Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre 2003

 

 

Notizie

 

 

 

L’AFFIDAMENTO FAMILIARE: UN INTERVENTO DA RILANCIARE

 

La ricerca effettuata dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza riguarda 10.200 affidamenti censiti al 31 dicembre 1999, di cui 5.280 a parenti (affidamenti intrafamiliari) e 4.668 a terzi (eterofamiliari): risultano non specificati altre 252 situazioni.

Gli affidamenti a parenti (nonni, zii, ecc.) hanno caratteristiche differenti, difficilmente comparabili con quelli a terzi. Sono disposti spesso dalla magistratura minorile a seguito di una sospensione o decadimento della potestà dei genitori, con un coinvolgimento limitato o nullo dei servizi sociali territoriali nella loro progettazione e gestione. Sarebbe necessaria una riflessione specifica al riguardo.

Dalla ricerca emergono alcuni dati, particolarmente significativi, che riassumiamo in breve:

– l’età media dei bambini al momento dell’affidamento è pari a 6,6 anni; il 46% del totale complessivo dei minori viene affidato nei primi cinque anni di vita e, di questi, il 22,7 ha un’età fra gli 0 e i 2 anni;

– le motivazioni che portano all’affidamento sono gravi: nel 67,2% condotte abbandoniche e/o di grave trascuratezza dei familiari; nel  26,9% dei casi, inoltre, i genitori sono tossicodipendenti e nel 19,2% hanno problemi psichiatrici. Il 23,6% dei nuclei d’origine presenta rilevanti problemi economici e il 17,6 abitativi. Non stupisce quindi, a fronte di questi dati, che il 72,9% degli affidi siano disposti dall’autorità giudiziaria;

– solo il 42% dei minori alla conclusione dell’affidamento è rientrato nella sua famiglia d’origine;  la fascia di età più interessata è quella dei bambini piccoli (dai 3 ai 10 anni, circa il 55%). Infatti solo il 27% della fascia d’età 14-17 e il 19% per quelli dai 18 anni in poi torna in famiglia;

– allarmante è la situazione sul versante istituzionale. La particolare delicatezza e complessità dell’affidamento ha portato solo nel 21% dei casi ad una specializzazione funzionale all’interno dei servizi titolari dell’intervento e al riguardo il Centro rileva giustamente che «se ci si interroga sulle motivazioni di tale prevalente assenza, essa probabilmente è da ricercare nella difficoltà dell’ente a poter disporre di risorse umane, oltre che materiali, da destinare specificamente alla realtà dell’affido. Questa sembrerebbe indicare una scarsa professionalizzazione della procedura di affido, la cui delicatezza richiederebbe, invece, l’attivazione di risorse umane e materiali adeguate per poter assicurare la realizzazione delle finalità del provvedimento».

Desta poi preoccupazione il fatto che solo il 40% degli Enti ha promosso campagne di sensibilizzazione sull’affidamento, iniziative indispensabili per poter far conoscere questo intervento (troppe volte ancora confuso con l’adozione) e per reperire maggiori disponibilità da parte di nuclei familiari e/o persone singole.

Siamo di fronte ad una diffusa latitanza delle Regioni e degli Enti locali, che non assolvono, oppure assolvono in maniera inadeguata alle precise competenze istituzionali loro attribuite dal 1983 e riconfermate dalla legge n. 149/2001.

È questa, a parere dell’Anfaa, la ragione principale dello scarso “decollo” dell’affidamento familiare. Infatti dove amministratori, operatori, magistrati e volontari hanno creduto nell’affidamento e hanno investito e lavorato per la realizzazione di questo intervento, i risultati sono stati positivi, come d’altra parte emerge anche dalla rilevazione effettuata dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza.

 

 

SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SUI BENI DEGLI EX OSPEDALI PSICHIATRICI

 

Con decisione del 18 marzo 2003 n. 1422/2003, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dell’appello presentato  dalla II Università degli Studi di Napoli confermando che, come stabilisce il terzo comma dell’articolo 98 della legge 388/2000 (Finanziaria 2001) «i beni mobili e immobili degli ex ospedali psichiatrici, già assegnati o da destinare alle aziende sanitarie locali o alle aziende ospedaliere, sono da esse a loro volta destinati alla produzione di reddito attraverso la vendita anche parziale degli stessi, con diritto di prelazione per gli enti pubblici, o la locazione».

La sentenza precisa inoltre che «i redditi prodotti sono utilizzati prioritariamente per la realizzazione di strutture territoriali, in particolare residenziali, nonché di centri diurni con attività riabilitative destinate ai malati mentali, in attuazione degli interventi previsti dal piano sanitario nazionale 1998-2000, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 288 del 10 dicembre 1998, e dal progetto obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000”, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 274 del 22 novembre 1999. Qualora risultino disponibili ulteriori somme, dopo l’attuazione di quanto previsto dal terzo periodo del presente comma, le aziende sanitarie potranno utilizzarle per altre attività di carattere sanitario».

