Prospettive assistenziali, n. 145, gennaio-marzo 2004

 

 

IL DOPO DI NOI: PERCHé NON SONO UTILIZZATE LE DISPOSIZIONI VIGENTI?

 

Come avevamo già rilevato su Prospettive assistenziali (1), la questione del “Dopo di noi”, e cioè degli interventi necessari per l’assistenza dei soggetti privi di sostegno familiare e non autonomi a causa di gravi handicap, è stata affrontata sul piano legislativo da oltre un secolo.

Infatti, il regio decreto 19 novembre 1889, n. 6535, imponeva ai Comuni l’obbligo di provvedere al ricovero degli inabili al lavoro. Ai sensi dell’art, 2 del suddetto regio decreto erano «considerate come inabili al lavoro le persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o intellettuali, non possono procacciarsi il modo di sussistenza».

 

Le disposizioni vigenti

Le sopra citate norme sono state inserite negli ancora vigenti articoli 154  e 155 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.

L’art. 154 stabilisce quanto segue: «Le persone riconosciute dalle autorità locali di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi proficuo lavoro e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti tenuti per legge agli alimenti e in condizioni di poterli prestare sono proposte (...) per il ricovero in un istituto di assistenza o beneficenza del luogo o di altro Comune (...)».

Come ha evidenziato il giurista Massimo Dogliotti (2)  «gli articoli 154 e 155 del testo unico di pubblica sicurezza non sono mai stati abrogati, né lo potevano essere da una legge quadro sull’assistenza, stante la diversità dei fini perse-
guiti»
(3).

Ne consegue che ancora attualmente i soggetti con handicap aventi limitata o nulla autonomia e privi di mezzi economici sufficienti per vivere hanno il diritto di pretendere dai Comuni di essere assistiti.

Purtroppo le sopra citate disposizioni del regio decreto 773/1931 prevedono solamente il ricovero, che – com’è ovvio – dovrebbe essere attuato, esclusivamente qualora questo intervento sia inevitabile, presso comunità alloggio di 8-10 posti al massimo e non presso i tradizionali istituti-ghetto.

Mentre – com’è ovvio – occorrerebbe che i Comuni predisponessero i servizi alternativi al ricovero, la procedura per ottenere la prestazione residenziale è la seguente:

1. segnalazione da parte del soggetto interessato, del suo tutore o di chiunque (comprese le associazioni di volontariato) della necessità di ricovero, effettuata con lettera raccomandata A/R, indirizzata all’autorità di pubblica sicurezza del luogo in cui risiede la persona con limitata o nulla autonomia e priva di mezzi economici occorrenti per l’intera corresponsione della retta di ricovero presso una struttura pubblica o privata;

2. in base alle norme vigenti (art. 25 della legge 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) l’autorità di pubblica sicurezza non dovrebbe più invitare (come era previsto dal sopra menzionato regio decreto 773/1931) i parenti, tenuti agli alimenti ai sensi degli articoli 433 e seguenti del codice civile, ad intervenire sul piano economico (4). In ogni caso, i congiunti di cui sopra possono ignorare l’invito loro rivolto dall’autorità di pubblica sicurezza di provvedere al versamento degli alimenti senza subire conseguenze di alcun genere (5);

3. se non è in possesso della relativa documentazione, l’autorità di pubblica sicurezza deve chiedere all’Asl di attestare la condizione di inabilità del soggetto interessato;

4. ricevuta la certificazione di cui sopra, l’autorità di pubblica sicurezza è obbligata a segnalare la situazione della persona inabile al Sindaco del luogo in cui la persona si trova;

5. il Sindaco deve provvedere mediante l’inserimento del soggetto in una struttura gestita dal Comune o da altro organismo, salvo che concordi con il soggetto stesso (o il suo tutore) un altro idoneo intervento. L’inosservanza dell’obbligo di assistenza da parte del Sindaco è penalmente perseguibile (6).

La vigenza degli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 e l’efficacia della procedura sopra indicata sono confermate dall’iniziativa assunta dai signori A. D. e G. D. con l’appoggio dell’Utim, Unione per la tutela degli insufficienti mentali, nei confronti del Cisa 12, Consorzio in­tercomunale di Candiolo, Nichelino, None e Vinovo (7).

 

Irragionevolmente ignorate le vigenti disposizioni

Invece di promuovere l’attuazione delle leggi vigenti (se il Comune rifiuta di intervenire, per mettere in moto la procedura sopra indicata è sufficiente l’invio all’autorità di pubblica sicurezza di una raccomandata A/R allegando – se possibile – un certificato di invalidità), alcune associazioni hanno costituito strutture per garantire le prestazioni residenziali ai soggetti con handicap grave privi di sostegno familiare.

Citiamo, ad esempio, la fondazione “Dopo di noi” costituita dall’Anffas «soprattutto per dare una risposta concreta a quei genitori desiderosi di lasciare al figlio disabile il proprio alloggio o altri beni, richiedendo in cambio la garanzia che “qualcuno” si interessi materialmente e moralmente al figlio orfano» (8).

L’iniziativa dell’Anffas viene motivata dalla asserita «mancanza di una legislazione che risponda ai bisogni globali della persona disabile» (9), mentre, come abbiamo precisato in precedenza, fin dal 1889 (sono trascorsi più di 110 anni!) sono in vigore norme che obbligano i Comuni a provvedere al ricovero dei soggetti, compresi quelli colpiti da handicap, privi di sostegno familiare e dei mezzi necessari per vivere.

