Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre 2003

 

 

PIANO DEL GOVERNO PER I SOGGETTI IN ETÀ EVOLUTIVA: MOLTE PROMESSE E NESSUN NUOVO DIRITTO

 

 

Numerose sono le valutazioni, valide però solo sul piano teorico, presenti nel “Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2002-2004”, il cui testo è reperibile nel sito http://www.governo.it/governoinforma/dossier/piano_infanzia_2000_2004/ (1).

 

Una premessa pienamente condivisibile

Non si può non essere d’accordo con l’affermazione contenuta nel Piano che «individua il punto di partenza di ogni azione politica tesa a costruire una società sempre più rispettosa della dignità di ogni persona nel riconoscimento e nella tutela dei diritti delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità per affrontare la realtà in modo responsabile e positivo».

Allo scopo «l’attenzione speciale che le istituzioni devono dedicare ad un programma di interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza va necessariamente orientata verso una svolta culturale di ridefinizione e riqualificazione dei “servizi alla persona” sotto il profilo della solidarietà, della cooperazione, della promozione e del sostegno con contenuti innovativi e ampliativi dei diritti fondamentali».

Di conseguenza «i minori che versano in situazione di disagio socio-familiare, quelli disabili, affetti da malattie croniche, sieropositivi, tossicodipendenti, ecc. sono portatori di “diritti”; pertanto la realizzazione dei servizi che garantiscono tali diritti non si iscrive tra i meriti e le innovazioni dell’amministrazione pubblica, ma fra i “doveri” la cui inosservanza deve essere sanzionata».

 

Il diritto del minore a crescere in una famiglia

Nel Piano viene sostenuta l’esistenza di un «diritto prioritario del minore a vivere, a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» (2), e si afferma che si tratta di un «diritto costituzionale garantito e rafforzato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149» che ha modificato le norme della legge 184/1983 sull’adozione e l’affido.

Purtroppo, non è così! Infatti, le leggi 328/2000 e 149/2001 non prevedono alcun diritto esigibile a favore dei nuclei familiari aventi difficoltà di natura socio-economica (ad esempio, a causa della disoccupazione), nemmeno per quanto concerne le prestazioni rivolte ad assicurare una adeguata crescita dei loro figli (3).

Non sono stabiliti diritti azionabili nemmeno per gli affidamenti familiari di minori a scopo educativo e per il sostegno di coloro che adottano fanciulli malati o colpiti da handicap.

Come avevamo segnalato al Governo e al Parlamento precedenti a quelli attuali, confermiamo il nostro giudizio negativo sulla legge 149/2001, perché le nuove norme hanno determinato – conseguenza facilmente prevedibile – un netto peggioramento a danno dei bambini senza famiglia (4).

Infatti, non rispettando l’interesse dei minori ad avere genitori giovani, la differenza di età fra adottandi e adottanti non solo è aumentata rispetto ai 40 anni previsti dalla legge 184/1983, ma è addirittura consentita l’adozione quando il limite di età viene superato da un adottante in una misura che può anche essere di dieci anni.

In certi casi, l’adozione è, altresì, ammessa dalla legge 149/2001 a favore di adottanti, senza prevedere alcun loro limite di età (5).

Da notare che la legge 149/2001 ha ampliato le possibilità di adozione da parte degli adottanti anziani, nonostante che le domande di adozione di minori italiani fossero di gran lunga superiori rispetto ai fanciulli dichiarati adottabili e che solo circa il 50% dei coniugi riconosciuti idonei dai Tribunali per i minorenni per l’adozione di fanciulli stranieri potesse accogliere i bambini  a causa, anche in questo caso, dell’insufficiente disponibilità numerica di quest’ultimi.

Risulta, pertanto, non conforme alla verità quanto affermato nel Piano, secondo cui la legge 149/2001 «individua i presupposti per l’attuazione del diritto alla famiglia nella crescita, nella condizione della vita e nell’educazione del minore nell’ambito prioritario della famiglia di origine, senza limitazioni e ostacoli; esso è riconosciuto anche ai minori che vivono in famiglie che versano in condizioni di indigenza e di temporanea difficoltà».

 

L’importanza della famiglia

Confuse sono le indicazioni del Piano riguardanti il ruolo della famiglia. Da un lato viene giustamente affermato che «la famiglia italiana reclama una protezione reale, concreta attraverso il soddisfacimento dei suoi bisogni primari; reclama, altresì, un intervento pubblico discreto e al tempo stesso partecipante. L’intervento del settore pubblico deve poter consentire alla famiglia di essere protagonista nelle iniziative che la riguardano e di decidere le soluzioni nelle situazioni di disagio, diventando soggetto attivo di fronte ai propri bisogni».

Asserito quanto sopra, il Piano contiene una gravissima affermazione. Viene, infatti, sostenuto che «l’ingerenza statale nell’applicazione dei supporti offerti alle famiglie in difficoltà ha spesso sconfinato in situazioni di conflitto e “l’aiuto” ha provocato forti tensioni nei ceti sociali più deboli».

A parte il fatto – estremamente grave – che nel documento non sono fornite le indicazioni occorrenti per accertare l’attendibilità delle situazioni denunciate, non riteniamo giustificata la suddetta valutazione.