 

 

GLI ANZIANI IN ITALIA: UNA RICERCA DEL CENSIS

 

Dalla ricerca sugli anziani compiuta dal Censis (cfr. Notizie e commenti n. 10/11, 2002) «emerge, ancora una volta, il ruolo fondamentale della famiglia». Risulta, infatti, che «l’86,2% degli ultrasessantenni riceve aiuto dai propri familiari o parenti, il 36% da amici e/o vicini ed il 5,1% da religiosi e parrocchie. Soltanto l’1,5% dei rispondenti ha dichiarato di avere sostegno dagli assistenti sociali» (1).

Inoltre, «l’incrocio dei dati con l’età degli anziani intervistati ha messo in luce che mentre gli ottantenni sono le persone più assistite dai figli (78%), gli anziani con un’età compresa tra i 60 ed i 69 anni sono quelli più accuditi dai coniugi conviventi (64,9%)».

L’impegno dei familiari presenta, tuttavia,  un grave pericolo, sottolineato dai ricercatori.

Difatti «alla luce della centralità della rete familiare nei processi di cura e assistenza agli anziani non autosufficienti e del riconoscimento crescente di tale ruolo da parte delle istituzioni, emerge il rischio di una deresponsabilizzazione della comunità che, appunto, finisca per lasciare alle famiglie il peso sostanziale del nuovo carico assistenziale, limitandosi magari ad accrescere le erogazioni monetarie».

In relazione alle priorità considerate dagli anziani intervistati «è emerso che il 62,5% ritiene necessario un ulteriore incremento delle pensioni basse, il 33,9% ribadisce l’esigenza di potenziare sul piano economico e organizzativo i servizi sociosanitari, il 15% ritiene essenziale l’adeguamento delle infrastrutture (edifici, scuole, strade, ecc.) alle esigenze specifiche degli anziani, il 14,7%, invece, vorrebbe sgravi fiscali consistenti per il ricorso ai servizi privati di supporto».

Per quanto riguarda l’autovalutazione dello stato di salute da parte degli anziani «risulta che, complessivamente, hanno una percezione prevalentemente positiva del proprio benessere. Infatti, solo il 6,6% degli intervistati giudica insoddisfacente il proprio stato di salute, il 10,5% lo giudica come ottimo, il 41,7% come buono e il 41,2% come soddisfacente».

 

 

ACCESSO ALLA DOCUMENTAZIONE RIGUARDANTE I MINORI già IN SITUAZIONE DI adottabilità

 

Dal settimo volume L’accesso ai documenti amministrativi edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, abbiamo tratto (pag. 267 e 268) la seguente decisione assunta dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi  giurisprudenziali: «La legislazione speciale succedutasi in materia di servizi di assistenza a favore dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono, ha sempre tenuto fermo il principio della segretezza degli schedari, stabilendo, in particolare, l’obbligo del segreto, assistito anche da sanzioni penali in caso di inosservanza, a tutela dell’anonimato delle madri naturali e delle gestanti. La disciplina speciale contenuta negli artt. 18 del R.D. n. 23 del 1923, 115 del R.D. n. 718 del 1926 e 9 del R.D.L. n. 798 del 1927, non è stata abrogata, né espressamente né tacitamente o implicitamente, da norme di legge successive, pertanto è da ritenersi compatibile con le disposizioni introdotte con le legge n. 142 e n. 241 del 1990 e con  il D.P.R. n. 352 del 1992, avendo per di più il legislatore inteso espressamente salvare le ipotesi di segreto o di divieto di divulgazione previste dall’ordinamento o, comunque, da espresse indicazioni di legge (art. 24 L. n. 241/90 e art. 7 L. n. 142/90).

«Ai sensi dell’art. 21, primo comma, del D.P.R. n. 1409 del 1963 (normativa concernente l’ordinamento ed il personale degli Archivi di Stato) che stabilisce la libera  consultabilità dei documenti conservati negli Archivi di Stato, ad eccezione, tra l’altro, di quelli di carattere riservato, relativi a situazioni puramente private di persone, che divengono consultabili dopo settant’anni, il limite del segreto che vincola i documenti riguardanti i servizi di assistenza a favore dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all’abbandono, viene meno al maturare di tale termine».

 

 

 

(1) Ricordiamo che dall’indagine promossa dalla Federazione nazionale associazione pensionati della Confederazione nazionale dell’artigianato, curata da Massimo Mengani (cfr. Prospettive assistenziali n. 127, 1999) è risultato che l’86% degli anziani non autosufficienti di età superiore ai 65 anni vive in famiglia.

Di essi solamente il 13% riceve un sostegno domiciliare esterno. Il 9% degli anziani non autosufficienti è ricoverato presso case di riposo e Rsa; il 5% è degente in reparti ospedalieri di geriatria o di lungodegenza.

 

 

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