Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre 2003

 

 

Specchio nero

 

 

COMUNE DI COMO: INFORMAZIONI STRUMENTALI E RICHIESTE ILLEGALI DI CONTRIBUTI ECONOMICI

 

Sono sbalorditive e strumentali le notizie contenute nel modulo predisposto dal Comune di Como che deve essere compilato da coloro che richiedono «contributi economici o per l’accesso a servizi socio-assistenziali a domanda indivi­duale».

Infatti, il richiedente non solo deve dichiarare (pretesa assolutamente illegittima) quali sono i suoi parenti tenuti agli alimenti, ma è costretto altresì ad indicare il cognome, il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e il grado di parentela delle «persone obbligate ai sensi dell’art. 591 del codice penale alla custodia o alla cura delle persone che risultino incapaci, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, di provvedere a se stesse o delle quali abbiano la custodia o debbano avere la cura».

Si tratta di una pretesa stupefacente, illegittima e fuorviante. Infatti, com’è noto, mentre tutti i cittadini (e non solo i familiari) sono tenuti a prestare immediati soccorsi alle persone incapaci per malattia o per altre cause di provvedere alle loro esigenze, ma solamente per il tempo intercorrente dall’accertamento della loro situazione di grave pericolo al momento in cui intervengono i servizi pubblici (ambulanza, carabinieri, polizia, vigili del fuoco, ecc.) non esiste nel nostro ordinamento alcuna disposizione che imponga ai congiunti dei soggetti di cui sopra di svolgere le funzioni di competenza del Servizio sanitario nazionale in materia di cura delle persone malate, né di esercitare i compiti assistenziali attribuiti ai Comuni.

Con lettera inviata il 9 luglio 2003 il  Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha chiesto al Sindaco ed ai Capi Gruppo del Consiglio comunale di Como di apportare al modulo in oggetto le modifiche  occorrenti per renderlo conforme alle leggi vigenti anche per  quanto concerne l’attuale ingiustificato coinvolgimento economico dei parenti degli assistiti maggiorenni.

 

 

I VILLAGGI SOS: UNA STRUTTURA SUPERATA DA MOLTI ANNI PROPOSTA DAL SETTIMANALE VITA

 

In occasione del compimento del 40° anno dall’istituzione a Trento del primo villaggio Sos italiano, il settimanale Vita, nel numero del 27 giugno 2003, ha avuto l’ardire di rilanciare queste strutture affermando che si tratta di “quarant’anni portati splendidamente” e, addirittura, di “ un modello rivoluzionario nell’assistenza all’infanzia”.

Secondo il direttore dell’Associazione Villaggi Sos, la loro funzione è quella di «dare a un bambino senza famiglia ciò che nessun’altra istituzione gli può offrire: l’amore».

Incredibile! Per il direttore dell’Associazione Villaggi Sos l’amore fra genitori e figli adottivi non esiste o vale poco!

Ricordiamo che i villaggi Sos sono costituiti da una serie di 8-12 casette, poste in periferia, in ognuna delle quali 7-9 bambini sono allevati dalla cosiddetta “mamma Sos”.

Il direttore del villaggio  dovrebbe svolgere il ruolo di “padre” per tutti i bambini.

Come aveva sostenuto Mulock Honwer, Segretario generale dell’Union Internationale de Protectin de l’Enfance, organismo avente voto consultivo presso le Nazioni Unite (cfr. Informatins, n. 107, maggio-giugno 1964), «i villaggi Sos comprovano le carenze esistenti nella protezione dell’infanzia (...). Essi non apportano certamente nulla di rivoluzionario e non hanno pertanto innovato per niente nel campo della protezione dell’infanzia. (...) I villaggi Sos rappresentano una sfida su una più vasta scala. Infatti essi attaccano l’affidamento familiare il cui valore è considerato incerto» (1).

Riunire 60-80 bambini, provenienti da luoghi diversi in un solo posto per forza di cose lontano da quasi tutte le famiglie, rompere in tal modo abitudini anche consolidate, mettere insieme fanciulli problematici, inserirli in un numero estremamente limitato di strutture sociali (scuole, centri formativi, culturali e ricreativi, ecc.) significa, come l’esperienza insegna, moltiplicare le difficoltà di vita e reinserimento sociale.

Una conferma dei gravissimi limiti dei villaggi Sos emerge dalle dichiarazioni rilasciate al settimanale Vita da Ilia Burlina, di 54 anni, mamma Sos da 21.

Nelle prossime settimane lascerà il villaggio Sos un ragazzo di 25 anni «che andrà a vivere in una Casa del giovane, per iniziare un percorso in completa autonomia. È stato uno dei primi bambini che ho tirato su, era arrivato qui a 4 anni».

Dunque, dopo 21 anni di permanenza nel villaggio Sos, con la stessa “mamma”, nel delicatissimo momento dell’inserimento lavorativo e sociale, deve lasciare la struttura in cui ha sempre vissuto e trasferirsi in un altro centro.

Al riguardo, sarebbe molto istruttivo sapere se per il ragazzo di cui sopra erano stati adempiuti dal villaggio Sos gli obblighi concernenti la segnalazione ai giudici minorili della sua situazione, al fine degli accertamenti relativi alla dichiarazione di adottabilità.