A nostro avviso, pur non ignorando le carenze dei servizi (6), le esperienze ultratrentennali del Csa e del relativo Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, ci portano ad affermare ancora una volta che la carenza più vistosa è rappresentata dalla quasi totale assenza di diritti esigibili riconosciuti alle persone deboli e dalla negazione ai gruppi di volontariato della possibilità di agire sul piano giurisdizionale, con il consenso dei soggetti in difficoltà, a tutela delle loro esigenze.

Precisato quanto sopra, non vorremmo che le accuse rivolte ai servizi pubblici nascondessero l’intenzione, già presente nel Libro bianco sul welfare, di scaricare in tutta la misura del possibile sulle famiglie responsabilità attualmente di competenza del settore pubblico (7).

 

Famiglie e nuclei familiari

Anche in questo Piano si fa sempre e solo riferimento alla famiglia, che il nostro ordinamento giuridico considera tale quando è fondata sul matrimonio.

Nulla viene detto circa i nuclei familiari non costituiti sulla base del matrimonio, anche se, com’è ovvio, i minori appartenenti a detti gruppi, da alcuni ancora definiti “illegittimi”, hanno le stesse esigenze dei fanciulli “legittimi”. Da notare che, da molti decenni, anche i minori nati fuori del matrimonio devono essere assistiti qualora ne abbiano l’esigenza (cfr. la nota 3).

A favore del riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, comprese quelle senza famiglia, si è espressa la Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali (8) che, in merito al Libro bianco sul welfare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha precisato quanto segue: «Al centro del concetto di sviluppo umano c’è infatti la persona, di cui va evidenziato il valore, quale che sia la sua rilevanza nel sistema economico e nei processi produttivi. La persona trova la sua naturale dimensione relazionale nella famiglia, la quale contribuisce all’edificazione della società. È la persona, secondo il dettato costituzionale, per cui è portatrice di diritti anche quella che non dispone di una famiglia. E ciò anche in riferimento alla tutela dei diritti dei nati fuori del matrimonio (articoli 30 e 31 della Costituzione)» (9).

 

Una accusa gravissima rivolta alla magistratura minorile

 

Nel Piano è contenuta la seguente gravissima dichiarazione: «Alcuni casi giudiziari che hanno avuto ad oggetto il drammatico distacco di minori dalle loro famiglie a causa della povertà hanno certamente ispirato il legislatore nella formazione dell’art. 1 della legge 149/2001».

La pesantissima accusa rivolta alla magistratura minorile circa l’allontanamento di minori dalle loro famiglie di origine, motivato dalla povertà dei genitori, avrebbe dovuto essere supportata da precisi riferimenti, in modo da rendere possibile le opportune verifiche.

Non vorremmo che le critiche avessero lo scopo di appoggiare la campagna della Lega e del Ministro della giustizia Castelli diretta alla soppressione dei tribunali per i minorenni (10).

 

Ingiustificate inadempienze

Appare ancora più strana la sopra riportata accusa alla magistratura minorile, se si tiene conto che il Ministro Castelli non ha finora compiuto gli atti necessari per garantire, come stabilisce la legge 149/2001, la presenza del “difensore del minore” nei procedimenti di adottabilità e di potestà genitoriale, richiesta avanzata sia dall’Associazione italiana magistrati per i minorenni e la famiglia, sia da numerose organizzazioni di base: Anfaa, Ciai, Amici dei bambini, Cies, Unicef Italia, ecc. (11).

Inoltre, il Ministro Castelli non ha fino a questo momento dato attuazione all’art. 40 della legge 149/2001, che prevede quanto segue: «Per le finalità perseguite dalla presente legge è istituita, entro e non oltre centottanta giorni dalla data della sua entrata in vigore, anche con l’apporto dei dati forniti dalle singole Regioni, presso il Ministero della giustizia, una banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all’adozione nazionale e internazionale, con indicazione di ogni informazione atta a garantire il miglior esito del procedimento. I dati riguardano anche le persone singole disponibili all’adozione in relazione ai casi di cui all’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall’art. 25 della presente legge. La banca dati è resa disponibile, attraverso una rete di collegamento, a tutti i tribunali per i minorenni e deve essere periodicamente aggiornata con cadenza trimestrale».

L’istituzione della prevista banca dati è della massima importanza anche perché consentirebbe - finalmente - di sapere chi e quanti sono i minori dichiarati adottabili e non adottati. Negli anni scorsi sono state alcune migliaia di fanciulli. Si tratta, in particolare, di soggetti colpiti da handicap o da malattie gravi o grandicelli, per il cui inserimento familiare sarebbe necessaria una azione più incisiva dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali.

 

Il sostegno alla genitorialità inadeguata

Il Piano asserisce che «fino ad oggi la famiglia giudicata inadeguata o inidonea è stata completamente abbandonata a se stessa e sostanzialmente punita con l’allontanamento dei figli senza una precisa politica di “prevenzione cura e recupero”».

In precedenza, però, nello stesso testo del Piano, era stato sostenuto che «il Governo riconosce l’importanza e la ricchezza dei risultati ottenuti dalle precedenti politiche sociali su temi che riguardano i diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza».

