, invece, profondamente sbagliato se i sussidi vengono elargiti ai benestanti.

 

 

(1) Cfr. “I diritti negati: l’inquietante manuale della Fede­razione Alzheimer Italia”, Prospettive assistenziali, n. 130, 2000.

(2) Come più volte è stato riferito su questa rivista, le dimissioni da ospedali e da case di cura convenzionate dei malati di Alzheimer e degli altri soggetti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza possono essere evitate con il semplice invio di due raccomandate con avviso di ritorno indirizzate al Direttore generale dell’Asl competente in base alla residenza della persona inferma e al Direttore sanitario della struttura in cui è ricoverata.

(3) Cfr. C. Sessano, “Un’esperienza innovativa in materia di soggetti con handicap gravissimo e di malati di Alzheimer”, Ibidem, n. 138, 2002.

 

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