Mentre riteniamo superfluo mettere in risalto il ruolo dell’affidamento familiare a scopo educativo (il direttore dell’Associazione Villaggi Sos non fa alcun cenno né all’aiuto alle famiglie d’origine né all’adozione) ricordiamo che, su iniziativa dell’Anfaa e del Csa, il Comune di Torino ha deliberato (cfr. Prospettive assistenziali, n. 134, 2001) la prosecuzione dell’affidamento familiare a scopo educativo fino al compimento del 25° anno di età del giovane affidato, nonché l’assegnazione di un contributo a fondo perduto della somma massima di 10 milioni di ex lire per la sua autonoma sistemazione abitativa e per altre comprovate esigenze.

 

 

ASSEGNATI ALL’ANFFAS ALTRI CINQUE MILIONI DI EURO

 

In base a quanto stabilito dall’articolo 39, comma 7 della legge 289/2002 (Finanziaria 2003) all’Anffas (Associazione nazionale famiglie di disabili intellettivi e relazionali) è stato assegnato per il 2003 un contributo di ben cinque milioni di euro, senza alcuna motivazione specifica (2).

Sempre allo scopo di «assicurare la prosecuzione degli interventi assistenziali in favore dei disabili con handicap intellettivo», con il decreto legge 16 marzo 2000 n. 60, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 66 del 20 marzo 2000, il Governo D’Alema aveva concesso un contributo di 20 miliardi di lire con l’obbligo da parte del Presidente dell’Anffas di predisporre e trasmettere «alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla data di entrata del presente decreto, un piano di risanamento economico-finanziario dell’ente medesimo, nonché una relazione sui procedimenti anche giudiziari, finalizzati all’accertamento di responsabilità, anche patrimoniali, nella gestione dell’ente».

Il decreto legge n. 60/2000 stabiliva, inoltre, che «le somme recuperate dall’ente sono riversate fino alla concorrenza del contributo di cui al comma 1, allo Stato».

Poiché non sono note le iniziative assunte dall’Anffas sia per l’accertamento delle responsabilità anche patrimoniali della gestione dell’ente, sia in merito alle somme recuperate e riversate allo Stato, crediamo che sia doveroso che l’Anffas stessa fornisca le necessarie informazioni. Notizie chiarificatrici dovrebbero essere trasmesse ai cittadini anche dal Governo.

Ricordiamo che, in occasione dell’erogazione dei 20  miliardi di lire, erano state lanciate pesanti accuse all’Anffas. Ad esempio, su L’Espresso del 18 maggio 2000, a proposito del centro di Cervinara (Avellino) era stato denunciato che «per assistere 14 disabili sono state assunte 25 persone, tra le quali 3 cuochi e 2 autisti senza che, peraltro, ci fosse un solo automezzo da guidare (...). La sede di Cervinara è stata poi demolita perché irrecuperabile a fronte delle norme di sicurezza previste dalla legge. Una scelta obbligata non solo a causa delle condizioni materiali dell’edificio, ma anche perché il fascicolo con le carte necessarie alla Regione Campania per erogare il rimborso (che varia dal 50 al 95 per cento dell’investimento per la messa a norma) risulta misteriosamente scomparso».

 

 

NIENTE PROCESSI AI MEDICI SOTTO INCHIESTA PER IL RISCHIO LIPOBAY

 

«Non saranno più processabili centinaia di medici che non avevano segnalato alla farmacovigilanza i gravi disturbi provocati nei loro pazienti dall’assunzione di farmaci finiti sotto inchiesta (Lipobay e Lanoxin).

Un decreto legislativo in vigore dal 18 maggio 2003 ridisegna il sistema di farmacovigilanza in Italia in attuazione di una direttiva Ue, ma finisce per depenalizzare un reato previsto da un’apposita legge del 1997 in base alla quale le mancate segnalazioni di “reazioni avverse” gravi a farmaci venivano punite con l’arresto sino a 6 mesi. Dal 18 maggio vengono previste solo sanzioni: da 30 mila a 180 mila euro per i titolari delle aziende farmaceutiche interessate, da 20 mila a 120 mila i responsabili della farmacovigilanza delle stesse imprese.

Procedimenti disciplinari, invece, per i dirigenti dei servizi di farmacovigilanza delle strutture sanitarie. Per i medici inosservanti niente».

(da La Stampa, 8  maggio 2003)

 

 

 

 

(1)  Su Prospettive assistenziali  il tema dei villaggi Sos è stato trattato nei numeri 15, 1971 “I villaggi Sos: ghetti di lusso”; n. 55, 1981 “I villaggi Sos: una vecchia forma di beneficenza”; n. 93, 1991 “Risposta ai villaggi Sos”; n. 111, 1995 “L’Uneba rilancia i vecchi villaggi Sos”; n. 136, 2001 “Il settimanale Vita rilancia i villaggi Sos?”. Si veda, inoltre, la recensione del libro di Gmeimer, fondatore di villaggi Sos, “Impressioni, riflessioni e confessioni”, Ibidem, n. 72, 1985.

(2) Il 7° comma dell’articolo 39 della legge 289/2002 è così redatto: «Per la prosecuzione degli interventi di carattere sociale e assistenziale svolto dall’Associazione nazionale famiglie di disabili intellettivi e relazionali (Anffas), è assegnato un contributo di 5 milioni di euro per l’anno 2003».

 

 

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