Semplicemente declamatorie e indice di una superficiale conoscenza del problema e delle esperienze finora condotte, sono le proposte di intervento contenute nel Piano che riportiamo integralmente: «È assolutamente necessario ridurre i casi di abbandono dei minori attraverso una campagna di sensibilizzazione sull’importanza del patrimonio che questi ultimi rappresentano e attuare una prevenzione radicalizzata nel metodo e nell’impostazione. Madri e padri che trascurano e maltrattano i figli spesso sono a loro volta vittime di violenze subite, di degrado o sottocultura. Sono situazioni che vanno analizzate con spirito attento e mai punitivo. È auspicabile che si possa offrire a questi genitori forme di sostegno affettivo, sensibilizzando le loro famiglie di origine, offrendo vie d’uscita con una assistenza diretta al cuore del problema. Strumenti efficaci sono le forme di “affido familiare allargato” che affiancano alla funzione di cura del minore quella di sostegno dei suoi genitori. Si tratta di progetti sperimentali che vedono nella rete associativa di famiglie il principale protagonista. Una famiglia che si faccia carico di un’altra famiglia è la realizzazione di una piena solidarietà».

È assurda la proposta di scaricare tutte le azioni di sostegno dei nuclei familiari multiproblematici sulle famiglie affidatarie.

Premesso che fin dal 1971, anno in cui la Provincia di Torino istituì su richiesta dell’Anfaa e dell’Ulces il primo servizio italiano di affidamento familiare a scopo educativo, era ben presente la necessità di sostenere anche i genitori d’origine, è assolutamente fuori dalla realtà ritenere che non vi siano situazioni – purtroppo abbastanza numerose (violenze anche sessuali, maltrattamenti fisici, grave disinteresse, ecc.) – in cui il minore deve essere allontanato al più presto possibile dal suo nucleo familiare.

Nelle situazioni di cui sopra, va ringraziata (a nome soprattutto dei bambini) la magistratura minorile tutte le volte che, sulla base di prove oggettive, ha assunto e assume decisioni rapide e radicali per separare i fanciulli dai genitori violenti o gravemente incapaci. Coloro che hanno accolto questi minori in affidamento possono confermare la gravità delle conseguenze subite dai minori, ovviamente tanto più nefaste quanto maggiore è stata la durata della permanenza in famiglia.

Certamente occorre intervenire a livello preventivo in tutta la misura del possibile. Ma la prevenzione non consiste tanto nell’offrire ai genitori violenti o gravemente negligenti «forme di sostegno affettivo sensibilizzando le loro famiglie d’origine, offrendo vie d’uscita con una assistenza diretta al cuore del problema», ma eliminando le cause dell’emarginazione sociale: disoccupazione e sottoccupazione, evasione dell’obbligo scolastico, mancanza di una abitazione adeguata, carenza di idonei interventi sanitari e sociali nei riguardi dei soggetti con disturbi psichici e dei tossicodipendenti, ecc.

Il rispetto dovuto ad ogni persona non può mai comportare la sofferenza dei soggetti più deboli, in particolare dei figli.

Risultano, pertanto, assolutamente inadeguate le proposte contenute nel Piano circa “La tutela delle famiglie e dei minori in difficoltà”, allorquando viene affermato che per superare il malessere delle famiglie, spesso sole e impotenti, «la strada privilegiata per raggiungere tali situazioni è quella di favorire forme naturali di aiuto offerto da reti familiari di mutuo aiuto, da associazioni di famiglie o realtà che praticano l’assistenza domiciliare di tipo educativo e relazionale».

 

Ignorate le posizioni assunte nel corso della predisposizione della legge 328/2000

 

Gli estensori del Piano e le forze di Governo che l’hanno approvato non hanno nulla da rimproverarsi circa le disposizioni della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza che non garantiscono alcun sostegno obbligatorio alle persone ed ai nuclei familiari in difficoltà?

La rete di solidarietà, se rivolta al riconoscimento dei diritti fondamentali dei soggetti disagiati, ha un alto valore; se, invece, si limita a fornire consolazione a coloro che sono privi dei mezzi indispensabili per vivere (casa, lavoro, ecc.), il suo ruolo è miseramente solo quello di sostenere le ingiustizie sociali.

 

Il principio di sussidiarietà

A nostro avviso, come ripetiamo da anni, la sussidiarietà, come anche la solidarietà, ha un senso positivo solamente se i riferimenti sono le esigenze vitali ed i diritti fondamentali di tutti i cittadini, compresi evidentemente quelli incapaci di autodifendersi.

Poiché è incontrovertibile che i diritti possono essere sanciti solo da leggi o da altri provvedimenti della pubblica autorità, la sussidiarietà può essere messa in atto esclusivamente nell’ambito degli interventi che realizzano l’attuazione dei diritti riconosciuti ai cittadini.

Ad esempio, se la legge riconosce il diritto alle cure sanitarie, la concreta messa in atto delle relative prestazioni può essere disposta dal settore pubblico o direttamente o tramite enti privati, fermo restando che, nei casi in cui non ricevesse le prestazioni previste dalla legge, il cittadino ha l’effettiva possibilità di citare in giudizio l’organismo responsabile e cioè l’ente pubblico.