Anche la rivista Famiglia oggi (10) non tiene conto della sopra ricordata vigente legislazione. Infatti, viene affermato che la «preoccupazione di assicurare un domani sereno al disabile quando rimarrà senza genitori è uno dei tanti problemi senza risposta che ancora attendono una soluzione, lasciando centinaia di famiglie nell’angoscia del domani».

Analoga alla precedente la posizione del Centro di servizio per il volontariato di Reggio Emilia, come risulta dall’articolo “Dopo di noi. Non più figli di un dio minore” di Anna Ganapini apparso sul n. 10, ottobre 2003, di Dar Voce, pubblicazione del suddetto Centro.

Certamente nel settore dei soggetti deboli, non sono mai esistite né mai vi saranno, leggi che si applicano da sole per cui sarebbe necessario che le persone e le organizzazioni interessate incominciassero ad utilizzare le norme disponibili, sia per la risoluzione dei problemi contingenti, sia per premere sulle autorità per le occorrenti modifiche.

 

L’assurda iniziativa del Comune di Roma

Come risulta dall’articolo “Handicap: dopo di noi” (No Limits - l’Unità, n. 3, gennaio 2004), il Comune di Roma in data 23 ottobre 2003 ha
deliberato la costituzione della fondazione “Handicap: dopo di noi”, che «si prefigge di dare una certezza di assistenza a circa 230 disabili in lista di attesa per essere inseriti in una casa famiglia».

In merito all’iniziativa, è estremamente singolare che il Comune di Roma intervenga mediante una fondazione, sulla base del principio – assurdamente condiviso anche dalle organizzazioni di tutela dei soggetti con handicap – della inesistenza di disposizioni di legge che, invece, sono vigenti, come abbiamo visto, da oltre 110 anni e che obbligano i Comuni a garantire le necessarie prestazioni residenziali ai soggetti incapaci di provvedere autonomamente alle loro esigenze, comprese le persone colpite da minorazioni fisiche e intellettive.

Per la fondazione il Comune di Roma ha stanziato la somma di euro 100 mila, somma che è assolutamente insufficiente. Difatti, per la creazione di una comunità alloggio (acquisto dei locali e loro arredamento), l’importo è di circa 400-500 mila euro, mentre per la gestione si devono cal­colare circa 100 euro al giorno per ciascun soggetto e cioè approssimativamente 36 mila euro annui (11).

 

Il distanziamento: un valore buono

Sul citato numero di Famiglia oggi Francesco Belletti, Direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia), riaffermata «la centralità della famiglia come soggetto/risorsa di cura per i propri membri disabili», osserva giustamente che «quando il sistema familiare deve misurarsi con la condizione adulta del figlio disabile e con l’affievolirsi delle capacità di cura dei genitori, urge prestare molta attenzione alle dinamiche interne della famiglia».

Allo scopo propone il «distanziamento come valore buono anche nei confronti di un figlio disabile» e quindi «l’attivazione di percorsi di accompagnamento alla famiglia, nell’elaborare questo suo poter essere trampolino di lancio per l’uscita del figlio».

Di conseguenza, secondo Belletti, la questione del “Dopo di noi” deve essere «avviata in anticipo rispetto all’emergenza del momento in cui i genitori non ce la fanno più».

 

 

(1) Cfr. “L’Anffas, le leggi vigenti e ilDopo di noi’”, Prospettive assistenziali, n. 115, 1996.

(2) Cfr. Massimo Dogliotti, “I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà...pericolosi per l’ordine pubblico’ hanno ancora diritto ad essere assistiti dai Comuni”, Ibidem, n. 135, 2001.

(3) Alla richiesta da noi avanzata in data 6 ottobre 2003, l’Ufficio “Testi normativi” della Camera dei Deputati ha riferito che gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 non risultano abrogati.

(4) Infatti, come abbiamo riferito più volte su questa rivista, i contributi economici non possono essere richiesti né ai parenti non conviventi degli assistiti maggiorenni, né a quelli conviventi qualora si tratti di soggetti con handicap grave o di ultrasessantacinquenni non autosufficienti.

(5) Cfr. Massimo Dogliotti, op. cit.

(6) Ovviamente sarebbe auspicabile che le leggi regionali e le delibere dei Comuni singoli e associati prevedessero il superamento dell’intervento dell’autorità di pubblica sicurezza, stabilendo un percorso diretto fra il cittadino in difficoltà e l’ente erogatore dei servizi socio-assistenziali.

(7) Cfr. “Come abbiamo procurato un ricovero d’emergenza a un nostro congiunto colpito da grave handicap intellettivo”, Ibidem, n. 123, 1998.

(8) Cfr. il sito http://www.anffas.net/pagine_anffas/dopo di noi.

(9) Ibidem.

(10) Cfr. l’editoriale del n. 10, ottobre 2003.

(11) In merito alle comunità alloggio, si veda in questo numero la nota “Perché non viene richiesto dall’Usl 7 di Pieve di Soligo l’attuazione della legge 179/1992 per le strutture abitative dei soggetti con handicap?”.

 

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