Inoltre, risulta evidente che non si può parlare di sussidiarità nei casi in cui le prestazioni sono fornite a titolo di beneficenza e cioè sulla base dei criteri del tutto discrezionali stabiliti dal benefattore pubblico o privato.

Risulta, quindi, inaccettabile quanto previsto dal Piano e cioè che, per l’attuazione del principio della sussidiarietà, occorrerebbe «favorire la nascita di servizi e opportunità in cui sia effettivamente documentato l’incontro fra bisogno (del minore e della famiglia) e il soggetto pubblico o privato che offre le proprie risorse e capacità per rispondere al bisogno».

Infatti, nell’impostazione suddetta il cittadino non avrebbe alcun strumento a cui riferirsi nel caso in cui  i soggetti pubblici o privati non intervenissero.

Di conseguenza, si cadrebbe nuovamente in una situazione di beneficenza in cui la persona
in condizioni di bisogno riceve le prestazioni esclusivamente quando l’ente erogatore ritiene opportuno, a suo insindacabile giudizio, di provvedere.

 

Interventi legislativi previsti nel 2003-2004

Pur non essendo stabilito alcun impegno concreto, riportiamo l’elenco dei principali interventi legislativi ipotizzati per «l’attuazione dei principi individuati in questo Piano di azione:

– «una normativa che integri l’attuale normativa a sostegno della maternità e paternità, anche in riferimento alla famiglia adottiva e affidataria e che elimini la discriminazione in materia di congedi parentali per genitori adottivi e affidatari»;

– la richiesta da parte del Governo alle Regioni «ad emanare leggi inerenti le politiche sociali per la famiglia che ne promuovano i diritti e i doveri a partire dai loro bisogni di essere e di fare famiglia, dando aiuti concreti per lo sviluppo e l’inserimento dei compiti genitoriali» (12),

– l’invito rivolto agli enti locali affinché approvino i piani di zona;

– l’attuazione da parte del Governo della «Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori fatta a S. Pietroburgo il 25 gennaio 1996» (13).

 

Azioni di sistema

Il Piano prevede, inoltre, una serie di “azioni di sistema” aventi lo scopo «di assicurare una corretta percezione dei bisogni del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia e di rendere le istituzioni capaci di predisporre tempestivamente adeguate risposte».

Nel Piano viene segnalato che «il Governo assume i seguenti impegni» che riportiamo integralmente (14):

«1. rafforzare il coordinamento delle azioni relative alle politiche dell’infanzia e dell’adolescenza nell’ambito dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza;

«2. realizzare il sistema informativo nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza;

«3. monitorare e valutare la spesa sociale e la qualità dei servizi per famiglie e minori;

«4. garantire a livello nazionale un’azione di monitoraggio delle professioni;

«5. promuovere l’istituzione in ogni Regione di un’anagrafe di tutti i minori fuori dalla famiglia che possa essere uno strumento di analisi costante e di follow up per una verifica delle politiche attuate, con particolare riferimento alla banca dati dei minori dichiarati adottabili;

«6. completare il sistema informativo sul lavoro minorile Istat - Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Organizzazione internazionale del lavoro;

«7. promuovere programmi innovativi che incoraggino le strutture scolastiche e le comunità locali ad adoperarsi per individuare i bambini e gli adolescenti che hanno abbandonato la scuola e il processo d’apprendimento, o che ne sono stati esclusi con particolare attenzione ai minori lavoratori e ai minori disabili;

«8. attivare, nel contesto del rapporto Stato/Regioni, idonei strumenti di interlocuzione e raccordo ai fini dell’attuazione del Piano e di  monitoraggio finalizzato al riordino delle fonti e della quantità delle risorse dedicate alla promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dedicando un’apposita sessione della Conferenza Stato-Regioni alla definizione di linee di intervento condivise;

«9. individuare sistemi di registrazione costanti e omogenei dell’incidenza (numero casi per anno) del fenomeno dell’abuso all’infanzia in tutte le sue forme, con l’adeguata definizione di sub-categorie e degli elementi caratterizzanti e avviare un’organica ricerca “retrospettiva” sulle vittime di abuso sessuale (analisi della prevalenza);

«10. attivare tempestivamente forme di raccolta dati che definiscano con precisione i contorni del problema della violenza assistita intrafamiliare e che ne diano una quantificazione;

«11. proteggere l’infanzia del mondo attraverso: a) il rafforzamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo destinate ai minori, realizzando un efficace coordinamento operativo tra le istituzioni, un aumento delle risorse destinate ai minori per iniziative di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo e nei Paesi ad economia di transizione, iniziative di educazione allo sviluppo e di cooperazione decentrata in Italia, un’indagine conoscitiva e una mappatura degli interventi, una valutazione di impatto delle attività rivolte ai minori, un aggiornamento delle linee guida della cooperazione italiana sulle tematiche minorili; b) la revisione dei criteri con cui si realizzano i soggiorni di minori stranieri dell’Est europeo, che trascorrono in Italia alcuni mesi all’anno, e verificare la possibilità di realizzare progetti di sostegno a distanza e di cooperazione internazionale mirati a creare nel loro Paese migliori condizioni complessive di vita ed il superamento della loro istituzionalizzazione. Il Governo si impegna a promuovere un’attenta valutazione preventiva dell’idoneità delle famiglie di accoglienza, poiché accanto a famiglie capaci vi possono essere persone inidonee, che tuttavia non sono sottoposte a nessun vaglio della loro capacità né dai servizi locali che da altri. Inoltre spesso tali soggiorni sono utilizzati per aggirare l’attuale normativa in tema di adozione internazionale, sia per “scegliere” il bambino gradito (rispedendo eventualmente al mittente dopo un primo periodo di accoglienza quello accolto prima e risultato non gradito) sia per precostituire situazioni di fatto dirette a forzare le decisioni dei giudici minorili sia italiani che stranieri; c) lo studio, anche attraverso la modifica degli indirizzi del Cipe, dell’allargamento delle aree di intervento da parte della cooperazione allo sviluppo in quei paesi da dove provengono in massima parte i bambini e gli adolescenti a rischio di traffico internazionale; d) il monitoraggio rigoroso della presenza di minori stranieri in Italia; e) la promozione di programmi volti a diffondere l’educazione alla multiculturalità, sia in ambito scolastico, sia più in generale nel tessuto sociale, anche attraverso l’inserimento dei mediatori culturali all’interno dei consultori e delle scuole; f) la previsione, a seguito dell’evento bellico in Iraq, di un adeguato stanziamento, nell’ambito del programma di interventi per il rafforzamento della cooperazione per lo sviluppo dell’infanzia nel mondo, a favore degli interventi umanitari per i bambini in zone di
guerra;

«12. monitorare l’applicazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale nell’attivazione dei servizi e delle azioni a favore delle famiglie e dei minori;

«13. favorire la partecipazione dei bambini e degli adolescenti ai processi di elaborazione delle politiche che li riguardano, anche attraverso la previsione della partecipazione di rappresentanti nelle riunioni dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza;

«14. realizzare una programmazione televisiva “a misura di bambino” mediante l’omogeneizzazione dei codici segnaletici e la creazione di un codice segnaletico riferito all’infanzia valido per tutte le televisioni che possa portare alla creazione di un marchio di qualità destinato ai programmi per i più giovani. In materia di rapporto tra mezzi di comunicazione e minori deve essere data piena attuazione alla Risoluzione 8-00036 in materia di rapporto tra tv e minori approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare per l’infanzia il 12 febbraio 2003;

«15. realizzare annualmente, prevedendo i relativi finanziamenti, il riconoscimento “Città sostenibili delle bambine e dei bambini” e il premio per la migliore iniziativa finalizzata a migliorare l’ambiente urbano per e con i bambini, di cui all’art. 17, comma 7, della legge 23 marzo 2001, n. 93, nonché del Forum internazionale “Verso città amiche delle bambine e dei bambini” di cui all’art. 8 del decreto del Ministro dell’ambiente del 25 ottobre 2001, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri, e altresì per promuovere le città sostenibili delle bambine e dei bambini in modo da realizzare città con più servizi e meno violenza, sostenendo i progetti dei Comuni d’Italia che partecipano al premio;

«16. sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dell’eradicazione dell’accattonaggio infantile, individuando specifici strumenti di contrasto e di reinserimento sociale;

«17. dedicare particolare attenzione alla tutela sanitaria, in conformità ai principi del documento conclusivo della sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata all’infanzia, curando in particolare i seguenti profili:

– il benessere materno infantile;

– l’implementazione dei programmi vaccinali nel quadro delle azioni della cooperazione internazionale;

– la creazione di appositi reparti finalizzati alla corretta ospedalizzazione dei bambini (promozione degli ospedali amici dei bambini), in cui sia possibile perseguire il diritto all’istruzione, il mantenimento di spazi da dedicare al gioco, la possibilità di una presenza continuativa dei familiari;

– iniziative per la prevenzione dei comportamenti devianti per la prevenzione e la cura dell’Aids pediatrico e per una corretta alimentazione nell’infanzia e nell’adolescenza, favorendo un’informazione diretta a promuovere sane abitudini alimentari e stili di vita adeguati».

 

Linee guida per gli interventi sul territorio

Le linee guida indicate nel Piano riflettono le deludenti posizioni già segnalate in precedenza, incentrate sulla «solidarietà tra famiglie per la gestione della quotidianità affinché siano le famiglie stesse, associandosi, a trovare risposte idonee ai propri bisogni».

Sono, inoltre, previsti interventi volti a «promuovere iniziative di doposcuola, gestite dai genitori stessi, organizzati in forma cooperativa».

Nei confronti delle famiglie, comprese quelle in difficoltà, nulla viene stabilito nel Piano per quanto concerne le esigenze fondamentali di vita (abitazione, lavoro, sanità, ecc.) come si trattasse di questioni già risolte; è solamente individuata la necessità di «aiutare i genitori ad avere un ruolo propositivo, di “cliente” nei confronti delle istituzioni in generale (scuola, servizi sociali e sanitari, servizi educativi, ecc.), attuando il nuovo paradigma della solidarietà orizzontale, secondo il quale cittadini e amministrazioni stabiliscono rapporti, anche duraturi nel tempo, fondati sulla collaborazione, il rispetto reciproco e l’integrazione, anziché sulla rigida separazione dei ruoli, la diffidenza, la separatezza».

Dunque, l’obiettivo è una situazione idilliaca per le istituzioni. Esse, con la loro forza (strutture organizzative, personale, risorse economiche, ecc.) sono in grado di indirizzare a loro piacimento le scelte dei cittadini, che – com’è risaputo –  non dispongono dei necessari strumenti di rilevazione delle esigenze e di trasmissione delle informazioni concernenti le risposte più opportune.

 

La chiusura degli istituti entro il 2006

Al riguardo, il Piano si limita ad affermare che «il Governo riconosce la necessità di attivare strumenti adeguati a livello legislativo e di intervento finanziario per uno specifico “Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per minori entro il 2006», e che «il Governo si impegna a valutare, nello spirito della legge 149/2001 e tenuto conto della riforma del titolo V della Costituzione, l’opportunità della costituzione di un fondo speciale con apposita dotazione finanziaria a partire dall’anno 2004, al fine di ovviare, di concerto con le Regioni, considerate le peculiarità territoriali, programmi e interventi alternativi all’istituzionalizzazione. Tali programmi e interventi devono sviluppare esperienze innovative di accoglienza e risposte integrative/sostitutive alla famiglia non idonea e assicurare un adeguato sostegno economico ai genitori adottivi di minori di età superiore ai dodici anni o con handicap grave accertato, erogabile fino al raggiungimento della maggiore età dell’adottando e sia di entità congrua alle sue necessità».

In sostanza, precisando, come sopra riportato, che «il Governo riconosce la necessità» e «il Governo si impegna a valutare…», nel Piano non c’è alcun vincolo concreto per la chiusura degli istituti di assistenza di minori entro il 31 dicembre 2006, com’è previsto dalla legge 149/2001.

D’altra parte, nel documento in esame è indicata questa formula del tutto possibilista «per l’attuazione del Piano di chiusura degli istituti è necessario per il Governo impegnarsi a…». Segue l’indicazione delle seguenti possibilità di intervento: «promuovere l’istituto dell’affidamento familiare (…); promuovere l’adozione (…); diffondere lo strumento dell’adozione mite (…) (15); riconoscere particolari requisiti per le realtà comunitarie preposte all’accoglimento di bambini vittime di esperienze traumatiche familiari (…); incentivare comunità in cui è prevista la presenza di famiglie come responsabili educativi (…); favorire la sperimentazione di altre innovative di accoglienza».

L’elenco termina con questa precisazione: «Rendere effettivo il divieto di collocare minori sotto i 6 anni in istituto», divieto che avrebbe dovuto essere attuato dal 1° gennaio 2002 in base alla legge 149/2001.

A questo riguardo va segnalato che non si conosce il numero esatto dei minori attualmente ricoverati negli istituti o ospiti delle comunità: dai dati rilevati dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze (pubblicato nel volume “I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia. Indagine sulle strutture residenziali educativo-assistenziali”) al 30 giugno 1998, risultavano ricoverati in 1.802 strutture assistenziali 14.945 minori, di cui 1.174 portatori di handicap. Al 31.12.1999, secondo gli ultimi dati Istat, i minori presenti nelle strutture residenziali erano ben 28.148! Questo divario, imputabile probabilmente a criteri di rilevazione differenti, richiede l’assunzione di iniziative urgenti da parte delle istituzioni interessate (Ministeri, Istat, ecc.) per un monitoraggio attento di questa drammatica realtà.

Da tempo l’Anfaa e il Coordinamento “Dalla parte dei bambini” richiedono l’istituzione, in ogni Regione, di una anagrafe, consistente nella raccolta continuativa e nella elaborazione dei dati concernenti i minori istituzionalizzati. Il costante aggiornamento di questa rilevazione consentirebbe un monitoraggio continuativo dei minori presenti negli istituti e nelle comunità e una programmazione mirata degli interventi alternativi (aiuti alle famiglie, affidamenti, adozioni, ecc.) (16).

L’art. 2 della legge n. 149/2001 stabilisce che «il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia».

La Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, cui era demandata la individuazione dei criteri in base ai quali le Regioni dovevano provvedere alla definizione degli standard minimi delle comunità di tipo familiare e degli istituti (art. 2, comma 5 della legge 149/2001) ha deliberato in data 28 febbraio 2002 che i criteri erano quelli previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2001, n. 308 riguardante i requisiti delle strutture assistenziali diurne e residenziali, emanato a norma dell’art. 1 della legge n. 328/2000. Purtroppo questo decreto si è limitato a definire, per i minori, comunità di tipo familiare quelle inserite nelle normali case di abitazione con un numero di utenti che non può superare i 6 (art. 3), per le strutture a carattere comunitario è previsto un numero massimo di dieci posti letto  più due per le eventuali emergenze (art. 7).

Non viene però stabilito che queste strutture non devono essere accorpate tra di loro. Una precisazione in tal senso è indispensabile per evitare, come attualmente avviene, che strutture come i villaggi Sos vengano considerate comunità o che possano sopravvivere istituti, come ad esempio il “Mamma Rita” di Monza, organizzato in gruppi appartamento e autorizzato dalla Provincia di Milano ad ospitare fino a 130 minori.

Ne consegue l’esigenza della revisione della delibera del 28 febbraio 2002, precisando in modo più puntuale i requisiti delle strutture per i minori, quali la definizione delle possibili tipologie; l’inserimento delle comunità di tipo familiare nel normale contesto abitativo, evitando accorpamenti nello stesso stabile di più strutture; il numero e la qualificazione del personale che vi opera, ivi compresa la certificazione della loro idoneità a svolgere il ruolo educativo e garanzie di continuità di presenza dello stesso; il numero di minori non superiore a 6/8 unità per ciascuna, ecc.). Fondamentale è anche la vigilanza e il controllo sugli istituti e sulle comunità, si vedano, al riguardo, i recenti arresti dei dirigenti del centro “Il cenacolo” di Ugento (Lecce) per abusi e maltrattamenti sui minori ricoverati e il processo in corso a carico dei gestori e dei responsabili educativi delle comunità per minori di Torino “Peter Pan” e “Trilli” (17).

Con costernazione dobbiamo anche denunciare che è all’esame della Commissione speciale per l’infanzia del Senato un progetto di legge (n. 791, primo firmatario il senatore Girfatti) che vuole eliminare il termine del 31 dicembre 2006 «per dare – come viene affermato nella relazione che accompagna l’articolato – agli istituti di assistenza pubblici e privati la possibilità di continuare nell’opera educativa intrapresa» (sic!). Sfron­tatamente il provvedimento viene giustificato con l’intento «di salvaguardare e di dare priorità assoluta agli interessi del minore». Esso pretende, di fatto, di equiparare l’istituto alla famiglia! Questa proposta offende la sensibilità e il senso di giustizia di tutte le persone che hanno a cuore i diritti dei 28.000 bambini e ragazzi attualmente ancora ricoverati nel nostro paese (18).

Abbiamo richiesto finora inutilmente ai Senatori firmatari di ritirare questo disegno di legge e di impegnarsi invece per promuovere provvedimenti legislativi atti a rendere realmente esigibile per tutti i minori, compresi quelli handicappati e malati, il diritto a crescere in famiglia: tradurrebbero così in fatti concreti quella difesa dei valori della famiglia che, a parole,  viene così spesso proclamata da parte delle forze politiche che rappresentano.

 

Copertura finanziaria

Molto preoccupanti sono le riserve contenute nel Piano in merito alla copertura finanziaria, nonostante che la disponibilità di adeguate risorse economiche sia la condizione sine qua non per la messa in atto degli interventi.

Infatti, è segnalato solamente quanto segue: «In riferimento alla indicazione delle modalità di finanziamento degli interventi previsti nel presente Piano, come richiesto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1997, n. 431, si precisa che le azioni richiamate e da attuarsi nell’ambito della legislazione vigente risultano finanziabili nei limiti degli stanziamenti previsti, mentre gli impegni assunti alla presentazione alle Camere di nuovi provvedimenti legislativi saranno condizionati al rispetto della disciplina ordinaria in tema di programmazione finanziaria».

 

Nostre valutazioni conclusive

Come abbiamo visto, lo scopo fondamentale del Piano è il trasferimento degli interventi rivolti alle famiglie in difficoltà, compresi quelli di fondamentale importanza, dal settore pubblico a quello privato. In questo modo verranno soppressi i pochi diritti esigibili esistenti. Si ritorna, pertanto, alla beneficenza dei secoli scorsi.

A conferma di quanto sopra, il Piano sostiene la necessità che siano assegnati agli enti pubblici preposti ai servizi sociali solamente «funzioni ispettive». Nello stesso tempo dichiara di voler incentivare «l’intervento di enti e associazioni del terzo settore in grado di garantire quei servizi che, se ben organizzati e codificati nei ruoli, fungono da sostegno nei rapporti genitoriali in crisi e aiutano quei genitori che, trovandosi in difficoltà, risultano inidonei a crescere ed educare i figli».

È la stessa posizione assunta nel Libro bianco sul welfare (19).

Anche nel Piano in oggetto non si fa cenno né ai gravosi oneri imposti agli utenti del settore socio-sanitario dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 (20), né viene assunto alcun impegno per l’emanazione del provvedimento previsto dal comma 2 ter dell’art. 3 del decreto legislativo 130/2000, la cui mancata pubblicazione (peraltro non indispensabile sul piano giuridico) (21) è strumentalizzata da quasi tutti i Comuni per pretendere, in modo chiaramente illegittimo, contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni.

Per contrastare le nefaste linee di intervento del Piano, è urgente un’azione decisa da parte delle organizzazioni e persone interessate alla tutela effettiva delle esigenze e dei diritti dell’infanzia più bisognosa e dei loro nuclei familiari: chi tace acconsente!

 

 

 

  

(1) Non si comprende per quale motivo il Piano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 luglio 2003, decorra dal 1° gennaio 2002.

(2) In effetti, com’è precisato dal 5° comma dell’articolo 1 della legge 149/2001 non è riconosciuto il diritto del minore di crescere e di essere educato «nella propria famiglia», bensì «nell’ambito di una famiglia». Infatti, allo scopo di prevenire gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo la sopravvivenza dei bambini, la legge italiana consente il non riconoscimento dei propri nati da parte delle donne nubili, vedove o coniugate. D’altronde, è noto che una delle situazioni nefaste per i bambini è l’essere legati giuridicamente a persone, genitori compresi, che non li accettano.

(3) Come abbiamo più volte segnalato, nel settore assistenziale, per i minori, i soggetti con handicap e gli anziani in difficoltà, diritti esigibili a livello nazionale sono previsti esclusivamente dagli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931. Per i minori nati fuori dal matrimonio, i bambini esposti ed i fanciulli figli di ignoti, diritti esigibili sono sanciti dalla legge 2838/1928.

(4) Cfr. i seguenti articoli apparsi su Prospettive assistenziali: “Le domande di adozione sono già troppo numerose. I ministri Fassino e Turco: aumentiamole”, n. 130, 2000; “La controriforma dell’adozione proposta dalla Commissione infanzia del Senato”, n. 131, 2000; Anfaa, “Strumentalizzati dal Senato i bambini senza famiglia: sono prevalse le pretese degli adulti”, n. 132, 2000; “La nuova legge sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti di diritti ai minori oggetto delle pretese egoistiche degli adulti”, n. 133, 2001; D. Micucci, “Altre considerazioni sulla nuova legge relativa all’adozione e all’affidamento familiare”, n. 134, 2001.

(5) Ai sensi dell’art. 6 della legge 149/2001 non sono previsti limiti di età per coniugi adottanti «quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore». Inoltre, i limiti di età «possono essere derogati, qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore». Com’è ovvio, quest’ultima norma offre ampie possibilità di interpretazione anche in contrasto con il vero interesse dei minori.

(6) Cfr. M. G. Breda e F. Santanera, “Gli assistenti sociali visti dagli utenti: che cosa fanno, come dovrebbero agire”, Utet Libreria, Torino.

(7) Cfr. l’editoriale del numero scorso di Prospettive assistenziali.

(8) Fanno parte della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali i seguenti enti: Acisjf (Associazione cattolica internazionale al servizio della giovane); Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Avulss (Associazione per il volontariato nelle unità locali dei servizi sociosanitari); Caritas italiana; Cism (Conferenza italiana superiori maggiori); Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza); Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia; Gruppi di volontariato vincenziano; Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche); Cif (Centro italiano femminile); Mac (Movimento apostolico ciechi); Società di San Vincenzo De’ Paoli; Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale); Usmi (Unione superiori maggiori); Firas (Federazione italiana religiose servizi sociali); Consulta nazionale fondazioni antiusura.

(9) Cfr. “Una riflessione sul Libro bianco sul welfare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”, Studi Zancan, n. 2, 2003.

(10) In merito al blocco imposto in data 5 novembre 2003 dalla Camera dei Deputati alla riforma (o, più precisamente, alla controriforma) dei tribunali per i minorenni, sconcertanti sono state le reazioni della Lega. Il giornale Padania del 6 novembre 2003 recava il titolo “Casini, col voto segreto, perpetua la sottrazione dei figli ai loro genitori”. Altri titoli del suddetto quotidiano: “Intervista al Guardasigilli Castelli: Magistrati, sinistra e traditori brindano a un sistema che viola i diritti umani”, “Hanno condannato i minori ad essere rapiti dai loro papà e mamme”, “Quanto tempo dovranno ancora piangere i bimbi che i giudici separano a forza dai loro legittimi genitori”. Nel menzionato giornale, in cui non sono citati provvedimenti della giustizia minorile a conferma delle accuse, vengono riportate le seguenti dichiarazioni del Sen. Roberto Calderoli, Vice-presidente del Senato e coordinatore della segreteria nazionale della Lega: «Grazie a Casini e al voto segreto che, diversamente dal Senato, concede a piene mani, i franchi tiratori hanno fatto sì che i bambini possano continuare ad essere rapiti alle loro famiglie per mezzo dei Tribunali dei minori. Ai franchi tiratori e ai loro “mandanti” della vita dei bimbi non importa nulla, conta riempire i collegi con poveri orfanelli e garantire i relativi ricavati economici agli amici “caritatevoli”. Ma questa non è la morale della dottrina cattolica: è un’incivile tratta dei bambini».

(11) Cfr. “Minori senza difensore”, Avvenire, 27 luglio 2003.

(12) È molto strano che il Governo stimoli le Regioni all’approvazione di norme che, riguardando tutta la popolazione, dovrebbero essere emanate a livello nazionale come diritto dei cittadini, per essere poi integrate dalle Regioni per quanto concerne le disposizioni attuative.

(13) In questo caso il Governo invita se stesso ad attuare una Convenzione ratificata dal Parlamento.

(14) I lettori avranno, pertanto, la possibilità di verificare le cose fatte e quelle non realizzate.

(15) Prenderemo in esame la questione dell’adozione “mite” di cui fin da ora esprimiamo la nostra viva opposizione.

(16) Solo tre Regioni hanno finora istituito l’anagrafe dei minori istituzionalizzati: Lombardia, Piemonte e Veneto. Anche nelle suddette Regioni, i relativi dati non vengono tempestivamente aggiornati.

 

 

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